La
sveglia continua a suonare imperterrita.
Mi giro dall'altra parte
cercando di ignorarla e finalmente smette di suonare.
So che è una breve tregua
e che tra pochi minuti inizierà nuovamente ma voglio godermi
questi ultimi minuti di quiete prima di iniziare la mia frenetica
giornata. Oggi è lunedì e l'inizio settimana
è sempre traumatico: il lunedì è il
primo giorno di una lunga settimana di schiavitù.
Vivo a Londra da pochi mesi, la
ricerca del lavoro è stata estenuante, la concorrenza
altissima, i posti di lavoro pochi e per vivere in una città
così costosa come Londra bisogna rimboccarsi le maniche.
Avevo iniziato come cameriera in un
bar in periferia giusto per mantenermi e intanto avevo cercato
disperatamente qualcosa di meglio.
Sono laureata in Economia e la mia
famiglia non accetterà mai di buon grado che dopo tutti
quegli anni sui libri, dopo tanti sacrifici e tante rinunce io faccia
la cameriera, soprattutto così lontana da casa. Ma
è la mia vita e devo inseguire i miei sogni.
Desideravo questa esperienza
all'estero da anni, da molto prima di iscrivermi in
università e adesso devo godermi il momento.
L'odioso trillo della sveglia mi
riporta alla realtà.
È giunto il momento di
alzarsi. Respiro profondamente, conto fino al tre e mi alzo di scatto.
Faccio così ogni mattina,
è il mio modo di dirmi di essere coraggiosa, di essere
pronta per affrontare la giornata, per affrontare il mio capo, Mrs
Smith, una deliziosa vecchietta che ama rendermi la vita difficile.
È una dei più bravi avvocati della
città e lavoro per lei come segretaria.
In parte rimpiango la mia vita da
cameriera proprio per il fatto di non dover correre come una matta per
cercare di accontentare le sue assurde richieste, ma il lato positivo
è che lavoro in pieno centro, in una delle zone
più belle e ricche della città.
Tutto sommato sono grata per quel
posto come segretaria, la paga è buona e mi permette di
vivere in un quartiere abbastanza carino. Per una volta nella vita
posso dire di essere stata veramente fortunata, mi sono trovata al
posto giusto a momento giusto. Mi infilo in doccia di fretta e furia,
mentre Jess, la mia coinquilina, parla al telefono col suo fidanzato
francese. Jess è la migliore coinquilina che io potessi
desiderare, appena arrivata a Londra ho cercato disperatamente un
appartamento in condivisione ad un prezzo che la mia umile paga da
cameriera potesse permettermi. Poi ho conosciuto Jess per puro caso e
cercava una ragazza con cui dividere l'appartamento. È una
ragazza forse un po' troppo eccentrica, ma ha un cuore d'oro e sa
sempre come farmi sorridere anche in quelle giornate difficili.
È una ragazza che difficilmente passa inosservata, di quelle
bellezze mozzafiato, alta, bionda e occhi chiari, viene dalla Scozia e
segue un corso di arte moderna in città.
Mi metto il solito paio di jeans, una
maglia nera a maniche lunghe di pizzo e gli stivali neri di pelle col
tacco. Fuori è la solita giornata nuvolosa, ormai il sole
è un miraggio, intravederlo tra il fitto strato di nuvole
è evento raro.
Difficile abituarsi a quel clima
umido e grigio, a volte sento una forte fitta al cuore ripensando a
casa mia, a quel sole caldo e quel cielo limpido. Corro veloce e prendo
la metro al volo e dopo due fermate arrivo. Mi faccio trascinare dalla
folla frenetica fuori dalla stazione ed entro in ufficio.
Mrs Smith è appena entrata
in studio e la intravedo dalla porta scorrevole ancora aperta del suo
ufficio andare avanti e indietro sbraitando al telefono.
Non so come faccia ad essere sempre
così di cattivo umore già di prima mattina.
Mi guarda e furiosa, senza rivolgermi
alcun gesto di saluto, mi fa segno di guardare la mia scrivania.
La segretaria numero 1 (ebbene si, io
sono la segretaria numero 2, cioè quella che mandano a fare
i lavori sporchi e faticosi) mi aveva lasciato sulla scrivania un
foglio.
Alzo gli occhi e la guardo, stacca
impercettibilmente gli occhi dallo schermo del pc e accenna un saluto.
Ma lo accenna proprio. Forse non lo accenna neanche e me lo immagino
soltanto. Voglio essere ottimista oggi.
Prendo il foglio e leggo a caratteri
cubitali “DA FARE SUBITO” e una lista
interminabile. Trattengo a stento la mia voglia di piangere.
Voglio tornare a letto.
Inizia una lunga e interminabile
corsa contro il tempo.
La mattina scorre veloce mentre cerco di
destreggiarmi in città con tutte le commissioni da svolgere.
Sono una segretaria numero 2
esemplare; la ragazza che lavorava prima allo studio è stata
licenziata perché Mrs Smith la considerava troppo lenta.
E la lentezza era inefficienza. Non
che a me faccia mai complimenti o che sia lodata se un lavoro
è fatto bene, però metto tutta me stessa in
ciò che faccio e cerco di essere precisa.
Non è il lavoro della mia
vita, ho studiato per fare tutt'altro, ma trovare questo posto
è stata una benedizione divina e la mia paga è
anche aumentata quindi non mi lamento affatto.
Notevole lato positivo: rassodo che
è una meraviglia a differenza della segretaria numero 1 che
da quando è passata da numero 2 a numero 1 ha messo qualche
chilo di troppo. Ammesso perfino da lei tra l'altro, in quelle rare
volte che si è degnata di rivolgermi la parola.
Credo non le vada a genio il fatto
che sia Italiana, non capisco che problema abbia con noi Italiani e
onestamente non mi interessa minimamente. Si chiama Clare e ha un gatto
di nome John, informazione che ovviamente non ho avuto da lei ma che ho
dedotto dalla targhetta sulla sua scrivania e dalle innumerevoli foto
incorniciate di questo gatto persiano con tanto di dedica. Molto
gentile e simpatica la segretaria numero 1.
È quasi ora di pranzo e io
corro disperata per strada per cercare di arrivare entro mezzogiorno in
ufficio e consegnare tutto in tempo.
Ho ritirato due enormi fascicoli
dallo studio legale Thomson che è associato al nostro e sta
traslocando e sono passata da Chan a prendere il pranzo di Mrs Smith.
È il solito ristorante
cinese da anni, non so come faccia a mangiare sempre e solo lo stesso
piatto senza stufarsene mai: involtini primavera a gogo e pollo al
curry. Chan è il nome del proprietario, un sant'uomo che ha
pietà di me e ogni giorno alla stessa ora (per evitarmi
l'incombenza di dover aprire la porta del locale visto che ho sempre
entrambe le mani occupate) mi aspetta fuori dal suo negozio col suo
pacchettino col pranzo per l'arpia tra le mani.
È divertente sentire
pronunciare il proprio nome da un asiatico, ormai eravamo amici, cerca
di ingraziarmi perché vuole che sposi il figlio Liang che
non riesce a trovare moglie. Strano visto che di solito i cinesi si
sposano tra loro, ma probabilmente è un cinese anomalo.
Liang è un
ragazzo sulla ventina a parere del padre incompreso e che necessita
nella sua vita una donna intraprendente che gli dia la spinta a
rimboccarsi le maniche e sarsi da fare nella vita e la prescelta sono
io, la segretaria numero due, esempio di laboriosità e
impegno.
Non avevo mai visto finora un cinese
ozioso e non nascondo che inizio a nutrire qualche sospetto sulla loro
origine.
Ambientarmi a Londra non è stato
facile, ma adesso riesco ad orientarmi abbastanza bene.
L'ora di punta è la
peggiore in assoluto: a malapena vedo la strada davanti, fascicoli e
fascicoli occupano la mia visuale e inizio ad avere le braccia
intorpidite.
Dannazione,
avrei dovuto mettere le scarpe più comode.
Ogni giorno decido di vestirmi
più carina e più elegante per essere
più adeguata all'elegante studio legale per cui lavoro e
ogni giorno rimpiango le mie adorate Converse. Svoltato l'angolo mi
scontro contro qualcosa che mi fa perdere l'equilibrio e mi ritrovo a
terra.
Maledico in turco ottomano
ciò che mi ha fatto finire a terra e mi metto le mani in
testa dalla disperazione: i fascicoli sono sparpagliati a
terra aperti e ci sono fogli ovunque. Dannazione.
Almeno il pranzo per fortuna
è salvo.
Ribollo dalla rabbia e dalla
frustrazione quando capisco che non sono andata a sbattere contro
qualcosa, ma contro qualcuno.
« Mi scusi » mi dice una voce
calda.
Non alzo neanche lo sguardo per
guardare da chi provenga la voce, ho lo sguardo fisso su quel macello
di fogli sparsi e mi sembra di sentire il rimprovero della segretaria
numero 1 e poi le urla isteriche di Mrs Smith. Questo è
peggio dell'inefficienza dovuta alla lentezza: sento odore di
licenziamento, sono spacciata.
« Mi scusi un corno. Guardi bene dove
va la prossima volta. » rispondo acida.
Generalmente non sono maleducata o scortese ma
sono furiosa e sconfortata. Senza alzare lo sguardo sulla figura china
su di me che mi porge la mano, inizio freneticamente a raccogliere i
fogli sparsi ovunque e cerco di rimetterli in qualche modo in ordine
dentro i fascicoli.
La figura, credo sia un ragazzo, si
china in ginocchio e inizia a raccogliere insieme a me i fogli.
« Sono un idiota, mi dispiace, stavo
controllando la mia mail e non mi sono accorto di te. Spero tu mi possa
scusare» continua la voce.
Non oso alzare lo sguardo, rossa dalla rabbia.
Adesso sono nei casini, i fogli in
disordine non ho proprio idea di come li debba sistemare. Il ragazzo
premuroso è ancora insistente e continua a raccogliere
fogli. Ho preso tutto.
Mi alzo da terra e alzo gli
occhi su di lui.
Sgrano
gli occhi dallo sgomento.
Non
è possibile.
Il sangue fluisce alle mie guance
dalla vergogna e dall'assurdità della situazione.
Il ragazzo mi porge i fogli che ha
raccolto e mi sorride. Ha occhi e capelli castani che riconoscerei tra
mille.
È alto, spalle
larghe, porta una leggera barbetta e ha belle labbra carnose.
« Sul serio, scusami»
continua
« Ehm...non fa niente »
rispondo confusa.
Non posso credere a quello che mi
è appena successo. Mi aspetto da un momento all'altro
qualcuno che mi dica “sei su candid camera” ma
aspetto qualche secondo e non succede.
Mi rendo conto che è il
caso di respirare.
Il ragazzo continua a sorridere,
sembra dispiaciuto ma io non riesco a sbloccarmi da quell'imbarazzante
estasi mistica. Non devo avere un'espressione molto intelligente.
« Vorrei sdebitarmi per il guaio che TI
ho arrecato... sembrano documenti importanti...» aggiunge.
Cerco di ritrovare un minimo di lucidità.
« Non..preoccuparti va bene
così..»
« Insisto. Posso offrirti il pranzo per
sdebitarmi? » continua sorridendo.
Continuo ad avere l'espressione
sgomenta e incredula.
Vado in iperventilazione e cerco di
formulare una frase di senso compiuto mentre il ragazzo continua a
sorridere aspettando che io dica qualcosa.
Devo dire qualcosa, non posso
continuare a fissarlo con la bocca aperta dallo stupore. Devo avere una
faccia abbastanza buffa perché lui sembra
trattenere una risata. La situazione è decisamente
imbarazzante, molto imbarazzante.
« Ehm..non preoccuparti. Non
è successo nulla, non devi sdebitarti di nulla»
« Non mi ero accorto di...te.»
«Può capitare in questa
caotica città con tutta questa gente caotica»
rispondo. Ho ripetuto due volte “caotica”. Che
idiota. Sto decisamente blaterando.
« Mi sono accorto però
adesso, DI TE. » continua con la sua voce profonda.
Il cuore batte all'impazzata per le ultime parole
dette. Forse non ho sentito bene. Non può essere..non sta
capitando proprio a me. Mi ha appena rivolto la parola. Sto parlando
con lui...e mi ha dato del tu. Sorrido imbarazzata e mi porto una
ciocca di capelli dietro l'orecchio.
« Devo rientrare in ufficio o il capo
mi ammazza » rispondo.
Sono un'idiota. Non ci posso credere
di aver appena detto IO a LUI di dover andare...ripenso con odio a Mrs
Smith e alla sua isteria.
« E il nostro pranzo?»
aggiunge sorpreso della mia risposta.
« Ehm...non ti disturbare, davvero
»dico sorridendo
« Se proprio devi
andare...»aggiunge « Non vorrei essere la causa
della tua morte» dice ridendo.
«Proprio morte magari no, ma
licenziamento si» aggiungo ridendo anch'io.
« Ti lascio andare allora. Peccato per
il nostro pranzo. Vorrà dire che sarà una cena
» dice sorridendo mentre si allontana.
Non posso crederci. Accenno un
sorriso imbarazzato e alzo la mano in senso di saluto. Alza la mano
anche lui e si gira per proseguire. Ancora non ci credo. Inizio a
camminare quando una voce mi chiama.
« Ehi scusa! Non ti ho neanche chiesto
come ti chiami» dice il ragazzo sorridendo
«Sono Elena.» rispondo
« è stato un piacere Elena.
Sono Theo.»
« Lo so» mi limito ad
aggiungere.
Il ragazzo sorride di rimando e si
rigira allontanandosi.
Non ci posso credere... ho appena parlato con quel bel
figaccione di Theo James.
|