Attenzione: uso di linguaggio pesante.
Cento
punti.
La via oltre la finestra è deserta.
Sulla strada vedo un cadavere, nient'altro. Steso a terra, il corpo
riverso, una pozza di sangue che impregna il terreno fastidiosamente
polveroso.
Alzo la testa e vedo il cielo nuvolo... meglio, un raggio di sole al
momento sbagliato e va tutto a puttane.
La sigaretta tra le labbra... la faccio ondeggiare un istante,
giocandoci distrattamente, mentre guardo attraverso il mirino.
Non devi sbagliare. La
vita dei tuoi compagni è nelle tue mani.
Lo so. Merda, lo so.
Avanzano, acquattati, piegati, striscianti come vermi per quella strada
colma di macerie: i miei compagni.
Un villaggio di ribelli... di sporchi ribelli con rudimentali molotov e
armi che persino un bambino saprebbe maneggiare. Ma sono ostinati.
Aggrapparsi alla vita rende una persona dannatamente forte...
soprattutto se gioca in casa.
Intravedo, mentre sono accoccolato nell'ombra di una finestra dai vetri infranti, solo
degli zombie ambulanti... soldati distrutti, dalle divise sdrucite e la
barba non fatta di giorni.
Una doccia. E una bella
scopata.
Sì, una volta che ci avranno congedati da questa dannata
guerra saranno le prime cose da fare. Poi dare un colpo di telefono ai
miei vecchi... sempre in pena... accidenti, per colpa mia non avranno
mai una vita tranquilla.
La cenere della sigaretta cade a terra. Aspiro un'altra boccata.
Avanzano ancora. Prudenti. Tremanti di paura.
La paura ti si incolla addosso... una puzza tremenda che non sparisce.
L'altro giorno Casey, un pivello sbattuto in prima linea direttamente
da un lavoro d'archivio, si era pisciato addosso prima di fare
un'incursione.
L'esperienza non conta... per morire non si è mai esperti
abbastanza.
La radio digrigna i denti. Un po' di interferenze e finalmente una voce
umana.
“Lupo Solitario ci copri?” scorgo dalla mia
postazione Cross parlare all'auricolare.
“Come al solito bello, come al solito.”
“Paraci il culo e torniamo a casa senza troppe chiappe
forate.”
“Contaci!”
La sigaretta è un insulso mozzicone. Con un movimento di
labbra lo getto a terra per tornare a concentrarmi sul mirino.
La via è piena di anfratti bui, le ombre del tardo
pomeriggio si dipingono sui muri dai mattoni di un marroncino
sbiadito... provate a nascondervi brutti stronzi... io vi
troverò.
Ed è come avere un lampo di genio. Una rivelazione mistica.
Vincere alla lotteria.
Lo vedo. Il nemico... acquattato, che prega i suoi dei, o forse non
pensa a niente... ma è sempre pronto ad uccidere.
Prendi la mira Miguel
Ron Sandoval... prendi la mira.
Mi concedo il lusso di sospirare. Per poi trattenere l'aria.
Impugno con più forza il fucile sul treppiede, punto il
mirino, appoggio l'indice al grilletto.
L'umidità mi impregna le narici... la puzza di sangue e
bruciato mi fa vomitare.
Forse anch'io puzzo... non lo so, non mi rendo più conto di
nulla, nemmeno del tempo.
Spara Miguel Ron
Sandoval... spara.
Un leggero tremito alla mano... nulla che non si possa controllare. Il
mio soggetto non accenna a muoversi, rimane appiattito contro il
muro... in mano una pistola semiautomatica, modello vecchio... niente
di troppo pericoloso ma se puntata al cuore uccide, come ogni arma.
L'ho inquadrato.
La sua testa è al centro del mio cerchio perfetto.
Premo il grilletto, parte il colpo.
E poi il solito registro... una testa in meno, i miei compagni sono
salvi e abbiamo più possibilità di tornare a casa
interi: la mia perfetta equazione matematica.
Novanta punti. Un colpo alla testa vale novanta punti.
Cento se colpisci dritto al cuore... è la parte meno esposta
ma è anche il modo più nobile per morire: diretto
e non fa nemmeno così impressione.
I miei commilitoni avanzano, guardandosi le spalle.
A passi più veloci, le armi tese in avanti... correte.
Andatevene da questo schifo.
Io vi guarderò da qui... per oggi sono il vostro Dio
personale, vi paro il culo e voi non morirete. Non dovete nemmeno
pregarmi, servizio immediato.
Corrono. Ansimano... eccola la puzza della paura che si solleva assieme
alla polvere delle strade strette del tardo pomeriggio.
Un gruppo armato, a qualche metro da lì.
Faccio girare il fucile, un'angolazione buona ma non perfetta... non
posso fare granché.
Inizia a soffiare un leggero vento da nord est: un peccato, devia i
proiettili... altro fattore da calcolare...
Guardati attorno Miguel... los
enemigos son hijos de puta porque lo unico que hacen es matarte... mi
padre tenìa razòn... cos'altro
devono fare i nemici se non ucciderti?
E i nemici sono ovunque... tanti potenziali assassini.
Farò mai un colpo da cento punti?
Sorrido.
Rumore di spari.
La squadra non ha problemi a far fuori il piccolo blocco di resistenza:
una volta che avranno spianato la strada cambierò posizione.
Cessa ogni rumore.
La radio torna a gracchiare.
“Lupo Solitario qui è pulito. Aspetta a muoverti,
questi stronzi sanno nascondersi bene.”
“Ricevuto. Tengo d'occhio la via, avanzate.”
Li intravedo camminare, sposto il treppiede per seguirli con
l'obiettivo senza dovermi sporgere ed espormi: gesto da evitare, io vivo nell'ombra.
Muovo il mirino esplorando gli angoli più cupi della
stradina, senza scovare le mie prede.
So che qualcuno ci dev'essere... amano attaccare alle spalle,
dimenticandosi spesso di me.
In quel preciso istante, tolto l'occhio dall'obiettivo, lo vedo.
Un bambino.
Forse di dieci anni, un paio di pantaloni slargati viola e una maglia
una volta bianca, ora di un grigio sudicio... capelli neri folti e
occhi scuri, profondi, incavati.
Mierda.
Avanza a passo lento, dirigendosi verso il mio gruppo.
Non da solo... in mano ha una pistola.
Mi umetto le labbra. Guardo attraverso il mirino e la vedo... la sua
faccia: apatica, distante, la morte che gli appare indifferente.
Il volto di una persona che ha già smesso di vivere, che
cammina per inerzia.
Istintivamente porto l'indice al grilletto.
Devo sparare. Ucciderlo. Incassare i miei novanta punti: la sua testa
è lì, deliziosamente a portata di mano.
La ricetrasmittente disponibile in modo quasi seducente: avverto i miei
compagni e lo trapassano come se fosse un panetto di burro.
Ha mosso un passo. Lo seguo. Nessun problema, indipendentemente dal vento: il soggetto si
muove abbastanza lentamente e in modo talmente scoperto da poterlo
centrare ad occhi chiusi.
Ma è un bambino. Cristo Santo, un bambino.
Dovrebbe andare a scuola... dovrebbe giocare, fingere di stare a letto
malato, ingrassare davanti alla televisione... non venire usato come
carne da macello per uccidere gli stranieri invasori... no.
Qualcuno ha fatto male i conti.
Non dovrei nemmeno contemplare l'idea di sparargli.
E' magro, spento, come se fosse stato prosciugato: basterebbe un pugno
per stenderlo e lasciarlo svenuto. Il proiettile è
ridondante come la panna sul caffé... uno sfizio sbagliato.
Ma avrebbe ucciso i miei
compagni.
Senza pensarci oltre miro a terra, forse a due passi da lui.
Sparo, un colpo secco fora la polvere lasciando una leggera nuvola
simile a sabbia.
“Vattene stupido. Corri via.” mormoro digrignando
inconsapevolmente i denti.
Lo capisci ora chiquito?
Ti ho sotto tiro... posso ammazzarti.
Ma non lo faccio.
Il bimbo si arresta.
No, in faccia non sembra avere traccia di paura.
Guardo meglio... ha i pantaloni bagnati. Una chiazza umida sul terreno
sotto ai suoi piedi.
Si volta nella mia direzione... lo guardo attraverso il mirino, gli
occhi stralunati, le labbra inesistenti e un tremito alla mascella...
no... che cretino... certo che ha paura. Una paura folle.
“Scappa.” sussurro ancora.
Ma lui non può vedermi. Eppure sa dove mi trovo... il suo
Uomo Nero nascosto nell'oscurità che può
ucciderlo a piacimento.
Nonostante tutto non accenna ad andarsene. Rimane disperatamente a
fissarmi in modo indefinito, come un cieco che cerca di cogliere lo
sguardo di una persona.
Madre de Dios.
Stupido. Accenno ad un sorriso amaro.
Ho rivelato la mia postazione in modo troppo diretto. Ho sparato dritto
davanti a me, persino un idiota capirebbe in che zona sono collocato.
Parte uno sparo.
Odore di zolfo, di bruciato. Odore ancora una volta di sangue.
Pero el chico sucio
non può vedermi e nemmeno spararmi.
Allora perché mi fa male il petto?
Smetto di fissare l'obiettivo, ignorando il sapore di ferro in bocca,
ignorando la mancanza d'aria.
Mi porto una mano al torace e sento un liquido caldo scorrere sulla mia
pelle riarsa.
Fisso il rosso intenso sul mio palmo.
Mi accascio a terra, scorgendo la radio che grugnisce incerta:
“Lupo solitario cos'erano quei colpi? Dobbiamo arretrare le
posizioni?”
Non rispondo. Parlo ma gorgoglio come un neonato che sbrodola. A
trent'ottanni. Uno schifo.
Ma sento di riuscire a sorridere... el chico sucio non
mi ha sparato.
Uno de mis enemigos.
Nascosto nell'ombra in attesa di una mia distrazione per trovarmi... ho
perso a guardie e ladri.
Splendido. Ringraziami bimbo, oggi sono stato un Dio anche per te... ti
ho salvato la vita... peccato, dovrai trovarti un nuovo Dio a portata
di mano.
Mi madre
non piangerà. Sarà orgogliosa.
Un colpo in pieno petto, pochi secondi di lucidità.
I miei cento punti.
Grazie per aver letto.
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