Il Lupo

di Sigyn
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Il Lupo

 

 

 

 

 

 

 

Non sono i giorni il vero problema.

Di giorno, basta correre. Con il vento tagliente sulla faccia e nelle orecchie e un ciuffo di capelli sfuggito alla sua treccia stretta che le finisce in un occhio, e le redini strette nelle mani finché le nocche sbiancano e i palmi bruciano, e il fiato bloccato nella gola, e il sangue che bolle e poi gela nelle vene. Basta correre e ignorare il ringhio basso e cupo del Lupo dietro di lei - basta non pensare al rumore che farebbero i suoi denti candidi chiudendosi sulla sua gola morbida e fragile, spezzando carne e muscoli e tendini e ossa con la facilità con cui la sua mano spezzerebbe un ramoscello. Basta non pensare.

Il Lupo rimane un’ombra scura nella coda dell’occhio, ma Sól può scegliere di non guardarlo. Come non lo guardano coloro che vedono il cielo ogni giorno ma sempre e solo dalla loro terra, da Midgard o Asgard o Vanaheim o da qualsiasi altro luogo. A volte si chiede se lei sia l’unica a vederlo -  Sköll è il suo Lupo, in fondo. Destinato a lei sola come Hati è destinato a suo fratello, fino alla fine dei Mondi. Si è chiesta spesso se fosse un trucco degli dei anche quello, un’ultima punizione per un padre troppo orgoglioso e due bambini troppo amati. Forse è proprio per questo che loro non hanno mai nemmeno provato ad aiutarli, a forgiare nuove catene sottili e scintillanti come quella con cui hanno ingannato il figlio di Loki.

O forse - forse è davvero l’unica a vedere il Lupo. Forse il Lupo non c’è. Forse la sua corsa senza fine l’ha fatta impazzire.

Non ha mai avuto il coraggio per fermare il carro, per voltarsi e controllare.

Basta non pensare.

 

 

 

 

 

Non sono i giorni il vero problema. Il problema sono le notti.

È solo di notte che il carro si ferma. È solo di notte che il suo dovere è compiuto, e insieme ad esso la sua punizione, e lei può mendicare un letto in cui riposarsi prima di riprendere la corsa - gli dei le hanno offerto una sala, una volta, una sala grande e larga di legno e d’oro da dividere con suo fratello. Né lei né Mani vogliono tornare ad Asgard. Né lei né Mani potrebbero mai chiamare quella sala sfarzosa casa.

È solo di notte che Sól non può non pensare. A suo fratello, ancora là fuori perché adesso è il suo turno di correre, di stringere le redini nelle mani e di scappare dalle ombre e di aver paura. Al Lupo destinato a Mani, le fauci piene di denti bianchi che si aprono nell’oscurità e forse una notte si chiuderanno attorno un braccio o una gamba o a tutto il suo corpo, ingoiandolo in un sol boccone. Alla fine, però, pensa sempre al suo Lupo - e talvolta lo sogna.

Sköll non la insegue, nei suoi sogni. La guarda e basta, in silenzio, con occhi brillanti e attenti e - Sól ne è certa - beffardi.

- Non ho paura - gli dice Sól, perché lei può ancora correre. Ha già corso così tanto e così a lungo, non si fermerà ora. Ha scoperto strade segrete nei cieli del nord e del sud, poi ne ha create di nuove. Ha resistito al terrore e alla stanchezza, ha bruciato d’odio e di dolore, ha alzato la testa davanti all’ingiustizia e stretto i denti e le dita per sconfiggere il fato. - Ti sono sfuggita per mille e più giorni e ti sfuggirò ancora un altro giorno, e poi un altro, e poi un altro, e poi ... -    

E poi le viene da ridere, e subito dopo le viene da piangere. E trema, con gli occhi che bruciano e il respiro veloce e rotto, trema sotto lo sguardo luminoso e crudele del Lupo che il suo destino o forse gli dei le hanno dato.

E Sköll ride con lei - è come il rombo di un tuono prima che inizi la tempesta, è un suono che striscia sotto la carne e s’infila nelle ossa e pian piano gocciola nel sangue. Sól non smette di tremare ma lo guarda dritto negli occhi, aspettando le parole terribili che conosce già.

- Hai avuto fortuna per mille e più giorni e forse l’avrai ancora - le risponde il suo Lupo mentre la sua risata le riecheggia ancora nelle orecchie, la voce bassa e ruvida serena, quasi contenta: - A me invece basterà avere fortuna per un solo giorno. -

Un solo giorno, e poi Sól si sveglia nel buio, con la bocca aperta come per urlare e immagini di cieli senza stelle e di fuochi troppo brillanti nell’oscurità dipinti dietro le palpebre. L’odore del sangue - il suo? O quello di Mani? - le riempie ancora il naso. Ha poco tempo per asciugarsi il sudore dalla fronte e le lacrime dalle guance, e per calmare il suo respiro e infilarsi di nuovo le vesti.

Suo fratello ha bisogno di riposo. E la corsa deve continuare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA:

 

 

Scritta per Pratchettando - Buon Compleanno, Pseudopolis!

Prompt:  http://furieosa.tumblr.com/post/114592890569





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