sfida di scrittura con ezuccanigra

di NIKELMANN
(/viewuser.php?uid=851014)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Elisa si sveglia, con la musica classica che cerca di rendere meno traumatico aprire quelle palpebre atrofizzate, quegli occhi incollati da un sonno troppo lungo. La culla biostatica le permetteva di mantenere la fase rem per periodi di tempo lunghissimi.

Probabilmente non tutti sogniamo nello stesso modo. Alcuni sono in grado di fare regolarmente dei sogni lucidi. Altri vanno completamente a caso. Alcuni rivivono in modo dettagliato parti della propria vita particolarmente sconvolgenti. Elisa aveva la sfortuna di fare sogni di questo tipo. Certo, non sempre. Però quando sogni per settimane, nel sonno artificiale in cui ti mette la capsula dell’astronave, ad un certo punto sognare è la tua principale attività, ed il sogno si disciplina. Una specie di loop infernale, nel quale riviveva tutta la propria vita.

Elisa si alza. Il macchinario si è preso cura dei suoi muscoli, facendo in modo che non fosse troppo traumatico muoversi. Prima del ritorno, una mirata cura ormonale e moderata attività fisica verranno svolte per assicurarsi che il suo organismo regga nuovamente la gravità terrestre.
Non che la vita di Elisa fosse stata tanto tremenda. È solo che ci sono delle cose che ha fatto, che vorrebbe poter correggere, cambiare un pochino. Del senno di poi sono piene le fosse, ovvio. Ma se rivivi la stessa vita ogni volta che vai a dormire, più e più volte, sempre identica, rivivendo ogni più piccolo errore, come fai ad andare avanti?

Elisa fissa i comandi, per un attimo. Il tachimetro relativistico indica 7. Il che significa che la velocità della navicella è ad un decimilionesimo in meno della velocità della luce. 0.9999999 c. Una velocità relativistica, ovvero il tempo all’interno della capsula è sensibilmente deformato. Sono mesi di viaggio per lei, ma sulla Terra sono passati già 14 anni. Parecchia gente che conosceva era già morta, forse. Sicuramente prima della fine del viaggio, la maggior parte lo sarebbe stata.

In termini assoluti la navicella accelerava di poco, ma continuava ad accelerare, grazie alle vele solari. Nessun oggetto umano aveva mai viaggiato tanto veloce. Quasi per caso abbassò lo sguardo sull’indicatore che mostrava la distanza attuale dalla Terra. 3,26 anni luce. Un Parsec. Pensate ad un filo di seta. Immaginate di mettervi ad una distanza tale dalla vostra porta di casa che quel filo di seta la copra per intero. Piuttosto lontano, vero? Bene, in pratica quel filo di seta, un secondo d’arco, deve coprire la distanza dalla Terra al sole. È una distanza inimmaginabile, impossibile da comprendere, assurda. Una distanza frutto di quello che gli uomini non possono nemmeno sognare razionalmente.

Un Parsec dalla Terra. Un Parsec dai suoi problemi. Eppure, ogni volta che tornava nella culla biostatica, come stava per fare, dopo il controllo di routine, eccoli lì. La luce ci mette 3 anni e 3 mesi e loro piombano su Elisa in un unico istante.




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3171921