I Ricordi

di Aphasia_
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Non avevo mai pensato seriamente alla morte. Troppo scontata. Smettere di vivere, e basta.  

Fino a quel preciso istante, quando avevo perso tutto. Lei. E non è forse questo morire? 

 

Apri gli occhi, andrà tutto bene... La voce insisteva. Non avevo idea di dove mi trovassi, a chi appartenesse quella voce. Non sentivo nulla. Terrore, puro. So solo che avevo mollato la presa, quando avevo perso tutto. L'aria ghiacciata, il vuoto attorno a me, sotto me, dentro me. Poi assenza di peso, poi il volo, leggerezza assoluta, devastante libertà, ossessiva voglia di sparire per sempre. Poi silenzio assoluto, luce, buio, e venni strappato via. All'improvviso, come se fossi stato aggrappato per tutto quel tempo a qualcosa o qualcuno, e mi avessero strappato con violenza. Assenza. Solitudine. Ancora terrore.  

Poi la voce. Ancora e ancora, e non avevo il coraggio di fidarmi 

Avanti, apri gli occhi! Mi esortò. Aprii finalmente gli occhi, ma non lo avevo fatto io, non lo avevo voluto, come se fossi soltanto un robot. Ancora terrore. Mancato controllo di me stesso, e tanto valeva non esistere, sempre se davvero esistevo ancora. Lo scenario che mi trovai davanti era il più ordinario che si potesse immaginare. Mi trovavo in un salotto. La casa doveva essere molto antica, ma non perché fosse in qualche modo trasandata o divorata dal passare del tempo, quanto per l'aspetto dei mobili e della struttura, di quelli che non ami e non odi, ma che affascinano  perché portatori di ricordi, perché toccati da chissà quante vite. La voce mi osservava, incuriosita e sorridente. Era di un uomo. Era anch'esso "antico", se così si può dire, anziano, ecco, anche lui reduce da chissà quali avventure passate.  Le sue rughe formavano una mappa di intriganti luoghi mai visitati dagli essere umani, cose inimmaginabili, una vita intera insomma. Non avevo paura, ancora una volta, come se non lo volessi davvero, come se fosse un comando che mi venisse imposto. 

-E tu chi sei?  chiese ancora la voce. Eccolo di nuovo, il vuoto tornò, proprio come prima che venissi strappato via per sempre. Sudai, cercavo in me stesso, ma non trovavo nulla, solo sensazioni, nessun dato. E ancora, "qualcosa" rispose per me. 

-Un ricordoSentire la mia voce, che cosa terribile e scioccante.  Trionfo parziale, perché allora forse esistevo. Se parlavo, potevo pensare, se potevo pensare, potevo smettere di essere quel robot che stavo dimostrando di essere fino a quel momento. L'uomo rise, divertito dalla mia espressione confusa al pronunciare la parola "ricordo".  

-Esatto, lo sei- mi disse, quasi rassicurandomi- ma sei, te lo prometto. Sei! Non è incredibile? E sei qui! Non si rendeva conto di aggrovigliare ancora di più il mistero, quello sconosciuto non riusciva proprio a capire che sapere di essere non era lontanamente sufficiente a scacciare la paura, anzi, il terrore, di quella nuova situazione. Così, mi feci avanti. 

-Dove mi trovo?- prima domanda diretta.  

-Ti trovi- affermò il personaggio. 

-Ma dove?- ribadii. 

-Ovunque in questa casa- rispose, sorridendo. 

-Come? -Chiesi ancora, esasperato. 

-Ma morendo, sciocco!- rideva ancora, follemente divertito dal mio terrore. 

Ero morto. Come si dovrebbe reagire ad una simile affermazione? Morire due volte non è proprio possibile. Svanire? Il nulla non può mica svanire. Dimenticare? L'oblio non si può mica dimenticare. Trappola.  

-Perché?- Non mi restò che chiedere. 

-Qualcosa non va- mi spiegò l'uomo, fattosi serio, poi mi toccò. Assurdo, era come se fossi ancora vivo, come se tutto intorno a me lo fosse, persino l'uomo. Era reale. Nessuna trasparenza, nessuna freddezza inumana. Era caldo e ruvido, rassicurante, un tocco che non ti farebbe mai del male, una mano da padre o da nonno, una mano familiare. 

-Ti manca qualcosa, qualcosa che hai perso- continuò a dirmi. 

Sì, sussurrai tra me e me, sprofondando in quella improvvisa consapevolezza. Qualcosa mancava, in effetti. Ma cosa? Provai a ricordare, incredibile dirlo. Provai. Mi sforzai, addirittura. Nulla.  

-Terribile, vero? Nulla- l'uomo aveva indovinato- ma è inutile purtroppo. Solo tre ne abbiamo. 

Lo fissai perplesso, finché non si arrese: 

-Tre ricordi e basta. E puoi ricordare solo quelli- fece una pausa- Me li racconteresti? -Mi chiese, incuriosito, di quella curiosità che ti illumina lo sguardo, persino uno senza vita.  

Allora riprovai, stavolta senza sforzi, come trasportato da un invisibile pilota automatico. Chiusi gli occhi, sorridendo. Era bello avere almeno una parte di umanità, i ricordi, sebbene fossero soltanto tre. Mi bloccai, ancora perplesso e sconvolto. 

-Qual è il mio scopo? -Chiesi ancora.  

Non ottenni risposta, perché all'improvviso, e ancora una volta, fui solo. 

Più volte gli feci quella domanda, e più volte non ottenni risposta. Più volte mi chiese di raccontargli i miei ricordi e più volte rifiutai, passando la mia non-esistenza a trovare quella risposta, a dare un senso a quei tre frammenti che mi erano concessi. 

Poi sognai, e ottenni la mia risposta. 

Un volto, solo un volto. Era quello del primo ricordo. Un bacio, bellissimo.  La ragazza mi fissava sorridente, e senza dire una parola era capace di dirmi tutto. Non sapevo chi fosse, non  lo ricordavo, sapevo solo che nei miei ricordi c'era eccome, così come nei miei sogni. Doveva essere piuttosto importante. Sempre silenzio, ancora silenzio, fino alla precisa fine del sogno, di lei. Prima che svanisse tutto, prima di svegliarmi senza essere sveglio o vivo, prima di tornare al nulla. Un frammento di senso in quella casa-trappola per le persone di passaggio.  Solo due parole. 

Ti amo.  

Dovevo trovarla. Dovevo ricordare.  

 





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