Titolo: Shut me up
Autore: Lely1441
Rating: 14 anni.
Tipologia: One-Shot.
Lunghezza: 2080
parole, 4 pagine, un unico capitolo.
Avvertimenti: Character
Death.
Genere:
Drammatico, Introspettivo.
Disclaimer: Trama,
personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene,
sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Credits: Il titolo
l'ho preso da una canzone dei Mindless Self Indulgence, “Shut
me up” appunto, che significa “Fammi stare
zitto”.
Inoltre
ho utilizzato anche questi due siti per una breve revisione su
ciò che sapevo sull'aborto:
http://www.vitadidonna.it
http://it.wikipedia.org/wiki
Introduzione
alla Storia: Eva ha
diciannove anni, è giovane, ha una vita normale. Eva rimane
incinta. Terrà o no il bambino? E il feto, cosa ne
penserà del suo comportamento?
Note
dell'Autore a fine pagina.
Shut
me up
[24/10/08]
Legami di Sangue
Quando Eva
scopre di essere incinta, il mondo le cade addosso.
È
troppo giovane, continua a ripetersi fissando l'ecografia che tiene in
mano, ha solo diciannove anni, cazzo!
Il consulto
con il medico è stato veloce, il dottore le ha comunicato le
solite informazioni con aria annoiata, come se fosse normale per lui
vedere giovani donne fissarlo con quell'aria sconvolta e spaesata.
Ha sette
giorni per decidere se tenermi oppure abortire.
Ed Eva ci
penserà, sì. Non è così
ovvio il fatto che mi tenga con sé, a quanto pare. E questo
fa male, fa veramente male, perché sento il suo rifiuto
ribollire nel sangue, in quello stesso sangue che ora scorre anche
dentro di me. Ho paura, ho paura di quella donna, una dannata paura.
Paura della sua scelta, paura di quello che potrebbe fare. Di quello
che non farà.
Dentro di me,
temo la sua scelta.
Perché
ora sono nelle sue mani. Non solo metaforicamente. E tutto
ciò mi provoca una grande rabbia: venire respinto ancor
prima di essere messo al mondo, non sarebbe giusto, non sarebbe affatto giusto.
Mi conosce,
lei? Può veramente prendere una decisione quando ancora non
mi ha mai visto, non ha parlato con me, non si è data modo
di conoscermi?
Secondo me
è impossibile. Ed è questa debole, debolissima
speranza che mi sostiene, che mi permette di non odiare l'essere che mi
deve dare alle luce.
Almeno per il
momento.
Non ne
parlerà con il suo ragazzo, Eva. Non si confiderà
con sua madre.
Il padre se
n'è andato di casa da anni, su di lui non può
fare affidamento.
Le amiche? No,
è una cosa troppo personale.
E quindi?
Dimmi, cosa
farai?
Mi terrai con
te, rischiando di farti mollare dall'uomo che ogni sera giura di amarti
sopra ogni cosa al mondo?
Perché
lui ama te. Non è detto che debba per forza amare anche me.
Mi terrai con
te, rischiando di farti scacciare di casa per sempre da tua madre?
Perché
anche lei ti ripete sempre di volerti bene, ma potrebbe pensare che sei
una svergognata...
Mi terrai con
te, rischiando di venire esclusa per sempre dai tuoi amici? Da quella
stupida società di cui sei tanto contenta di far parte?
Perché
sì, siete amici, appunto. Ma ricordi benissimo cosa successe
quando a rimanere incinta fu Marta... E tu eri parte di quel circolo
per lei ormai chiuso per sempre.
E per quel suo “bambino”, ovvio.
Cosa farai?
Mi getterai
via, per tornare a quella vita tranquilla che non hai mai avuto, a
quella beata ignoranza di cui tu ti puoi vantare sui sentimenti di
coloro che consideri gli oggetti del tuo affetto? Bella vita, non
c'è che dire.
Sarai
abbastanza forte per riuscire a far fronte a tutto e a tutti, e a
tenere la testa alta in ogni caso? Chi darà più
peso al piatto della bilancia? Tu od io?
Sto aspettando
una risposta, di fronte ad una realtà tanto assurda. E
preferirei non avere tanta paura, paura di ciò che un altro
essere umano possa essere in grado di farmi.
Essere umano.
Sì,
perché cosa sono io, se non un essere umano? Troppo comodo
definirmi un ammasso di cellule come tanti altri... Ciò che
sono tutti gli uomini, poi.
Però
l'eliminazione fisica di un cosiddetto uomo, questa voi la
considerate omicidio.
Io lo
diventerò presto, sono già sulla via per farlo.
Eppure, eliminare me ti appare normale.
Ma non si
tratta pur sempre di un assassinio?
Spero che tu
lo capisca, donna. Spero che tu mi dia la possibilità di
nascere, fosse anche per condurre una vita di sole sofferenze.
Perché almeno potrei direi di aver vissuto, di esserci stato
anch'io. Ci spero, ci spero sul serio.
La settimana
di riflessione che si prende Eva sembra non finire mai. Il tempo pare
dilatarsi a suo piacimento, mentre mi sembra di vivere insieme a lei in
una bolla dove tutto scorre normalmente, ma al di fuori ciò
che riusciamo a vedere è la gente che si muove a
rallentatore, con le loro voci grossolanamente distorte e i loro
movimenti stranamente impacciati. Credo che invece per quella donna
tutto stia andando troppo veloce, come se il tempo non le bastasse mai.
Forse è per questo che la notte non dorme, continuando a
piangere e a singhiozzare avvolta nelle sue lenzuola.
Mi odia. Mi
odia e mi teme, con una logica assurda ed agghiacciante. Mi odia,
perché l'ho posta davanti ad un bivio orrendo, ad una scelta
che, volente o nolente, ricorderà per tutta la sua esistenza.
Mi teme,
perché sono il frutto di un fenomeno a cui lei non
può che sottostare, di certo non dominare. Un fenomeno
naturale, come lo sono anch'io.
Eppure, vengo
trattato come se fossi un oggetto, un vecchio soprammobile da buttare,
un vestito ormai fuori moda che non potrebbe più essere
indossato.
Continuando a
sentire quest'odio, mi verrebbe quasi da ricordarle che io sono solo la
conseguenza, non certo la causa delle sue azioni.
Le sue, le sue azioni!
Ma dubito che,
ponessimo pure il caso che potessi farlo, mi presterebbe attenzione.
Quello che mi
lascia sconcertato è che io non riesca a sentire tracce di
amore, nei suoi sentimenti. Mi sta nutrendo di odio ed angoscia,
rancore e paura.
E pian piano,
mi sto assuefacendo di queste emozioni così forti, io, che di emozioni
potrei non provarne mai, al di fuori di questo corpo.
La sua
indecisione, la sua rabbia...
Bizzarro che
ne provi lei, quando l'unico a dover essere chiamato in causa al
massimo sarei proprio io.
Nessuno chiede
di essere concepito. Non è colpa mia, non lo è.
E neanche i
tuoi stupidi tentativi per convincertene funzioneranno, io lo so bene.
Magari lo
potrai credere tu, per sentirti la coscienza più pulita.
Magari lo
potrà credere quell'unica anima che troverai a giustificarti
in questo mondo, sempre che tu ne incontri una.
Ma non io.
Non. Io.
“Si
tratta di un'operazione molto semplice... Sei ancora alla sesta
settimana, basterà un'isterosuzione. Vedi, verrai sottoposta
ad una piccola anestesia locale; dopodiché, sarà
inserito un tubo di plastica, ed il feto verrà aspirato via,
insieme a tutto ciò che rimane...”
Eva cerca di
porre attenzione a quanto il dottore le sta dicendo, ma non ci riesce.
Come farlo,
quando ancora non riesce a capacitarsi di ciò che sta
mettendo in atto?
“Non
ci sono rischi per il mio corpo, vero?”
“Assolutamente
no cara, immaginalo come se ci fosse un virus... L'operazione
sarà un po' l'antibiotico che porterà a
distruggerlo, e tu tornerai più sana di prima. Tutto questo
in soli cinque minuti, senza alcun rischio per te. E tranquilla, se in
un futuro vorrai avere un bimbo, potrai concepirlo senza problemi.
Ovviamente, questa è una spiegazione grossolana, solo per
farti tranquillizzare”.
Sono appena
stato paragonato ad un virus da eliminare, che simpatico accostamento.
Azzeccato, non c'è che dire.
Quella donna
annuisce angosciata, con gli occhi gonfi.
“Se
sei d'accordo, basta firmare questi fogli...”
Firmerai?
Firmerai sul serio?
Ne hai davvero il coraggio, mamma?
Però
lei prende in mano la penna offertale, e comincia a siglare piano, uno
ad uno, tutti gli spazi vuoti.
“Perfetto...
Ripresentati dopodomani, ti prepariamo una camera e dopo l'intervento
potrai tornare tranquillamente a casa”.
Odio questo
dottore. Non sa usare altro che termini quali tranquilla,
tranquillamente... Ma è mai stato madre, lui? Certe cose le
sa?
Di sicuro, non
ricorda com'è stare nella mia situazione. Chissà
come si comporterebbe se ci fosse lui qui dentro, e io dall'altra parte.
Secondo me si
toglierebbe immediatamente quell'orribile sorriso dalla faccia.
Ci alziamo, io
e questa donna, una delle ultime cose che faremo insieme. Porge la mano
al medico e se ne va, richiudendosi velocemente la porta dietro le
spalle e tenendo il capo chino, evitando di fissare in faccia lo
sguardo severo della segretaria del dottore.
Lei
sì che ha avuto figli, si vede da come se ne sta seduta su
quella sedia, come se l'avessero costretta. Chissà, magari
per mantenere i suoi, aiuta ad eliminare gli altri...
O magari sono
troppo crudele anch'io.
Mentre
torniamo in strada, quella strada piena di smog e rumori tremendi,
quella donna sembra sentirsi male. Si siede sul marciapiede,
infischiandosi di tutto e tutti, e si prende la testa fra le mani.
Il mio destino
è stato appena deciso, sono stato condizionato ancora prima
di nascere.
Poi, arriva il
fatidico mercoledì. La clinica è terribilmente
inospitale, almeno secondo il mio parere.
La definirei ipocrita.
Ipocriti i
sorrisi, ipocriti i fiori nelle camere. Ipocriti i pareri delle donne
ricoverate.
“È
giusto così... Non puoi farti rovinare la vita in questo
modo, sei troppo giovane... Io l'ho già fatto un anno fa,
non c'è niente di cui preoccuparsi...”
Certamente,
non possono rovinarsi la vita, loro. Però si
sentono perfettamente nel giusto, a decretare le fini delle nostre.
Non credo sia
soltanto egoismo. Non la definirei neppure superficialità.
Credo sia
proprio crudeltà allo stato puro.
Capirei se
noi, questi maledetti parassiti, mettessimo
a rischio le loro vite. Se ci avessero concepito in seguito a violenze
carnali.
Ma
così?
Ed
è quasi divertente, vedere come questa donna si lasci
condizionare facilmente. Alla fine, riesce perfino ad entrare in quella
saletta bianca con una punta di serenità.
Serenità...
Ci penseranno i dolori fisici delle prossime settimane a fargliene
provare, di serenità. Il sangue che continuerà a
perdere...
E di colpo,
vengo strappato a ciò a cui ero saldamente ancorato ormai da
giorni.
Improvvisamente,
non esisto più.
È
finita più veloce di com'è iniziata.
In un attimo, io
non ci sono più.
Lo strano
“virus” è stato estirpato alla radice,
il suo minuscolo corpo gettato via.
Quando una
persona muore, il corpo si annienta, la mente si distrugge.
Ma l'anima?
Cosa ne
rimane, dell'anima?
Cosa rimane a me, se non un'anima?
Il corpo
è materia, l'anima è pensiero.
La mente
è ricordo.
Ma che ricordi
può avere lo spirito di un bimbo mai esistito? O per meglio
dire, mai divenuto.
Un essere
costretto a vivere dei ricordi di una donna che non l'ha voluto, a
tornare ad essere il parassita virtuale di un corpo che l'ha rigettato.
Quale
divinità crudele ha voluto questo? Quale mente malata ha
permesso che tutto ciò accadesse?
Persino i miei
sentimenti sono corrotti, lo so. Non sono stati svezzati dal mondo, non
sono stati modellati dal mio rapporto con le altre persone. E mai lo
saranno.
Felicità,
amore, speranza... Ne sento parlare ogni giorno, e ogni giorno la
rabbia nei confronti di quella donna non può far altro che
crescere implacabile, senza possibilità di scemata, senza
possibilità di perdono.
Perdono.
Che parola
assurda.
Mi viene quasi
da ridere al pensiero di quegli idioti che pensano sul serio di aver
perdonato i loro accusatori.
Ovviamente, se
potessi ridere, lo farei.
Quindi me ne
rimango qui, ad osservare con rancore ed odio la vita di quella donna
che continuerà ad andare avanti, a differenza della mia.
Per
tormentarla con il mio, di ricordo.
Sono
condannato a passare il resto della sua vita con lei, perché
morirò veramente solo il giorno in cui anche lei non
apparterrà più a questo mondo.
E dopo?
Dopo
chissà.
Quella donna
se ne va, esce dalla clinica con la sua borsa in mano, senza fare caso
alla gente che le passa intorno, senza notare le occhiate che le
persone le lanciano. L'unica cosa che vuole fare in questo momento
è tornare a casa, dico bene, donna?
Ignorando
tutto e tutti, magari persino me...
Ed
è solo quando apre la porta di casa e getta il borsone
contro un muro, che si lascia cadere a terra e si nasconde il volto fra
le mani.
Ridicolo.
E ora che fai,
assurda donna?
Piangi?
Perché?
Quale bizzarro motivo ti porta a soffrire ora?
Sei
incoerente. E profondamente ingiusta. Prima mi elimini, e poi te ne
penti? Hai forse dei rimorsi?
Vorresti avermi
tenuto con te?
Non voglio
saperlo. Non voglio, perché questo mi porterebbe ad odiarti
in un modo che forse decreterebbe la mia distruzione totale, e non solo
fisica. Il mio annientamento completo.
Mi dispiace,
è troppo tardi. Avresti dovuto pensarci prima.
Ai miei occhi,
sei e rimani comunque un'assassina. La mia assassina.
Perdonare
è impossibile. Mi piace pensare che potrò
portarti rancore in eterno con il ricordo della mia esistenza che
è stata tanto effimera. Per quello che avrei potuto essere.
Per quello che
tu avresti potuto avere.
Piangi, piangi
pure.
Spero che
nessuno raccolga le tue lacrime.
Perché
nessuno è venuto a raccogliere le mie.
Note dell'Autore: Vorrei precisare che
ciò che ho scritto non è necessariamente in linea
con ciò che penso, non ho voluto fare generalizzazioni di
sorta. Ho preso in causa un feto ben distinto e sua madre, unicamente
loro due. Ho reso volutamente “implacabile” il
bimbo, perché non avendo cognizione di sentimento,
ciò che prova è più grezzo di quello
che potrebbe provare un'altra persona, ad esempio. In più
l'ho reso una specie di contrappasso vivente al peccato di sua madre:
ella infatti è condannata a portare il peso di questa scelta
sulle sue spalle per sempre, mentre il bambino, proprio per questa
forzata convivenza con la persona che odia e che non riesce a
perdonare, non può far altro che detestarla ancora di
più, e provocare altro dolore inconsapevolmente alla madre,
in una sorta di circolo vizioso.
Un aborto
è un trauma, nel vero senso della parola. Credo che non ci
siano parole per descrivere un dolore del genere, quindi ho cercato di
soffermarmici il meno possibile e concentrarmi sull'altra parte
dell'aborto, il bimbo appunto.
Ovviamente, ho
dato una certa maturità di pensiero al feto che non potrebbe
provare in via naturale, per ovvie ragioni.
Il passaggio
da seconda a terza persona continuo, in riferimento ad Eva,
è voluto. Come è voluto il non riuscire a
chiamarla “mamma”, tranne che in qualche raro caso,
da parte del feto.
La
parola-chiave utilizzata è “Rancore”.
Prima Qualificata:
Shut me up di Lely1441
Punteggio: 9.3
Il
legame che viene scelto di trattare in questa storia è
quello tra una madre e il suo bambino mai nato, un feto abortito.
L’autrice ha optato per un tema delicatissimo e lo ha
affrontato, a mio avviso, con grande coraggio, intelligenza e
sensibilità. Narrare proprio dal punto di vista del feto
è stata un’ottima idea, così come
sottolineare il fatto che i suoi sentimenti, i sentimenti di una
“creatura” che non ha mai davvero avuto
possibilità di confronto con i propri simili, sono distorti
e non necessariamente ci possono dare una visione reale della vicenda.
Infatti, nonostante il rancore provato dal bambino mai nato permei la
storia, riusciamo comunque ad intravedere il senso di colpa della
madre, di una ragazza di diciannove anni che si è
chiaramente pentita della propria scelta, anche se probabilmente si
comporterebbe di nuovo nello stesso modo se avesse la
possibilità di tornare indietro, questo non possiamo saperlo.
Si tratta di
un racconto davvero molto originale, scritto e impostato in maniera
tale da catturare completamente l’attenzione. Ogni parola del
bambino non nato, ogni sua considerazione, è affilata,
pungente, fa male. E fa riflettere.
Da l punto di
vista della forma la storia è ottima.
Il bando di
concorso è stato reinterpretato dall’autrice in
modo personale e originale.
Grammatica e
sintassi: 9.5
Capacità espressiva: 9.5
Capacità argomentativa: 9
Capacità critico-rielaborative: 9.5
Originalità e creatività: 9
Un grazie a
Sonsimo e alle altre partecipanti, oltre a chi passerà di
qui ^^ Ecco dove potete trovare il bando: Writers
Arena
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