Verdementa 1_Una coppia complementare
Una coppia complementare
Il sole di
mezzogiorno brillava alto nel cielo senza nuvole della prateria. I suoi
raggi caldi e luminosi illuminavano l’erba alta, donandogli un
colore acceso e brillante. La giornata serena metteva di buonumore.
Nell’immensa distesa
d’erba nulla si muoveva, tranne tre figure che procedevano
lentamente, spossate dalla calura del mezzogiorno.
A capo dei tre, camminava una
ragazza alta e pallida, con lunghi e ondulati capelli color cremisi che
le circondavano il viso per poi scenderle in morbide ciocche sulle
spalle e arrivarle fino al bacino. Le sopracciglia erano coperte da
alcuni ciuffetti di capelli che le ricadevano sulla fronte a mo’
di frangia. Le sue iridi erano tinte d’una magnifica
tonalità di rosso che le faceva somigliare a piccole fiammelle
innocue.
Indossava una canotta nera
aderente, un paio di jeans scuri strappati alle ginocchia e, nascoste
da una grossa risvolta alla fine dei pantaloni, portava un paio di
consunte scarpe da ginnastica bianche. I pantaloni erano sostenuti in
vita da una sbiadita cintura marrone, alla quale era fissata una
catenella d’argento che spariva poi nella tasca sinistra dei
jeans.
Aveva un’andatura ed un
portamento decisi, le spalle dritte. Pareva essere il classico tipo di
ragazza che non andava contraddetta per nessuna ragione al mondo.
Più che camminare, sembrava che stesse marciando verso una meta
che desiderava raggiungere al più presto.
Subito dietro di lei
camminava una bizzarra armatura che la superava in altezza di circa
venti centimetri. Dalla sommità della testa gli spuntava un
lungo pennacchio bianco che gli arrivava poco più giù
delle spalle, sulle quali erano fissati due pezzi di metallo dai quali
spuntavano tre punte ciascuno.
Pareva essere fatta di ferro, forse acciaio.
Rispetto alla ragazza, camminava con molta più calma. Pareva, al contrario di lei, un tipo tranquillo.
Molto più indietro di
loro, camminava un ragazzo abbastanza... basso. Niente a che vedere con
gli altri due suoi compagni di viaggio. Era alto forse un metro e
cinquantacinque, massimo uno e sessanta. Il viso era circondato da due
lunghi ciuffi di capelli biondi lasciati fuori dalla treccia che
raccoglieva il resto della capigliatura. Fra l’attaccatura dei
due ciuffi di capelli, se ne stava un capello ribelle, lievemente
piegato.
Le palpebre erano calate quasi per metà sugli occhi, nascondendo un poco le grandi iridi color oro liquido.
Indossava un giubbino nero
con il bavero rialzato a coprire una parte del collo e provvisto di
zip, un paio di pantaloni, anch’essi neri, fermati in vita da una
cintura di cuoio marrone, dalla quale pendeva una sottile catenella
d’argento, la cui fine era nascosta nella tasca destra dei
pantaloni e un paio di stivaletti, neri con le suole rosse,
dall’imboccatura larga con uno spacco sul davanti, che si
restringevano in corrispondenza delle caviglie, in modo che non si
sfilassero. Sopra a tutto, indossava una lunga giacca rossa che gli
arrivava fino alle ginocchia, dietro alla quale era disegnata una croce
nera avvolta da un filo nero che si ricongiungeva poi con la punta del
braccio in basso della croce. Alle mani portava un paio di guanti
bianchi.
Camminava piano, con le spalle ricurve, trasportando una valigia.
In realtà,
l’unico ad essere fiaccato dalla calura del mezzogiorno era
proprio lui, il giovane Edward Elric, l’Alchimista
d’Acciaio. Suo fratello minore Alphonse e Fiamma parevano non
accorgersi neppure del caldo soffocante che pressava l’aria
circostante.
Il biondo sbadigliò.
- Si può sapere quanto
manca ancora prima di raggiungere la prossima città? Non so voi,
ma io inizio ad avere fame... -
Silenzio. Sembrava che né Fiamma né Alphonse gli prestassero attenzione.
- Ti pareva che non si
lamentasse un po’...? - mormorò la ragazza fra sé e
sé, alzando gli occhi al cielo.
- Ed è sempre il solito! Quando imparerà a sopportare in silenzio? - pensò Alphonse, spazientito.
- Mi state ascoltando?! EHI! - esclamò Edward, irritato.
Fiamma si voltò di
scatto, paonazza. - ABBIAMO CAPITO, MA A NESSUNO DI NOI INTERESSA!!! -
urlò, fuori di sé.
Edward parve rimpicciolirsi
ancora di più sotto quello sguardo che sembrava d’un
tratto una vampata di fuoco pronta ad incenerirlo.
Lei ne aveva fin sopra i
capelli delle sue lamentele. Non perché fossero stupide, anche
se lo erano, ma per il semplice fatto che in appena due giorni di
viaggio lei e Alphonse si erano dovuti sorbire circa una cinquantina di
lamentele diverse da parte di Edward. Ormai tenere il conto era
diventato il loro miglior passatempo durante le lunghe giornate di
viaggio. Lei e Al si divertivano a rammentarsele la sera, prima di
dormire, quando Edward era già nel mondo dei sogni.
Quando si fu accertata che il biondo avesse capito il messaggio, si voltò e riprese il cammino.
- Alchimista d’Acciaio
un corno! Pensavo che avesse una maggior resistenza ai lunghi viaggi...
Alphonse mi aveva detto che avevano viaggiato tanto prima che ci
incontrassimo, ma non pensavo che lui potesse avere una pazienza tale
da poter sopportare il tappo d’acciaio e le sue noiose lamentele
per tre anni. Forse aspira a diventare santo, perché di questo
passo lo diventerà di certo! Sicuramente fare da “angelo
custode” all’Alchimista d’Acciaio non è
un’impresa tanto facile, impulsivo ed energico
com’è! Manderebbe fuori di testa chiunque abbia la sua
stessa pazienza. Alphonse, invece, è di tutt’altra pasta:
benché sia il fratello minore, si comporta come se fosse il
più grande dei due e in effetti, forse è meglio
così. Immaginarsi Edward nei panni del fratello maggiore fa
un’impressione... -. Immersa nel proprio flusso interiore, la
ragazza pareva non essersi resa conto che, alle sue spalle, Edward e
Alphonse avevano iniziato a chiacchierare.
- Secondo te a cosa
starà pensando? - mormorò Edward a bassa voce. - Non
so... è concentrata... - gli rispose Alphonse. - Bah... valle a
capire le femmine... - bisbigliò il biondo facendo spallucce. Il
suo stomaco iniziò a brontolare. - Che fame... - esclamò
in tono lamentoso. Be’... era un po’ difficile dargli
torto, anche se per Al non era una questione degna di attenzione, nelle
sue condizioni. Nonostante tutto, l’ultima volta che si erano
fermati per mangiare era stata due giorni addietro, prima di partire.
Durante il viaggio poi, Edward e Fiamma si erano accontentati di poco.
Ora che erano vicini ad una qualche città, il biondo era di
nuovo preda della fame.
Alphonse non gli rispose.
- Ragazzi! Ci siamo! Siamo
arrivati! -. Le parole di Fiamma riecheggiarono nel subconscio di
Edward con una forza tale che ebbe timore che il petto avrebbe vibrato.
Erano davvero finalmente giunti alla meta, per quanto ignota e
indefinita?
- Finalmente mangerò qualcosa di decente! - urlò Edward saltellando.
- Ti pareva... sempre il
solito... - mormorò Alphonse fra sé. Fiamma aveva
iniziato a correre. Era incredibile quanta energia potesse ancora avere
in serbo quella ragazza, dopo due estenuanti giorni di cammino senza
tregua. Edward, al settimo cielo, le corse dietro saltellando.
Al, rimasto indietro, si
affrettò a raggiungerli, per evitare di perderli di vista: era
incredibile la percentuale di probabilità che quei due avevano
di combinare casini se lasciati da soli anche per pochissime frazioni
di secondo.
Correre nell’erba alta
della prateria era davvero un’impresa, ma riuscirono a farsi
strada fino a che non furono nei pressi della città. Attorno
alla periferia, l’erba era tagliata a formare un cerchio perfetto.
Entrati nel raggio del
cerchio, i tre si avvicinarono. La prima cosa che li colpì
furono i fiori. Non fiorellini di campo, margherite eccetera, ma un
vero e proprio giardino botanico. Tutti i fiori che erano possibili da
immaginare, probabilmente erano tutti lì. Le mura delle case
erano di un caldo e vivace color crema. Alle finestre, vicino alle
porte, sui balconi, decine, centinaia, migliaia di fiori. Addirittura
ad una delle prime case i tre notarono una parete di gelsomini lunga
quasi un metro, che scendeva giù da un balcone. Poi,
c’erano rose, garofani, papaveri e chi più ne ha
più ne metta. Insomma, più che una città, pareva
una ricostruzione piuttosto ben riuscita del giardino dell’Eden.
All’imboccatura della
strada che conduceva nella città, c’era un’arcata
non molto spessa di marmo bianco. Le colonne che la sorreggevano erano
avvolte da tralci d’edera. Sulla parte superiore
dell’arcata, era riportato il nome della città: Lilium.
- Alla faccia della piccola cittadina di campagna! - esclamò Edward, meravigliato, guardandosi attorno.
- Che bella città allegra... - aggiunse Fiamma, sorridendo.
Percorsero la strada fino ad
arrivare in una grande piazza, al centro della quale c’era una
grossa fontana di marmo circondata di rose rosse. All’intorno,
era stato allestito un mercato: c’era chi passeggiava
tranquillamente osservando le bancarelle, chi faceva la spesa, chi si
fermava a discutere. Dava l’impressione di una tranquilla
città campagnola.
Fiamma si voltò verso i due Elric.
- Allora... ci fermiamo un
po’ qui? - domandò. Lo stomaco di Edward brontolò.
- A me va bene! - rispose immediatamente il biondo. Alphonse
annuì.
- Bene, allora non ci rimane
altro da fare che trovare un albergo e sistemare le nostre cose
lì... poi mangiamo, così Ed si mette l’animo e lo
stomaco in pace e poi decideremo cosa fare... okay? -. Il prospetto non
dispiacque a nessuno. Senza aggiungere altro, Fiamma si avviò
verso il centro della piazza.
Edward, Fiamma e Alphonse
passarono la mezz’ora successiva a cercare un albergo. La ricerca
fu un po’ difficile inizialmente, dato lo scarso orientamento in
quel posto sconosciuto, ma alla fine ci riuscirono.
Presero due camere e sistemarono i bagagli, dopodiché pranzarono, con somma gioia di Edward.
Dopo pranzo, uscirono e
girovagarono per la piazza. Di tanto in tanto, Fiamma si fermava ad
osservare qualche fiore dalle tinte forti, soprattutto
l’attiravano quelli rossi: aveva sempre avuto un debole per tutto
ciò che era di quel colore. Nero e rosso erano i suoi colori
preferiti e, soprattutto, le piaceva lo stridente effetto dei due
colori messi insieme.
Più tardi, i tre si spinsero un po’ fuori della piazza.
Mentre percorrevano
un’ampia strada alla periferia sud della città,
incrociarono un tratto di fiume. Il sole risplendeva sulla superficie
liscia dell’acqua cristallina e il suo riflesso mandava chiari
bagliori sulla riva coperta da un sottile strato di erba verdeggiante.
Qua e là, la superficie del fiume era punteggiata da ninfee dai
colori sgargianti.
Fiamma si avvicinò
estasiata al ciglio della strada, oltre il quale correva un dolce
pendio erboso che conduceva alla riva del fiume.
- Che bello! - esclamò
lei, scendendo giù. - Fiamma torna indietro! - la chiamò
Edward, ma lei non gli diede ascolto: si sedette a gambe incrociate sul
prato ad osservare l’acqua. Il biondo sbuffò, spazientito,
prima di raggiungerla assieme ad Al.
- Fiamma... andiamo? - chiese
il ragazzo, impaziente. - Che fretta hai? È ancora presto... non
abbiamo creature alchemiche alle costole e nessuno ci sta aspettando.
Dai, Ed... rilassati... è da tanto che non ci concediamo un
po’ di tempo insieme, no...? - rispose lei con calma. Lui
s’irrigidì e avvampò improvvisamente. Alphonse,
alle sue spalle, osservava la scena divertito: era da tanto che non
vedeva suo fratello così imbarazzato. Ovvio: Fiamma era una
ragazza diretta, forse anche più di Edward. Il suo concetto di
"eufemismo" era ben diverso da quello delle persone normali.
Imbarazzato al massimo,
Edward si sedette accanto a lei e unì la sua mano sinistra a
quella destra di Fiamma. Il sole fece risplendere di un singolare
scintillio la mano della ragazza: a scintillare era stato
l’argento dell’anello con rubino che lei portava
all’anulare destro. Non era un anello da gran signora: la
montatura era semplice, senza nessun ghirigoro arzigogolato. Pareva un
piccolo serpente d’argento, nella cui testa stava incastonato un
piccolo rubino. Quella era la prova tangibile del loro affetto,
ciò che li teneva uniti come un legame invisibile e
indissolubile.
Alphonse rimase in disparte
ad osservarli: era incredibile come quei due potessero stare
così bene insieme. Lui testardo e impulsivo, lei autoritaria e
responsabile: si bilanciavano l’un l’altra. Anche se spesso
litigavano, andava sempre a finire che si dimenticavano il motivo della
disputa e tornavano uniti come prima. La loro non era una relazione a
livello fisico, ma piuttosto a livello psicologico: erano l’uno
il complementare dell’altra, come se fossero nati al solo scopo
di completarsi.
Alphonse non poté fare
a meno di ripensare a quando quella relazione era nata e alle
novità che aveva portato con sé. Erano stati momenti che,
a distanza di così tanto tempo, ricordava ancora perfettamente.
Si sedette a fissare i due in silenzio.
Pian piano, scivolò nei ricordi e ritornò con la mente a due mesi prima, quando tutto ebbe inizio...
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