Tanto
uguali quanto diverse, scioccanti nel rivelare la loro vera natura.
Scoprirete che Leila e Delia sono molto più che sorelle...
N.B.
Le vicende narrate sono completamente fittizie e quindi di mia
invenzione, ma non le presta volto delle protagoniste che sono
realmente esistenti.
Più
che sorelle
Dopo tre giorni
infernali di prove estenuanti per entrare in quella stramaledettissima
società segreta della Luce Emersa, ci ritrovammo tutti e
sedici ad essere rinchiusi in un sotterraneo di circa duecento metri
quadri con solo una frase incisa sul muro.
"16 son troppi;
meglio averne un quarto che una mandria senza controllo"
Non c'era
neanche bisogno di proferire parola che subito partì una
rissa per decretare chi sarebbero stati i quattro che avrebbero
superato anche questa prova. E così fu.
Mentre
però, quasi tutti se le davano di santa ragione, io, Leila,
nostro fratello Gregory e un tizio di nome Jared ci chiedevamo in
disparte quali fossero le veri intenzioni dei Lumi Emersi. Dalla frase
si capiva che ci volevano sotto controllo, nel vero senso della parola.
Ma se sapevano tutto su di noi, grazie alle ricerche fatte, cos'altro
gli serviva? Alla fine arrivammo alla conclusione che non erano in
possesso dell'elemento più importante che ci rendeva degni
di essere neo Lumi e membri della Δφ, e secondo loro
farci combattere come esseri primordiali era il miglior modo per
scoprirlo. Cosa poco intelligente a nostro parere.
Pian piano gli
studenti cadevano sotto i colpi dei colleghi universitari, fino a
quando ne rimasero due oltre a noi quattro. Eravamo riusciti ad evitare
di essere tirati nella mischia e tutto si stava per decidere.
Sarebbe stato
da infami, ma sia io che mio fratello e mia sorella volevamo rimanere
insieme e seppur Jared sembrava un tipo apposto lo avremmo anche
buttato nella mischia qualora fosse stato necessario. Così
tra i due che ancora si assestavano pugni spaventosi vinse
inaspettatamente quello più basso, abbassandosi all'ennesimo
colpo e facendo battere la testa dell'avversario, una volta perso
l'equilibrio, sul pavimento ruvido e freddo. Quello scomparse proprio
come gli altri, in modo agghiacciante tra l'intermittenza delle
lampadine sul soffitto, subito prima che le luci si spensero
definitivamente.
Allora una voce
gracchiò nell'aria: ‹‹Per essere un
Lume Emerso bisogna saper trovare la via che porta alla
verità.››
D'istinto io e
mia sorella ci prendemmo per mano per uscire insieme da
quell'oscurità, mentre nostro fratello ci stava davanti, lo
sentivamo. Invece Jared era talmente silenzioso che sembrava essere
scomparso; l'altro ragazzo urlava impazzito per paura di restarci secco.
Leila mi
strinse la mano e mi fece capire nel modo in cui solo noi potevamo
capirci di ascoltare attentamente. Effettivamente se ci concentravamo
si sentiva un leggero soffio di vento che proveniva da uno spiraglio.
Ci avvicinammo più possibile senza inciampare in qualche
ostacolo, mentre ancora quel tizio urlava a squarciagola, e infilai le
dita nella fessura facendo pressione. Un meccanismo si
azionò e fuori ne venne un rumore stridulo, come se qualcosa
di pesante si spostasse. Seguimmo allora questo rumore e ci dirigemmo
verso un lungo corridoio in salita, ma a metà percorso ci
accorgemmo che nostro fratello era sparito improvvisamente dalla
percezione dei nostri sensi e ci allarmammo. Lo cercammo a tentoni
intorno a noi e lo chiamammo, ma nessuna risposta da parte sua si
sentì. Eppure non poteva essere sparito.
Maledetta Luce
Emersa! E maledetti noi che volevamo entrare nel circolo.
Ci stringemmo
di nuovo la mano e decidemmo di uscire fuori da quel luogo lugubre con
la consapevolezza che Gregory era più che capace di
cavarsela. Infatti fu il primo ed unico volto che vedemmo non appena
uscite fuori dalla botola che dava sul sotterraneo lasciato alle
spalle. Intorno a lui vi erano quattro soggetti incappucciati, due dei
quali ci porsero una scatola grande e due più piccole a
testa con su scritti i nostri nomi.
Aspettammo
così gli altri due. Jared uscì per primo seguito
dall'altro mingherlino a cui gli incappucciati porsero le nostre stesse
scatole. Ci girammo poi verso nostro fratello e notammo che non
possedeva ciò che avevano dato a noi così ci
insospettimmo.
‹‹Perché
lui non ce l'ha?›› chiese il mingherlino vedendo
nostro fratello, precedendoci.
All'inizio
nessuno rispose, poi una voce ovattata uscì dal cappuccio
dietro le mie spalle. A quel punto mi chiesi se si trattasse davvero di
esseri umani, troppo alti, troppo magri, troppo silenziosi per esserlo.
‹‹Il
Signor Silen non è stato trovato
idoneo.››
Fu come un
colpo a ciel sereno eppure nostro fratello fu impassibile, eccetto per
la scrollata di spalle un po' in rassegnazione. Ci rimanemmo male, ma
non pronunciammo parola e libere di tornare nei dormitori ci dirigemmo
verso il nostro appartamento.
Posammo i
pacchi sul tavolino in mogano del salotto e ci fiondammo sotto l'acqua
per una doccia rigenerante. Fortunatamente ognuna aveva il proprio
bagno. Una volta uscire fuori tornammo in soggiorno ancora con
l'asciugamano a contenere i nostri capelli grondanti di acqua; io con
una t-shirt e un paio di pantaloncini color cobalto in tinta con i miei
occhi che sfilava sul mio essere "pelle e ossa", Leila con un baby-doll
color panna che le risaltava le curve formose. Ci sedemmo sui divanetti
bordeaux ed aprimmo le rispettive scatole.
Mia sorella
tirò fuori dei tacco a spillo neri da una delle scalote
piccole, da quella più grande un semplicissimo vestito
bianco di seta che le arrivava fin sotto i glutei e una borsetta
anch'essa bianca con una cordicina in velluto. In quella rimanente
c'era un sacchetto di stoffa color caffè contente Chanel
n°5, un rossetto color vinaccia, dei trucchi perfetti per la
sua carnagione mulatta, un paio di punti luce e un bracciale laccato
d'oro con un orologio abbinato in stile floreale.
Io prima di
aprire passai le dita sulle lettere incise con inchiostro dorato sul
cartone di ogni scatola, Delia Silen. Poi scartai tutti i pacchi con
frenesia ed entusiasmo, al contrario di Leila che maneggiò
tutto con cura come se qualcosa potesse rompersi. Trovai un paio di
decolleté nere con tacco grosso e plateau bianco, una
borsetta nera nello stesso stile della precedente ma con piccole
borchie dorate, stessi gioielli ma trucchi decisamente più
tenui ed un vestito nero della stessa lunghezza di quello di mia
sorella, presentava però una doppia gonna, una che seguiva
lo stile tubino e l'altra più corta e svolazzante in vita.
Ci guardammo e
per un momento avremmo voluto scambiarci i vestiti - erano l'esatto
stile opposto di ognuna -, ma pensando che quelli della
società segreta lo fecero apposta scendemmo a compromessi.
Così ci vestimmo di tutto punto come ci era stato
implicitamente ordinato, ma senza indossare gioielli a parte i punti
luce e con una piccola variante sul trucco: Leila puntò
sulle proprie labbra carnose passando solo un filo di matita sotto
l'occhio già scuro di suo, io risaltai i miei occhi azzurri
e lasciai le labbra al naturale con solo l'applicazione di phard color
miele per delineare la mia pelle lattea con qualche chiara lentiggine
sparsa qua e là.
A vederci a
prima vista non si poteva dire proprio di essere parenti, infatti a
raccontarlo nessuno ci credeva, a volte fummo persino costrette a
mostrare il certificato di nascita. Ma come biasimarli? Io ero e sono
l'incarnazione di una rossa irlandese e lei quella di una riccia e
ribelle afro-nigeriana.
Così
ci guardammo un'ultima volta allo specchio, prima di farci fare una
foto da nostro fratello che ci volle accompagnare al ricevimento
descritto sulle cartoline in fibra di cotone trovate sul fondo delle
scatole, per poi prendere i cappotti ed uscire con la sua
decappottabile blu notte.
Una volta
arrivate alla sede dei Δφ, alcuni dei quali erano
membri affermati tra i Lumi Emersi, uno sfavillio generale di
illuminazioni ci travolse. Lusso, eleganza chic, galanteria e finta
cortesia erano all'ordine del giorno tra questa gente altolocata, nella
quale stavamo per entrare.
Sull'entrata un
cameriere ci porse dei drink analcolici in dei calici di cristallo che
portammo con piacere con noi. Nel proseguire dei corridoi e delle
stanze notammo che la luce accecante era lo sfondo perenne in ogni
cosa, ciò ci stava leggermente irritando il sistema nervoso
non essendo abituate a tanta luminosità.
‹‹La
Luce della Verità è il nostro credo. Da domani in
poi sarà anche il vostro.›› ci
informò una voce alle nostre spalle, che poi si
rivelò essere Jackson, il viceprefetto di allora della Luce
Emersa.
Sorseggiava un
drink leggermente più scuro dei nostri dal quale proveniva
un forte odore di alcool.
‹‹Il
mio è leggermente corretto.›› ci disse
vedendoci distorcere il naso e osservare di tralice il suo calice
sottile e lungo e soffermandosi sulla parola "leggermente"
‹‹Ma è un
segreto›› finì col portarsi un dito
sulla bocca in segno di silenzio, sorridendo oltremodo e facendoci
l'occhiolino. Poi si allontanò.
‹‹Che
tipo!›› osservò mia sorella e non
potevo dargli torto.
Dopo vari giri
arrivammo nella sala più grande della sede dei
Δφ, conteneva tranquillamente una cinquantina di
persone. Noi ci avvicinammo al mobile della collezione musicale e ci
appoggiammo ad esso, evitando di scaricare tutto il peso sui
già doloranti tacci, e avvistammo una tenera coppietta
dall'altra parte della sala che stava sorseggiando del buon vino bianco.
Lui alto e con
le spalle larghe fasciate in un completo scuro, camicia bianca e
cravatta color ghiaccio che contrastava con i suoi occhi color
dell'ebano ed i ricci morbidi e scuri; cingeva con un braccio la vita
di lei e portava il suo naso ad inebriarsi del profumo dei suoi capelli
bruni. Lei magra, formosa e tonica mostrava elegantemente la gamba
sinistra dal profondo spacco dell'abito lungo in velluto, di una
tonalità più scura dell'abbigliamento di lui, e
con i due smeraldi che si ritrovava al posto degli occhi contemplava
serena il volto di lui.
Improvvisamente
si volse verso di noi e fu impossibile non riconoscerla, almeno quanto
credere che uno dei capi della multinazionale che sosteneva la rinomata
e richiestissima società segreta della Luce Emersa era
propria lei.
Improbabile che
tanti dettagli si possano concentrare in un unico evento, ma vero.
Ed era inutile
chiedere a mia sorella se volesse andare a salutarla perché
ci spostammo tutte e tre all'unisono spinte da gioia inconsapevole per
incontrarci, ma la voce leggermente incrinata di Jackson ci
richiamò all'attenzione e ci fece sistemare in cerchio
intorno a lui
‹‹Ladies
e Gentlemen, stasera festeggiamo l'entrata nella società di
quattro nuovi membri della Luce Emersa.››
cominciò tragicamente il suo discorso già per via
del barcollare e del liquido alcolico del suo calice finito sul parquet
‹‹Quindi invito i neo gentili membri a fare un
passo avanti quando verranno chiamati per mostrarsi a
noi.››
Poteva ancora
salvarsi la faccia e continuare con dignità, se non fosse
che con un movimento errato del bacino perse equilibrio e cadde in
ginocchio davanti a tutti. Ci girammo verso i capi della multinazionale
e notammo i loro sguardi duri e sdegnati, probabilmente Jackson sarebbe
stato espulso per cattiva condotta, o per lo meno sospeso dal suo
ruolo. Quando l'uomo della coppia vista poco prima lasciò la
nostra conoscenza e sorresse Jackson, aiutato da un altro ragazzo che
lo portò via.
‹‹Bene
Signore e Signori›› proruppe rompendo il silenzio
venuto a crearsi.
Io e Leila
convenimmo che avesse una voce così calda e invitante, ma al
tempo stesso protettiva e sicura. Insomma, il tipo da sposarsi quanto
era perfetto.
‹‹Come
ha già accennato il Signor Jackson, quando verrete chiamati
vi posizionerete dove ora mi trovo io e parlerete di voi stessi.
Sarà l'ultimo test da affrontare. Dovrete convincere o al
contrario far dubitare di ció che
direte.››
Poi
tornò a cingere la vita della sua amata e chiamò
Jared Anso, il quale si posizionò e roteò su se
stesso mostrandosi pieno di sé. Questo gesto faceva intuire
molto.
‹‹Devi
convincere›› disse solenne la coppia
incredibilmente all'unisono.
Così
Jared snocciolò con grande abilità oratoria la
sua grandiosa vita da riccastro figlio di papà con l'unico
difetto - se era un difetto - di non avere la r moscia come tutti
quelli del suo rango. Poi si procedeva per alzata di mano, chi credeva
alla sue parole e chi no. Noi eravamo le uniche ad essere in disaccordo
con le sue parole, oltre alla coppietta che si astenne al voto. Allora
Jared ci raggiunse e incrinò la testa di lato.
‹‹Perché
voi no?›› chiese.
‹‹Il
tuo volteggiare all'inizio.›› dissi semplicemente
e lui sbarrò gli occhi.
‹‹Denota
un chiaro volersi mostrare sicuri di sé quando in
realtà non si ha nessuna certezza nella
vita.›› imputó Leila.
Quello
sbiancò. La sala era muta ma sbalordita, la coppia ci
osservava interessata e sorridente. Alla fine Jared batté le
mani.
‹‹Complimenti!››
disse. Poi urlò: ‹‹In
realtà, Signori miei, sono figlio di contadini senza un
quattrino, ma che vi ha fatto le scarpe. Tranne a queste due splendide
creature.›› finì con un inchino
reverenziale nei nostri confronti, ma sapevamo entrambi che
lí era appena cominciata una guerra che avrebbe decretato il
migliore.
Tutti furono
scioccati. E se Leila arrossiva a questo genere di complimenti, io ne
ero impassibile.
Poi fu la volta
dell'altro, il mingherlino, Christian Mapei. Anche a lui
toccò di convincere il pubblico e semplicemente
raccontò la sua storia così come era, identica
alla vera vita di Jared ma senza la sua sfrontatezza. Nessun gli
credette tranne noi, ma ci astenemmo dal voto per non essere troppo
osservate. Ci dava fastidio.
E questo
esperimento mostrò come la falsità regnava nel
mondo e che l'uomo credeva più ad una menzogna colorita che
ad una semplice verità.
‹‹Le
Signorine Silen... siete cugine immagino. Potete venire
insieme.›› sorridemmo a quell'affermazione.
Cugine! No.
Ci portammo al
centro della sala e ci mettemmo spalle contro spalle sorridenti, sotto
lo sguardo incuriosito del pubblico sia Δφ che Lumi
Emersi.
‹‹Dovete
non far credete alle vostre parole.››
Compito
più facile non poteva esistere per noi.
‹‹Sono
Leila Silen, ho diciotto anni e frequento
Legge.›› cominciò mia sorella che mi
diede il cambio.
‹‹Sono
Delia Silen, ho diciotto anni e frequento Arte e
Designer.››
‹‹Lei
è molto più estroversa di me e si veste da
maschiaccio.››
‹‹Lei
è il tipico apparente angioletto, il galateo in persona, ma
non c'è da fidarsi.››
‹‹Avete
presente il detto: Perdonare ma non Dimenticare. Lei non dimentica e
non perdona neanche, anzi riserba in futuro il peggio per il
nemico.››
‹‹Lei
è amante della giustizia e Dei delitti e delle pene
è il suo libro preferito.››
‹‹Le
piace cambiare molto spesso, soprattutto il colore di capelli. Anche se
trovo che il rosso, il suo colore naturale, gli stia
divinamente.››
‹‹Anche
lei è lunatica oltremodo: un momento può essere
la persona più coccolona del mondo, il momento dopo
è fredda come il ghiaccio.››
Pausa. Il
silenzio regnava e l'ascolto era interesse di tutti, anche se elencare
i caratteri piuttosto che gli eventi poteva sembrare un depistaggio.
‹‹Siamo
diverse.›› ricominciò Leila.
‹‹Di
sicuro.››
‹‹Cugine
dicevate.›› disse riferendosi all'ultima
affermazione dell'uomo che ci chiamò.
‹‹Infatti
siamo più simili di quel che pensate.››
Pausa. Ora il
silenzio fu spezzato dai respiri, ma l'attenzione era più
forte. Sorridemmo alla bomba che stavamo per sganciare e che avrebbe
spazzato via tutte le convinzioni.
‹‹Noi
siamo sorelle.›› dicemmo all'unisono.
Stupore e vocii
increduli investirono la stanza.
La convinzione
fotte l'uomo, dice sempre nostra madre.
‹‹Noi
siamo gemelle.››
Silenzio
tombale. Nessuno si azzardava più a proferire parola. Sui
volti delle persone scorrevano i colori dell'incredulità,
dello stupore, dello sgomento. Eppure nessuno fiatava, nessuno parlava.
Nessuno tranne lei, che sorrideva compiaciuta della nostra riuscita.
‹‹Chi
ci crede?››
Solo noi
alzammo la mano, oltre all'amata dell'uomo che fece la domanda, ridendo
un po' sguaiate, sapendo che ce l'avevamo fatta. Forse questo era visto
come gesto che rafforzava il raggiungimento del nostro obbiettivo,
poiché si aspettavano che noi ci mostrassimo convinte di
quel che dicevamo.
‹‹Chi
non ne è convinto?››
Tutti alzarono
la mano.
Ora questa era
invece la dimostrazione che l'eccezione conferma la regola: l'uomo
difronte all'eccesso, ad un cambiamento radicale, si mostra scettico.
‹‹Ora
fuori il rospo! Qual è la
verità?››
Noi ci
guardammo e secca gli risposi io: ‹‹Questa
è la verità.››
Un altro vocio
morboso dietro di noi si alzò.
Ci girammo e ci
mettemmo difronte alla coppia, Jared e Christian.
‹‹Dimostratelo.››
sbottò Jared un po' incavolato, come se la cosa lo
riguardasse di persona.
Non avevamo
certificati di nascita con noi. Avevamo però la nostra
voglia identica sulla schiena, io nera e lei bianca, e seppur avremmo
mandato a quel paese la nostra dignità spogliandoci non era
comunque una prova di essere gemelle. C'era solo una
possibilità e speravamo potesse essere a nostro favore.
La donna mora
si avvicinò a noi silenziosa sotto gli occhi di tutti e ci
cinse le spalle, come a proteggerci e con voce grave ma ferma
parlò: ‹‹Queste sono Delia e Leila.
Sono gemelle ed io lo confermo. Sono un anno più piccole di
me e sono mie cugine di terzo grado.››
La certezza fu
chiara e tutti ammutolirono di nuovo, senza ribadire alle parole di un
capo affidabile come lei.
‹‹Loro
sono gemelle.››
Sorridemmo e le
fummo grate, molto grate. Ma per il momento potevamo solo dirglielo.
‹‹Grazie,
Ania.››
Taira
Croft