BRACCATA.
Il suono acuto
della sveglia interruppe il mio sonno facendomi scattare seduta sul
letto.
Sembra assurdo
come in un baleno giunga l'ora di alzarsi.
Stiracchiandomi
e sbadigliando scalciai via le coperte e mi diressi verso il bagno
dove mi buttai l'acqua gelida sul viso per svegliarmi del tutto.
Mi guardai a
lungo allo specchio.
Avevo appena
compiuto trent'anni da una settimana e già mi pareva di notare
nuove rughe agli angoli degli occhi e della bocca.
Jeremy mi
prendeva sempre in giro perché ero molto attenta al corpo, lo
curavo, cercavo di mangiare cibi sani e di tenermi allenata
nonostante la pigrizia.
Eppure, per
quanto stessi attenta, scovavo sempre qualche difetto.
Lo sguardo mi
scivolò sul post it appiccicato all'angolo dello specchio
dove, con calligrafia minuta ed elegante, Jeremy aveva scritto
alcuni mesi fa:
“Sei
bellissima Sara e io ti amo da morire. Ricordalo sempre.”
Un sorriso mi
schiuse le labbra mentre pensavo al mio dolce fidanzato.
Erano ormai
dieci anni che condividevamo tutto e non mi sarei potuta immaginare
senza di lui.
Tornai in
camera e mi levai la sua maglietta di dosso che usavo come pigiama e
mi rivestii velocemente.
Presi al volo
le scarpe da ginnastica e la bottiglietta dell'acqua e uscii per la
mia consueta ora di jogging.
L'aria di
inizio primavera era ancora piuttosto frizzante e mi sentii
rinvigorita mentre raggiungevo il ritmo giusto.
Un pezzo rock
partì a bomba attraverso le cuffie dandomi la carica.
Dopo una decina
di minuti mi ritrovai a passare accanto alla stradina che portava nel
bosco e che di solito non prendevo mai.
Jeremy mi aveva
sempre sconsigliato di fare jogging nel bosco, sosteneva che potevo
inciampare e slogarmi una caviglia.
Il solito
pessimista catastrofico!
Eppure lo avevo
sempre ascoltato perché, in fondo, avevo timore anche io di
ritrovarmi sola in mezzo ad un bosco, magari ferita.
Nonostante
tutto quella mattina decisi di prendere ugualmente quella strada.
Mi guardai
intorno assaporando l'odore dolce della resina dei pini e lasciandomi
avvolgere da quell'atmosfera calma e serena che regnava in quel
luogo.
Sotto le scarpe
gli aghi scricchiolavano creando un tappeto soffice.
Se non fosse
che mi sarei fatta male mi sarei tolta le scarpe!
Chissà
perché mi ero fatta convincere a non prendere mai questo
percorso, era così rilassante!
Cambiai musica
e misi qualcosa di più soft che si addicesse al momento.
La voce dolce
di Elisa si diffuse e iniziai a canticchiare piano.
All'improvviso
fui pervasa da un lieve senso di disagio.
Mi sentivo
osservata, come se qualcuno mi spiasse.
Ma chi mai
poteva spiarmi nel bel mezzo di un bosco alle sette di un lunedì
mattina?
Assurdo!
Scuotendo il
capo e dandomi della sciocca sollevai lo sguardo per incontrare il
cielo che a sprazzi si intravedeva nel fitto fogliame.
Procedetti per
un altra ventina di minuti ma la sensazione tornò a colpirmi
più forte di prima.
Mi fermai
riprendendo fiato e mi guardai intorno lentamente.
Il mio sguardo
fu catturato da un ramo che ballonzolava ad una decina di mentri da
me.
Non poteva
essere il vento a farlo muovere perché ogni altro ramo era
perfettamente immobile data l'assenza della minima bava d'aria.
Spensi l' i-pod
e tolsi le cuffie continuando a fissare quel punto senza nemmeno
battere le ciglia.
Un flebile
rumore proveniva da dietro un cespuglio.
Deglutii
rumorosamente e mossi qualche passo incerto davanti a me.
Il rumore
continuava simile a dei passi.
Con il cuore
che batteva all'impazzata arretrai spaventata.
Fu allora che
chiunque fosse a produrre quel rumore decise di uscire allo scoperto
e... mi ritrovai faccia a faccia con un piccolo scoiattolo che mi
guardava curioso.
Rimase a
fissarmi per un lungo minuto prima di raccogliere una ghianda da
terra e scappare sull'albero più vicino in un lampo.
Asciugandomi
il sudore dalla fronte mi misi a ridere di me stessa.
Ero proprio una
fifona!
Respirai a
pieni polmoni e ripresi la corsetta veloce sentendomi nuovamente
serena e in pace col mondo.
I miracoli
della natura!
Non mi accorsi
che, appena dietro di me, un altro cespuglio si stava muovendo e una
figura sinistra fece capolino seguendomi.
Più
procedevo e più la sensazione di essere spiata si faceva
insistente tanto che fui tentata di fare dietro front e tornare a
casa.
Al minimo
rumore tendevo le orecchie sempre più nervosa.
Il bosco
sembrava essersi trasformato da paradiso a inferno, le ombre degli
alberi parevano mani pronte a ghermirmi da ogni lato e il canto degli
uccelli sembrava più un avvertimento che un canto.
Fu proprio
mentre mi fermavo a bere che percepii il rumore di un ramo spezzato.
Mi voltai di
scatto e stavolta colsi un ombra nascondersi dietro ad un pino.
Ora ne ero
certa: qualcuno mi stava seguendo.
Pensai in preda
all'ansia a quale opzione avevo.
O scappare o
fare finta di nulla dando l'idea di non essersi accorti di niente.
Fu la seconda
che scelsi.
Dopo aver
ingoiato un altro sorso ripresi a muovermi un po' più
velocemente del dovuto e subito sentìì che qualcosa si
muoveva assieme a me tenendosi a distanza.
Il cuore prese
a martellarmi nel petto mentre cercavo freneticamente con lo sguardo
una via d'uscita.
Intorno a me
solo alberi che sembravano non condurre da nessuna parte.
Purtroppo non
potevo tornare indietro ma solo proseguire sperando cdi trovare un
modo per uscire da quel bosco.
Il rumore di
passi alle mie spalle si fece leggermente più forte o forse
erano solo i miei sensi all'erta che lo coglievano con maggiore
precisione.
Non resistetti
e diedi una sbirciata da sopra alla spalla.
Dietro di me,
ad una certa distanza, un uomo mi seguiva con passo svelto.
Si, era un uomo
dalla corporatura massiccia.
In mano reggeva
un coltello da cucina che pareva molto affilato.
Accelerai il
passo mettendomi ben presto a correre.
Dovevo
seminarlo ad ogni costo.
Col cuore che
mi batteva all'impazzata ed il respiro spezzato mi lanciai in una
corsa forsennata saltando tronchi caduti e inciampando nelle radici
che spuntavano dal terreno.
L'uomo prese a
correre dietro di me gridando come un animale.
“Fermati
stupida puttana!” la voce acuta mi trapanò i timpani e
un brivido mi raggelò mentre acceleravo ulteriormente.
All'improvviso
davanti a me notai una ripida discesa che procedeva per diversi metri
al di sotto.
Non mi fermai a
pensarci e mi catapultai in quella direzione inciampando e prendendo
a rotolare sempre più velocemente verso il fondo.
Se avessi
sbattuto la testa probabilmente sarei morta sul colpo.
La spalla
sbatté violentemente su di una pietra strappandomi un grido di
dolore mentre lo scricchiolio di ossa rotte mi pervase la mente.
Giunsi sul
fondo con la schiena e la spalla doloranti.
Tenendomi la
spalla mi rialzai a fatica e guardai freneticamente verso l'alto.
L'uomo mi
guardava immobile dalla cima.
Il suo sguardo
era quello di un folle, gli occhi iniettati di sangue e allucinati si
vedevano chiaramente nonostante la lontananza.
“Ora
vengo a prenderti!” urlò prima di muovere i primi passi
lungo la ripida discesa.
Urlando a mia
volta presi di nuovo a correre ma ero vicina allo sfiancamento, ero
ferita e il fianco mi pizzicava invocando di fermarmi, ero sfinita.
Nonostante
questo non potevo fermarmi assolutamente.
L'uomo
continuava ad urlarmi dietro avvicinandosi sempre di più.
Per quanto
corressi non riuscivo a distanziarlo.
Mi fu così
vicino che sentii la sua mano ghermirmi la maglietta.
Per fortuna era
ancora abbastanza lontano e non riuscì a fermarmi.
Accelerai
ancora ignorando il dolore ai muscoli e saltando un tronco che ci
sbarrava la strada.
Sentii un tonfo
alle mie spalle e, guardando dietro, vidi che l'uomo vi era
inciampato cadendo sulla lama del coltello e procurandosi una
profonda ferita al fianco.
Sollevata
procedetti fino a raggiungere una parete di roccia.
Fu quasi per
sbaglio che mi accorsi di una stretta fessura che sembrava procedere
in una specie di caverna.
Mi ci infilai
velocemente.
Speravo che
l'ombra mi nascondesse e mi spinsi più in là possibile
graffiandomi il ventre e la schiena.
Soffocai un
gemito.
Sentii l'uomo
avvicinarsi a passo sostenuto.
Si fermò
di colpo penso per guardarsi attorno.
I passi si
allontanarono lentamente.
Mi azzardai a
muovermi solo quando non sentii più nulla ma non appena fui a
qualche passo dalla fessura i passi tornarono indietro facendomi
bloccare di colpo.
Trattenendo il
respiro lo sentii avvicinarsi nuovamente al mio nascondiglio.
Chiusi gli
occhi ormai sicura che mi avrebbe trovata.
Miracolosamente
cambiò idea e prese a correre proseguendo.
Non osai
muovermi per non so quanto tempo ma alla fine, non sentendolo
tornare, mi decisi ad uscire allo scoperto.
Guardandomi
intorno mi apprestai a procedere svelta tornando indietro.
Era l'unico
modo per uscire da quel dannato inferno.
Misi la mano in
tasca in cerca del cellulare senza però trovarlo.
O lo avevo
perso nella corsa oppure lo avevo dimenticato a casa.
Cercai di
correre ma ero sfinita, le gambe non rispondevano più ai
comandi facendomi incespicare qua e là e facendomi cadere
diverse volte.
“Ehi
puttanella! Ti ho vista, vieni qui a giocare!” la voce
dell'uomo mi giunse nuovamente alle orecchie.
“Dio no!”
gemetti disperata.
Non sarei
riuscita a scappare questa volta, ero troppo provata.
Rialzandomi a
fatica procedetti incerta mentre l'uomo si avvicinava sempre più.
Bastò
una sua spinta per farmi crollare a terra.
Mi girai sulla
schiena per affrontarlo ma mi fu subito chiaro che non avrei potuto
nulla contro quella massa di muscoli e follia pura.
Mi guardò
ghignando e fece scorrere la lama fredda sul ventre nudo, la punta
aguzza mi torturò la pelle prima di affondare
superficialmente.
Un dolore
lancinante mi strappò un grido e le lacrime presero a
sgorgarmi dagli occhi.
“Ti
prego, lasciami stare. Farò tutto ciò che vuoi ma
lasciami vivere ti prego!” lo implorai con voce rotta.
Per tutta
risposta lui rise più forte e mi aprì un altra ferita
sul viso.
Il sangue prese
a scorrere riempiendo l'aria di un odore metallico che mi fece venire
la nausea e fui costretta a reprimere un conato.
Il suo corpo
schiacciava il mio impedendomi di muovermi.
Un altra ferita
si aprì sul braccio e un altro urlo riempì l'aria.
Non so cosa mi
diede la forza, forse la paura di morire, forse la disperazione,
fatto sta che incredibilmente riuscii a colpirlo con un pugno
facendolo sbilanciare quel tanto che bastava per far leva con le
gambe scaraventandolo a terra.
Nella
collutazione il coltello gli sfuggì di mano e io fui pronta ad
afferrarlo.
Non ero mai
stata una persona violenta e non avevo mai fatto del male nemmeno ad
una mosca prima di allora ma l'odio verso quell'uomo mi fece
diventare fredda e malvagia.
Con violenza
affondai il coltello nella sua gamba lacerando la coscia per l'intera
lunghezza.
Un fiotto di
sangue prese a zampillare dalla ferita inondando il fogliame.
L'uomo urlò
una serie di improperi e retrocesse trascinando la gamba cercando di
bloccare l'emorragia.
Ma non mi
bastava ancora, volevo vederlo soffrire, sentire il suo dolore e
portarlo a invocare pietà.
Gli sferrai un
calcio alla gamba ed uno al mento spaccandogli i denti che sputò
a terra misti a sangue.
Il suono di una
risata gutturale spaventò alcuni corvi che volarono via
schiamazzando.
Solo in un
secondo momento mi resi conto che la risata usciva dalla mia stessa
gola.
Mi lanciai su
di lui affondandogli nuovamente la lama nella carne aprendo un
profondo squarcio nella pancia.
Dalla ferita si
intravide un pezzo di intestino molle che fuoriusciva.
Non potevo più
fermarmi e continuai ad aggredire l'uomo colpendolo dove capitava
finché non mi trovai seduta sopra di lui.
Gli affondai la
lama nell'occhio destro reprimendo un altra risata.
Poteva bastare.
Lentamente
rotolai via da lui e rimasi a guardarlo finché non prese
l'ultimo respiro agonizzante.
Lo spinsi con
difficoltà nella fessura dove, con un po' di fortuna, nessuno
l'avrebbe più trovato quindi gettai il coltello nel piccolo
ruscello e mi lavai le mani e il viso.
A fatica mi
diressi verso casa.
Il percorso fu
lungo e difficile, sentivo la stanchezza opprimermi i muscoli ma
procedetti stringendo i denti finché non mi ritrovai sulla
strada principale.
Non ci volle
molto prima che alcune persone si accorgessero di me sporca com'ero
di sangue, sfinita e in preda allo schock.
Raccontai di
essere stata aggredita da un uomo ma che ero miracolosamente riuscita
a scappare.
Dell'uomo non
sapevo nulla tanto meno dove fosse finito ed ero così fuori di
me da non ricordare nemmeno come fosse realmente quest'uomo.
Dissero che
probabilmente la mia mente aveva rimosso l'avvenimento, una sorta di
difesa per non diventare pazza.
Il caso fu
archiviato e l'uomo non venne mai ritrovato ma io da quel giorno non
fui più la stessa persona.
In me
risiedevano due persone: la Sara di sempre dolce e gentile e
l'altra, l'assassina fredda e malvagia che era emersa dal profondo
della mia anima e che, lo sapevo, non mi avrebbe lasciata mai più.
FINE
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao a tutti!
Da un po' mi
frullava questa storia nella testa e stasera le mie mani l'hanno
trasformata in parole e fantasia.
Spero vi sia
piaciuta, non è proprio un horror ma diciamo che ce lo infilo
comunque nel genere.
Un bacione da
Fly90.
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