Heart of You

di Rohchan
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Fanfic nata stasera, mentre ascoltavo "Un Senso di Te" di Elisa... su una coppia che adoro alla follia, e che mi ha strappato l'anima.

Dedicato a Serena e Scintil92, che come me amano questa storia con tutte loro stesse.
Un punticino in più a Scintil che, con la sua "Worlds Apart" me l'ha riportata alla mente. Cioè, in realtà lì per lì l'avrei menata per la ferita che mi ha riaperto, ma insomma...^^

Buona lettura (spero) a tutti...e grazie in anticipo a chi vorrà commentare...

Rohchan

PS lo so che grammaticalmente il titolo è sbagliato...ma il suono in italiano non mi piaceva, e così mi suona meglio, anche se sbagliato...
insomma, spero ci siamo capiti...^^

HEART OF YOU

Oxford, 24 Giugno.
Fa caldo, molto caldo. L’estate in Inghilterra è afosa, l’aria appiccicosa come miele.
Eppure lei non mancherebbe questo giorno per nulla al mondo.

Gli anni ne hanno fatto una splendida donna. Alta, bionda, aggraziata.
Qualche filo più pallido inizia ad intravedersi in mezzo al grano dei suoi capelli, ma gli occhi non hanno perso nulla della loro bellezza, della loro forza.
Ha un vestito di organza verde smeraldo addosso, che ondeggia lieve ad ogni passo, le scarpe che scricchiolano sul sentiero dell’Orto Botanico.
Accanto a lei cammina il suo daimon…una grossa martora rossa, vigile ed attenta, e nei suoi occhi grandi la donna vede la sua stessa determinazione, e il dolore che lei nasconde così faticosamente.
La rassegnazione brucia sul fondo di quel nero pece, che però non si arrende alla disperazione.
Non si è mai arreso.

Lyra Belacqua oggi ha lasciato ogni cosa, come fa da quasi quarant’anni a questa parte.
Per essere esatti, trentotto anni, undici mesi, ventinove giorni, undici ore, cinquantotto minuti e venti, ventuno, ventidue secondi.
Il daimon la segue fedele, guardandosi intorno.
Il cielo è azzurro, gli uccellini cinguettano, alcuni bambini giocano a rincorrersi con le loro anime sui prati dell’Orto Botanico, facendo attenzione a non incrociare la guardia di turno.
Su qualche panchina delle coppiette si scambiano baci e tenerezze; seduta sul prato sotto una grossa quercia una ragazza castana si accarezza distrattamente il ventre rigonfio, mentre il suo daimon scoiattolo la osserva con gli occhietti neri e attenti; le farfalle volano tra i fiori, simili a veli colorati nell’aria.

Lyra prosegue, senza nemmeno guardare dove mette i piedi.
Il suo corpo conosce quel sentiero meglio di come un tempo la bambina scapestrata che era stata conosceva a menadito tutti i passaggi segreti del Jordan, il College dove era cresciuta.
Potrebbe lasciare che Pan corra davanti a lei, superando lo spazio che la divide dal luogo che vuole raggiungere.
Ma sa che terrorizzerebbe qualcuno.
Sa che la chiamerebbero strega.
E così prosegue lenta, camminando seguendo il tic tac di un orologio che nella sua mente scandisce ogni istante del giorno il tempo.
Tic tac fa l’orologio nel suo cuore.
Il tacco basso delle sue scarpe color crema scricchiola sulla ghiaia e il terriccio che il vento dispettoso ha portato sul sentiero.
Oltrepassa una vasca con una fontana verde di muschio tenero, sotto un grosso albero, e poi piega verso un enorme pino a tre tronchi.
Sente il sangue salirle al cuore, scaldarlo, come se qualcuno vi avesse acceso il fuoco.
Le aiuole sono piene di fiori, come sempre, e gli arbusti che aveva visto con Lui, erano cresciuti fino a diventare alberi dal tronco alto e slanciato.

Eccola.
Oltre un ponticello di legno ormai consumato dal tempo, sotto un albero basso dai larghi rami frondosi, la panchina.
La sua panchina.
La loro panchina.
Il cuore le fa una capriola nel petto, gli occhi iniziano a bruciarle, mentre uno strano sorriso le increspa le labbra.
Persino la piccola borsa a tracolla che indossa, una specie di sacchetto da gioielliere di un blu slavato, rammendato in alcuni punti e col cordino di raso spesso sfilacciato sul fondo sembra ballare con insistenza maggiore sulla sua coscia, come se volesse lanciarsi avanti.

Trentotto anni, undici mesi, ventinove giorni, undici ore, cinquantanove minuti e ventisette, ventotto, ventinove…

Lyra Belacqua si siede sulla panchina, mentre i lunghi capelli le scivolano sulle braccia.
Si siede, e aspetta.
Pantalaimon ai suoi piedi, si pulisce con fare quasi distratto il pelo fulvo.

Al primo rintocco della campana del Magdalen College, Lyra sospira come se prendesse aria dopo essere stata in immersione fino al limite della sopportazione.
Pan si siede sulle zampette dietro, osservando il nulla.
Ascoltando, col cuore, più che con le orecchie.
Sentendo sulla lingua l’atmosfera che cambia, Pan si accorge un istante prima di Lyra che qualcosa è successo.

E i ricordi e i pensieri le fluiscono nella mente, mentre con le mani un po’ più ruvide di allora tira l’aletiometro fuori dalla sua borsetta.
Lo apre, lo guarda.
Non è più facile leggerlo come allora, ma sta diventando sempre più semplice.
La lancetta blu continua a muoversi sempre sugli stessi tre simboli che tocca da trentanove anni a quella parte.
Lyra ha sempre riformulato la stessa domanda, pur ponendone molte altre, ma la risposta dell’aletiometro non è mai cambiata.

Lo richiude, con uno scatto secco.
Clack.
La mano sinistra si muove, scivolando sulla panchina.

Lyra lo sente.

Will.

Ogni anno, il giorno della festa di san Giovanni, nell’Orto Botanico di Oxford, a mezzogiorno in punto, lei e Will si ritrovano su quella panchina.
Lei nel suo mondo, lui nel suo.
Lontani, eppure vicini.
Separati da un velo che soltanto la punta invisibile di una lama potrebbe tagliare, così sottile che, se fosse reale, potrebbe essere strappato da un respiro appena più forte.
Ma la lama è stata distrutta, e loro hanno giurato.

- Will, sono venuta…hai visto? È stato difficile questa volta. Anche se ormai Tom non mi chiede più perché ogni anno esco a quest’ora, in questo giorno, è stato complicato. Katie e Will ormai sono grandi, eppure non rinunciano a voler sapere.
Non sono neppure sicura che comprenderebbero, se glie ne parlassi.
Se gli raccontassi di noi.
Katie ha compiuto ventidue anni, e si è fatta una splendida ragazza. Ti piacerebbe, mi somiglia molto, anche se i capelli sono neri come quelli di suo padre. Will invece… –

e qui la voce le si spezza, solo un poco. Appena un poco.

- Will è esattamente come me. Testone, caparbio. Diciannove anni il prossimo mese, ci crederesti mai? Ha di nuovo cercato di seguirmi fino qui. Ho dovuto di nuovo cambiare nascondiglio al mio diario, alla nostra storia.
So che potrei mettere quei quaderni al sicuro, da qualche parte in una banca, o magari portarli al Jordan. Conosco ancora molti degli insegnanti, anche se quelli che avevano cercato di darmi un briciolo di cultura sono ormai in pensione da tempo. Qualcuno è anche morto.
Però non ce la faccio, Will, non posso. Io devo avere quel diario accanto, perché senza a volte fatico addirittura a prendere sonno. È come averti ancora accanto. Ho annotato tutto, dal tuo sguardo la prima volta che ci siamo visti a Cittàgazze, tutto, tutto fino al momento del nostro addio.
Sai, quest’inverno ho avuto la polmonite. Sono stata diverso tempo in ospedale, ma non ho mai smesso di studiare. Non ho mai smesso di preoccuparmi per coloro che amo, di cercare di essere attenta e disponibile e gentile. Il medico mi ha raccomandato tanto di stare attenta, di non strapazzarmi troppo, ma a me non sembrava una cosa così importante. Avresti dovuto vedere Pan…aveva la pelliccia tutta arruffata.–

La mano le si ferma nell’aria, all’altezza in cui potrebbe trovarsi un viso. Flette le dita, aguzza lo sguardo. Le riesce difficile, ha gli occhi pieni di lacrime.
Sorride, nonostante tutto.

- Lo so che devo essere forte, Will. Lo so che devo lavorare perché tutti sappiano, perché non accada mai più quello che io e te abbiamo visto. E poi devo avere una storia da raccontare ad Alibenigne, altrimenti non mi lascerà passare dall’altra parte per tornare da te.
Però Will…Dio, mi manchi da morire. Ti sei portato via metà di me, e qui è difficile capire quanto sono riuscita a rappezzarmi. Tom mi vuole bene, ma non è te. Non è suo il viso che vedo ogni sera prima di dormire.
Serafina Pekkala è tornata a trovarmi, all’inizio della primavera. Aveva saputo che ero stata malata, e mi ha portato alcune erbe che hanno eliminato del tutto gli ultimi strascichi della malattia. Persino Yorek….ci credi? Persino Yorek ha fatto in modo che avessi sue notizie.
Il buon vecchio Yorek, Serafina dice che inizia ad avere il pelo meno lucido, e che quando arriva la notte boreale diventa un po’ intrattabile.-

Ride, leggera, mentre le lacrime le scivolano sulle guance, seguendo il sentiero tracciato dalle prime rughe.
Le asciuga in fretta.

- No, Will…non sto piangendo, davvero. È solo tutto questo sole…lo vedi anche tu, no? L’erba è così verde che quasi acceca. Faccio fatica a guardarla.
Il Magisterium continua a perdere potere. Da quando sono tornata dopo il nostro viaggio, non ho mai smesso di cercare di costruire qualcosa di meglio, per le persone del mio mondo.
Nonostante solo io e te sappiamo cos’è successo davvero, più di una volta i miei vecchi maestri hanno detto di aver sentito, quel giorno, qualcosa dentro. Non un suono, o un colpetto al cuore, una scarica, no. Non sanno spiegarsi, ma sanno che qualcosa è successo.
Io continuo a non sapere se sia meglio parlare o tacere, e tu mi hai insegnato che non sempre parlare è la scelta giusta. Anche il silenzio ha il suo valore.
Lo sai che ho compiuto cinquant’anni quest’anno, hai tenuto il conto, vero? Mio marito mi ha portata in Italia, siamo partiti con uno zeppelin.
Siamo stati via due settimane, e ho visto molte cose belle. Se non ci sei mai andato, vai a visitarla. È un paese splendido, i suoi paesaggi tolgono il fiato a tutte le ore del giorno e della notte.-

La campana del Magdalen batte un rintocco leggero, un suono più chiaro.
Pantalaimon le siede in grembo, e Lyra può sentire il battito affannato del proprio cuore rimbombare nel petto del daimon. Lui la guarda in silenzio, le zampette poggiate sul suo seno.

- Cavolo, è già la mezza. Senti che bella arietta che c’è. È così raro…quest’anno ha piovuto meno del solito. Tom si lamentava per via delle branchie che dice sempre di avere quando piove. Dice che se non ricomincia al più presto, gli si seccheranno e si chiuderanno.
È stata con questa storia delle branchie che mi ha convinta ad uscire con lui, lo sai? Ma certo che lo sai, te l’ho detto. Ma sono passati ventiquattro anni, e lui mi ha conquistato con questa ed un sacco di altre sciocchezze. Mi ha fatta ridere molto, mi ha sempre fatta ridere.
Mi ero ripromessa di non cercare nulla di te in lui, ma è difficile, perché non te ne stai mai buono nella mia testa. A volte, quando è pensieroso, ti assomiglia. Solo a volte però. Dev’essere qualcosa nella piega delle labbra, credo.-

Una nuvola passa nel cielo cristallino di Oxford, oscurando per un momento il sole.
La mano di Lyra scivola verso il basso, tornando a poggiarsi sulla panchina.
Alcuni bambini giocano a rincorrersi poco distante, e lei può sentirne le grida deliziate. I loro daimon cambiano continuamente forma, volando, strisciando, saltellando, correndo.
Guardandoli, si chiede come facciano a non inciamparsi o scontrarsi gli uni con gli altri.
Si chiede se anche lei correva così, quando giocava coi bambini gyziani, ed era solo Lyra del Jordan College, e la sua occupazione maggiore era sfuggire alla spazzola della cameriera di turno ed evitare di prendere sulla testa gli accademici di passaggio sotto i tetti, quando mangiava le pesche e le prugne e ne sputava i noccioli giù in cortile.

Si appoggia allo schienale della panchina, guardando il gioco di luce ed ombra che le foglie dell’albero creano sul prato davanti a lei.
Il vento gioca coi suoi capelli ed il vestito, e quando arriva una folata più intensa Pantalaimon arruffa il pelo un po’ infastidito.

- Mi hanno chiesto di insegnare al Magdalen. A me, capisci? Lo so che te l’ho già detto, ma me l’hanno di nuovo chiesto. Presto dovranno iniziare a distribuire le cattedre, e volevano assegnarne una a me. Io ho detto che non mi interessava, che avrei continuato a studiare con loro e ad aiutare se ce n’era bisogno, ma non sono capace ad insegnare. Non ho abbastanza pazienza, lo sai come sono fatta…-

Lyra ride un po’, poi in silenzio lascia scivolare la testa di lato, come se ci fosse un appoggio.
Lyra sente che c’è, anche se non può vederlo.
Le sembra quasi di poterne sentire il profumo.
Chiude gli occhi, un istante, un momento, o così crede.

Chiude gli occhi, e Lui è lì che la guarda.
Le sorride, la fissa in viso. Anche i suoi capelli non sono più tutti neri, ma hanno qua e là qualche striatura bianca. Gli occhi hanno le rughette agli angoli, e forse non si è fatto la barba stamattina.
Lyra sente caldo nella pancia, il cuore schizzare avanti.
Le sembra di essere una ragazzina sciocca, ma non le importa.
Lui ha una camicia bianca ed un paio di pantaloni di stoffa spessa blu scura, ed è un po’ abbronzato.
Lyra pensa che sia andato al mare.
Lui allunga le mani verso il suo viso, e a Lyra sembra di sentire la carezza di quelle mani incomplete.

La campana batte l’una.
Lyra sospira, mentre Will la saluta senza voce, solo muovendo le labbra.
Le mancano tanto, quelle labbra.
Le sfiora ancora il viso con una carezza, e lei cerca di trattenerlo per i polsi, ma lui sta già guardandola in quel modo un po’ arrabbiato, come quando le faceva capire di non esagerare con le bugie.

Lyra riapre gli occhi.
Will non è più accanto a lei, ma lo sente comunque. Nemmeno lui si è ancora alzato.
Non ha visto Kirjava, ora che ci pensa.
Magari era accucciata dietro di lui, da qualche parte. Kirjava era sempre stata un po’ schiva, proprio come Will.

L’aletiometro, rimasto abbandonato sulla panchina come il gioco di un bambino distratto, luccica dorato sotto i raggi che oltrepassano l’ombra dell’albero.
Lo raccoglie, lo riapre.
Formula una domanda, con la stessa velocità di un tempo. Sono molti i significati da imparare, ma lei alcune domande le sa a memoria.
E la bussola d’oro le da la risposta che aveva bisogno di sentire.
E lei lo sa che è vera, perché l’aletiometro non può mentire.

- Cerca di stare bene, e fai il bravo. Ricordati di sorridere ogni tanto, Will Parry…sei più bello quando sorridi. E mi raccomando, non mancare l’anno prossimo…-

Lyra accarezza di nuovo un viso immaginario nell’aria, soffermandosi un momento col pollice dove sa essere la fossetta delle labbra.
Poi si alza, aggiustandosi un poco la gonna.

- Andiamo Pan? È ora di tornare a casa…-
- Sì! Ho bisogno di dormire un po’…- le risponde il daimon, stiracchiandosi.
I suoi occhi le sembrano meno tristi.
- Ancora non mi hai detto il segreto tuo e di Kirjava…-
- Perché ancora non è il momento…- le risponde il daimon, mentre lei si rimette a tracolla la borsetta con l’aletiometro.
- Sei seccante…- lo prende in giro lei, mentre tutti i suoni dell’Orto Botanico le tornano nelle orecchie con tutta la loro realtà.
- Ricordati che io sono te…- la schernisce il daimon.

Lyra si incammina sul sentiero, via dal parco.
Sopra il ponticello si volta a guardare la panchina. Per un attimo le sembra di cogliere, nell’ombra dell’erba vicino alle radici della pianta, la sagoma di un grosso gatto dai colori indefinibili.

- A presto, Will…-

Eppure sentire
Nei fiori tra l'asfalto
Nei cieli di cobalto - c'è

Eppure sentire
Nei sogni in fondo a un pianto
Nei giorni di silenzio - c'è
Un senso di te...





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