Il bacio
Il piccolo pullman turistico sobbalza tramortito dalle buche del
terreno non asfaltato, accarezzato da un velo di fastidiosa sabbia e
rivoltante immondizia.
Guardo fuori dal finestrino, nell'angolo più remoto del
piccolo mezzo, appoggiando il collo allo schienale imbottito.
Guardo fuori e dentro mi sento male.
Vomito. Nausea. Non saprei.
E' qualcosa di indefinito che mi scuote le viscere. Nel vedere scorrere
oltre quel vetro reso opaco dalla polvere immagini di bambini dai
vestiti lerci che ci fissano.
Noi, la parata del circo, che passa roboante di civiltà
occidentale sulla strada insudiciata dai rifiuti.
Loro, il nostro piccolo intrattenimento personale, che ci fanno sentire
in qualche modo dei miracolati.
Perché non siamo nelle loro condizioni.
Tolgo lo sguardo puntandolo verso una signora cicciottella di una certa
età, i folti capelli grigi ordinatamente disposti, e la
facciotta piena incollata al vetro per salutare come un'eminenza
superiore i bambini che ci seguono.
Saluta. Chiamandoli amore.
Tesoro. Piccoli.
E loro ci inseguono, captando solo quegli assurdamente ipocriti gesti.
Ovvio, non possono capire le nostre parole. Meglio.
Io non saluto. Guardo ogni tanto, silenziosa, evitando di dispensare
alzate di mano e sorrisi come se fossero caramelle.
Sono loro però, i bambini, a sorridere.
Perché? Siamo la novità? L'occasione irripetibile?
Sorridono calpestando con i piedi nudi, scuri di sporco, il terreno,
facendo ondeggiare le maglie larghe, mostrando i denti bianchi che
contrastano col musetto ingrigito dalla polvere.
E io mi limito a fissarli sentendo di scoppiare a piangere.
Perché sono l'unica a non avere il coraggio di sorridere o
di fingere di sentirsi il padre e la madre di quelle creature?
All'improvviso il gruppetto si ferma, non può proseguire
perché stiamo per imboccare un ponte che ci
condurrà all'ennesimo sperduto cumulo di pietre da visitare.
Istintivamente mi volto.
Come per seguirli con gli occhi prima di vederli scomparire.
Un ragazzino in una sgangherata bicicletta arrugginita ci segue.
Solo.
Nessuno del pullman ha più evidentemente voglia di torcersi
il collo per salutare ancora, il loro lavoro di esseri caritatevoli
l'avevano già ampiamente svolto.
Rimango solo più io. A guardarlo. Ci fissiamo intensamente,
nonostante le buche del terreno, nonostante la pedalata faticosa per
starmi dietro.
E poi, con affetto, senza pietà o compassione,
bensì con incoraggiamento... gli sorrido.
Un sorriso ampio che, nella mia timidezza di adolescente alle porte
della maturità, raramente concedo.
Perché lui è di qualche anno più
giovane di me.
Perché, se fosse nato in un altro luogo, saremmo potuti
diventare amici.
Difficile esserlo a bordo di un bus, separati da metri di strada e di
incomprensioni.
Lui prega Allah seguendo la cantilena del moazim che, con ostinata
determinazione, arriva sino a quel villaggio sperduto.
Io prego Dio non andando mai in chiesa.
Eppure ci siamo guardati.
E poi, con un gesto rapido del braccio, sorride a sua volta mandandomi
un bacio. Infantile, da ragazzino, ma che arriva dritto a me, superando
le barriere del vetro e dei nostri dei.
Un bacio
solo per me.
Mi tocco la guancia e lui, suo malgrado, deve fermarsi. Senza
più fiato lo intravedo prendere grandi respiri, la gamba
poggiata a terra e gli occhi ancora disperatamente rivolti verso di me.
Non riesco a girarmi ancora. A tornare a guardare gli ipocriti seduti
davanti a me. A guardare quelle persone che fotografano la
povertà per sentirsi più documentate e
consapevoli.
Come se ci fosse bisogno del turismo per vedersi sbattuta in faccia la
verità sulle condizioni di chi non può
permettersi di fotografare a sua volta.
Il ragazzino in bicicletta scompare dalla mia vista, io dalla sua.
Sorrido.
Un giorno magari sarei
tornata in quel luogo.
Lo avrei trovato intento a lavorare i campi per la sua famiglia, forse
tentando di apprendere le prime rudimentali regole di scrittura nel
poco tempo libero prima di sera.
Magari sarei stata una missionaria.
Magari solo una stupida che voleva rivedere quel luogo e rivedere
cos'era diventato lui.
Ahmed si sarebbe chiamato.
Mi avrebbe riconosciuta, una donna occidentale a cui, anni fa, aveva
destinato il suo primo casto bacio.
E ci saremmo innamorati.
Oh sì... i suoi sarebbero stati disgustosamente contrari: se
glielo avessi portato via avrebbero avuto braccia in meno con cui
mandare avanti la piccola casetta in mattoni crudi. E le culture, la
religione... un deserto intero a dividerci.
Saremmo fuggiti. Io e lui. Allontanandoci, chissà dove.
Magari avremmo avuto dei figli, a cui raccontare storie fantastiche
prima di coricarsi...
Lui non avrebbe più avuto bisogno di una bicicletta per
corrermi dietro e io non sarei scappata su di un quadrupede a motore.
Avrebbe imparato a scrivere e a leggere, glielo avrei insegnato io. Lui
mi avrebbe insegnato a sua volta l'umiltà e la
determinazione.
Saremmo sopravvissuti, insieme.
O forse più
semplicemente non sarei tornata affatto.
Lui avrebbe continuato la sua vita, io la mia.
Mi sarei laureata fra diversi anni, avrei sposato un occidentale serio
come piace ai miei, avrei fatto l'avvocato seguendo le orme della mia
famiglia.
E lui, Ahmed, non avrebbe avuto più tempo per correre in
bici. Avrebbe lavorato.
Si sarebbe arruolato alle milizie volontarie di resistenza combattendo
contro i nemici del suo dio, avrebbe urlato la sua fede, avrebbe
pregato per la sua famiglia.
Io sarei diventata nonna e lui sarebbe morto giovane perché
la sua vita valeva solo nel momento in cui si spegneva, una candela su
cui avrebbero soffiato altri soldati avversari.
La sua famiglia non lo avrebbe pianto perché era un eroe e
perché, pur non essendoci più, qualche
benefattore che istigava i ragazzini a combattere avrebbe recapitato
presso la loro casetta minuscola dei soldi.
Ma io lo avrei ricordato. Cullando il figlio di mia figlia, ricevendo
un tenero bacio sulla fronte dalla mia nipotina, sgridando il cane che
scorrazzava in casa.
Io mi sarei ricordata di quel bacio che, volando, mi aveva fatto
sognare una storia d'amore o forse, perché anch'io in fondo
sono un'ipocrita turista occidentale, una storia di salvezza per lui.
Grazie per
aver letto, per me significa molto.
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