Le
stelle tremolavano nel cielo dove, mentre Hati, la luna dal
tenue alone azzurro, si tuffava nell’oceano a occidente,
Mani, dal fulgore rosato, ne aveva preso il posto accanto
alla candida Skadi. Sembrava quasi che gli astri tremassero,
percependo il tumulto che agitava l’animo del principe
cadetto che, all’apparenza, rimirava la volta celeste,
sdraiato sulla soffice erba che danzava, seguendo
l’impercettibile melodia suonata dal vento. L’aria era
pregna dell’aroma dell’erica che aveva acceso di colori le
colline a nord di Asgard.
«Loki.»
La
voce di Frigga lo strappò al livore che gli stava corrodendo
l’anima. Sciolse le mani da dietro la nuca e si alzò in
piedi, volgendosi verso la regina.
«Madre»
esclamò Loki, avvicinandosi a lei; prese le mani che ella le
offriva e fletté il busto per omaggiarle con un bacio
rispettoso, ma sterile. La delusione aveva indurito il suo
cuore e l’affetto che nutriva per la donna faticava a
sfuggire al suo cupo umore. «Questo luogo non si addice a
una regina, soprattutto a questa tarda ora» aggiunse con un
sorriso spento.
Frigga
colse quell’asprezza nei modi di fare del figlio e sorrise
benevola. «Come stai?» Come Odino e i due principi erano
rientrati da Alfheim, i figli erano andati a festeggiare con
gli amici ma, quando si erano ritirati per coricarsi, Loki
si era allontanato da palazzo. I suoi poteri la avevano
informata di quell’evento ben prima che Odino sottoponesse i
due eredi alla prova per decidere chi di loro lo avrebbe
sostituito sul trono. Quello era il motivo per cui ella si
era recata sulle colline, dove sapeva avrebbe trovato il
secondogenito.
«Bene»
rispose prontamente il ragazzo, ormai diventato uomo.
Innanzi allo sguardo penetrante della madre, Loki strinse le
labbra, intuendo come sua madre comprendesse il suo
malessere e fosse preoccupata a riguardo. A volte aveva
l’impressione che Frigga riuscisse a leggergli nell’anima.
Il principe abbassò il capo, portando l’attenzione sulle
proprie mani ancora intrecciate a quelle della donna. «Ho
deluso Padre. Di nuovo» soffiò, deglutendo con rammarico.
Frigga
scosse il capo. «Non dire così...»
Loki
sollevò le iridi di smeraldo, puntandole in quelle di lei.
«È così. Ho visto il suo sguardo su Alfheim e, ti assicuro,
era tale a quello che mi ha rivolto in molte altre
occasioni. L’ho deluso.»
«Capita
a tutti di sbagliare...» mormorò lei e il figlio si scostò
con un gesto secco, dandole le spalle.
Loki
alzò lo sguardo al cielo, arricciando le labbra in una
smorfia di disappunto e poi si voltò verso di lei,
sollevando la mano sinistra per accompagnare le parole: «Io
non ho sbagliato. Ho fatto quello che andava fatto per
garantire un futuro solido ad Asgard. Ho fatto quello che
qualunque re avrebbe dovuto fare» spiegò accorato.
La
madre intrecciò le dita sul grembo, guardandolo con
espressione pacifica. Il marito le aveva raccontato ciò che
era accaduto su Alfheim, dove i due principi erano stati
sottoposti alla medesima prova. Ciascuno di loro era stato
incaricato di accompagnare il futuro erede al trono degli
elfi della luce nel cuore della foresta sacra. Egli era
apparso loro come un bambino viziato e maleducato, che li
aveva tediati per tutto il tragitto, sino a quando la sua
vita non si era trovata a dipendere dalle scelte di chi lo
scortava.
Thor,
nonostante le offese e le umiliazioni, gli aveva salvato la
vita, mentre Loki aveva lasciato che spirasse, privandolo
volontariamente della possibilità di sopravvivere.
Da
quell’azione, Odino aveva dedotto che il secondogenito fosse
pronto a colpire un alleato in difficoltà, approfittando
della sua debolezza e aveva deciso di scartarlo, preferendo
invece Thor.
«Raccontami
come è andata» sussurrò Frigga, sorridendogli amorevolmente.
L’espressione
del figlio si indurì. «Sai già com’è andata: Thor ha
superato la prova e diventerà re fra tre anni.»
Lei
scosse il capo, socchiudendo gli occhi per pochi istanti,
poi afferrò la stoffa della gonna, la sollevò un poco e si
sedette sull’erba.
Loki
la guardò diffidente, spiazzato da quell’azione e sollevò un
sopracciglio quando Frigga lo invitò, con un gesto della
mano, ad accomodarsi al suo fianco.
«Voglio
sentirlo narrare da te, voglio conoscere come lo hai vissuto
tu e non tramite le parole di terzi, che filtrano i fatti
tramite il proprio modo di percepire il mondo. Loki, dimmi
cosa ti è successo su Alfheim, per favore.»
Lui
strinse le labbra, ispirando a fondo, per poi sbuffare e
sedere alla sinistra di Frigga. Lei sorrise e gli posò la
mandritta su una coscia, offrendogli il palmo.
L’espressione
di Loki si addolcì e scosse il capo, la guardò e con le mani
accennò a quel gesto materno: «È infantile» commentò.
La
donna sollevò un sopracciglio e sorrise. «Sei mio figlio e
nel mio cuore di madre sarai sempre il mio bambino.»
Lui
sorrise, lasciando che l’affetto che nutriva per Frigga
trasparisse anche nelle iridi scintillanti come le numerose
stelle che impreziosivano i cieli di Asaheim. Posò la mano
su quella che la madre gli offriva e le strinse dolcemente
il pugno tra le dita. Scese il silenzio, disturbato solo dal
frinire dei grilli che annunciavano l’arrivo dell’estate.
Lui osservò il palazzo stagliarsi fulgido contro il cielo.
Le stelle sembravano incoronarlo, attestando che Asgard e i
suoi abitanti fossero i difensori dell’ordine in tutti i
nove regni. Loki, in realtà, non lo vedeva; davanti ai suoi
occhi scorrevano le immagini della sua prova, i suoi ricordi
ripercorrevano gli eventi e le sue scelte e tutti gli
apparivano logici e ineccepibili.
Loki
spostò lo sguardo su Frigga e le raccontò di come avesse
camminato nella sacra foresta elfica, di come avesse
combattuto contro un imponente cinghiale dal manto bianco,
privato dei propri poteri dalle peculiarità di quel luogo
antico quanto Yggdrasill stesso. Le parlò del principe
Diarmuid morente che si era rivelato debole, inadatto a
regnare e a mantenere l’alleanza con Asgard e della sua
decisione di non salvarlo, per non intaccare il potere che
Odino aveva faticosamente costruito nell’arco dei secoli.
Era sua convinzione che gli elfi avrebbero potuto scegliere
un nuovo regnante che, facilmente, si sarebbe rivelato
migliore del giovanissimo principe.
Frigga
lo ascoltò senza mai interromperlo e, solo quando Loki
tacque, prese parola. «Perché pensi di aver deluso tuo
padre?»
Il
principe sospirò addolorato. «Perché ho disubbidito: ci era
stato detto di servire e proteggere Diarmuid e accontentare
ogni sua richiesta. Ho disatteso invece il suo ultimo
ordine, venendo meno al volere di Odino.»
La
donna strinse impercettibilmente le labbra. «Tesoro,
disubbidire non sempre è sbagliato e Odino questo lo sa
bene. Ma se invece tu fossi stato superficiale nella tua
scelta? Forse non hai ponderato la situazione come tuo padre
si aspettava che tu facessi...»
Loki
la guardò perplesso. «Ho valutato la possibilità che a
Diarmuid venisse affiancato un tutore, che lo avrebbe
accompagnato sino alla maggiore età, ma non conoscendo
quest’ultimo, ho ritenuto che l’attuale rapporto che lega
Asaheim ad Alfheim sia l’ideale al momento e che, quindi, Re
Finn avrebbe potuto prolungare la sua carica piuttosto che
abdicare in favore dell’erede.»
Frigga
sorrise e sollevò una mano, posandola sulla guancia del
figlio. Anche se non lo era davvero, lo aveva cresciuto,
plasmato e lo amava come sangue del proprio sangue. Capiva
quel suo modo di ragionare che poteva apparire contorto e
oscuro, ma vedeva anche la luce che Loki inseguiva in quei
ragionamenti.
«La
personalità di un individuo è la somma delle sue esperienze,
Loki. Da piccolo eri timido, taciturno, non sei forse
cambiato crescendo?» chiese con tono gentile.
Lui
aggrottò la fronte, poi chinò il capo, schiudendo le labbra.
«Pensi che sarebbe potuto cambiare crescendo?»
Frigga
continuò a sorridere amorevolmente. «Sarebbe cresciuto e
magari avrebbe trovato una persona con cui condividere il
peso del trono.»
Loki
sollevò lo sguardo e la rimirò alla luce delle due lune
rimaste in cielo. «Un consigliere che potesse educare,
mitigare e guidare...» mormorò, mentre quella nuova
consapevolezza lo colpiva come un’epifania.
«Tuo
padre non stava testando la capacità di essere re dell’elfo,
ma la tua e quella di tuo fratello… e un re deve essere
lungimirante, deve saper guardare lontano» spiegò paziente.
Lui
si passò una mano sul viso. «Sono stato cieco, avrei dovuto
salvarlo, invece questo mio errore di valutazione mi è stato
fatale.»
Frigga
sorrise. «Non essere così duro con te stesso. Sei ancora con
noi e assieme a tuo fratello potrai fare di Asgard un posto
migliore. Entrambi siete nati e cresciuti per essere
re. Thor sarà un buon sovrano anche grazie ai tuoi
consigli.»
Loki
avvertì un brivido, che gli corse lungo la schiena al
pensiero di affiancare Thor sul trono. Il principe sii vide
nel ruolo che Frigga ricopriva al fianco di Odino e si
immaginò a riprendere le sembianze di Jarnsaxa. Con i
polpastrelli di indice e medio si sfiorò le labbra e poi un
nodo gli si strinse allo stomaco. Era un’illusione, un
errore in cui non doveva più accadere. Amava Thor, ma
entrambi non potevano permettersi di indulgere in quello
sbaglio. Jarnsaxa non sarebbe mai più apparsa, era morta e
tale doveva essere anche quell’insana ossessione per il
fratello.
Loki
riportò l’attenzione sulla madre, le sorrise e si sporse
verso di lei per posarle un bacio affettuoso sulla gota.
«Grazie per farmi dono della tua esperienza» disse sincero,
quindi si alzò e le porse le mani, aiutandola a rimettersi
in piedi.
Ritornarono
a palazzo, conversando di incantesimi e Frigga si rese conto
che ormai vi erano poche cose che poteva insegnare al figlio
in quel campo. Anzi, Loki era uno sperimentatore e,
probabilmente,avrebbe potuto dispensare il proprio sapere a
lei.
La
luce filtrava attraverso le ampie vetrate della biblioteca
di corte, assumendo le sfumature di colore delle figure
dipinte sui vetri. Nell’area di lettura, a pochi metri dalla
porta, poche erano le figure chine sui pregiati tomi che,
solitamente, affollavano gli imponenti scaffali che si
elevavano sino al soffitto affrescato.
Le
abitudini di Loki lo portavano a leggere rinchiuso nei
propri appartamenti, ma aveva lasciato le proprie stanze
alle cure dei domestici e si era ritirato in quell’ala del
palazzo in cerca di quiete. Il silenzio aleggiava nell’ampia
sala, creando un’atmosfera magica, pregna dell’odore delle
pergamene e della carta antica, mentre il pulviscolo danzava
sui raggi di luce senza che nessuno si curasse della
polvere.
Il
rumore della porta non attirò alcuno sguardo, come invece
accadde per la parola pronunciata ad alta voce, senza alcun
rispetto per quel luogo.
«Fratello!»
Loki
sollevò lo sguardo su Thor, sollevando un sopracciglio e
assumendo un’espressione stupita.
Thor
sorrise teso e si avvicinò al suo tavolo con passo pesante,
mentre sguardi di disappunto accompagnarono il suo incedere.
«Ti ho trovato! Desideravo...»
Il
cadetto sollevò una mano davanti alle labbra, zittendolo e
poi gli indicò la sedia innanzi a sé. «Fratello» sussurrò,
«comprendo come tu non sia avvezzo a questo luogo ma, ti
prego, modera il tono di voce e limita la tua irruenza»
disse severo, scrutandolo intensamente.
Il
dio del tuono aggrottò la fronte e parlò, lasciando che la
sua voce possente violentasse la quiete. «Scusa!» Davanti
allo sguardo gelido del minore, chiuse la bocca e si
sedette, rimanendo in silenzio. Prese uno dei tomi impilati
vicino a Loki e arricciò le labbra, leggendone il titolo,
per poi appoggiarlo sulla superficie di legno. Portò le
iridi celesti su Loki, trovandolo nuovamente intento a
leggere e sospirò.
«Fratello...»
sussurrò, sporgendosi verso il cadetto, «sei arrabbiato con
me?»
Loki
si limitò a sollevare gli occhi e a fissarlo. «Come, scusa?
Perché dovrei?»
Thor
lo guardò a disagio, appoggiò gli avambracci sul tavolo e
spiegò sommessamente: «Perché Padre ha scelto me...» Si
ritrasse, appoggiando la schiena allo scranno. «Quando ieri
siamo andati a festeggiare, sei sparito. Non ci ho pensato
subito, ma stamane mi è venuto il dubbio che potessi essere
adirato con me» ammise candidamente il suo timore.
Loki
poté scorgere i sentimenti del fratello, scorrere impetuosi
e limpidi dietro le barriere celesti che erano i suoi occhi,
senza che nulla potesse inquinarli. Thor si era preoccupato
al punto di andarlo a cercare in quel luogo a lui così poco
familiare.
Loki
scosse il capo. «Non mi stupisco che tu abbia impiegato
un’intera notte per formulare un pensiero così complesso»
commentò sommessamente, per poi sorridere radioso. «Non sono
arrabbiato con te. Il mio biasimo va unicamente alla persona
che ha causato il mio fallimento...» Il pensiero corse a
Odino e Loki si irrigidì. Possibile che una parte di sé
considerasse suo padre colpevole?
«L’unico
responsabile sono io e le scelte che ho effettuato» assicurò
il dio degli inganni sottovoce, scacciando l’idea che aveva
fatto capolino alla sua mente.
Thor
lo afferrò per un braccio e lo fissò duramente. «Non hai
colpe. Anche io avrei potuto fallire la prova, Diarmuid ha
rischiato di morire anche con me, non sono stato
sufficientemente abile da proteggerlo come avrei dovuto»
sentenziò deciso, attirandosi le occhiate degli studiosi
presenti e suscitando qualche parola di biasimo.
Thor
si alzò stizzito. «Smettetela» tuonò rivolto agli
sconcertati spettatori. «Sono il vostro futuro re e sto
discutendo di cose importanti con mio fratello!»
Loki
si passò le dita sulla fronte con un’espressione di
fastidio, si alzò, afferrò il fratello per un braccio e lo
trascinò fuori. Lo guardò duramente e Thor allargò le
braccia.
«Ho
capito che bisognava fare silenzio, ma là dentro pare che
non si sia liberi di starnutire senza destare astio!»
Il
principe cadetto sollevò le sopracciglia e poi scoppiò a
ridere, stringendosi l’addome con il braccio sinistro e
soffocando l’ilarità con il pugno destro.
«Fratello,
sei irrecuperabile!» commentò Loki, passandosi una mano
sotto l’occhio destro, per poi dare una pacca sulla schiena
di Thor, il quale gli passò un braccio sulle spalle.
«Non
mentire, Loki. Senza di me saresti perso! Nessuno è in grado
di farti ridere come ci riesco io!»
Il
giovane sorrise e annuì. «Questo è vero, hai una dote unica
per riuscire a far ridere il buffone di corte.»
Thor
si fermò e gli mise le mani sulle spalle. «Non sei un
buffone. Sei mio fratello e nessuno può insultare la tua
persona. Neanche tu.» Si fissarono per alcuni istanti e,
quando Loki annuì, Thor gli diede un paio di pacche sulle
spalle, poi si incamminò lungo i corridoi di palazzo,
assieme a lui.
Il
temporale imperversava sulla città, versando violente
scariche di pioggia sui tetti dei palazzi di Asgard. Coloro
che erano stati colti dall’acquazzone lungo le strade, si
stava affrettando per cercare un riparo.
Loki,
con il cappuccio ben calato sul volto, avanzava lungo
l’acciottolato, diretto alla sua meta, mentre il cielo si
incupiva, inginocchiandosi innanzi all’imminente notte.
Il
principe si guardò attorno con rammarico: anche nel Regno
Eterno esistevano zone oscure come quelle, zone dove la
legalità era messa a dura prova. Da bambino ne era
disgustato, mentre ora le trovava utili per i propri studi.
Alcune pozioni richiedevano ingredienti insoliti, rari,
talvolta illegali e i bassifondi costruiti a ridosso del
porto erano il luogo ideale per trovarli.
Quella
sera, però, non erano le pozioni a condurlo nelle bettole da
marinaio.
Loki
alzò lo sguardo, sollevando con una mano il cappuccio per
osservare l’insegna del bordello. Non aveva paura di essere
riconosciuto, visto che aveva magicamente mutato i propri
tratti, in quelli di un uomo dai capelli rossi, gli occhi
azzurri e una corta barba. Deglutì, strinse le labbra e
controllò lo spiazzo davanti l’edificio a due piani. Non era
la prima volta che si recava in una casa di piacere, ma mai
in quella zona e mai…
Il
principe sbuffò, a grandi passi raggiunse la soglia ed
entrò. Socchiuse gli occhi per abituarli alla penombra
ancora più marcata di quella che, all’esterno, preannunciava
le tenebre. Si schiarì la gola, infastidita dal fumo che
riempiva l’ambiente angusto dal soffitto così basso da
trovarsi a poco meno di una spanna sopra alla sua testa.
Decine di occhi si posarono sulla sua figura e, quando una
donna dal prosperoso seno si avvicinò, lui si decise ad
abbassarsi il cappuccio sulle spalle.
Lei
lo squadrò e sorrise. «Non sembri un marinaio.»
Loki
sollevò l’angolo delle labbra verso l’alto in un mezzo
ghigno. «Non importa quel che sembro, ma quel che desidero.»
Il
sorriso di lei si allargò. «Cerchi compagnia?» Lui annuì
impercettibilmente e lei gli diede le spalle. «Seguimi.» La
donna si incamminò, ancheggiando, e Loki la seguì,
guardandosi attorno con discrezione. Allucinogeni, liquori
illegali, prostituzione: la sala era un caleidoscopio di
perversioni.
Quella
che si rivelò essere la proprietaria, fermò una cameriera,
scambiò con essa due parole e poi proseguì, conducendo Loki
in una stanza adiacente. L’odore di chiuso lo colpì come un
pugno allo stomaco.
Poco
dopo il loro ingresso, da dietro un pesante arazzo che
adornava la parete che aveva innanzi, si palesarono una
decina di donne, di diverse età, un paio erano avvenenti,
mentre altre erano divorate dalla sifilide.
«Quale
preferisci?» gli domandò la matrona.
Lui
le studiò, tentato di sceglierne una, ma non era lì per
quello. «Vorrei una compagnia particolare, sebbene costoro
siano tutte molto graziose.»
La
donna sollevò le sopracciglia. «Lo sai che il servizio si
paga in anticipo, vero?»
Loki
scostò il mantello e le lanciò una sacca, gonfia di monete
d’oro. Lei ne saggiò il peso con diffidenza, sciolse il
legaccio e sgranò gli occhi, incredula. Afferrò un pezzo di
metallo e lo addentò, per saggiare la purezza del metallo.
La
matrona sii volse alle altre donne e le scacciò con gesti
frettolosi. «Sciò, via di qua e chiamatemi i ragazzi. Thrud,
mandami Oddar.»
Pochi
istanti dopo, a uscire da dietro l’arazzo, furono dei
giovinetti, alcuni fin troppo giovani e dai lineamenti
efebici. Loki si avvicinò e li studiò attentamente, uno dopo
l’altro.
«Quanti
anni hai?» domandò a un ragazzotto, sollevandogli il mento
per guardarne gli occhi azzurri.
«Tredici»
rispose il ragazzo, fuggendo il suo sguardo.
Loki
vide il rossore diffondersi sul suo volto e gli
atteggiamenti tipici di chi è abituato a mentire ma non lo
fa con cura. Inoltre, il giovane era troppo alto per l’età
che dichiarava. Lo colpì con un manrovescio. «Non mentirmi,
argr(*)!»
Il
giovane, tenendo la mano sulla guancia dolorante, alzò lo
sguardo spaventato sulla proprietaria, alla quale si era
avvicinato un marinaio con la faccia poco rassicurante. Lei
gli passò la sacca di soldi ricevuti da Loki e si avvicinò
al cadetto.
«Mio
signore, perdonatelo. La colpa è mia che gli ho sempre detto
che ha tredici primavere, ma in realtà ne ha tre in più»
assicurò, manipolando la menzogna per giungere alla verità.
Mentre
lei parlava, Loki osservò il marinaio: era poco più alto di
lui, con un fisico robusto come quello di Thor, il viso
bruciato dal sole e i capelli che, sotto lo sporco, dovevano
essere biondi.
«Allora?»
La domanda della donna lo strappò dai suoi pensieri e Loki
la guardò crucciato.
Lei
sorrise e ripeté: «Scegliete il giovane Snorri?»
Loki
tornò a guardare il sedicenne e poi annuì. «Sì.»
«Ottima
scelta» rispose lei e gli indicò una scala accanto alla
quale aspettava una cameriera. «Vi accompagnerà alla stanza
che vi ho fatto riservare» aggiunse.
Lui
si incamminò ma, come mise il piede sul primo gradino, si
voltò e tese il braccio verso il marinaio. «Voglio anche
lui.»
La
matrona sgranò gli occhi. «Ma… mio signore!»
«Il
denaro che ti ho dato basta a mandare avanti questo porcile
per una luna intera, ma se non avrò anche quell’uomo, me lo
riprenderò e ne dovrai fare a meno» minacciò Loki con voce
tagliente.
Lei
strinse le labbra e guardò il marinaio che scosse il capo e
lei lo zittì con un gesto secco della mano. Sorrise e fece
una riverenza. «Lo avrete!» assicurò remissiva.
«Bene.
Prima di farli salire, fate a entrambi un bagno: cercate di
togliergli di dosso l’odore di fumo e pesce.» Loki seguì
quindi la cameriera che lo condusse al piano superiore.