IL PRIMO COLPO INFORMATICO DI RUPERT
NOTE:
L'idea
per questa storia mi è venuta dopo aver visto - per la
trecentesima volta - il film ed essermi accorta che, mettendo in pausa
nel punto in cui Gates, Peanut Butter e Jelly stanno discutendo delle
loro posizioni nella classifica dell' FBI, la schermata relativa a
Gates parla di un colpo avvenuto il 6 ottobre 2010 ai danni dei servizi
informatici di una banca...
Non vi racconto altro ;)
A.
2010.
Da qualche parte in New Jersey.
Gates scappava.
Scappava dagli sbirri, che avevano
cominciato a stargli addosso; scappava da quei due imbecilli con cui
aveva provato ad assaltare un portavalori, un paio di mesi prima, e che
ovviamente avevano mandato tutto a puttane. Si era reso conto che
l'unico modo per fare bene qualcosa era farla da solo: così,
aveva raccolto le sue cose ed era saltato sul primo treno che lo
avrebbe portato abbastanza lontano da loro.
Erano tre
settimane, ormai, che vagabondava attraversando lo stato del New Jersey
in lungo e in largo. L'estate se ne stava andando: le città
stavano lentamente riprendendo il ritmo lavorativo invernale, anche se
la temperatura restava alta e Gates poteva andarsene in giro in maniche
corte godendosi il sole come un turista qualsiasi. Per qualche strana
ragione, però, rimaneva pallidissimo, come se i raggi solari gli
rimbalzassero addosso.
Trascorreva i pomeriggi spostandosi da una
città all'altra. Si era stabilito in una stanza d'albergo a
Summit usando documenti falsi e, grazie alle sue capacità,
neanche i pagamenti erano stati un problema. Si stava godendo un
periodo di tranquilla inattività, dopo la dose di sfortuna che
aveva mandato all'aria l'ultimo colpo.
L'idea del
portavalori si era rivelata un completo fallimento. Il piano era
perfetto, ma quei coglioni con cui avrebbe dovuto collaborare erano
disorganizzati, fatti fino al midollo e non avevano la minima idea di
cosa stessero facendo. Le guardie del furgone avevano intuito che tutto
quel movimento attorno a loro puzzava di trappola. Quando Rupert e i
suoi si erano avvicinati, non erano riusciti nemmeno a scardinare il
portellone che gli agenti erano scesi sparando. Gates aveva persino
rischiato di farsi ammazzare quando, nel mezzo della sparatoria, gli si
era inceppata la mitraglietta e aveva dovuto gettarsi a terra, al
riparo dietro il guard-rail. Messo alle strette, - mentre il traffico
intorno a loro andava in tilt e si formavano tamponamenti a catena su
tutto il tratto autostradale nei pressi del furgone, messo di traverso
tra due corsie, - Gates aveva preferito disfarsi di tutto e scappare a
piedi, arrampicandosi lungo l'alto pannello divisorio che delimitava
l'area, e saltando dall'altra parte. Aveva corso via fino a raggiungere
il primo centro abitato più vicino, fino a non sentire
più le gambe. Da lì aveva preso un autobus che lo aveva
riportato a casa, aveva fatto i bagagli e si era rapidamente dileguato.
Aveva saputo poi che quegli altri due coglioni avevano preso una
macchina e si erano inseguiti per quasi trenta chilometri con gli
sbirri, improvvisando scene da Far West che neanche su Squadra speciale
Cobra 11. Non li avevano presi, ma Gates sapeva che ce l'avrebbero
avuta comunque con lui.
Gates si
fermò davanti all'entrata di un bar in pieno centro e
aspirò l'ultima tirata dalla sigaretta, prima di gettarla a
terra e schiacciarla con la punta della scarpa. Quella zona della
città era tranquilla e dava l'impressione di essere imbottita di
soldi. Gates sapeva di dare nell'occhio, in mezzo a tutta quella gente
distinta e ben vestita, ma non gliene importava niente. I dati sui suoi
segni distintivi che figuravano nel database della Grand Larceny non
corrispondevano più: si era tagliato e schiarito i capelli, e
non assomigliava più al ragazzino col codino, vagamente emo, che
aveva cercato di assaltare un portavalori con l'apriscatole. La gente
lo guardava strano, ed era quello che voleva. Quasi tutti si
soffermavano sui suoi capelli biondo platino sparati, e non facevano
caso alla sua faccia: così era al sicuro. Distratti dai capelli,
nessuno si sarebbe ricordato com'era fatto. Però si era
scocciato di aspettare la prossima occasione, si era scocciato di non
potersene andare in giro tranquillo. La noia lo irritava, e avrebbe
potuto sparare in faccia a qualcuno anche solo per una gomitata
accidentale.
Si sedette a un
tavolo e scrutò la folla, grattandosi distrattamente un lato del
collo – su cui, qualche mese prima,era comparso un altro
tatuaggio, speculare a quello che aveva già dall'altra parte.
Naah,
decisamente non poteva lavorare con gente di cui non si fidasse al
cento per cento. Mai più lavorare con dei pagliacci, mai
più fughe del cazzo in autostrada. Ci voleva qualcosa di sicuro,
qualcosa che potesse fare anche da solo... Certo, per i lavori
importanti ci volevano molte più persone, - e generalmente i
lavori importanti erano anche più divertenti, - ma per il
momento a Gates non interessavano le grandi somme. Voleva solo mettersi
alla prova. Voleva dimostrare a sé stesso di essere capace, di
poter prendere per il culo lo Stato e gli sbirri come e quando voleva.
Era questa - insieme all'attrazione smodata per le armi, che lo
facevano sentire meno sprovveduto e più sicuro, - la parte che
gli piaceva di più delle rapine, a dire la verità. Il
gusto della sfida.
Era una
competizione. Se la polizia andava veloce, lui doveva andare più
veloce di loro. Se la polizia disseminava di ostacoli il suo percorso,
lui doveva trovare il modo di aggirarli. C'era sempre riuscito, e si
era sempre divertito nel farlo. Nella sua cerchia di vecchi amici
ricordavano ancora con soddisfazione quando Gates aveva infilato video
pornografici nel mezzo di una delle proiezioni didattiche
dell'Accademia di polizia, intrufolandosi nel database di Quantico e
obbligando il capo degli sbirri a scuse pubbliche imbarazzanti nel
telegiornale della sera.
Si sentiva elettrizzato ogni volta che stava per
fare qualcosa di fuorilegge. Era una sensazione di cui aveva bisogno,
ormai ne era come dipendente. Amava l'adrenalina, amava sentirsi al di
sopra delle regole, amava tutto della vita che aveva scelto: era nato
per essere un criminale.
Solo che ora non aveva idea di che strada prendere, da solo e con pochi mezzi a disposizione.
Pensapensapensa.
Cosa poteva fare, uno come lui? Praticamente tutto.
Sapeva infilarsi in ogni tipo di rete. Ma non era quello il punto.
Voleva prendersi gioco di qualcuno.
Doveva fare qualcosa che avrebbe fatto sentire gli sbirri come dei veri
idioti. Ci voleva qualcosa di semplice, ma efficace. Ci voleva--
La conversazione animata che un'elegante signora di mezza età stava avendo al cellulare lo attirò.
«No, mi hanno detto che il mio conto è stato bloccato. Ieri sono andata a prelevare e--»
Alla parola prelevare, i neuroni di
Gates presero a sfrigolare. Senza rendersene conto, si leccò il
labbro, gli occhi che brillavano.
Semplice ma efficace. Era un'autentica cazzata, come aveva fatto a non pensarci prima?
Ora sapeva cosa da fare, e gli sbirri si sarebbero sentiti delle vere pippe.
Fulminò con lo sguardo una coppia che lo guardava con troppo insistenza.
«Fanculo tutti!» esclamò ghignando, incamminandosi a passo svelto verso l'albergo.
Si chiuse per tre giorni a
studiare codici e a indebolire un po' alla volta le difese della banca,
con cautela, in modo da non dare nell'occhio. Nessuno si accorse di
niente, segno che:
1. O i tecnici della sicurezza erano dei veri imbecilli
2. o erano degli assenteisti di merda, e non guardavano mai lo schermo neanche per sbaglio.
In ogni caso, a
Gates andava bene. Gli semplificavano di molto il lavoro e, finalmente,
la mattina del 5 ottobre aveva predisposto tutto.
Avrebbe fatto il colpo quella notte stessa. Mordi e fuggi: aspettare non serviva a nulla se non a perdere il vantaggio.
Il tizio della
reception, basso e col naso grosso, vide uscire il ragazzo con i
capelli strani fischiettando, quella mattina.
Ore 00:55.
Gates si agitò sulle gambe.
Inspirò l'aria leggermente più fresca della notte,
riempiendosi i polmoni. Mancavano cinque minuti all'orario che aveva
programmato per l'apertura della cassa automatica, e si sentiva
euforico. Per strada non c'era nessuno, ma non aveva resistito lo
stesso ad accendersi una sigaretta per contrastare il nervosismo. Il
primo colpo serio da solo. Una specie di battesimo. E non aveva dovuto
chiedere aiuto a nessuno! Si sentiva sulle nuvole, avrebbe voluto
mettersi a ballare. Peccato non poter fare una roba eclatante con le
pistole e tutto il resto, ma pazienza, non sarebbe mancata l'occasione.
La sigaretta brillò nel buio.
Quattro minuti e trenta, e il bancomat avrebbe cominciato a sputare banconote a fiumi.
Era come con le puttane: bastava
sapere dove toccare e loro venivano, tutto qui. La cassa automatica si
era rivelata fin troppo facile da manomettere.
Gates represse
una risata, mente le lancette dell'orologio si avvicinavano all'ora X.
Se ne sarebbe andato da lì con centoventimila dollari in una
borsa. E poi? Avrebbe vissuto alla grande per un bel po', poteva andare
dappertutto. Erano tanti soldi da sputtanarsi tutti da solo; ma cazzo,
era sicuro che, non appena li avesse avuti, gli sarebbero venute idee a
palate su come spenderli, poco ma sicuro.
Alla faccia di
suo padre, quel bastardo, e di tutti quelli che lo avevano sempre
giudicato un coglione. Alla faccia di tutti quelli che non avevano
creduto in lui e che gli avevano reso la vita difficile.
Sentì il
ronzio del meccanismo che si metteva in movimento e quasi si mise a
urlare di sollievo, di gioia e di eccitazione quando vide la prima
banconota fare capolino, seguita da un'altra, e un'altra, e un'altra...
«Sì..! Sì, cazzo, sì!»
Era vero, stava succedendo, ce l'aveva fatta. Era stato capace. Stava andando tutto come previsto, per una volta.
Era o no un fottuto genio?
Quando lo
sportello smise di emettere, Gates chiuse rapidamente la borsa e si
guardò attorno. Si paralizzò sui propri passi per un
istante, godendosi la sensazione.
Era andato tutto bene. Era tutto vero.
Sentì un milione di brividi corrergli lungo la schiena, le
pupille dilatarsi, tutto il proprio corpo reagire. Era questo, il vero
piacere. Sapere di avercela fatta, sentire il peso concreto di un sogno
tra le mani, ben chiuso dentro una borsa. Deglutì, cercando di
riprendere a respirare regolarmente.
E poi sentì un sorriso allargarsi, una risata affiorare, e non si trattenne più.
«Fanculo, fanculo tutti!» urlò nel buio, saltando dalla gioia.
Si mise la borsa in spalla e corse
lungo la via deserta, sentendosi leggero mentre i soldi gli
rimbalzavano contro le spalle ad ogni passo.
Sparire, pensare un po' a sé stesso.
Era una vita che sognava di farlo.
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