Il patto
Il
Patto
Ci
sono cose che
hanno un’origine e una fine.
E
ci sono cose
che, semplicemente, esistono.
Il
Patto è
tra di esse.
Libri di
economia, finanza, politica, letteratura. Volumi su volumi, impilati
ordinatamente da un lato all’altro della stanza, covavano
polvere
in silenzio, chiusi sul mondo di parole che intimamente custodivano.
Scienze, antropologia, lingue moderne e antiche, calcolo, finanza;
testi patinati accanto a gemelli rilegati in pelle, notevolmente
più
spessi, composti di carta ingiallita e densa di odori.
Posato
discretamente su un angolo della scrivania, giaceva un libro dalla
copertina in cuoio, spoglia e totalmente neutra. Non riportava
indicazioni né colori, ma restava lì, anonimo; le
sue
pagine erano color ocra, leggermente ondulate
dall’umidità e
corrose negli angoli. Quanti anni poteva avere? Difficile a dirsi:
dai trenta ai trecento. Ma, per ragioni che non trovavano nessuna
base logica, in qualche modo si distingueva dagli altri volumi che
giacevano sul pavimento o sulle mensole, ormai piegate per il celebre
peso della cultura. Senza averne l’aria, era un libro
speciale.
Al di là
della carta e del pensiero, nella stanza c’era anche un
letto,
sistemato in un angolo con l’aria di voler occupare meno
spazio
possibile. Le coperte erano stropicciate, arruffate sul fondo insieme
alle lenzuola, e un corpo era steso per tre quarti tra il materasso e
il cuscino, prono. Doveva avere un viso da qualche parte,
poiché
sembrava umano; ma, se c’era, rimaneva nascosto sotto una
gran
massa di capelli mori, sparsi tra le lenzuola bianche e le spalle. La
sua schiena si sollevava e abbassava lentamente, il rumore
impercettibile del respiro riempiva l’aria, ma non produceva
nessun
altro movimento. Come se la stanza fosse rimasta sospesa in un attimo
mai concluso. E l’uomo immobile accanto al letto non
contribuiva
minimamente a dare una parvenza di vita all’ambiente.
Era un uomo
strano, prima di tutto. Né alto, né basso, magro
ma non
prestante, indossava un golf blu e pantaloni a coste che sembravano
usciti da un’altra epoca. Teneva tra le mani un libro dalla
copertina lucida, e i suoi occhi si muovevano di pochi millimetri
lungo le pagine coperte d’inchiostro. Erano occhi
straordinariamente scuri, pressoché neri, e dal taglio
leggermente allungato; spiccavano sull’incarnato pallido,
sottolineati da zigomi la cui curva morbida scompariva tra i capelli,
e sembravano molto più fissi di quanto sarebbe stato lecito
aspettarsi. All’improvviso ebbero un guizzo, e si posarono
sul
corpo steso scompostamente.
Dal letto
provenne il suono attutito di un sospiro, e poi un movimento leggero,
che presto si trasformò in uno più ampio, e
coinvolse
la schiena e un braccio. Una mano tastò confusamente la
massa
di capelli, li scostò con malcelato fastidio. Da sotto
l’intrico, finalmente, comparve il viso di ragazza che
chiunque si
sarebbe aspettato, e sollevò uno sguardo leggermente
appannato
sull’uomo che restava in piedi accanto al letto.
«Oh»
mormorò, con voce arrochita dal sonno.
«Sono le
quattro di pomeriggio» rese noto lui, chiudendo
silenziosamente
il libro. «E’ una strana sorta di
allenamento?»
«No...»
mormorò la ragazza, cercando di convincere i suoi reticenti
muscoli a sollevarsi a sedere. «Ho finito tardi. Mi sono
addormentata alle otto»
Con
movimenti stanchi portò indietro i capelli che ricadevano
sulla fronte, e si guardò intorno stordita. Non era pallida
quanto l’uomo accanto al letto, ma aveva il colorito
grigiastro di
chi non si espone al sole da molto tempo, e le borse violacee di chi
non dorme regolarmente da anni.
Sbatté
le palpebre, facendo mente locale, e finalmente tornò a
spostare gli occhi nocciola sull’uomo che ancora la fissava.
«Che
succede? Perché sei qui a quest’ora?»
domandò
corrucciandosi.
L’uomo gettò
un’occhiata veloce fuori dalla finestra, dove, tra i palazzi
dell’affollato cielo di Los Angeles, il sole moriva
violentemente
in un incendio di proporzioni epiche. Ma fu lesto a distogliere il
viso, quasi infastidito, e prima di parlare andò a posare il
libro sulla scrivania, in cima a una pila già voluminosa.
«Mi
annoiavo» fu il suo sintetico commento.
«Mh.
Bello» commentò la ragazza dal letto, passandosi
le mani
sul viso stanco. «Allora, signorino non-ho-nulla-da-fare,
che ne diresti di sistemarmi la stanza?»
La ragazza
sorrise, osservando di sottecchi lo sguardo con cui l’uomo la
fulminò. Con un gesto di resa, quindi, si alzò in
piedi
e si lasciò andare a un lungo sbadiglio.
«Cerco di
dare un senso a me stessa. Tu... beh, visto che ti annoi, fai un
po’
quello che ti pare. Trova qualcosa» con una stanca scrollata
di
spalle, gli diede la schiena e scavalcò una pila di libri,
puntando verso la porta semi-invisibile che spuntava timida tra i
volumi.
L’uomo serrò
le labbra con dispetto, poi oltrepassò la scrivania e si
lasciò cadere sulla sedia di morbido velluto che la
corredava,
sprofondando nel cuscino sintetico. Tamburellò nervosamente
le
dita sul bracciolo di plastica, e fece vagare lo sguardo senza
fermarlo su nessun oggetto.
Mi annoiavo.
Che scusa
improbabile.
A occhio e
croce, lei avrebbe impiegato meno di sette minuti per arrivare al
vero motivo della sua presenza lì, e allora
l’avrebbe vista
precipitarsi fuori dal bagno come una Medusa isterica. Allora
sì
che le cose sarebbero state difficili.
Tese una mano
verso il libro di cuoio anonimo che, solo, riposava su un angolo
della scrivania. Lo aprì distrattamente, facendo scorrere le
pagine in un moto rapido e casuale, ma alla fine lasciò che
si
fermassero poco dopo l’inizio.
A dire il vero
lo leggeva solo per far passare i famosi sette minuti, dal momento
che lo conosceva a memoria.
E’
un Patto di
carne e sangue, più vincolante della vita stessa.
Stipulato in
tempi antichi e luminosi, ha il fruttuoso scopo di
perpetrare la
luce della Conoscenza e
mantenere integro
l'Equilibrio.
Mai verrà
infranto, mai verrà
tradito il suo segreto.
Pena
l’oblio
eterno.
Con una
smorfia, l’uomo fece scorrere le pagine, sempre senza seguire
un
filo logico. Erano trascorsi quarantacinque secondi, calcolò.
Sbuffò,
mentre i suoi occhi vagavano annoiati sulle lettere vergate ancora a
mano, secondo uno stile obsoleto ma in qualche modo affascinante.
Preferiva nettamente la versione latina, dovette riconoscere. Quella
moderna aveva un non so che di volgare.
A che punto era
il suo conto? Meno di cinque minuti.
Allora doveva
aver sbagliato qualche calcolo, perché con disappunto
avvertì
il sottile cambiamento nell’aria un attimo prima che la porta
del
bagno si spalancasse; e capì di averla sottovalutata.
«Imo!»
sibilò la ragazza, ferma sulla soglia del bagno con
espressione furiosa.
«Estelle»
rispose lui con un piccolo cenno del capo, quasi stancamente.
«Hai
fatto prima del previsto»
«Non
osare scherzare!»
esclamò lei, attraversando la stanza con
brusche falcate, e
urtò una pila di libri in equilibrio precario.
Raggiunse la
scrivania, vi sbatté le mani sopra, e la sua voce si confuse
con i tonfi dei volumi che cadevano polverosi. «Sei qui per
quello,
vero?»
L’uomo roteò
gli occhi sbuffando.
«Certo
che sì» fu costretto ad ammettere, giocando
nervosamente
con una pagina del testo che sfogliava. «Per quali altre
orride
ragioni mi sarei dovuto spingere fino a questa cloaca in pieno
pomeriggio?»
Negli occhi
della ragazza brillò un lampo di trionfo.
«Allora è
il momento?» domandò con voce vibrante.
«Ci
siamo?»
«Non
esattamente»
L’entusiasmo
di Estelle ebbe un brusco arresto.
«Prego?»
Imo posò
il libro sulla scrivania, con gesto quasi sdegnoso, e si
alzò
dalla sedia senza guardarla.
«Ritengo
che ci siano molte cose che non hai ancora considerato, piccola
mezzosangue» enunciò, con voce asciutta e calda al
tempo
stesso.
Estelle strinse
un pugno, e involontariamente serrò i denti.
«Prego?»
ripeté, in un sibilo furente.
«La
questione del cambiamento.
E il tempo limite. Ciò che implica. La prigionia, gli
obblighi, il mondo in cui ti troverai a muoverti... Se tu avessi
veramente capito tutto ciò che ti è stato
raccontato,
non ci troveremmo qui»
«Imo!
Devi solo eseguire degli ordini!»
«Ma il
libero arbitrio ancora esiste, giusto?» con stizza,
l’uomo si
voltò e le scoccò un’occhiata astiosa.
«E io
non voglio»
«Allora
perché non lo dici a chi di dovere, così mandano
qualcun altro?» Estelle si passò una mano tra i
capelli,
esasperata. «E’ tanto semplice, tanto
elementare!»
«Non
ho mai detto di non volerlo fare.
Ho detto che non voglio che succeda»
puntualizzò Imo.
Nella stanza
scese improvviso il silenzio.
«Tu...
cosa?» alitò Estelle, colta alla sprovvista.
«Da
quando ti opponi agli ordini di Ashan?»
L’uomo
si voltò, quasi infastidito. «Non mi oppongo ai
suoi
ordini, ma alle sue scelte! Nello specifico, mi oppongo a te»
«Ok.
Rinuncio a seguirti»
Sfibrata,
Estelle si lasciò cadere sulla sedia occupata pochi attimi
prima da Imo; era ancora tiepida.
«Non è
tanto difficile» riprese lui, percorrendo
la stanza con ampie
falcate, le mani intrecciate dietro la schiena e lo sguardo
di un
felino innervosito. «Anche se tornassi da Ashan e
gli dicessi
che mi rifiuto di contaminarti, lui manderebbe un altro, e nulla
cambierebbe. Ma io mi rifiuto di pensare che il Ponte debba essere
tu»
«Dimmi
che non lo fai per il mio cromosoma X...» gemette Estelle,
scuotendo penosamente la testa.
«Esattamente
per quello!» scattò
Imo, offeso. «E’ contro ogni
tradizione, contro ogni logica! Le donne sono state
create per far
proseguire la specie. Gli uomini per far proseguire il
mondo!»
«Dio, non
ci credo! Siamo nel ventunesimo secolo! Ma vivi con i paraocchi, come
i cavalli?»
«Se il
mondo è folle, non capisco perché la follia debba
essere tollerata»
«Non
voglio sentire una parola di più!» Estelle gli
puntò
un dito contro, minacciosa, e lo squadrò con astio.
«Vai
da Ashan e chiedigli di mandare un altro, o giuro che non appena
avrò
un paio di zanne ti farò a pezzi, come mio primo atto
consapevole»
Imo scosse la
testa, incassandola tra le spalle.
«No.
Voglio convincerti a cambiare idea»
«Non ci
riuscirai» Estelle roteò gli
occhi, incrociando le
braccia con ostinazione. «Ho passato
un’intera vita a pensare
a questo momento, ho vissuto solo in
funzione di esso! Non puoi
pretendere che ora io decida improvvisamente di cambiare idea! Sei un
idiota, se lo pensi»
«Ti
ucciderò»
Estelle si
irrigidì all’improvviso, fissandolo.
«Non dici
sul serio» mormorò, avvertendo un brivido lungo la
schiena.
«Sì»
replicò lui, immobile. «E lo farò, se
non
desisterai»
«No»
insisté lei, sentendo le guance che si arrossavano per
l’indignazione.
Di scatto,
protese una mano e afferrò il libro che lui aveva lasciato
sulla scrivania, sfogliandolo febbrile. Imo la fissò
accigliandosi, e un’ombra di inquietudine gli
passò sul
viso.
«Non
puoi!» esclamò Estelle all’improvviso,
trionfante,
sbattendo il libro aperto sulla scrivania. «"Un
membro della Stirpe, di qualunque rango, che si macchi di un delitto
non autorizzato dalla Stirpe stessa, incorrerà nella pena
più
grave: l’uccisione, e il conseguente oblio". E tu non vuoi
né
essere ucciso, né essere dimenticato!»
«Ma posso
perdere il controllo» rigido, Imo le
scoccò un’occhiata
altezzosa. «Succede spesso mentre mordiamo:
perdiamo la
ragione, a punti tali da provocare una conseguente amnesia a breve
termine... La Stirpe è molto tollerante, quando
accade»
Estelle esitò.
Se c’era una cosa che aveva imparato di Imo, era che sapeva
mentire
alla perfezione. Ed era quello ciò che di lui più
odiava.
«Non lo
sarebbe oggi» tentò. «Perché
se hanno
scelto te lo hanno fatto con la certezza che saresti stato in grado
di arrivare fino in fondo... Altrimenti avrebbero chiamato un altro.
Lo sappiamo tutti e due»
Imo la fissò,
assottigliando gli occhi.
«La tua
voce tremola» sussurrò. «Non mi sembri
così
convinta di quel che dici»
Estelle deglutì
silenziosamente. Gran bastardo di un vampiro. Era facile fare il
gradasso quando poteva percepire ogni singolo, irregolare battito
cardiaco.
Eppure,
nonostante la situazione fosse pericolosamente in bilico, nonostante
lo fosse proprio a causa di quella sua sicurezza, non poteva fare a
meno di invidiargliela.
La voleva anche
lei, sin da quando aveva memoria. Disperatamente.
Otto bambini
ordinatamente in fila, separati da almeno un metro e nei loro abiti
migliori. Sette maschi e una femmina, tutti tra i cinque e gli otto
anni, tutti tesi, incapaci di stare fermi, intimoriti dalla stanza
troppo grande e troppo lussuosa.
Davanti a
loro, con sorrisi falsi e predatori, tre
uomini. Due sono uomini
d’affari, avvolti nei loro soprabiti costosi e cosparsi di
profumo,
ma l’ultimo è per qualche ragione nettamente
diverso. Più
giovane, innanzitutto, più bello, e in un certo senso
più
nobile. Tutti e tre sono ricchi, ma lui riesce a portare
l’alta
sartoria con un tocco di charme che agli altri manca. E li guarda con
molta, molta più attenzione.
Finché
il suo sguardo non si fissa sull’unica bambina.
Gli altri
due uomini sembrano improvvisamente turbati, si innervosiscono.
«Oh,
lei... Chiediamo scusa, ma i numeri... Se è un problema la
facciamo uscire, davvero»
L’uomo li
mette a tacere con un cenno, e loro ammutoliscono. Continua a
fissarla, come si fa con un’opera d’arte, come si
fa con qualcosa
che non si comprende, qualcosa di bello, di sublime, quasi. Poi si
avvicina. Un passo, due. La bambina ricambia lo sguardo, impietrita,
spaventata e affascinata al tempo stesso; non può
distogliere
gli occhi, proprio non può. L’angelo biondo
l’ha scelta,
muoversi è impossibile. Si ferma davanti a lei, a meno di un
braccio di distanza, ed è davvero alto e bello. Ha gli occhi
ambrati, grandi, magnetici. Ma non sorride. Mai.
«Come
ti chiami?» domanda, con voce melodiosa.
«Estelle»
risponde lei, fievole.
«Estelle»
ripete lui, assaporando il suono del suo nome sulla lingua.
«In
graduatoria?» domanda poi, con voce completamente diversa,
dura; non ha bisogno di voltarsi, i due uomini capiscono subito che
si rivolge a loro, e trasaliscono.
«Prima»
balbettano, con un certo disagio.
L’uomo
sorride, finalmente. Ed è miele colato su oro e mirra, un
incantesimo che scende su Estelle e la incatena per sempre, volente o
nolente.
«Il
mio nome è Ashan. Da oggi non lo scorderai mai
più»
Ashan. Un
suono morbido, che scivola nel palato come neve.
Non lo aveva
dimenticato, così come non aveva dimenticato la
tonalità
ambrata dei suoi occhi, o il profumo quasi impercettibile che emanava
dalla sua pelle. Ashan, l’angelo che l’aveva
scelta, l’aveva
anche legata a sé, alla sua causa, alla ragione per vivere
che
le aveva imposto. E mai imposizione era stata più dolce.
A distanza di
anni, Estelle ancora bramava Ashan e ciò che rappresentava.
Nonostante l’adolescenza, nonostante il denaro, nonostante le
emozioni, l’incantesimo con cui l’aveva legata
agiva inesorabile,
e la spingeva a rifiutare tutto, ogni singola cosa, pur di essere
come lui, pur di essere accanto a lui. L’inestimabile valore
della
sua natura umana impallidiva, di fronte al dono della perfezione. Ed
Estelle era stata educata ad essere perfetta, sommersa dai libri e
costretta ad imparare volontariamente lo scibile che era in grado di
raggiungere.
«Non sei
tipo da fartela sotto» sibilò rivolta a Imo,
serrando i
pugni. «Ashan ti ha mandato qui per mordermi, e tu mi
morderai.
Lo sai che non è una formalità, ma un compito. E
sai
che è importante, più importante di ogni altra
cosa.
Ashan mi ha scelta, anche se sono femmina: se lui mi ha scelta, tu
devi inchinarti e obbedire al suo volere. Queste sono le regole,
no?»
Imo contrasse
leggermente la bocca, come se avesse ingoiato un boccone amaro.
Sfortunatamente per lui, la ragazza aveva centrato il punto.
Gli ordini
di Ashan non si discutono, pena la morte e l’oblio.
Aprì
e chiuse i pugni, combattuto. Gli ordini non si discutono, certo, ma
lasciare tutto in mano a quella femmina era troppo. Le
donne sono fatte per procreare.
Pro-cre-a-re. Era così semplice, così perfetto!
Da
quando il mondo era impazzito? Da quando aveva frainteso la
creazione?
«Lui mi
ha scelta. Me. Qualunque ragione avesse, non sono affari
tuoi»
mormorò Estelle, intravedendo una crepa nella corazza di
Imo.
«Quindi... Fai il tuo lavoro, e basta. Poi vattene»
Calò un
silenzio denso come pece. E senza volerlo, Estelle ripensò
alla prima volta che lo aveva incontrato.
«Da
oggi sarà lui a occuparsi della tua educazione. Si chiama
Imo»
Era più
magro e smunto dei suoi compagni, questo fu ciò che
pensò
vedendolo. Gli altri erano affascinanti, eleganti, pressoché
perfetti (anche se non ne aveva visti moltissimi); lui invece aveva
una nota inspiegabilmente goffa.
«E tu,
Jamus?» chiese Estelle.
La creatura
accanto a Imo sorrise distaccata, nella sua algida perfezione.
«Io mi
occuperò di altre cose»
Estelle
rimase delusa. Era convinta di essere lei la cosa più
importante. Pensava che, dopo dieci anni, anche loro
si affezionassero.
Ma per loro
dieci anni erano un secondo, lo avrebbe capito soltanto tempo dopo.
Studiò
per qualche istante quello strano Imo che le presentavano. Le
sembrava poco affidabile, e anche piuttosto irritato. Ne ebbe paura.
Era la prima volta che le capitava di averne, e si accorse di non
essere preparata. Smarrita, guardò il suo vecchio maestro,
in
cerca di aiuto.
«Starete
insieme qualche anno» disse lui, magistralmente distaccato.
«Poi arriverà il gran giorno. Credo che ci
rivedremo
dopo di allora, Estelle»
E la
semplice menzione del gran giorno bastò a riconfortarla.
Presto tutto
sarebbe stato perfetto.
Imo era diverso
dagli altri. Era più umano; meno succube alla Stirpe, in un
certo senso.
Solo ora che se
ne rendeva conto, Estelle si chiedeva perché Ashan avesse
inviato lui. Sicuramente c’erano altre centinaia di volontari
più
adeguati.
Era
tutto così sbagliato!
Per una vita l’avevano preparata a cambiare,
l’avevano educata,
plasmata e orientata verso di loro. Poi, all’improvviso, la
prospettiva si ribaltava, senza che nessuno l’avvisasse.
Forse
era una prova, pensò all’improvviso. Per testare
il suo
istinto. E lei stava pure rischiando di perderla. Merda.
Gli
uomini l’avevano scelta per la sua intelligenza, loro
per ragioni che ancora non comprendeva. Pensava fosse qualcosa nel
suo sangue, o nel suo corpo, ma ora iniziava a sospettare che
sapessero scavare più a fondo, molto più a fondo.
Avevano visto
in lei qualcosa di speciale? Ma cosa? E come poteva riconfermarlo?
Diventando
una di loro.
Lo realizzò
all’improvviso, seguendo gli oscuri meccanismi dei suoi
ragionamenti. La missione non riguardava solo Imo, ma anche lei. Da
quando, dodici anni prima, Ashan l’aveva scelta, le aveva
anche
affidato un incarico. E ora si trovava davanti alla prova
più
dura.
Serrò i
denti, fissando l’avversario.
Per arrivare
ad Ashan, qualunque cosa.
Di scatto portò
la mano al collo, e artigliò il maglione di cachemire che
glielo fasciava, abbassandolo ferocemente. Espose la giugulare con
tono dichiaratamente provocatorio, lasciando che il cuore nel petto
scoppiasse e la rendesse ben evidente, e infine, colpo di grazia, si
morse il labbro. A fondo, con rabbia, alla ricerca delle gocce di
sangue che avrebbero inferto l’ultima spinta al delicato
equilibrio
su cui si reggevano entrambi.
«Qualunque
cosa sia, fallo» sibilò.
Ebbe a malapena
il tempo di vedere il guizzo scarlatto negli occhi
di Imo, la
subitanea trasformazione del suo viso e il brillio candido tra le
labbra rosse. Registrò tutto nella frazione di un secondo,
poi
ci fu l’urto, e i suoi occhi si chiusero d’istinto.
Sentì
l’aria lasciare i polmoni con un rantolo doloroso, una pila
di
libri le cadde sulle gambe, e il cuore, nel petto, batté con
violenza inusitata, allarmato. Non riuscì a riprendere
fiato,
perché quando il suo diaframma si sollevò alla
ricerca
di ossigeno, qualcosa premette e lo bloccò. Nello stesso
istante, il dolore acuto alla base del collo, pochi centimetri sopra
la clavicola, e le scintille davanti ai suoi occhi ciechi.
Allora
esplosero i ricordi, come coriandoli confusi, e si mescolarono nella
confusione della tempesta.
E’ un
Patto di carne e sangue, più vincolante della vita stessa.
Uomini e vampiri, creature della luce e creature delle tenebre. Lo
capisci, Estelle? Sì, Jamus, è semplice. Brava
bambina.
Sei intelligente.
Sei
intelligente, Estelle. I tuoi voti sono strabilianti. E’
anomalo,
ma forse... Vorremmo portarti a conoscere certe persone. Non avere
paura.
Non avere
paura.
Ho paura. Fa
male. C’è solo male, ovunque, dolore, dolore,
dolore. Il mio
cuore... Chi sta stritolando il mio cuore?
Cosa mi
insegnerai, Imo? Ho già imparato tutte queste cose.
Studierai
da sola. Io mi limiterò a girarti intorno.
Perché, Imo?
Perché sì.
Ancora gli
anni non avevano un conto, ed Essi già erano. Essi
già
pensavano, agivano, e colpivano. Poi, Essi vollero camminare nella
Luce. E così la Stirpe strinse il Patto.
Ma perché
non possono farlo da soli? Cioè, che bisogno hanno di me,
maestro Jamus? Tu sei il Ponte, Estelle. L’importantissimo
Ponte
che permette ad Ashan di conservare il Controllo.
Senza di
Essi l’ordine non avrebbe luogo. Nella luce, ogni cosa
sarebbe
semplicemente confusa e indistinguibile. Essi sono la mente. Il Ponte
è il loro braccio.
Dovrebbe
smettere. Perché non smette? Perché fa
così
male?
Imo... Imo,
lo stai facendo. Stai cedendo.
Perderai,
dunque?
Perderemo
insieme?
Sono tutte
leggende, Estelle. Gli uomini trasformati in vampiri non sono
vampiri. Sono ibridi, hanno una vita limitata e poteri deboli. Allora
anche io sarò debole? Non sarò una di voi? Tu
sarai
speciale, Estelle. Tu sei il Ponte.
Il Ponte
regola i rapporti tra la Stirpe e la Luce, e dunque
l’Equilibrio.
Il Ponte è scelto per la sua posizione sociale, e per le sue
capacità individuali. Il Ponte verrà legato alla
Stirpe
con un laccio indissolubile. Soltanto la morte potrà
spezzarlo.
Una di
loro...
Forse non è
così importante...
Soltanto la
morte. Spezzare il laccio. Soltanto la morte. Brucia. Brucia!
Brucia da
morire!
Un’altra pila
di libri rovinò a terra, sollevando una piccola nube di
polvere.
Da qualche
parte, decine di piani più sotto, il
ronzio attutito del
traffico si mescolava alle folate di vento, e
nel minuscolo
appartamento riecheggiava solo il modesto tramestio dei libri che si
sistemavano.
Imo si sollevò
lentamente dal corpo di Estelle.
La sua testa
era un vortice confuso di pensieri e sensazioni. Sebbene non
avesse
mai provato emozioni umane, era certo che
l’ebbrezza della sete
superasse di gran lunga qualunque ormone chimico.
Si tirò
in ginocchio, e raccolse il sangue che era colato fino al mento,
portandolo alle labbra con un tremito avido. I suoi occhi rimasero
fissi su Estelle, sulla gola esposta e ancora tiepida che fino a
pochi istanti prima era stata contro la sua bocca. Il sapore del suo
sangue era fermo sulla lingua, caldo e terribilmente perfetto. Non
aveva mai toccato sangue più perfetto... Forse
perché
lei era il ponte? Forse era in base a quello che Ashan sceglieva,
generazione dopo generazione? Dopotutto c’era bisogno di un
umano
che fosse più di un umano. Una creatura
dall’intelligenza
sensibile, in grado di comprendere i meccanismi del mondo della luce
e di quello delle tenebre, e unirli, metterli in comunicazione e
farli coabitare. Forse le doti intellettuali si scioglievano nel
sangue, e gli donavano un sapore che definire afrodisiaco era poco.
Il Ponte viveva
soltanto cento anni. Poi, perché non impazzisse, la Stirpe
si
occupava di eliminarlo. Gli umani non erano progettati per essere
perfetti troppo a lungo: la loro mente, inevitabilmente, cedeva.
Eppure quegli umani, quell’umana, erano particolari. Il loro
sangue
aveva qualcosa d’insolito, quasi di pericoloso. Rischiava di
diventare una droga. Forse era quel sangue che permetteva a lei e a
tutti i Ponti di resistere, di mantenere il controllo.
Probabilmente,
che Estelle fosse donna non importava affatto. Gli uomini non avevano
mai pensato che una femmina potesse essere il Ponte, e di conseguenza
nemmeno la Stirpe.
Ma Ashan aveva
deciso, al di là delle convenzioni. E quel sangue non poteva
che essere la prima scelta.
Era così
facile convincersene, dopo averlo assaggiato...
«All’inizio
sarai confusa» sussurrò, passandosi lentamente le
dita
sulle labbra. Il suo compito non era finito. «Non avere
paura.
La sensibilità tornerà presto. E poi, per prima
cosa,
avvertirai la sete. E’ normale. Il tuo corpo ha bisogno di
nutrimento nuovo»
Gli occhi di
Estelle guizzarono per un istante, sotto le palpebre socchiuse.
«Brava,
inizia dalle basi»
Le sue labbra
tremarono, le dita fremettero impercettibilmente.
«Così,
poco a poco»
Imo si fece
indietro, fino a raggiungere il letto. Si lasciò cadere
seduto, ancora scosso da un lieve tremito.
«La
trasformazione è a malapena iniziata. Proseguirà
per
diversi giorni. Quando desidererai solo sangue, allora sarà
completa... Ora muoviti con cautela. L’istinto ti
spingerà a
fare cose che non puoi ancora fare. Controllati»
Le gambe di
Estelle si contrassero, piegandosi all’improvviso. Un rantolo
le
riempì i polmoni vuoti.
«Ci sei
quasi. A breve potrai alzarti»
Con un mezzo
ghigno, Imo si accarezzò il collo pallido, più
pallido
di quello di Estelle. La guardò rotolare su un fianco,
continuando a somministrarle piccoli consigli, a descrivere le
condizioni in cui si trovava, a prepararla a quello che sarebbe
venuto, così come era stato istruito a fare.
La
guardò e si chiese perché
mi sono fermato?
Il suo sangue
era inebriante. Le motivazioni c’erano tutte. Eppure, alla
fine, si
era fermato. Alla fine si era limitato al suo compito, nulla di
più.
Ashan, avevi
previsto anche questo?
Vide Estelle
sollevare lentamente il capo, l’espressione stravolta e
ferina
degli umani appena trasformati. Non aveva nulla della perfetta
bellezza dei vampiri: le occhiaie erano ancora lì, e ora le
pelle tendeva sugli zigomi. Chissà cosa si provava ad essere
contaminati. Per quanto lo avessero preparato, non riusciva a
immaginarlo davvero.
«Mi
vedi?» le chiese, passandosi la lingua sulle labbra.
Estelle lo
fissò ad occhi spalancati e vuoti.
«Quando
mi vedrai, la sensibilità sarà
acquisita»
Senza volerlo,
Estelle sollevò le labbra e mostrò i denti,
nient’affatto acuminati.
«Il tuo
primo istinto probabilmente sarà...»
Non terminò
mai la frase. All’improvviso Estelle fu su di lui, e quasi
gli
parve di sentire i suoi muscoli gridare per il dolore. Colto di
sorpresa, si sentì spingere sul letto e avvertì
la
lacerazione dei canini smussati sulla pelle del collo. Gli
sfuggì
un gemito, perché per raggiungere la giugulare dovettero
tormentare una generosa porzione di carne, e poi conficcò le
unghie nelle sue braccia, ancora sorprendentemente morbide e calde.
«Non
così!» ruggì, staccandola a forza.
Estelle lo
fissò ad occhi sgranati, il viso imbrattato di rosso e i
capelli in disordine. Tentò nuovamente di attaccarlo, ma
questa volta fu lui a spingerla con la schiena al letto, e prima di
accorgersene la bocca premeva ancora contro il suo collo, e il sapore
del suo sangue gli riempiva la bocca.
Staccarsi fu un
atto incondizionato, per la seconda volta. La droga migliore della
sua eternità era anche l’unica da cui si ritraesse
spontaneamente. Estelle si contorse sotto la sua presa, e
tentò
ancora di avventarsi su di lui. Imo la tenne giù, e
scoprì
all’improvviso che la trovava eccitante. Per quanto fosse in
disordine, fuori di sé e femmina, all’improvviso
la trovava
eccitante.
Sorrise, anzi
ghignò, aumentando la stretta sulle sue braccia.
«Hai
sete?» sibilò, chinandosi su di lei.
Estelle
ringhiò, protendendosi verso il suo collo.
«Sarò
il miglior Ponte che la storia ricordi» promise con voce
roca,
e quelle furono le prime parole della sua nuova condizione, le prime
lucide, almeno.
Imo snudò
i canini; tese il collo.
«E
allora bevi»
E’
un Patto di carne e sangue, più vincolante della vita stessa.
Il
Patto dipende dall’Equilibrio.
L’Equilibrio
dipende dal Ponte.
Il
Ponte dipende dal segreto.
Il
segreto dipende dal legame.
Così
è da sempre e per sempre sarà.
Ci
sono cose che hanno un’origine e una fine.
E
ci sono cose che, semplicemente, esistono.
Il
Patto è tra di esse.
* * *
Alcune
note doverose: da anni mi scervello sul come e il
perché esseri umani di carne e sangue potrebbero essere
trasformati in vampiri freddi e liberi dalla schiavitù dei
bisogni vitali. Francamente non mi convincono né Stoker
né la Meyer, c'è sempre qualcosa che nei loro
ragionamenti non mi torna... Non voglio nemmeno menzionare la storia
dei cromosomi, che mi ha fatto ridere per non piangere, e Stoker potrei
salvarlo ricordando il periodo in cui scriveva e soprattutto che
addebitava la natura dei vampiri al Maligno (si sa, finendo sul mistico
tutto è possibile). Comunque, ad oggi non sono ancora
arrivata a nessuna considerazione che mi faccia accettare che un corpo
nato per funzionare grazie a sangue e ossigeno possa farne a meno. E
quindi non ho indagato a fondo nella natura dei vampiri, dando per
scontato che esistano da sempre, e tanti saluti. Come avrete notato,
Imo è descritto caldo, ed Estelle non subisce alcuna
trasformazione fisica evidente. Il pallore potrebbe anche essere una
caratteristica naturale, e, nel caso di Estelle, momentanea
anemia e reclusione, ma voi non soffermatevici troppo. Ho fatto una
serie di ragionamenti per descrivere questo mio vampirello goffo (che a
me, contro ogni logica, fa tenerezza...), ma replicarveli verrebbe
troppo lunga!
Ringrazio Ghen e Marian, i due giudici del contest "Il morso di un vampiro", nel
quale questa storia si è classificata al secondo posto, e vi
esorto brutalmente (ho tirato fuori il manganello) a leggere la prima
classificata (di roro) e a unirvi alla mia richiesta di un seguito!
Grazie per aver letto fin qui, e arrivederci!
Curiosità: "Imo" è la pronuncia
inglese di "emo", il celeberrimo termine che indica una vasta parte
della popolazione giovanile incline all'autocompatimento e
autolesionismo. Imo è così battezzato
perché nella mia testa assomiglia un po' a L di
Death Note, fisicamente parlando. Tuttavia, sempre nella mia testa, per
motivi che mi sfuggono L è ricollegato a Sasuke Uchiha,
della serie "Naruto" (saranno i capelli?), e lui in quel fandom
è considerato l'emo per eccellenza. Ecco quindi il
perché del nome! (qualcuno me lo ha chiesto... Se il dubbio
venisse anche a voi, ecco la risposta!)
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