Il coraggio è
non abbandonarsi, o più semplicemente ancora, il non cedere, anche
quando ogni
direzione sembra condurre ad una sola, ed inevitabile, destinazione.
Il coraggio
è non mollare la presa quando si ha un precipizio sotto di sé e la
testa di un
drago sopra: scegliere tra precipitare ed essere divorati può apparire
semplice,
al punto che diviene possibile giustificare razionalmente la propria
decisione...
ma queste due alternative, non comprendono tutto: esiste sempre
un'altra
possibilità. Il coraggio, quello vero, è soprattutto questo: la
capacità di sperare
e di continuare a farlo, nonostante tutto.
È proprio con
la paura nella mente e la speranza nel cuore, che Hnoss ha scelto di
non
muoversi: trattiene perfino il respiro, mentre le sue dita artigliano
la roccia
e le sue spalle si intorpidiscono, per il freddo e lo sforzo. Uno
stillicidio,
ma a cui si sottomette comunque, resistendo di traverso sulla parete,
sostenendosi
solo con le mani e un piede, mentre il vento si insinua senza pietà nel
suo
cappotto di pelliccia di orso nero.
È il primo
giorno di primavera, o ciò che passa come tale a Skyrim: il cielo è
così azzurro...
come se fosse la prima volta che si mostra di quel colore dalla
creazione del
mondo. La brezza però, gli ha già spaccato le labbra e le raffiche
hanno
sporcato di neve il volto del giovane uomo. Nonostante questo, e la
difficoltà
dell'ascesa, c'è voluto un drago per fermarlo: come tutti i Nord, Hnoss
è più
testardo di una capra... ma con il Dovah
sopra di lui, rischia ora di farne la stessa fine.
Non c'è dubbio
che il drago, enorme e dello stesso colore del sole al tramonto, lo
abbia
visto: non si dice forse che gli occhi di un Dovah
sappiano cogliere un topo in mezzo alla brughiera anche
quando volano più alti delle nuvole? E quindi al giovane uomo del Nord
non
restano che due cose da fare in quel momento: guardare il suo riflesso
nel
titanico specchio che è l'iride azzurra del drago, e resistere in
silenzio.
Non è
impossibile sopravvivere ad un drago: se si è fortunati o da soli, si
può
riuscire perfino a scappare da uno di essi... o se invece si è molto
valorosi,
o semplicemente in molti, è perfino possibile vincerne uno in
combattimento.
Quello a cui non si può sopravvivere però, è un drago che si sia
offeso: non si
può sfidare l'orgoglio di uno dei primogeniti di Akatosh. I Dovah
sono quasi più antichi del tempo
stesso, e anche se il loro primogenito è stato abbattuto, la loro forza
non è
per questo diminuita. Se si incontra un Dovah
dunque, e non si può né scappare né combattere, allora è bene lasciare
a lui la
parola per primo: i draghi guardano con meno disprezzo a prede...
educate.
"...Drem Yol Lok." disse alla fine il Dovah,
aprendo e chiudendo le sue fauci:
il saluto della sua stirpe. Nella loro lingua, letteralmente: pace,
fuoco e
cielo.
Fu un
sollievo impossibile da descrivere per Hnoss, quando furono quelle
parole a
passare tra le zanne del drago, invece che fuoco, ghiaccio... o peggio.
Il
giovane Nord non era mai stato educato a distinguere le varie tipologie
di
draghi: sapeva solamente che il Dovah
che aveva di fronte era dotato di un muso appuntito, una sorta di
becco, che
gli donava tratti da volatile, e una strana gorgiera di pelle, tesa tra
spine
perpendicolari al suo collo. Il suo aspetto non era solo terribile, ma
anche
strano: di certo non era un drago comune...
"Sa...
salute, erede della stirpe di Akatosh..." rispose Hnoss, balbettando
per
la paura e il freddo.
Gli
lacrimavano gli occhi ormai per lo sforzo di non chiuderli, ma il
giovane uomo
era deciso, e aveva le capacità, a resistere: il suo apprendistato alla
forgia poteva
servire anche a questo.
"...Avete...
avete intenzione di mangiarmi?" chiese sinceramente al drago: coraggio,
l'unica cosa che potesse salvarlo in quel frangente.
Quello, e
forse un po' di fortuna: Hnoss era un po' più basso dei suoi coetanei,
ma se il
drago fosse stato a stomaco vuoto...
"Solo
se cadi." gli rispose il Dovah: la sua voce era così profonda da far
tremare
le rocce, ma Hnoss annuì: avrebbe potuto andargli peggio.
"...Potreste...
potreste aiutarmi?" domandò ancora, passandosi la lingua sulle labbra
sanguinanti: come Hnoss scoprì però, l'ingenuità non fa parte del
coraggio.
"Non gioco
con il cibo." ribatté sprezzante il drago: "Nemmeno quando ha Zul. Voce..." ma non il Thu'um dei Dovah, che scuote il mondo: solo Zul. La
flebile voce dei mortali:
"...inoltre,
sarebbe meglio per te non procedere amativ.
Molti giungono a questa strunmah...
questa montagna. Molti potrebbero hi naak...
mhh... mangiarti. O peggio."
"La
vostra gentilezza è pari solo alla vostra saggezza, nobile drago.
Ma..."
Hnoss si sforzò enormemente per trovare il modo migliore per
continuare: mai,
mai offendere un drago!
"...la
mia debolezza mi impedisce di cominciare la discesa senza aver prima
finito la
salita." al giovane Nord, pareva in effetti che le dita gli si
potessero
staccare dai palmi da un momento all'altro: doveva raggiungere la cima
ad ogni
costo, la stessa cima da cui il drago si sporgeva su di lui, e
riposare... o
sarebbe caduto, e più prima che poi.
"Sei
stato avvertito, Joor: chissà se
questo tuo essere sahlok... debole,
ti renderà... mhh... anche insignificante abbastanza da
sopravvivere..." rifletté
il drago, parlando più con sé stesso che col giovane uomo.
Un dubbio
legittimo, ma in quel momento Hnoss aveva forze sufficienti per
concentrarsi su
una cosa sola: invece che riflettere, scelse di focalizzarsi sullo
scalare gli
ultimi metri di quella parete rocciosa, irta e dai bordi resi affilati
dall'erosione del vento. Non fu facile, e l'avere un drago ad osservare
ogni
sua mossa non aiutava di certo, ma l'idea di poter diventare solo una
macchia
scura alla base della montagna fu probabilmente la spinta di cui aveva
bisogno
per restare aggrappato ed insistere, un appiglio alla volta.
Ce la fece
alla fine, afferrando l'orlo e tirandosi in alto, strisciando prono
sulla
roccia, ormai senza fiato, fino a quando solamente i suoi piedi
rimasero a dondolare
sull'abisso: una posizione scomoda, ma la sensazione di avere della
roccia
sotto il petto e una presa sicura nelle mani era inequivocabile ed
esilarante
allo stesso tempo. Il Nord si concesse un sospiro per ristorarsi ed
esultare: era
ancora vivo.
Poi fece l'errore
di alzare la testa e guardarsi attorno:
"Oh."
fu tutto quello che Hnoss riuscì a dire: era arrivato in cima, ma il
drago non
era solo, come aveva invece pensato.
Si trovavano
su una piatta terrazza di roccia, abbastanza larga da permettere ad
almeno un altro
dei primogenti di Akatosh di atterrarvi senza dover chiudere le ali. La
ragione
per cui Hnoss non era stato mangiato era poco più in là: una zampa di
mammuth ancora
sanguinante e mezza spolpata, che Hnoss riconobbe più per l'odore
bruciato
della pelliccia che per il suo aspetto. Difficile che il resto del
mammuth
fosse andato lontano: brandelli di pelle si allargavano sulla terrazza
di
pietra, come vele strappate dal vento, e almeno un osso era già stato
spezzato
per succhiarne il midollo. Il rosso vivo, della carne e del sangue,
contrastava
sul granito iridescente, color giada e rosa...
E sull'altro
capo della terrazza di pietra, sporgendosi sull'abisso che era l'altro
versante, ancor più scosceso di quello che il giovane Nord aveva
scalato, si
ergeva una delle ragioni per cui Hnoss avrebbe fatto meglio a non
terminare la
sua scalata.
A Skyrim,
tutti conoscono le leggende: c'è stato un tempo, in un'era che uomini
ed elfi
hanno quasi dimenticato, e che uomini bestia non hanno mai vissuto, in
cui i draghi
dominavano sul mondo e gli uomini erano loro schiavi. Il tempo della
tirannia
di Alduin, il Divoratore del Mondo, in cui ali feroci e zanne crudeli
governavano la terra ed il cielo: solo prostrandosi si poteva
sopravvivere. E
tra tutti gli schiavi, il terribile primogenito di Akatosh scelse in
quei tempi
antichi alcuni, imbevendoli di potere ed elevandoli più vicino al
cielo. Sonaakke: i sacerdoti di un culto
sanguinoso devoti ai loro alati maestri, che amministravano la terra in
loro
vece in quell'epoca buia. Nove di loro dominavano Skyrim ai tempi di
Alduin, e
non è un caso che nove siano oggi i feudi di questa terra: la Storia
non
dimentica mai il passato, al massimo lo trasforma.
Nove Sonaakke, nove potenti stregoni e
negromanti, che anche quando Alduin fu bandito nelle correnti del
tempo, perché
troppo forte per essere davvero sconfitto dagli antichi Nord che si
erano
infine ribellati alla sua tirannia, e perfino dopo essere stati uccisi
e
sepolti; aveva atteso il ritorno del loro signore con pazienza,
riemergendo dai
loro sepolcri all'abominio che era la non-vita quando il Divoratore del
Mondo
era ricomparso assieme agli altri draghi, in tempo per affrontare
l'ultimo
Sangue di Drago, il Dovahkiin.
Strano in
fondo come passati così diversi, uno remoto e ricordato con precisione
solo dai
Dovah, e uno assai più recente,
misere generazioni or sono, si sovrapponessero in quel luogo.
Hnoss non
riusciva a crederci: la figura che gli dava le spalle era proprio come
veniva descritta
nelle leggende. Un lungo mantello di broccato rosso, a coprire dalle
spalle ai
piedi, e una cupa maschera con cappuccio a nascondere il volto: eppure,
Hnoss
sapeva che il silenzioso osservatore di quel panorama non poteva essere
davvero
uno degli antichi sacerdoti dei draghi. Otto Sonaakke
erano stati sconfitti dal Dovahkiin, e del nono non si
avevano mai avuto notizie: nemmeno la sua
maschera restava più a Tamriel... ma ciò che davvero tradiva la vera
identità
della figura vestita di rosso, era l'insegna tessuta sul suo mantello.
Blu,
come il mare, a formare con un'unica linea un simbolo che perfino Hnoss
conosceva: l'occhio stellato, il marchio del Collegio di Magia e
Stregoneria di
Winterhold. Cosa esattamente, un incantatore e un drago stavano
compiendo in
quel luogo, prima del suo arrivo?
"Indeinsetiid..."
pronunciò la figura senza voltarsi: Hnoss ci mise un poco a comprendere
che
quella prima parola doveva essere il nome del drago che lo aveva
accolto, tanto
che quasi perse il resto della frase.
"...avevi
detto che era uno scoiattolo." quale fu lo stupore di Hnoss nello
scoprire
che era una donna a nascondersi sotto quelle vesti!
Per quanto
strano potesse sembrare, il drago al loro fianco rise, guardando Hnoss
con un
unico grande occhio:
"I Joorre sono così simili ai Raanne...
agli animali, che a volte mi...
mmhh... confondo."
"...Vero."
rispose la figura incappucciata, finalmente voltandosi.
Hnoss si
ritrovò a fissare un volto cupo, grave e stilizzato, come già aveva
immaginato:
ogni maschera degli antichi sacerdoti del culto dei draghi aveva lo
stesso
volto, così dicevano le storie, differendo solo nella sostanza di cui
erano
fatti. Quella maschera in particolare era fatta di legno, ma Hnoss non
aveva
mai sentito di una maschera degli antichi Sonaakke
fatta di legno...
La donna non
si presentò, né rivelò il suo volto, ma Hnoss sentì il suo sguardo
scorrergli
addosso, come un vento gelido: il giovane uomo non ricambiò lo sguardo
dietro
il legno scuro. Come tutti i Nord, anche Hnoss temeva e disprezzava la
magia:
c'erano storie di uomini resi pazzi per un solo sguardo di mago.
Difficile
comunque che quella strega avesse bisogno di dominare la sua mente per
ucciderlo, soprattutto in quel luogo:
"...Più
un leprotto, che uno scoiattolo." commentò la donna dopo averlo
osservato
a lungo, rivolgendosi al drago: "...Un coniglio dalle orecchie
corte."
Di nuovo, a
Hnoss non restò che confidare nei nove dei e nella fortuna:
"Avevo
sentito dire..." cominciò con voce flebile, senza rivolgersi a nessuno
in
particolare: "...Che non si può visitare questo luogo senza incontrare
un
drago, la morte o un miracolo... non pensavo lo si intendesse così letteralmente... né che li avrei
incontrati tutti e tre."
La donna
rise, lievemente: una bella risata di petto, giovanile. Nemmeno la sua
voce
sembrava quella di una vecchia, ma fino a quando non l'avesse vista in
faccia, l'uomo
del Nord non avrebbe provato ad indovinarne l'età:
"...Si
dice così, mh?" chiese la strega e Hnoss annuì: "...Come ti chiami,
leprotto? E guardami pure negli occhi: non ho bisogno di incrociare il
tuo
sguardo per costringerti a saltare dal bordo da cui sei salito."
Un pensiero
assai poco confortante, ma il giovane uomo del Nord obbedì a quella
richiesta:
streghe e draghi... streghe che cavalcano i draghi... mai offendere
simili
esseri!
"...Hnoss
Guerriero Grigio." rispose.
"E cosa
porta il nipote di un fabbro in questo luogo?"
Hnoss era un
po' più basso dei suoi coetanei, colpa del 16° di sangue Yokudan che
gli
scorreva nelle vene, e naturalmente d'indole paziente, per via del
tempo
passato a badare alla forgia: al metallo dopotutto non si può fare
fretta, ma
questo non voleva dire che fosse privo delle passioni così tipiche fra
i
temperamenti del Nord. Hnoss non era abituato a farsi canzonare, né
umiliare:
non aveva mai incontrato prima una strega cavalcatrice dei draghi, ma
non per
questo era disposto a tollerare oltre. Il fabbro, benché non ancora
vero erede,
si erse in tutta la sua altezza: Hnoss era un po' più basso dei suoi
coetanei,
ma non di molto.
"Vedo
che il nome della mia famiglia ha raggiunto anche il Collegio di
Winterhold... non
credevo che a maghi e stregoni importasse di spade e corazze. Specie a
qualcuno
che cavalca i draghi."
"Così
giovane... così mey." borbottò
il drago sprezzante.
"Così
come sempre è all'inizio della vita, amico mio." rispose la strega,
rivolgendosi poi al giovane uomo per correggere il suo errore:
"...Indeinsetiid
non è una bestia da monta o da soma, leprotto. È un compagno: la tregua
segnata
in questo luogo, sei generazioni or sono, vale ancora... benché resti
così
poco." spiegò l'incantatrice, voltandosi di nuovo a guardare il
panorama
per un momento.
Forse, la
più grande eredità lasciata dal Dovahkiin
a Tamriel: la terra ai Joorre, ai
mortali, il cielo ai Dovahhe, i
draghi. Un patto, una tregua suggellata alla presenza di re, imperatori
e
draghi, un trattato breve in sé, eppure così onorato: giustizia e pace,
per non
ripetere gli errori del passato. Per la Voce di colui che ha sconfitto
Alduin,
tutti i figli di Akatosh riuniti finalmente sotto lo stesso cielo:
molti si
sarebbero opposti ad un simile trattato, se durante la Seconda Guerra
Elfica
non fosse stato dimostrato quanto preziosi potessero essere i draghi
come
alleati. Quel conflitto dopotutto, era stato in primo luogo l'occasione
di rinsaldare
gli anelli della catena che uniscono ogni individuo agli altri.
E così, quel
patto onorato, quelle parole, ancora consolidavano quell'alleanza:
dalla cima
delle loro montagne, nessun drago avrebbe dovuto temere gli uomini, e
allo
stesso tempo, nessuna città, per piccola che fosse, avrebbe mai dovuto
tremare
sotto il Thu'um dei draghi. Non era
perfetto, inutile negarlo, ma era l'unico compromesso che fosse vero
alla
natura di uomini, elfi, uomini bestia e draghi: l'unico patto che
mantenesse tutti
liberi di essere sé stessi. Che mantenesse la libertà di farsi la
guerra, se
così un giorno avessero voluto... ma anche, la libertà di rimanere
alleati, così
come quel drago e quella strega testimoniavano.
La donna sospirò,
di affranta nostalgia, guardando ancora il paesaggio attraverso la sua
maschera:
"...Io
ho le mie ali, leprotto: non ho bisogno di quelle di un drago per
volare.
Soprattutto non di quelle di un amico o di un collega. Come me,
Indeinsetiid
insegna al Collegio."
"Il...
il nobile drago insegna?" chiese Hnoss incredulo, strabuzzando gli
occhi e
passandoli dall'uno all'altro.
"Storia
dell'Era Meretica. Ed Ensosin... ciò
che voi Joorre chiamate l'arte di
imporre effetti magici agli oggetti." confermò il drago.
"...Un
compito per il quale, amico mio, sei sempre stato destinato: In Dein
Setiid." sillabò la strega, assaporando quel nome: "...Maestro
guardiano del tempo."
Il drago
scosse la testa, tornando a guardare Hnoss e di nuovo, il fabbro si
fece più
piccolo possibile sotto quegli occhi azzurri senza sclera, dalla
pupilla
orizzontale.
"Lascerai
dunque che sia io a raccontare a questo... Kiinseyol
Ahrk Dwiin, di te?"
La domanda
fece voltare di nuovo la strega verso di loro: Hnoss non poteva esserne
certo
con la maschera che portava, ma fu convinto che la donna fosse stupita
almeno
quanto lui.
"Dopotutto..."
continuò Indeinsetiid: "... fino ad ora è stato più educato di molti
nostri allievi."
"Vero anche
questo." sospirò la strega osservando Hnoss, ma passò qualche istante
prima che si decidesse a continuare:
"...Puoi
chiamarmi Lady Volkihar, leprotto. Sono la direttrice del Collegio."
non
era l'Arcimago... ma comunque Hnoss stava discutendo col secondo più
potente stregone
di tutta Skyrim: "...Insegno la scienza dell'alchimia e l'architettura
tonale Dwemer, a coloro che sono abbastanza intelligenti da
comprenderla."
"Allora
sono in svantaggio, Lady Volkihar... voi conoscete il mio clan, ma io
non il
vostro: venite da Cyrodiil?"
Senza che
Hnoss capisse il perché, la direttrice del Collegio scoppiò a ridere,
flettendo
le ginocchia:
"...Direi
l'opposto, leprotto." rispose, quando le risate si acquietarono: "La
mia famiglia è così antica, che anche il suo nome è scomparso dalla
storia.
Come me del resto, e come dovrebbe essere."
"Temo...
temo di non capire, Lady Volkihar."
"Io
sono una delle figlie di Coldharbour, Hnoss." rivelò la strega,
sfilandosi
il manufatto di legno dal volto.
Il primo pensiero
che Hnoss ebbe guardandola, senza più l'impedimento della maschera ad
oscurarne
il volto, fu che Lady Volkihar era bellissima: pelle d'alabastro,
capelli neri,
tratti tipici di una donna del Nord, ma col profilo di una principessa.
Doveva
essere giovane... di certo non doveva avere più di dieci anni rispetto
a Hnoss:
poi Lady Volkihar aprì gli occhi, e tutte le aspettative e i desideri
del
giovane fabbro vennero spazzati via. A fissarlo, trovò occhi dalla
sclera nera,
del colore dell'inchiostro, e dalle iridi del colore e l'intensità di
un
incendio: Hnoss non sapeva cosa, esattamente, fosse una figlia di
Coldharbour,
ma anche lui sapeva riconoscere un vampiro, quando lo vedeva.
"...Sono
ancora bella ai tuoi occhi, leprotto?"
Hnoss non
rispose, limitandosi ad annuire: offendere un vampiro? Ancor più
pericoloso che
offendere un drago... un drago, al massimo si limita a mangiarti.
Lady
Volkyhar sembrò essere presa da un tremito, come se stesse affogando,
ma Hnoss
non poté fare niente mentre un fumo scuro, oleoso, cominciava a levarsi
dalla
sua pelle: poi la strega, la donna... il vampiro, sembrò esplodere,
mentre
l'oscurità di quel fumo si condensava in una nuova forma, coagulando
repentinamente. Fu così rapido, che se Hnoss avesse sbattuto gli occhi,
se lo
sarebbe perso.
Davanti a
lui ora, si ergeva una figura come Hnoss non ne aveva mai viste prima,
e come
non avrebbe più volute vederne: una Signora dei Vampiri, dalla pelle
grigia e
cerosa, un volto da pipistrello, con pochissima affinità con uno umano,
glabra
e mostruosa, con lunghi arti sottili con artigli affilati. Il mantello
rosso
che l'aveva coperta fino a quel momento cadde a terra, quando il
vampiro
dispiegò ali di pipistrello: un solo battito di quelle membrane aguzze,
e si
alzò da terra, rimanendo a librarsi a qualche spanna dalla roccia. Non
più del
colore di un incendio erano i suoi occhi, ma pozzi neri, ricolmi di
un'oscurità
che non era di questo mondo:
"...E
ora?" chiese con voce dolce Lady Volkihar.
Per tutti
nove... fu proprio la voce a turbarlo di più: perché mentre il suo
aspetto era
diventato così mostruoso, la voce... la sua voce era rimasta la stessa.
Hnoss non
poté distogliere lo sguardo e seppe anche di dover rispondere: scelse
un
compromesso.
"Un drago,
un miracolo e la morte... questo luogo è davvero all'altezza della sua
fama." ripeté.
Il suo
coraggio non andò sprecato: il vampiro tornò a posarsi sulla roccia, e
bastarono pochi istanti perché tornasse alla sua forma umana: il
processo non
apparve meno doloroso della prima volta, ma fu quasi più rapido. Di
nuovo, fu Lady
Volkihar a guardarlo, avvolgendosi nel suo mantello di broccato: al di
sotto,
Hnoss poté solamente spiare per un istante una banale veste verde da
stregone,
tenuta chiusa da una spilla incisa a mimare un fiocco di neve nera, e
un
pugnale di foggia elfica alla cintura. Risalendo quel corpo flessuoso,
l'uomo
del Nord si accorse che il vampiro e strega, gli stava rivolgendo un
sorriso...
stranamente compiaciuto:
"E
perfino di più." gli rispose ricambiando il suo sguardo: "...Per
quattro
generazioni sono stata direttrice del Collegio di Winterhold e
confidente di
ogni Arcimago che si è susseguito a reggerne il destino. Sono stata
perfino
amante di uno, per quanto la mia giovinezza si sia spenta ben prima
della
fondazione dell'Impero di Cyrodiil... Ho educato schiere intere di
maghi,
apprendisti e studiosi... ma tu sei il primo da molto tempo, a non
essere
terrorizzato dalla mia natura. Confesso... che sono quasi delusa."
Di nuovo,
Hnoss ritenne più prudente non rispondere direttamente: di certo, la
paura non
mancava nel suo animo. Come esattamente riuscisse a controllarla però,
nemmeno
il giovane fabbro avrebbe potuto spiegarlo: forse era l'influsso di
quel luogo.
O forse era il suo interlocutore, la cui vita, o meglio non-vita,
abbracciava le
ere, piuttosto che i millenni:
"Deve
essere un'esperienza interessante..." rifletté a voce alta.
"Che
cosa?"
"Frequentare
il Collegio di Winterhold."
Indeinsetiid
sbuffò divertito a quelle parole:
"Anche
dopo quattro generazioni..." disse Lady Volkihar: "....Ha i suoi
momenti: tramandare la nobile arte della magia e accrescere la propria
conoscenza su di essa è un compito quasi senza fine... e non privo di
meraviglia."
"Non
fatico a crederlo, Lady Volkihar..." rispose Hnoss guardandoli
entrambi.
"Puoi
crederci sulla parola, Joor, quando
dico che, nonostante tutto, non siamo noi la causa di maggior
meraviglia al
Collegio."
Questo
lasciò Hnoss senza parole: cosa poteva esserci di più strabiliante che
avere un
Dovah e un vampiro come maestri? Ma
di nuovo, il fabbro non osò chiedere.
"...E
ora che abbiamo esaurito i convenevoli e ci siamo presentati per ciò
che siamo
davvero, leprotto, dimmi: cosa ti porta su questo picco?"
I pensieri
con cui aveva cominciato la scalata tornarono come l'onda fa sulla
spiaggia
alla mente di Hnoss: fu così strano, che gli venne da ridere.
"Potrà
sembrarvi banale, di fronte a ciò che dovete aver visto... e alla
vostra
natura." aggiunse Hnoss: "...Questo è il mio Pellegrinaggio. Per il
mio predecessore, sono quasi pronto a ereditare l'onore e la
responsabilità
della Forgia Celeste. Ma solo quando i miei occhi avranno davvero
ammirato
questo luogo, e ne avrò visto il suo guardiano, sarò pronto."
Drago e
strega si scambiarono uno sguardo complice:
"La
coincidenza non esiste..." sussurrò alla fine il drago, o almeno ci
provò,
dato che la sua gola non era fatta per lasciare il silenzio intatto.
"Vero."
ripeté la strega: "Dimmi Hnoss Guerriero Grigio, cosa sai di questo
luogo?" gli chiese, invitandolo al suo fianco, per osservare assieme lo
stesso panorama.
Il giovane
uomo del Nord aveva sentito le storie di cosa quel luogo era stato, ma
ogni
volta che qualcuno provava a descrivere cosa esattamente rimanesse...
le parole
non sembravano mai bastare. Finalmente però, Hnoss capì perché: dove un
tempo
c'era stata una grande città ad ergersi come baluardo di civiltà... ora
mancava
perfino la montagna su cui era stata edificata.
Ciò che
colpiva davvero gli occhi non era ciò che c'era, ma ciò che mancava:
un'intera
montagna, semplicemente cancellata dal paesaggio. Un gigantesco cratere
vuoto,
di una forma incomprensibile: perché più lo sguardo del fabbro scendeva
in
quegli abissi, più esso si allargava, per tornare poi a stringersi dopo
molte,
troppe leghe. Su quel versante, le pareti erano perfettamente lisce e
levigate,
e lievemente concave: su quel lato, non ci sarebbe stato appiglio con
cui
arrestare la propria caduta.
Skuldafn: la
montagna su cui un tempo il Sangue di Drago aveva eretto la sua città,
il
decimo feudo di Skyrim... e che appena un secolo dopo la sua
fondazione, era
scomparsa assieme alla montagna su cui poggiava.
Hnoss si
stava sporgendo sull'orlo di un'enorme uovo cavo scavato nella roccia:
"So che
qui, un tempo, si ergeva la più luminosa città di tutta Skyrim..."
"Molto
di più, Hnoss." lo rimproverò dolcemente Lady Volkihar: "...Ci sono
alcuni immortali a Tamriel che ancora ricordano quella città: i Dovah, primi fra tutti. Ma anche alcuni
come me, che ne hanno varcato le porte e passeggiato tra le vie. Non
siamo in
molti... ma ricordiamo."
"...Che
cosa, Lady Volkihar?"
"Ogni
cosa: ricordo... ricordo come se fosse ieri la prima volta in cui sono
giunta
nella città: di aver cavalcato, lungo la strada d'oro, che da ovest
allora
risaliva la montagna per giungere alle porte della città. Ricordo la
prima
cinta di mura, di granito iridescente, bagnarsi nella prima luce
dell'alba del
feudo di Skuldafn, come se fosse da sempre che quella città si ergeva
in questo
luogo, quando invece, fino alla notte prima sapevo che c'erano solo
rovine...
ricordo i grandi portoni di metallo elfico, con incisi la sua insegna:
i tre
draghi che si mordono la coda a vicenda. E ricordo i templi del
quartiere della
luce, dove ogni divinità e credo poteva essere onorata in pace, senza
contrasti..."
Lady Volkihar si concesse un sorriso mentre ripensava a quei tempi "...
e
dove draghi curiosi osservavano la folla sciamare da un tempio
all'altro.
Ricordo la seconda cinta di mura e attraversandola... le mille voci dei
mercati
del quartiere dell'acqua, dove elfi dell'est e uomini del nord si
incontravano
e vivevano assieme, e la strada rossa, che da Skyrim conduceva a
Morrowind...
ricordo il grande anfiteatro della città, dove una volta all'anno il
torneo di
Skuldafn richiamava valorosi da ogni angolo di Tamriel... ah! Ricordo
anche di
quando il primogenito del Sangue di Drago si iscrisse in segreto al
torneo, per
potervi partecipare, e vincerlo... ma ricordo anche il sole sorgere
sopra la Torre
di Ottone, l'edificio più alto della città, dove per la prima volta
alcuni
segreti dell'architettura tonale e della scienza Dwemer sono stati
dischiusi...
E ricordo il quartiere del cielo... dove, sulle antiche rovine del
tempio di
Skuldafn, il Dovahkiin aveva eretto
il suo palazzo." aggiunse quietamente Lady Volkihar: "Il gioiello del
tesoro che era Skuldafn, che non fu mai capitale di Skyrim per nome, ma
lo fu
in ogni altro ambito. Ricordo perfino il coro dei sui giardini, dove le
radici
bianche e cremisi di Nirn componevano cori di struggente bellezza sotto
la luce
delle stelle, e l'aria profumava dei fiori di Hist..."
Lady
Volkihar si rivolse a Hnoss, guardandolo con quei suoi occhi del colore
del
sole all'alba:
"Io
sono vecchia, leprotto. Più vecchia della tua stessa civiltà e con ogni
probabilità sopravvivrò ad essa... eppure quando camminavo in quella
città...
non mi sono mai sentita così giovane e viva." spiegò semplicemente,
tornando a guardare il cratere.
"Voi... voi avete conosciuto il Sangue di
Drago!" comprese stupito Hnoss.
"...Intimamente.
Fino alla scomparsa della città, sono stata la sua... oscura amica, sua
confidente, sua alleata. Ero al suo fianco quando la Seconda Grande
Guerra
Elfica cominciò... c'ero anche quando le navi grattarono con la chiglia
le
sabbie di First Hold. E c'ero per quel decennio, in cui con artigli e
lame e
magia, ci scavammo la strada tra i Thalmor... sei generazioni or sono,
per te.
E tuttavia... niente vale il ricordo del tempo speso a pettinare sua
figlia e
ascoltare suo figlio fare musica, sotto l'ombra dell'albero di Hist. Ma
non
c'ero quando la città scomparve..." Hnoss credette per un attimo che la
strega stesse per singhiozzare.
Sopra e fra
loro, si frappose la testa del drago, ad unirsi nella contemplazione di
ciò che
non era più, riparandoli nella sua ombra:
"Noi Dovah chiamiamo questo luogo Dovahsosi
Kalpa... la Kalpa del Sangue
di Drago. Perfino noi lamentiamo la sua scomparsa. E ci struggiamo per
non
poterne arginare il guardiano... o ripristinare ciò che è stato..."
"Per
quanto non vorremmo che il contrario."
Hnoss li
guardò entrambi, sentendosi un estraneo perfino a se stesso: perché
come si
poteva restare immutati, dopo aver visto e udito tutto questo?
"Cosa è
successo...?" chiese il fabbro, indicando lo spazio vuoto del cratere:
perché il più grande mistero della città del Sangue di Drago, non era
la sua fondazione,
ma la sua scomparsa.
"Questo,
nemmeno io so dirlo... ho speso due generazioni intere a cercare una
risposta a
questa domanda, e ho ancora solo teorie. Forse il frutto dello studio
dell'Antica Pergamena custodita sulla cima della Torre di Ottone, un
luogo che
per un breve periodo ha rivaleggiato con l'ordine degli Psijic... o
forse uno
degli esperimenti per meglio comprendere come i Dwemer siano
scomparsi... o
forse perfino l'invidia di Dremora o Dei. O perfino l'antica magia di
questo
luogo, a causa della quale si è aperto il portale che ha inghiottito la
città...
So solamente che ciò che è stato fatto non può essere disfatto:
qualcosa ha
bandito Skuldafn e la montagna su cui poggiava dalla corrente del
tempo. Nessuna
magia può riportare nel tempo qualcosa che ne è uscito: un giorno forse
la
città riapparirà... o forse no. Nel frattempo, io aspetto, osservo e
tramando.
E onoro i miei ricordi."
"Deve
essere molto triste... rassegnarsi."
"Chi ha
parlato di rassegnazione?! Ma leprotto, devi capire che dopo sei
generazioni di
studi e la mia lunga vita, conosco i limiti di ciò che mi è possibile
fare:
nemmeno tutti i misteri di Sotha Sil potrebbero... e forse nemmeno lui
aveva
previsto questo."
"E
allora perché insistere...?"
"Perché
il Dovahkiin ha forgiato da solo il
destino di Tamriel per le Ere a venire... se si trovasse il modo di
farlo
ritornare... quanto più luminoso sarebbe questo mondo? Ma non è solo
per questo
leprotto: lui ci era molto caro."
"E
tuttavia, non tutto è... sizaan.
Perduto. Qualcosa rimane dalla scomparsa della città..." pronunciò
grave il
drago.
"Il
guardiano." sibilò Hnoss.
Lady
Volkihar si esibì in una risata sprezzante:
"Molto
peggio. Un tempo, lungo la strada rossa e quella d'oro, passava la più
fiorente
rotta commerciale del nord, ad unire Morrowind e Skyrim. Ora invece, le
navi fanno
porto a Winterhold, come crocevia tra est e ovest... in molti hanno
tentato di
riaprire la strada d'oro e rossa, i cui resti rimangono ancora..."
sospirò
la strega, indicando le antiche vie nella pietra, che si interrompevano
improvvisamente.
"Hanno
tentato e fallito?" chiese Hnoss
"Hanno
tentato e sono morti." rispose il drago: "...Il guardiano difende
ancora la città che non esiste più. Con furia cieca ed inestinguibile."
"...Sapevi
che è dal sangue che i draghi traggono la loro magia?" chiese lady
Volkihar: Hnoss scosse la testa.
"Dalle
ossa la loro immortalità, dalla loro carne la forza, ma è dal sangue...
è dal
sangue che i draghi traggono la loro magia. Ecco perché è così
velenoso."
spiegò la vampira voltandosi a guardarlo: "Nessun corpo di uomo, elfo o
uomo bestia può sopportare la magia contenuta nel sangue dei draghi:
nemmeno il
mio. Ci consuma, come una fiamma troppo violenta fa con uno stoppino
asciutto."
"Nei
corpi dei Dovahkiin, anime di drago. Nelle vene dei Dovahkiin, sangue
di
drago." salmodiò Indeinsetiid: "Ma non carne di drago: solo corpi
mortali.
Ibridi e abomini tutti loro... E nostri fratelli."
"Era
prevedibile che il sangue del mio luminoso amico, versato in tante
battaglie,
producesse... imprevisti."
"Specie
sulla corazza che gli donava la stessa forza della nostra carne. Ci sta
guardando
anche adesso dal fondo del cratere Joor:
riesci a vederlo?"
Hnoss si
sporse sull'abisso, cercando di far arrivare lo sguardo sul fondo delle
tenebre: era fumo quello che vedeva, là proprio sul fondo? L'uomo non
riusciva
ad esserne sicuro: eppure era proprio per esso che si era avventurato
fino in
quel luogo.
"...Che
cos'è?"
"Nemmeno
io so la risposta." disse Lady Volkihar: "Un tempo era una corazza:
ma la magia del sangue e quella che hanno fatto scomparire la città lo
hanno...
cambiato."
"Una
creatura di silenzio, magia e morte. Un enigma. Noi lo chiamiamo Dovah Qah. Il drago vuoto: il drago
senza anima." disse Indeinsetiid a voce più bassa possibile, sporgendo
il
suo occhio sull'abisso.
"Irrealmente
forte. Invincibile in realtà, e per questo incomprensibile: non lascia
mai
questo luogo, ma per quanto l'abbia studiato, ancora non so se sia per
scelta o
per vincolo. È un bene comunque... se fosse libero... niente e nessuno
potrebbe
fermarlo."
"...Nemmeno
una strega e un drago?"
Lady
Volkihar sorrise amara:
"Una
volta... una volta solamente ho cercato di chiamarlo, di comunicare con
lui. Di
capire se qualcosa del mio luminoso amico ancora sopravvivesse in lui:
una
volta solamente, nell'anniversario della scomparsa della città. Mi ha
preso
un braccio e
le ali quasi prima che me ne accorgessi. E avrebbe finito di
eviscerarmi, se
Indeinseetiid non fosse intervenuto: l'origine della nostra amicizia...
essere
una strega ed un vampiro ha i suoi pregi." rispose Lady Volkihar,
sfregandosi la mano destra con la sinistra: "...A volte sogno ancora
quella notte, quando la luce delle lune si rifletteva sul mio sangue."
Hnoss
dovette chiedere a quel punto:
"...Non
mi lascerete andare, non è vero? È per questo che mi state raccontando
questo."
Ancora una volta,
Lady Volkihar rise:
"Chi
credi che abbia raccontato a tua nonna del guardiano? E perché credi
che lei ti
abbia mandato in questo luogo proprio in questo giorno? E pensi forse
che
qualcuno ti crederebbe, se raccontassi questa storia? Di aver
incontrato un
vampiro e un drago sulla cima della parete dell'antica Skuldafn? Tutto
questo,
per quanto poco rimanga... è troppo da credere udendolo semplicemente.
Bisogna
vederlo... bisogna... sperimentarlo." gli spiegò.
Poi Lady
Volkihar urlò, con quanto fiato aveva in gola:
"DOVA
QAH!" chiamò, e quel nome riecheggiò fra le pareti di roccia in mille
echi: impossibile che non fosse stato udito.
La reazione di Indeinsetiid fu immediata: aprì le ali e spiccò il
volo, allontanandosi da loro, e anche la vampira fece sei passi
indietro,
superando la metà della terrazza di roccia e trascinandosi dietro
Hnoss.
Fecero appena in tempo: non era salito, in verità, non ne ebbe bisogno.
Più che altro, apparve: grigio come una nuvola di tempesta, ergendosi
nel punto
in cui fino a poco prima Serana e Hnoss avevano guardato.
Sembrava quasi fatto di nembo, o di una materia che a volte scordasse
di essere solida... eppure, anche di quella spettrale sostanza, era
senza dubbio
reale: come fumo senza fuoco, o un fuoco la cui fiamma non brillasse in
questo
mondo. Guardarlo faceva dolere la testa: parte di quella creatura...
non era di
questo mondo e, allo stesso tempo, non era in questo mondo. Come se
quell'aspetto fosse solo ciò che permettesse ai presenti di venire
osservata. Hnoss
lo guardò bene: sembrava un drago di dimensioni umane... ma come la
montagna,
cavo. Non conteneva niente: era un Vuoto che non avrebbe mai potuto
essere
riempito. Un elmo a testa di drago, con quattro possenti corna,
attraversate da
fulmini: niente occhi, niente ali... ma una coda c'era invece, una coda
sottile
come una frusta, e dalla forma tre volte più crudele, piena di barbigli
e
uncini.
Non era un gigante, eppure... eppure Hnoss sentì montare la paura che
era riuscito a domare fino a quel momento, come una marea nauseante,
che gli
paralizzò i sensi e il corpo. I capelli gli si rizzarono sulla nuca,
perché
Hnoss percepì che niente a Tamriel avrebbe potuto fermarlo.
Lady Volkihar invece liberò entrambe le mani, tracciando un
complicato glifo di luce nell'aria con gli indici: poi chiuse i palmi,
lanciando attraverso il suo simbolo una sfera di luce viola.
Il Drago Vuoto la respinse come se fosse niente più che un refolo.
"...E ora?" chiese Hnoss.
Serana lo afferrò per le spalle e si gettò dalla scarpata, mentre la
sua pelle cominciava a fumare... e finalmente, anche Hnoss urlò.
La creatura non li seguì.
***
Dovette
passare quasi un mese prima che Whiterun lo vedesse tornare: ma l'uomo
che
varcò le sue porte non era lo stesso Hnoss che era partito. Era
cambiato:
quanto esattamente, doveva ancora finire di scoprirlo. Furono i suoi
piedi, non
la sua mente, che lo portarono alla Forgia Celeste: sua nonna lo stava
aspettando, riuscendo a non schiacciarsi le dita sotto il suo martello
più per
abitudine che grazie alla vista.
Quando lo
sentì arrivare, Gersemi Guerriero Grigio posò il suo lavoro:
"...Che
cosa hai imparato?" gli chiese senza preamboli, con una voce che aveva
cominciato a farsi querula.
Hnoss non
dovette pensarci a lungo:
"A non
creare mai qualcosa che possa avere più scopi di quelli che ho deciso
per
lui."
"...Ora
sei pronto a prendere il mio posto." rispose sua nonna, ricominciando a
battere il metallo.
Come sempre
era stato da tempo immemorabile, la Forgia Celeste ardeva tra le ali di
pietra
del suo guardiano, così come avrebbe continuato a fare.
Ben arrivati alla
fine!
Spero che questa one shot vi sia piaciuta, per quanto strana possa
esservi sembrata. Personalmente, ritengo il Dovahkiin, "Colui che
temono", troppo potente per restare a Tamriel per sempre, così come gli
eroi venuti prima di lui. E quindi la mia soluzione è stata di farlo
sparire in questo modo. A parte questo, vorrei solo aggiungere, per chi
potesse interessare, che il primo paragrafo di questa storia è stato
ispirato da una piccola storia zen (o quella che mi sembra di ricordare
essere una storia zen):
Un
uomo
stava camminando nella foresta quando s'imbatté in una tigre. Fatto
dietro-front precipitosamente, si mise a correre inseguito dalla belva.
Giunse
sull'orlo di un precipizio, ma per fortuna trovò da aggrapparsi al ramo
sporgente di un albero.
Guardò in basso, e stava per lasciarsi cadere, quando vide sotto di sé
un'altra
tigre. Come se non bastasse, arrivarono due grossi topi, l'uno bianco e
l'altro
nero, che incominciarono a rodere il ramo.
Ancora poco e il ramo sarebbe precipitato.
Fu allora che l'uomo scorse accanto a sé una bellissima fragola.
Tenendosi con
una sola mano, con l'altra staccò la fragola e la mangiò.
Com'era dolce!
E con questo, un saluto :).
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