MURO
Le
mattine nuvolose, si sa, non sono per nulla collaborative. Non ti
invogliano ad uscire, specie se sono quelle fredde mattine invernali
che paiono dirti solamente “Rimani a letto, al
calduccio. Tanto
la giornata non può che peggiorare!” e
Thomas William Hiddleston – altresì conosciuto
solo come Tom –
sentì l'ottimismo che lo contraddistingueva come un marchio
di
fabbrica vacillare, sotto la potenza delle nuvole grigie e blu. Ma
non era mai stato uno portato alla pigrizia o al poltrire,
perciò
decise di alzarsi: inforcò gli occhiali, stese prima una
gamba e poi
l'altra oltre il bordo del letto e si tirò a sedere; dovette
rallentare i movimenti quando Susan si girò sull'altro
fianco, la
schiena e la cascata di capelli castani a nasconderla. Non si
svegliò
e lui tirò un impercettibile sospiro di sollievo.
Indossò
la maglietta grigia del pigiama mentre giungeva alla porta,
l'aprì
piano e la richiuse altrettanto delicatamente ritrovandosi nello
stretto corridoio buio. Tese le orecchie nel tentativo di capire se
effettivamente fosse solo e diede una veloce occhiata constatando che
sotto ogni porta non filtrava luce; evidentemente anche lei
era ancora nel
mondo dei sogni,
essendo domenica.
Dopo
una capatina al bagno – l'acqua fresca lo aveva decisamente
destato
– e un forte brontolio allo stomaco affamato decise che la
sua
prossima tappa sarebbe stata la cucina, il luogo dell'appartamento
che più adorava sia per il senso di calore
che
trasmetteva, sia perché era davvero deliziosa a vedersi, con
quel
tavolo bianco e i mobili in legno chiaro. Aprì le ante della
dispensa trovando l'occorrente per la colazione e per il tè,
e in
poche mosse il tutto era sulla padella a sfrigolare o all'interno del
tostapane o del bollitore. La mano sinistra corse a scompigliarsi i
ricci mentre la destra si serrava attorno al manico della padella;
con un leggero movimento del polso le uova e la pancetta scesero
verso il piatto bianco e Tom, soddisfatto, ciabattò sul wooden
floor schivando
per un soffio
l'angolo del bancone che, di norma, fungeva da sostituto del tavolo
quando le ragazze erano sole, e finalmente raggiunse il suo obiettivo
sedendosi pesantemente. Aveva da poco attaccato la porzione di uova,
godendo della penombra, quando un rumore di passi in corridoio lo
attirò.
Dalla
soglia della cucina comparve la sua figura
infagottata nella felpa di pile che Susan le aveva regalato il Natale
precedente; trattenne una sonora risata quando si accorse dell'orlo
dei pantaloni del pigiama accuratamente infilati in grossi calzettoni
di lana e della massa di capelli disordinati nonostante fosse andata
dalla parrucchiera il giorno prima per una spuntatina ed una messa in
piega. Camminava a testa bassa, forse per evitare d'inciampare
ovunque – di sicuro era ancora persa nel mondo dei sogni per
far
caso a qualsiasi cosa, compreso lui.
«Buongiorno»
la salutò, amabile.
Dio,
la sua espressione era così impagabile! Stavolta
lasciò che le
labbra si piegassero in un sorriso estremamente divertito mentre lei
arrossiva e sgranava gli occhi coperti da – un
momento!
Quello era – un
paio di
occhiali – e da quando li portava?
«C-
ciao!» balbettò con voce roca. Se la
schiarì e riprese «Ti
lascio mangiare in pace.»
«Non
dire sciocchezze» la fermò, prima che potesse
anche solo compiere
un passo. Non avrebbe sopportato di doverla cacciare «Questa
è casa tua, dopotutto.»
La
vide in difficoltà, gli occhi sfrecciarono di qua e di
là alla
ricerca di una soluzione; era sempre così,
costatò amareggiato:
un'assurda pantomima in cui lui cercava di avvicinarla e di abbattere
quei muri invisibili che lei si
era ostinata alacremente a costruire pezzo per pezzo. Da quando lo
aveva conosciuto e riconosciuto. Eppure
per un periodo era stato così sicuro,
e
felice della loro
sbocciata amicizia!
Quando
iniziavano a chiacchierare era un timido studiarsi, capirsi; e
finalmente, non appena superavano la prima fase, parlavano a cuore
aperto alternando una confidenza ad una risata. Ma poi... poi un velo
scendeva a spegnere la meravigliosa scintilla
nei suoi occhi curiosi e sinceri, e tutto si cancellava per tornare
al punto di partenza.
Una
fitta al cuore lo rabbuiò appena mentre con una mano le
faceva cenno
di accomodarsi. La studiò con attenzione e si ripromise
– per
l'ennesima volta – di ritentare ancora e ancora
finché non fosse
riuscito nel suo intento. Non era questione di presunzione: a tutti
capitava di trovare antipatica una persona, e quindi si cercava di
evitarla come meglio si poteva; ma Tom era convinto
non
si trattasse del loro caso. Lei era
una persona timida di natura – no, non
c'entrava nemmeno
questo, vi
era un'ulteriore
spiegazione a cui non era ancora giunto.
Un
rumore lo strappò alle sue riflessioni in tempo per sentirla
borbottare in italiano mentre riponeva al suo posto la confezione di
fette biscottate, scivolata al suo tentativo di afferrarla; senza
altri intoppi portò la scatola di cereali sul piano, mentre
il latte
si scaldava lentamente sul fuoco. Non appena fu alla giusta
temperatura spense il gas e versò il liquido nella tazza,
camminando
attenta finché non la portò al sicuro e si
sedette.
Lui
aveva osservato ogni movimento con sguardo rasserenato; gli piaceva
accantonare ogni pensiero per dedicarsi a contemplarla anche se
sapeva che, così facendo, accresceva la soggezione che lei
provava nei suoi confronti. Ma che poteva farci se respirava
un'aria casalinga, in quella cucina?
«Da
quanti anni porti gli occhiali?»
Una
domanda che avrebbe voluto porle subito, ma aveva tardato
perché era
più importante che si sistemasse, che almeno iniziasse a
mangiare.
Lei
finì di masticare con calma, mentre assumeva un'espressione
concentrata; scrollò il capo subito dopo e ingoiò.
«Ho
troppo sonno per contare. Comunque da quando avevo sette, otto
anni.»
Tom
fischiò piano, sinceramente colpito «Eri
davvero piccola.»
Un'alzata
di spalle e una scompigliata ai capelli «Non
più di altri,
in effetti. Solo che col tempo sono peggiorata rapidamente, ma per
fortuna da un paio d'anni sono stabile. Te invece? Neanche io sapevo
li portassi.»
Incrociò
le braccia al petto mentre lei condusse il
cucchiaio con latte
e cereali alle labbra «Da cinque anni, se non sbaglio;
però si
tratta di una leggera miopia, niente di grave.»
«Capisco.
La mia è un po' più seria»
spiegò, sfilandosi gli occhiali dalla
montatura nera e porgendoglieli «Ereditaria
insieme
all'astigmatismo. Tieni.»
Il
ragazzo chiuse le dita attorno all'asta scura e li studiò
rigirandoli con cautela. Per un fugace momento immaginò una
smilza
bambina dai mossi capelli castani e dai grandi occhi del medesimo
colore mentre col piccolo indice se li risistemava alla radice del
naso perché continuavano a scivolarle, ed involontariamente
il cuore
si riempì di dolcezza.
Li
appoggiò appena oltre le sue lenti, inorridendo di fronte a
tutti
quegli oggetti – e a lei –
sfocati «Guarda qui, caspita.»
«Non
sono mica cieca! Stai sorridendo? Non vedo niente, accidenti»
protestò appena, il tono più leggero –
quasi giocoso –
dall'inizio della conversazione; strizzò gli occhi e si
sporse in
avanti, assumendo una tale espressione buffa da farlo ridere di
gusto.
«Ecco,
ecco, riprendili. Talpa.»
Lei
strinse le labbra per trattenersi dallo scoppiare a ridere
perché
mai e poi mai gli avrebbe regalato quella soddisfazione! Scelse
piuttosto di arricciare il naso e bere il latte rimanente che aveva
perso il solito colore bianco per uno marrone, sporcato dal
cioccolato di quei cereali a cui non poteva rinunciare.
È
bella, si scoprì a pensare. C'era tutto un mondo
espressivo in
quei tratti che molti avrebbero giudicato comuni – per
lui non
era così –, in quegli occhi che con
quella particolare
penombra sembravano più scuri, invece contenenti del verde
lungo il
bordo esterno dell'iride. Lo sapeva. L'aveva osservata a lungo, di
sottecchi, quando nessuno poteva sorprenderlo.
Incapace
di tacere, volenteroso di conoscerla meglio, aprì bocca per
parlarle
ancora «Come te ne sei accorta?»
«Leggendo»
confidò. Sorrise, mostrando una fossetta in entrambi i lati
della
bocca ora sottile, gli occhi scintillanti persi in un ricordo.
E
di nuovo la figuretta della bambina, stavolta seduta e intenta a
sfogliare un volume, fece capolino.
«I
miei genitori capirono tutto quando dissi loro dei miei mal di testa,
e l'oculista confermò i loro sospetti. Un paio di mesi dopo
ero alle
prese con gradini immaginari.»
«Avrei
voluto vederti» ammise Tom, seguendola in una nuova risata.
Lei
stavolta arrossì e abbassò lo sguardo,
confondendolo; aveva detto
qualcosa di male? Era stato scortese?
«Scusami»
tentò di rimediare, risollevandosi quando una sua mano si
agitò in
aria a volergli dire “va tutto bene, non
importa”.
«In
effetti ero piuttosto ridicola.»
Ridicola?
Come poteva esserlo? «No, Adele.»
Eccola
lì, la dolcemente dolorosa stretta allo stomaco che si
presentava
puntualmente ogni qual volta pronunciava il suo nome. Adele. Adele.
Adele.
Cosa
c'è in un nome?, diceva Shakespeare. Per lui tutto
un universo
interamente da scoprire, racchiuso in cinque lettere.
Avrebbe
voluto ripeterlo all'infinito, tenerlo al sicuro dentro la bocca per
non lasciarlo scivolare fuori, sospinto dalla lingua, adagiato sulle
medesime labbra desiderose di saggiare le sue. Di
Adele.
No.
Era
impossibile, lo sapeva. Non
poteva perché, glielo ricordò una voce remota
nella testa – o nel
petto, dov'era la coscienza – esisteva Susannah. La stessa
che
aveva dormito con lui poche ore prima, la stessa che lui considerava
la sua ragazza, con la
quale pianificava un futuro. Non Adele. Susannah.
E
allora perché, perché in nome
di Dio desiderava alzarsi
dalla sedia, compiere quegli inesistenti passi e prenderle il volto
imbarazzato tra le mani per vedere se sì, di sicuro lo
avrebbero
racchiuso? Perché quel bisogno, quella
frenesia di sfiorarle
la bocca e perdersi tra i suoi sospiri?
Tom
aveva paura, una paura maledetta. Temeva di dover fare i conti con
quel sentimento, identificarlo con un vocabolo spaventoso e al
contempo liberatorio che, al momento, relegava in un angolo di cuore.
Si crogiolava nelle sue certezze senza azzardarsi ad immaginare
diversamente, maledicendosi della codardia in cui nuotava; forse, se
avesse racimolato coraggio e avesse visto, avrebbe
accettato
il cambiamento alleggerendo il cuore. Non era giusto, infatti,
ingannare Susan: con quale diritto considerarsi un fidanzato modello
se la sua coinquilina lo attirava senza nemmeno rendersene conto?
Adele non aveva alcuna idea dell'effetto che aveva su di lui, sul suo
cuore, sulla sua anima stregata; non capiva che il rossore che spesso
e volentieri le colorava le guance era adorabile ai suoi occhi,
né
che le risate lo colmavano di gioia accelerandogli il cuore o gli
occhi adombrati lo rattristavano e lo rendevano furioso
poiché
avrebbe voluto farla pagare a chiunque l'avesse portata a non
sorridere.
E
quando lo chiamava per nome... cielo, poteva esistere maggiore
felicità? Lui, ch'era stato chiamato da molti e da molti
sarebbe
stato in futuro chiamato non aveva trovato nessuno con
quell'inflessione specifica, propria di lei. Né
Susan né
altre.
Il
suo nome apparteneva ad Adele.
Alla
constatazione quasi ruggì di un nuovo appagamento e gli fu
impossibile fermare sul nascere quel sorriso spontaneo che parve
illuminarlo; lei, rimasta in silenzio per quei lunghi –
oppure
pochi? Una manciata? Inesistenti? – momenti, persa in egual
misura
in riflessioni, lo imitò. Non seppero quantificare il tempo
trascorso così, in una placida e pigra quiete dove entrambi
non
vollero preoccuparsi di riempirla con parole inopportune; capirono
solo quanto li rigenerò. Ma l'incantesimo, si sa,
è destinato a
spezzarsi.
Passi
affrettati e pimpanti precedettero l'arrivo di una persona –
di
Susan – e infransero qualunque contatto.
«Tom,
ma sei già in piedi? Credevo dormissi di più
stamattina! Adele,
buongiorno!»
Il
grigiore inondò la cucina, la penombra – loro
inconsapevole
rifugio in cui si erano nascosti, sicuri nei loro sentimenti
–
venne spazzata via.
Un
sorriso meccanico piegò le labbra del giovane attore
londinese
mentre allungava il collo per ricevere il primo bacio della giornata
e, attirato da una forza ben conosciuta, spostò gli occhi
chiari
davanti a sé, dove Adele aveva seguito in silenzio ogni
minino
gesto.
Gli
bastò una sola occhiata per capire.
Il
muro era di nuovo eretto.
CANTUCCINO
DELL'ATTRICE
Salve!
Approdo in
questi bei lidi per la prima volta, e per sfuggire all'afa
insopportabile di questi giorni. Per chi non mi conoscesse, piacere,
sono Eruanne! Spero che questa breve one shot vi sia piaciuta e che
vi abbia trasmesso qualcosa; era da tempo che volevo scrivere anche
una pagina dedicata a questo attore talentuoso, e ho voluto iniziare
con questo spaccato di vita quotidiana dove troviamo un Tom
Hiddleston a casa della fidanzata Susannah Fielding (i due rimasero
insieme fino al 2011) e della coinquilina di questa, Adele. Ecco,
queste sarebbero le premesse per una long, che incrociando le dita
non escludo, anche se ultimamente gli impegni e la scarsissima
ispirazione non mi lasciano in pace :/. È davvero strano
tornare a
pubblicare!
Vi
ringrazio già
per essere arrivati a leggere fino in fondo e ringrazierò
ancora
chiunque vorrà lasciarmi un suo parere :).
Ah,
un'ultima cosa:
Tom non mi appartiene (sigh!) e nemmeno Susannah, e i fatti che
racconto sono di pura invenzione.
Buona
serata a
tutti!
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