CORREZIONE EMMA
«Sono così stanca di stare qui.»
Dissi guardando i tetti delle case, che sembravano grigi in quella notte di inizio autunno.
Lysbeth prese il pacchetto di marlboro dalla sua borsa di pelle
estraendo una sigaretta, se la mise alla bocca e l'accese. Alla
luce dell'accendino potei vedere lo smalto nero placcato sulle sue
unghie.
Fece un tiro un tiro e parlò.
«Se sei così annoiata, perché non te ne vieni via semplicemente?»
Lysbeth si voltò verso di me e notai così che i suoi occhi verdi divennero due fessure, nel farmi quella domanda.
«Sai che non posso.»
Presi a tormentarmi con le dita il buco che avevo nei pantaloni, allargandolo
sempre di più. Non ce la facevo a reggere lo sguardo di mia
sorella quando diveniva così schietta. E lei lo era sempre
stata.
Per questo non era mai andata d'accordo con mia madre, Lysbeth non ce la faceva proprio a tenersi per sé le sue opinioni, neanche quando avrebbe dovuto farlo.
«Amanda, se non la finisci finirai per rimanere in mutande.»
Mi tolse la mano dal buco dei jeans, che avevo allargato senza accorgermene e quindi tornai a guardarla.
«Non posso lasciare la mamma, lei non lo sopporterebbe. Lo sai.»
Mia sorella aggrottò le sopracciglia e buttò gli occhi al
cielo, poi allungò le lunghe gambe in avanti, facendo rumore
sulle tegole del tetto su cui ci trovavamo.
«La mamma, la mamma, la mamma.»
Disse in tono annoiato, poi fece un altro tiro di sigaretta e
lo buttò fuori dalle labbra tinte di color vinaccia.
Riprese a parlare con tono pungente:
«Usi sempre la stessa scusa; a nove anni non potevi andare a
giocare dalla compagnia di classe perché dovevi aiutare la mamma
a fare le faccende. A quattordici anni non hai mai potuto fare un
campeggio estivo perché la mamma, puntualmente si fotteva tutti i
soldi nel bere.»
Continuava a parlarmi in modo sprezzante, potevo sentire tutta quella
rabbia repressa che si trascinava silenziosamente da anni, dato che il
rancore che Lysbeth riservava da sempre verso nostra madre, aveva fatto sì che si allontanasse anche da me.
Mia sorella era più grande di me e precisamente di tre anni.
Nostra madre era un'alcolizzata, da sempre: non ho ricordi di lei
completamente sobria, non ho ricordi di lei lontana dalla bottiglia di
Vodka per più di un'ora.
Ho sempre considerato la mamma come un piccolo cucciolo da accudire,
spesso tornata da scuola la trovavo inerte sulla moquette del salotto,
con macchie di vomito vicine alla sua testa. Puntualmente la alzavo da
terra sussurrandole parole rassicuranti e lei scoppiava a piangere,
promettendomi che non sarebbe più successo, ma io sapevo la
verità.
Lys non aveva
parole confortanti per lei, o almeno non più negli ultimi anni,
prima di scappare di casa. Io però comprendevo mia sorella.
Quello che io stavo facendo per mia madre, lei lo aveva fatto prima di
me ed in più aveva rivestito le sue veci per anni, nei miei
confronti; era una bimba di soli dodici anni: si alzava tutte le
mattine prima del dovuto, infilava la divisa della scuola e pettinava
in fretta i lunghi capelli rossi in due trecce. Poi veniva a svegliarmi
e molto spesso capitava che doveva alzarmi di peso dal letto per poi
lavarmi, dopodiché mi vestiva e raccoglieva i miei crespi
capelli neri in una coda.
Mi preparava la colazione con grandi tazze di latte e cereali, prima di
uscire mi metteva lo zaino sulle spalle e infine prendeva la mia mano,
per non lasciarla andare mai.
«Non riuscirei a lasciarla, non potrei.»
Presi a parlare lentamente guardandola.
Lysbeth scosse la
testa e si girò nella mia direzione, facendo l'ennesimo tiro
mandandomi il fumo addosso. Lo fece apposta, io odiavo il fumo.
«Si che potresti... E peggio ancora, è la cosa che desideri di più.»
La odiavo quando iniziava a leggermi dentro.
«No Lys!»
Dissi, cercando di convincerla.
«Non sarebbe giusto, io non farò come te... io non scapperò.»
Voltai la testa di scatto
tornando a guardare i tetti delle altre case dato che noi ci trovavamo
sul nostro.
In passato, da piccole, era il nostro posto preferito: ci nascondevamo in mansarda quando mamma aveva i cali e iniziava a rompere tutto.
Io piangevo con
la testa sulle ginocchia di Lys, quando la mamma saliva le scale per
trascinarci giù e riempirci di botte, pertanto Lysbeth mi prendeva in
braccio tenendomi sulla sua schiena, in modo che io potessi aggrapparmi
al suo collo.
Dopo essermi ben stretta a mia sorella, lei saliva su una sedia e, in bilico, apriva
l'abbaino per montare sul tetto. Una volta sopra, chiudeva
il passaggio con un lucchetto, che portava sempre dietro.
Lì sul tetto, eravamo al sicuro.
Lysbeth scoppiò in una risata isterica e scosse la testa.
«E' vero, sono scappata. Ma sai, Amanda, non ci resistevo proprio
più qua dentro. E' tutto un casino, lei ha reso la mia vita un
casino!»
«Questo non ti ha dato il diritto di lasciarci! Non ti sei
preoccupata minimamente di me, sei andata via, come nebbia al
sole...»
Le lacrime mi annebbiarono gli occhi.
«Sei sempre stata la mia unica amica e mi hai abbandonata.»
Non riuscii a dire altro, il groppo che mi si era formato in gola non me lo permetteva.
Lysbeth spense la sigaretta su una tegola, poi la gettò
giù dal tetto facendola finire nel giardino della vicina. Io la
vidi farlo, avendo alzato gli occhi proprio in quel momento.
Cercai di deglutire, ingoiando il masso che mi impediva di parlare.
«Non te ne importa proprio niente, eh?» le chiesi con voce tremante.
«Oh andiamo... la signorina Frost non morirà certo bruciata.»
Stava cambiando discorso.
«Non sto parlando di quella cazzo di sigaretta Lys! Mi riferisco
ad altro... a me, a tutta la merda che devo affrontare da sola. Sai che
ci sfratteranno se non troviamo i soldi entro una settimana? L'ultima
volta che sei venuta risale a sei mesi fa, le cose sono
peggiorate...»
«Amanda, io non ho un lavoro se è a questo che miri.»
Mia sorella era scappata di casa a diciassette anni, ricordo quella sera, credo di
averla sognata mille volte e in questi sogni ho sempre cercato di
fermarla: era una notte d'estate, la mamma dormiva sul divano,
completamente ubriaca. Io mi trovavo seduta sul mio letto con le
ginocchia portate all'addome
e la schiena poggiata ad un poster del Corvo, che si trovava sulla
parete.
Lys riempiva due grossi borsoni della sua roba, la infilava dentro
a caso, non si curava che fosse ordinata, voleva fare in fretta.
La
vidi calarsi dalla finestra, aggrappata alla fune che aveva annodato al
gambo del letto. Una volta a terra, corse via in short e canottiera viola senza
scarpe, che con la furia aveva messo dentro uno dei due borsoni.
Poco più in là della nostra casa, l'attendeva Mike in
macchina, sarebbero partiti per l'Oklahoma alla ricerca di niente. Mike
era il suo ragazzo da un mese o poco più, quell'idiota nullafacente aveva letteralmente perso la testa
per Lys. Lei scelse di andarsene con lui. Dopo
qualche settimana dalla partenza, Lysbeth mi telefonò per
dirmi che non stava più con Mike e non si trovava più in
Oklahoma, ma
nel New Jersey; abitava da amici che si era fatta di recente.
Dopo
aver ascoltato la sua breve storia, le chiesi subito se volesse parlare
con la mamma, ma lei si rifiutò, congedandomi con la scusa che il
telefono pubblico stava per finire il credito e lei non aveva più
monete.
Mia sorella non voleva parlare con la mamma e quest'ultima non sentiva assolutamente la sua mancanza.
«Bè, il problema è tuo che non sei riuscita a fartene altre dopo la mia partenza.»
Mi
rispose secca, alzando le spalle e incrociando una gamba sopra l'altra,
ma nel farlo la gonna nera aderente che portava si ritrasse ed io, vedendo quel
gesto, pensai a quanto fosse disinvolta e sicura di sé. Lo era sempre
stata.
Poi aggiunse:
«Ho notato che ultimamente c'è pieno di
ragazzine occhialute qui in giro, magari avranno voglia di
intraprendere conversazioni che si protraggono per ore su libri e altre
cose del genere. Potresti provare a dar loro una possibilità.»
Stava cercando di allontanarmi dato che quella frase stava a significare "Amanda io non torno, rassegnati."
E quanto mi facevano male quelle parole.
«Perché lo fai?»
«Fare cosa?»
Mi domandò lei con noncuranza, infilando le mani nelle tasche della giacca di pelle.
«Riesci
a far sembrare tutto privo di importanza, te ne sbatti del mondo
intero. Ti basta un pacchetto di sigarette e qualche soldo da spendere
per poterti spostare da un posto a un altro. Non ti curi di nessuno.
Non hai radici, Lysbeth.»
«La mia cara sorellina... E sentiamo, le
radici di cui parli si troverebbero qui? In questo posto del cazzo, in
una casa di merda che puzza di cavoli marci perché nostra madre non
svuota il frigo da un mese? Dimmi Amanda, dimmi che cosa ti aspetti di
fare nei prossimi vent'anni, oltre che accompagnare quell'alcolizzata a
fare una lavanda gastrica una volta al mese.»
«Lys, ti prego... »
Non mi fece finire.
«Ti
ricordi quando ci picchiava con la vecchia cinghia di nostro padre?
Usava l'unico oggetto che quel bastardo si era dimenticato di portar
via prima di lasciarci e tu non facevi che urlare, ma lei colpiva e
colpiva. Io non potevo fare niente.»
Le tremava la voce, mentre sprofondava in quegli orribili pensieri.
«Cosa
ti aspettavi da me? Che mi laureassi in medicina e ti portassi a vivere
in un lussuoso appartamento a New York? Mi sarebbe piaciuto, sai, a chi
non piacerebbe?»
Nonostante il muro che si ostinava a tenere, io
riuscivo a capirla e conoscevo ogni parte di Lys; la piccola con le
trecce rosse, che si preoccupava della sorellina e la giovane donna
scapestrata, che era diventata. Questa mia conoscenza e consapevolezza
faceva sì che io mi sentissi come un cassetto vuoto a causa della sua
assenza. Da piccole non mi lasciava mai, difatti uno dei giorni più
belli della mia infanzia e forse l'unico, l'ho passato con lei. Era
l'autunno del 1994, Lysbeth aveva quattordici anni e io proprio in quel
giorno ne compivo undici.
Quello stesso giorno mi portò in città a
vedere le vetrine dei negozzi, poiché non avevamo soldi per poterci permettere
niente. Insieme sceglievamo un vestito a testa, indicandolo col dito
premuto sulla vetrina, già immaginavamo di metterlo in occasioni
di grandi feste. Poi sempre in quel giorno, mi portò ad una gelateria e mi comprò un cono alla
frutta, pagandolo con i soldi che aveva guadagnato facendo la dog
sitter per una settimana. Quella fu la giornata più splendida
che avessi mai passato. Una volta arrivate al parco e finito
il gelato, ci mettemmo a sedere sulle scale dello scivolo. E lì mi fece
un discorso che lasciò in me una traccia indelebile.
« «Amanda,
sappi che comunque andranno le cose, se dovessero cambiare... e per
qualche motivo non potessimo più passare così tanto tempo assieme, io
sono comunque tua sorella... e questo non può togliercelo nessuno.
Quindi se un giorno vorrai odiarmi, ti prego non farlo.»»
Lys
sapeva già che se ne sarebbe andata, infatti dietro ogni suo gesto
gentile verso di me si celava il senso di colpevolezza per questa sua
decisione.
«Ho avuto paura questa volta.»
Dissi, reiniziando a parlare dopo un breve momento di silenzio tra me e Lys.
«Non
che le altre volte non l'avessi avuta, ma quest'ultima è stata diversa:
mamma sembrava non reagire, ho provato a rianimarla in tutti modi, ma
poi ho visto che era inevitabile chiamare l'ambulanza... per questo
dopo ti ho chiamata. Sapevo, sentivo che questa volta avrei avuto
bisogno di te, anche solo delle tue parole. Non pretendo che tu
rimanga.»
Lys
abbassò la testa, il lieve vento autunnale le portava i capelli
sul viso, così tolse la mano dalla tasca della giacca e portò la ciocca
dietro l'orecchio. Potei vedere il tatuaggio che si era fatta poco più
giù del lobo, era una A.
A di Amanda.
«Sai che sono
venuta soltanto per te ed è proprio per questo che mi hai
chiamata, mi hai voluta qui per te, non per la mamma.»
Effettivamente
Lys era rimasta solo cinque minuti in camera con nostra madre, dopo
essersi accertata che la flebo fosse ben attaccata, poi era subito
salita sul tetto a bere una birra e io l'avevo raggiunta.
Non parlò con la mamma, poiché lei dormiva sedata dai farmaci.
«Sì e ti ringrazio, lo so quanto ti costa venire qui ma almeno lo hai fatto.»
Le dissi con voce ferma.
«Quanto le hanno dato?»
Mi chiese con tono piatto.
«Il
fegato è messo male, i medici non sanno ancora dirci niente di
specifico ma una cosa è sicura: il trapianto sarebbe inutile, c'è
rischio che ci lasci le penne sotto i ferri, il suo fisico è troppo
debilitato.»
Cercai
di spiegare le cose con precisione e fermezza, ma la voce mi si spezzò
ad ogni parola. Lysbeth continuava a tenere lo sguardo altrove, lo faceva solo per non crollare.
«Non mi sorprende
che abbia le difese immunitarie a puttane, tutta l'eroina che si
è iniettata non l'ha di certo aiutata.»
Le scappò una risata isterica, poi lentamente si voltò verso di me e mi chiese:
«E tu? Che hai
intenzione di fare dopo? Voglio dire, hai realizzato che questa
situazione finirà a brave, giusto?»
«Non lo so Lys... in questo momento riesco solo a sentirmi uno schifo.»
Ripresi a lacrimare.
«Mi
sento in colpa perché vorrei finisse in fretta, solo così riuscirei a
tirarmi fuori da questa merda, andar via da questo quartiere che è solo
un agglomerato di spazzatura, magari continuare a studiare anche se non
so con quali mezzi.»
Tornò ad incrociare le gambe, questa volta verso di me, poi mi prese le mani e mi attirò più vicina.
«Tu
ci riuscirai Amanda... io lo so. E' proprio per questo che noi non
dobbiamo stare insieme. Tu sei diversa, sei quella che può
riscattarsi, per me non c'è speranza e lo sai. Per quanto io odi nostra
madre, sono quella che le somiglia di più ma, se nostro padre non fosse
scappato con la prima puttana disponibile e avessimo potuto conoscerlo
un po' meglio, ti potrei dire con certezza che ho preso il peggio anche di lui. Ma tu non
sei così ed io l'ho visto, difatti ho sempre cercato di proteggerti
quando eravamo piccole. Ed è anche per questo che ho deciso di
proteggerti da me adesso.»
Le
lacrime inondarono anche i suoi occhi verdi e mi strinse in un
abbraccio. Io iniziai a singhiozzare contro la sua giacca in pelle
nera, aggrappandomi al suo collo con tutta la forza che avevo.
Non
avevo parole in quel momento, non erano necessarie, la stavo
ringraziando per tutto quello che aveva sempre fatto per me: la
rinuncia all'infanzia per farmi da madre, le botte prese al mio posto
quando mi faceva scudo col suo corpo, le attenzioni che nessuno, a
parte lei, mi aveva mai riservato.
Quel
poco di buono che c'era in me lo dovevo a lei, alla sua presenza precedentemente, ma dopo anche per la sua assenza. Adesso io dovevo far crescere il bene dentro di me, con le mie forze.
«Ricordati che sei mia sorella e questo nessuno può togliercelo, ti prego di non odiarmi Amanda.»
Mi
disse questa frase all'orecchio, lisciandomi la coda di cavallo in cui
i miei ricci erano raccolti, poi mi allontanò dalla sua stretta e mi
sistemò gli occhiali da vista, mi fece un sorriso malinconico e piano
piano, gattonando, arrivò all'abbaino per aprirlo.
«Lysbeth?»
La
chiamai prima che potesse scendere attraverso l'apertura e quando lei
si voltò, notai il suo trucco pesante, che sugli occhi era tutto sbavato.
«Ricordati che io ti voglio bene e nessuno può fartelo dimenticare.»
Le
dissi soltanto questo, lei mi rispose solo con un breve sorriso per poi
vederla sparire al di sotto della piccola finestra, che richiuse alle
sue spalle.
________________
Spazio autrice:
Salve lettori.
Questa OS è frutto di mille pensieri sviluppati l'altra sera mentre guardavo il cielo.
Non
so descrivere bene il momento in cui nella mia mente, Lysbeth e Amanda
hanno preso forma, ma effettivamente prima hanno iniziato a delinersi le
frasi coi dialoghi e qualche istante più tardi le figure delle due ragazze. Infine i
nomi, che mi sono usciti così dal nulla.
Per
questo non mi aspetto che la storia venga messa tra le preferite di
qualcuno o che abbia un'infinità di recensioni - non lo pretendo per
nessuno dei mie lavori, si intende.
Solo... non odiate
troppo Lysbeth, so che a primo impatto può risultare facile
farlo ma l'unica cosa che vi chiedo è di comprenderla.
Amanda
e Lysbeth rappresentano le due parti che ogni persona ha nel suo
profondo, o almeno per me è così, forse per questo ho deciso di
trascriverle: Lysbeth rappresenta quella parte rassegnata ma
estremamente concreta e presente a se stessa, quella che riesce a
vedere le cose per come sono realmente. Amanda, invece, rappresenta la
parte di buono che ho dentro e che ogniuno di noi ha.
Per questo le ritengo entrambe importanti.
Vi
ringrazio per la lettura e sarei ben contenta di ricevere una vostra
recensione positiva/neutra/negativa, a patto che sia costruttiva e
ovviamente dopo aver letto tutto il testo, cercando di capirne il
contenuto.
Trovo inutile lasciare recensioni a caso.
Ci tengo a ringraziare Tanny per la sua attenta revisione sintattica e grammaticale.
Lysbeth è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
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