Sdraiato
sul letto sfatto, Loki osservava il soffitto polveroso della
stanza del bordello. Doveva riconoscere che, in quei tre
mesi, si erano dati decisamente da fare per ripulirla e
renderla accettabile ai suoi occhi. Era il loro cliente
preferito e lo trattavano con ogni riguardo.
Quando
sfuggiva alla noia di palazzo, si recava lì, camuffandosi
magicamente. Capitava almeno una volta ogni fase lunare e
quasi ogni notte sperimentava qualcosa di nuovo. Uomini o
donne, non aveva preferenze, aveva imparato che i piaceri
della carne rimanevano tali anche con partner del medesimo
sesso e non comprendeva l’ostilità che certe pratiche
riscontrassero nella morale comune. Aveva scacciato i propri
amanti ed era rimasto solo, come dopo ogni amplesso, perso
nei propri pensieri. Troppe volte l’idea che Odino avesse
sbagliato a valutare quel giorno su Alfheim lo sfiorava.
Frigga
aveva ragione, le persone cambiano con il tempo e le
esperienze, ma Asgard non poteva permettersi di affidarsi a
un re irresponsabile. Thor era altruista e coraggioso ma non
aveva senno, era un fatto così evidente, che Loki non capiva
il motivo della scelta di Padretutto.
All’inizio,
il cadetto aveva pensato che Odino avrebbe preso in mano
l’educazione di Thor, correggendo tutti i suoi sbagli, ma
era trascorsa una luna e ancora nulla era cambiato.
Lui
stesso aveva provato a far aprire gli occhi al fratello, ma
tutto era stato vano. Thor era pieno di boria e la
consapevolezza di essere destinato al trono, aveva
alimentato quel lato del suo carattere.
Loki
iniziava a vedere con disagio il giorno in cui Thor avrebbe
preso il posto di Odino, temeva per le sorti di Asgard. Una
volta re, l’ego del fratello sarebbe stato completamente
fuori controllo e Thor non avrebbe più ascoltato nessuno,
nemmeno lui. Già adesso Loki faticava a far sì che il
fratello gli desse retta, dubitava che in futuro avrebbe
potuto avere su di lui una grande influenza.
E
se il maggiore non lo avesse più seguito, chi avrebbe
mitigato il furore a cui spesso cedeva?
Nessuno.
Non ci sarebbe riuscito nessuno e sarebbe stata la rovina,
sarebbe stata guerra e, al solo pensiero, Loki rivedeva gli
eserciti nanici decimare gli einherjar(*) asgardiani.
Il
dio degli inganni chiuse gli occhi. Doveva riposare un poco,
prima di ritornare a palazzo. Doveva liberarsi di quei
pensieri, ma ormai nemmeno le notti di passione riuscivano
in quell’intento. Serrò la mascella, quando percepì un
lievissimo rumore. Non era suono che un normale orecchio
potesse udire, era la vibrazione di uno dei fili della
magia, che permeavano l’ambiente naturale e univano ogni
cosa del creato, all’albero che tutto aveva generato.
Un
usufruitore di magia era vicino, aveva richiamato a sé la
trama, per far scattare la serratura della stanza, senza che
alcunché risuonasse nella quiete notturna.
Chi
sei per essere così pazzo da entrare nelle mie stanze? Un
mago che non percepisce il mio potere?
La
mente di Loki era protesa verso l’intruso, lo percepiva pur
avendo gli occhi chiusi e seguiva il passo leggero che
faceva scricchiolare le assi, subito zittite dal sapiente
uso del seidr.
Seidr.
Sei dunque una donna? O sei forse un uomo che vuol farsi
biasimare dagli altri asgardiani?
Loki
era tentato di aprire gli occhi e focalizzare quella figura,
ma voleva aspettare che si avvicinasse al letto.
La
ragazza si fermò accanto al letto, osservando l’uomo,
vestito solo coi calzoni, sdraiato su di esso. Indugiò con
lo sguardo sui lineamenti del suo viso, prima di sfilare
dalla cintura una sottile ampolla. La stappò e si sporse in
avanti, appoggiandosi appena contro il materasso e tese
la mano verso la bocca di Loki, per poter rovesciare
sulle sue labbra il contenuto della fiala.
La
mano di Loki scattò e l’afferrò per il polso, la strattonò
tirandola sul letto e lei si ritrovò schiacciata sul
materasso, con l’uomo a gravarle sull’addome. Le aveva
immobilizzato i polsi sopra la testa con una mano e con
l’altra afferrò la fialetta.
Loki
l’avvicinò alle nari e ne odorò il contenuto, poi sorrise e
si chinò sulla sconosciuta, sussurrandole all’orecchio:
«Pensa un po’, ne è rimasta un po’ nell’ampolla...» Avvicinò
il contenitore alle labbra di lei, che si irrigidì, cercando
di ritrarsi. Lui le lasciò i polsi e le afferrò la testa,
costringendola a stare ferma.
«N-no!»
protestò lei, cercando di allontanare le labbra dalla mano
con la fiala che ormai le premeva sulla bocca.
Loki
le tappò il naso e la tenne stretta per lunghi istanti, in
cui lei si dibatté con forza. Il bisogno d’aria la costrinse
ad aprire la bocca e ad accogliere il fluido che cercava di
evitare. Lentamente, la rabbia della giovane si spense e la
sconosciuta si acquietò. Loki la lasciò e si sedette sul
bordo del letto, passandosi le mani tra i capelli, per
allontanarli dal viso. Tenne le iridi, magicamente azzurre,
sul volto della giovane, illuminata dalle fiamme morenti del
fuoco che scoppiettava stanco nel camino.
Il
dio degli inganni le accarezzò il crine, scuro alla debole
luce, di una tonalità simile a quella delle fattezze che
aveva assunto. Rosso erano quindi i capelli di quella
ragazza. Le sfiorò la pelle, liscia come la seta, e disegnò
l’ovale di quel volto perfetto, dagli zigomi decisi e gli
occhi velati che lo osservavano.
Loki
sorrise. «Chi sei?» le chiese, appoggiando la schiena alla
testiera del letto.
Le
lunghe ciglia della donna ebbero un fremito, prima che lei
si umettasse la labbra e rispondesse a quella domanda:
«Lorelei.»
Loki
cercò di ricordare se lo avesse mai sentito come nome, ma
non aveva memorie di esso. «Hai preparato tu la pozione
dell’ubbidienza?»
«Sì»
rispose con voce piatta.
«Perché
volevi somministrarmela?» chiese ancora, tenendo lo sguardo
fermo sul suo volto.
«Affinché
tu mi seguissi» mormorò lei, senza che alcuna emozione
trasparisse dalla sua voce.
Loki
sollevò un sopracciglio e poi si sporse verso Lorelei.
«Interessante. Sono proprio curioso di sapere il perché.»
Si
erano lasciati i bassifondi alle spalle e Lorelei precedeva
Loki, mentre lui la seguiva tenendo alta la lanterna. I loro
passi rintoccavano sul selciato curato, mentre costeggiavano
le mura che cingevano un grande giardino. E proprio quelle
mura varcarono, superando una porticina secondaria della
quale Lorelei aveva la chiave.
Il
giardino celato all’interno era meraviglioso, ricco di
alberi, arbusti, fiori e rampicanti; l’aria era
profumata dalla moltitudine di glicini che si intrecciavano
alla struttura del pergolato che sporgeva dal portico che
costeggiava l’ampio parco, al centro del quale una fontana
zampillava placida.
Lorelei
guidò Loki vicino alla vasca, poi guardò in direzione del
vicino gazebo, cinto in una gabbia di fiori dalle tonalità
viola che ricadevano in grappoli, come un sontuoso drappo.
«Bentornata,
sorellina, ben fatto» esordì una voce di donna appartenente
a una figura celata dalla vegetazione. Un’ombra abbandonò il
gazebo e si avvicinò a Lorelei e Loki. Lui la vide alzare la
mano destra e un globo luminoso si accese sul suo palmo,
illuminando l’area con una luce fredda, vagamente rosata.
«Sei
stata brava, Lorelei» disse ancora la sconosciuta,
avvicinandosi a Loki. Era più alta rispetto alla giovane,
con una criniera bionda che ricadeva in morbidi boccoli,
ricoprendole la schiena lasciata nuda dalla tunica verde
pastello che le fasciava il corpo statuario.
Quando
si avvicinò, Loki vide il bel sorriso sparire dal viso
avvenente e la paura dell’ignoto accendersi nelle iridi di
giada.
«Cosa?»
ringhiò, tramutando il globo di luce in un proiettile di
energia mistica, che attraverso il corpo dell’illusione del
principe cadetto, che si dissolse nel nulla.
La
donna serrò i denti allarmata, mentre gli occhi saettavano
per il cortile. «Stupida Lorelei, ti sei fatta ing...» Si
immobilizzò, quando avvertì il piatto della lama gelida,
posarsi sul collo.
La
sconosciuta deglutì e spostò lo sguardo sulla figura apparsa
dal nulla al suo fianco e sorrise. «Avevo percepito la
potenza della magia in te, straniero. Ti assicuro che non è
mia intenzione nuocerti» mormorò tesa, per poi sfoderare uno
dei suoi migliori sorrisi.
Quel
sorriso diede un qualcosa di familiare al suo viso e
improvvisamente la mente di Loki si tuffò nei ricordi
dell’infanzia.
Il
principe rammentò una festa del raccolto, quando ancora
aveva appena quattordici anni, di come quel giorno il suo
fisico gli avesse permesso di seguire la famiglia a
quell’appuntamento di gioia. Era rimasto incantato davanti a
una bancarella dove piccole riproduzioni dei soldati degli
eserciti dei nove regni facevano bella mostra di sé. Ne
aveva adocchiata una e aveva pregato Frigga di
prendergliela, poiché voleva regalarla a Thor. La madre lo
aveva accontentato e lui, con il suo piccolo regalo stretto
tra le dita, aveva cercato il fratello con lo sguardo,
scorgendolo mentre si allontanava. Lo aveva seguito,
correndo nel vicolo dove il maggiore si era inoltrato e, con
il fiatone, lo aveva sorpreso per la prima volta alle prese
con una ragazza.
Thor,
colto in fallo, gliel’aveva presentata e poi, nelle
settimane successive, lo aveva sfruttato per potersi
incontrare di nascosto con la bionda per la quale aveva
perso la testa. E un giorno non la vide più, Thor gli disse
che lei era partita per i territori del sud.
«Amora...»
disse, allontanandosi.
Lei
aggrottò la fronte, poi la sua risata argentina, si unì al
gorgogliare della fontana. «Dopo tutti questi anni mi avete
riconosciuto? Complimenti, principe Loki.»
Lui
continuò a sorridere, sebbene il vedersi scoperto così lo
indispettiva. Riprese il suo vero aspetto e iniziò a
camminare attorno alla fontana, piegandosi per sfiorare con
le dita l’acqua fresca. «Ammirevole. Credevo di essermi
camuffato bene.»
Amora
si avvicinò alla vasca e vi si sedette, per poi rivolgersi
alla sorella: «Lorelei, porta del vino per il nostro
principe.» Lorelei si allontanò a passo svelto e Amora
riportò lo sguardo su Loki.
«Un
trucco impeccabile, mio signore, sono giunta alla vostra
identità solo dopo alcune indagini. Una sera, mentre ero per
strada, ho percepito il vibrare del seidr e mi sono accorta
che preveniva dalla vostra figura e mi ci sono voluti alcuni
minuti per capire che avevate mutato il vostro aspetto.
Siete veramente abile nell’uso del seidr ed è sorprendente
considerato il fatto che...»
«Sono
un uomo?» domandò Loki, fissandola gelidamente, prima di
sorridere. «Dimmi, Amora, qual è il tuo piano? Immagino tu
non abbia mandato tua sorella a cercare di drogarmi, senza
averne uno.»
Lei
sorrise, passandosi le lunghe dita sottili, nei capelli
lucenti come le stelle che brillavano in quella notte di
fine estate. «Forse non crederete alle mie parole, ma il mio
unico desiderio e confrontarmi con voi.»
Loki
si accomodò al suo fianco, senza distogliere lo sguardo dal
suo volto. «Hai proprio ragione: non ti credo.»
Amora
arricciò le labbra, con espressione divertita. «Mio
principe, comprendo la vostra diffidenza visto il modo in
cui vi ho fatto condurre qua, ma se mi fossi palesata
apertamente, la vostra reputazione ne avrebbe risentito»
spiegò con voce melliflua. «Quello che più agogno, è la
possibilità di condividere con voi la conoscenza, scambiarci
alcuni nostri segreti per migliorare le nostre abilità e
difendere le nostre macchie» aggiunse, posando una mano sul
petto di Loki, risalendo verso il suo collo.
Lui
l’afferrò con uno scatto, senza distogliere lo sguardo da
quello di Amora. «È forse una velata minaccia la tua?»
Lei
sostenne gli smeraldi che sembravano volerne sondare l’anima
e continuò a sorridere. «Mio principe, sono fedele ad Asgard
e sono pronta a dimostrare la mia lealtà alla famiglia
reale, anche testimoniando il falso. Sappiamo tutti come
nessuno possa scampare al vigile guardiano che sorveglia il
Bifrost. Prima o poi Heimdall si accorgerà del tuo trucco e
allora la tua reputazione verrà ridotta in minuscoli
brandelli che verranno trasportati dal vento in ogni angolo
di Asaheim. E a quel punto tutti sapranno e tutti ti
additeranno. Ma se una donna garantisse per te… in cambio di
reciproci favori...»
Loki
si alzò con un movimento fluido. «Ho capito» disse,
congiungendo le mani dietro la schiena e camminando con aria
pensierosa, dedicando vaghe occhiate al giardino che li
accoglieva. La sua attenzione si spostò su Lorelei, di
ritorno con un vassoio, una caraffa d’argento e calici
d’oro. Il principe ne riempì due con il liquido scarlatto
dall’aroma deciso e si avvicinò ad Amora, offrendogliene
uno.
«Ciascuno
di noi, sarà quindi il maestro dell’altro e il garante in
caso di difficoltà. Ho inteso correttamente?»
Amora
si alzò in piedi, dopo aver accolto la coppa e brindò,
facendo tintinnare il metallo. «Esattamente, Loki.» Sotto lo
sguardo del principe, bevve per prima imitata poi dall’uomo.
Loki
appoggiò il bicchiere sul vassoio e passò le dita sulle
labbra. «Bene. Inizieremo domani. Troviamoci nella radura
degli abeti dopo il mezzodì.»
«Non
sarebbe forse più indicato un luogo più...» si azzardò a
dire Amora, ma lui la interruppe.
«Domani,
alla radura degli abeti» ripeté, fissandola duramente.
Amora
abbassò lo sguardo e fece un’educata riverenza. «Come
desideri.»
Loki
aveva lasciato che i mesi trascorressero, illudendo Amora di
avere la situazione in pugno. Le aveva fatto credere di aver
ceduto ai suoi incanti e ai suoi filtri che annichilivano la
volontà e di essere folle d’amore per lei. E a quel punto
lei aveva pian piano mostrato il suo vero interesse: il
trono. L’incantatrice si era avvicinata a Thor con
discrezione e lo aveva irretito, finendo nuovamente tra le
possenti braccia del primogenito di Odino, dimenticandosi di
Loki, che aveva ripreso i suoi studi, decisamente più
proficui che le scarne informazioni che Amora gli aveva
concesso. Ma era normale aspettarselo: nessun incantatore
rivelava mai i propri segreti, non tutti almeno.
Seduto
su una delle panchine nei pressi della fontana che
rappresentava la tregua con Jotunheim, all’interno del parco
più imponente della capitale, Loki controllava i propri
appunti, segnando su un taccuino appoggiato accanto a sé
eventuali note. Udì il rumore dei passi sulla ghiaia del
vialetto farsi sempre più vicino e, con suo profondo
disappunto che non palesò in alcun modo, si fermarono
proprio di fronte a lui.
«Loki.»
Lui
sollevò le iridi su Fandral, che gli aveva rivolto la
parola, poi spostò lo sguardo su Volstagg, alla destra dello
spadaccino e su Hogun, alla sinistra. Chiuse il taccuino di
appunti, anche se dubitava che quei tre potessere capire di
cosa trattassero le scritte vergate con grafia ordinata e
sottile, poi sorrise loro. «Amici, posso aiutarvi in qualche
modo?»
I
tre si scambiarono un’occhiata, poi Fandral si lisciò i
baffi biondi e parlò: «Dovresti far qualcosa per la tua
donna.»
Loki
inarcò un sopracciglio, assumendo un’espressione perplessa.
«La mia… cosa?»
Volstagg
sbuffò, gonfiando le guance paffute. «Quell’Amora!, insomma,
si comporta in maniera inopportuna.»
«Credo
di non afferrare il senso di questo discorso» commentò Loki,
interiormente divertito.
«Oh,
Loki, vedi di riportarla al tuo ovile!» sbottò Fandral,
iniziando a perdere la pazienza.
Loki
sorrise. «Amici, perdonate, quale correlazione ci sarebbe
tra Amora e un ovile? Ella non è una pecora...»
«Ma
tu invece sei becco!» insinuò Volstagg.
Loki
rise. «Ancora questa storia… Se a voi non piace l’elmo della
mia armatura...»
«Mio
principe» esordì Hogun, «quello che cercano di dirti, in
maniera poco educata, è che la dama che è spesso stata vista
con te in atteggiamenti intimi, sembra si sia avvicinata
molto a tuo fratello.»
«Anche
troppo» aggiunse Volstagg, tamburellando con le dita sulla
stoffa della casacca, tesa sull’addome.
Loki
si alzò e mise una mano sulla spalla di Hogun. «In realtà ho
inteso perfettamente, mio pacato amico, ma non vedo il
motivo per cui dovrei preoccuparmi.»
«Ma
come!?» si intromise Fandral. «Non la frequentavi, forse?»
Lui
gli sorrise.«Esatto. Hai anche utilizzato il corretto tempo
verbale. Frequentavo. La fiamma scaturita dalla comune
passione per le arti arcane, si è spenta e Amora, per quanto
avvenente, non solletica più il mio intelletto. Per tanto,
non ho alcun diritto per intromettermi nei suoi nuovi
interessi.»
La
delusione comparve sul volto dei tre guerrieri e qualche
imprecazione sommessa sfuggì alle labbra di Volstagg.
«Capito»
replicò Hogun. «Grazie.» I tre guerrieri si allontanarono e
Loki rimase di nuovo solo.
Il
dio degli inganni sorrise, raccolse i propri appunti e li
fece scomparire magicamente, poi si incamminò verso una
delle uscite del parco. Era intimamente soddisfatto. Se
anche Amora avesse minacciato di ricattarlo per averlo
sorpreso a frequentare luoghi non idonei a un virile
principe di Asgard, le sue parole non sarebbero state
credute, soprattutto dopo quella volta che si era fatto
sorprendere da una guardia, all’interno dei giardini di
palazzo in atteggiamenti inequivocabili, proprio con la
stessa Amora. In realtà, era stato lui stesso a esortare il
capitano degli einherjar a controllare meglio l’interno
delle mura, poiché gli era sembrato di vedere persone
sospette aggirarsi nel parco. Aveva orchestrato tutto,
ritorcendo contro Amora il suo ricatto. Quell’evento,
abbastanza ravvicinato alla seduzione operata
dall’incantatrice nei confronti di Thor, aveva segnato la
fine di quell’insulsa relazione.
Ormai
prossimo ai cancelli, Loki percepì una presenza, celata
dietro uno degli stipiti di granito. Istintivamente,
avvicinò la mano all’impugnatura del pugnale, pronto a
estrarlo all’occorrenza. Quando oltrepassò l’ingresso, ai
piedi vicino alla parete intravide una figura. Era evidente
non stesse facendo nulla per nascondersi e, quindi, finse di
accorgersi di lei e la fissò.
Sif
gli sorrise, rivolgendogli un cenno del capo come saluto.
Lui
sorrise per educazione e l’apostrofò con un: «Buongiorno,
Lady Sif», prima di proseguire.
La
guerriera lo seguì e gli si affiancò in silenzio.
Non
si rivolsero la parola per più di cinque minuti e Loki, per
quanto infastidito dalla presenza della donna, rimase
apparentemente calmo, salutando le persone che incrociava
lungo la via.
«Pensi
di darmi attenzione?» esordì Sif, sconfitta da quel
silenzioso gioco fatto di ostinazione.
Lui
la fissò negli occhi chiari e sorrise. «Perdonami. Non mi
ero accorto che mi seguivi» spiegò con un sorriso che lei
ricambiò.
«Bugiardo»
commentò Sif, scuotendo il capo. «Hai parlato con tuo
fratello di recente?» chiese poi.
«Sono
molto impegnato con lo studio e immagino che Thor lo sia con
gli allenamenti» ribatté tranquillo.
«Sono
tre giorni che Thor non si presenta all’arena» lo informò
Sif e quelle parole fecero volgere su di lei lo sguardo di
Loki.
La
perplessità sul volto del dio durò un solo istante e fu
presto soppiantata da un sorriso tranquillo. «Siano
ringraziate le Norne. Forse mio fratello ha deciso di
seguire il programma di Padretutto e iniziare un’attenta e
severa preparazione in vista del ruolo che lo attende.»
Sif
sorrise e scosse la testa. «Sicuramente sarà così. Ma, in
nome di Asgard, parla con tuo fratello. Quando lo avrai
fatto, mi troverai al palazzo di Heimdall.» Si fermò sul
ciglio della strada e l’attraverso, lasciando solo Loki, il
quale riprese a camminare.
Qual
era lo scopo di quella chiacchierata? Dove voleva arrivare
Sif?
Disturbato
dalle parole della guerriera, Loki fermò una guardia,
afferrandola per il braccio. «Hai visto mio fratello?»
chiese altero.
«Era
nella sala degli strateghi, mio principe, quando vi son
passato innanzi per la ronda.»
Loki
annuì e si incamminò verso la stanza indicatagli. Un sorriso
gli comparve sulle labbra, rassicurato. Se Thor era là,
significava che le insinuazioni di Sif non riguardavano i
problemi millantati dagli altri tre guerrieri. Eppure, si
rese conto lui stesso, che il sorriso che increspava le sue
labbra era finto, nervoso.
Raggiunto
l’ampio salone dove il Consiglio di Guerra si riuniva
durante gli sforzi bellici, Loki vide Thor chino sul tavolo
delle mappe.
«Fratello»
esordì, avvicinandosi a lui, «qualcosa minaccia la pace dei
nove regni?»
Thor
rimase con lo sguardo assorto sulle piante topografiche che
ingombravano il tavolo. «Voglio attaccare Alfheim» disse,
alzando lo sguardo su Loki. Sorrise raggiante e gli mise le
mani sulle spalle. «E tu mi aiuterai!»
Loki
aggrottò la fronte. «Ad attaccare gli elfi della luce?
Perché?»
«Per
l’infame prova a cui ci hanno sottoposto. Tu dovresti voler
la loro disfatta più di me, visto che per colpa del loro
inganno hai mancato l’obiettivo» rispose Thor risoluto.
Un
campanello d’allarme suonò nella mente del dio degli
inganni, che sorrise. «È vero, ma dichiarare guerra ad
Alfheim, perdere un prezioso alleato… Padre non lo
permetterebbe mai...»
Thor
scosse il capo. «Hai equivocato. Il mio desiderio è
recuperare un oggetto che lady Amora ha perduto in un suo
viaggio ad Alfheim» spiegò.
Loki
rimase impassibile, mentre nella sua mente i campanelli si
erano tramutati in fanfare. «E cosa mai potrebbe essere così
importante, da rischiare l’antica alleanza con gli elfi?»
«Andvaranautr(*)»
rispose il fratello. «È un cimelio di famiglia che Amora ha
perduto e io sono fermamente intenzionato a renderglielo.»
«Thor,
quell’anello è proprietà degli elfi da molto, molto tempo.
Da prima che Amora nascesse. Dubito che ella abbia potuto
perderlo» fece notare Loki.
«Sciocchezze!
Stai forse mettendo in dubbio le parole di una dama?»
Loki
vide una rabbia flebile accendersi nelle iridi celesti del
fratello e arricciò le labbra. «No di certo. È evidente che
mi sia sbagliato. Prima di decidere se aiutarti o meno,
permettimi di sistemare alcune cose, poi valuterò la tua
richiesta.»
Thor
sorrise e gli diede una pacca poderosa sulla spalla. «Allora
vai, non farmi attendere troppo!»
Loki
sorrise e si congedò, lasciando a passo svelto la sala. Non
appena fu nel corridoio, l’espressione si fece glaciale.
A
che gioco stai giocando, Amora?,
si domandò, affrettandosi verso il palazzo di Heimdall.
Doveva vedere lady Sif e sapeva che non gli sarebbe
piaciuto.