Di per
certo non so perché mi trovo qui, in questo angolo di mondo
dimenticato da tutti. La neve era alta più di un metro e
mezzo, nessuno era passato a spalare.
I tetti
delle case cedevano sotto il peso folle, e le abitazioni erano fredde,
perché i riscaldamenti erano tutti guasti.
Le
macchine non potevano muoversi, centinaia di persone erano
già morte quella settimana e il tempo non accennava a
migliorare.
Accesi la
Televisione. Proprio come pensavo. Il TG annunciava
l’ennesima nave affondata, l’ennesimo treno
deragliato, l’ennesimo aereo precipitato.
Sembrava
l’inizio della fine. Per me, pensavo, e per tutti.
Ma mi
sbagliavo. Perché ancora no sapevo che tutto ciò
che stava accadendo non aveva un responsabile, se non me, appunto.
Apparentemente
conducevo una vita più che normale: amici, TV, scuola, ma, e
credetemi ancora adesso, ora che tutto è
finito, stento a crederci, nascondevo un importantissimo e
per certi tratti inquietante, segreto esistenziale.
Avevo
deciso di uscire con il mio migliore amico, Spike. Alto, biondo, occhi
neri. Per me era come un fratello, lo conoscevo fin dai tempi
del’asilo.
Avevamo
deciso di farci accompagnare in macchina, dopo aver ripulito tutta la
carrozzeria dalla neve, sfidando la situazione meteorologica avversa.
Era da letteralmente da pazzi, ma, dopo settimane chiusi in casa, a
guardare la tv e trangugiare gli avanzi, vi giuro che si farebbe di
tutto per camminare in un posto che non fossero i cinque
metri quadrati della propria stanza.
Ci stavamo
dirigendo alla stazione della metropolitana più vicina a
casa, Molino Dorino, alle porte di Milano, per poi arrivare al centro
commerciale dove avremmo passato la giornata.
Scendemmo
dalla macchina, un vecchio Peugeot 106 di proprietà di mia
mamma, e la salutammo. Lei ripartì a tutta
velocità . In giro non c’era anima viva. Era tutto
così spettrale che nessuno sarebbe riuscito a non avere
nemmeno un sussulto di fronte a quello spettacolo.
Aveva
però smesso di nevicare, e, li per li e piuttosto
ingenuamente, pensai che fosse una cosa positiva.
Dico
ingenuamente perché dopo qualche secondo cominciarono a
cadere dal cielo grossi goccioloni di quella che sembrava pioggia. Ma
appena me ne cadde una sulle labbra capii che non lo era: si
trattava di una sostanza salata non meglio identificata.
scambiai uno sguardo incredulo con Spike. evidentemente nemmeno lui
riusciva a capacitarsi di tutto ciò.
A parte
questo la stranezza era che il cielo era completamente terso, non c'era
nemmeno una nuvola, e cambiava colore, come quella lampade a fibra
ottica, che si rifletteva sulla neve che copriva le macchine
parcheggiate li intorno.
Anche se
intimoriti, pensammo più di una volta, infatti, di
tornarcene a casa, decidemmo di proseguire entrando nella stazione, per
fare i biglietti.
L’edicola
era chiusa e le macchinette automatiche erano fuori uso: nel display si
vedevano solo Bande colorate, come quelle che trasmettono in Tv quando
interrompono un programma in diretta.
Notammo,
poi, che dentro il gabbiotto del controllore, che si trova tra le file
di torneli che dividevano la zona metro dall’atrio
principale, stava seduto in un angolo fissando i monitor
delle telecamere, un omino basso e tarchiato. Capimmo dalla targhetta
sul petto che si chiamava Giulio.
Appena
fummo abbastanza vicino che lui ci potesse vedere, sussultò,
cadendo dalla sedia.
Rispuntò
dopo qualche secondo, sporco di polvere, che poi si scrollò
di dosso tirandosi delle pacche.
«scusate»
disse con voce nasale e acuta « ditemi tutto,
ragazzi»
«dovremmo
usare la metropolitana. Ma dove prendiamo i biglietti?» dissi
«li
trovate in edicola o alle macchinette» disse
Spike gli
spiegò che non era possibile, e lui si scusò
dicendo che non l’aveva notato, poiché era intento
a controllare i monitor. “ma se non
c’è nessuno!” pensai.
«siete
fortunati. Ne ho sempre un paio nel portafogli»
squittì passandoci due biglietti nuovi dalla fessura nel
vetro.
«la
ringrazio» disse Spike
«arrivederci!»
conclusi infine io.
Timbrammo
e scendemmo le scale. Fortunatamente la metropolitana arrivò
subito.
Salimmo, e
ci accomodammo nei primi due posti che vedemmo, spostando i giornali
abbandonati qua e la.
Arrivammo
velocemente alla stazione di San Leonardo. Ma il treno non riusciva a
ripartire.
Poi
accadde tutto con una rapidità inaudita.
La luci si
spensero e una violenta ma alquanto breve scossa di terremoto
ci fece cadere da dove eravamo seduti. Il treno
ripartì ad una velocità sovrannaturale. E poi,
improvvisamente si fermò.
La
metropolitana sparì e noi, ci trovammo accasciati
sull’erba soffice.
Eravamo in
una radura. Intorno a noi, il bosco.
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