Gli anni passano, noi restiamo gli stessi di tanto tempo fa di Alexiel Mihawk (/viewuser.php?uid=28142)
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Titolo: Gli anni
passano, noi restiamo gli
stessi di tanto tempo fa
Autrice: Alexiel Mihawk
| alexiel_hamona
Fandom: Haikyuu!
Personaggi: Iwaizumi
Hajime, Oikawa Tooru
Parole: 2063
Generi:
generale, sentimentale, angst
Warning:
future fic
Rating:
sfw | safe
Note: questa storia
è stata scritta senza
apparente motivo, fondamentalmente perché stavo affogando
nei feels Iwaoi. È il
mio primo approccio con questo fandom e spero sinceramente di essere
riuscita a
mantenere i personaggi IC.
-
Per la scrittura mi sono ispirata ai Doujinshi di Sashikiz/ Gusari che
potete
trovare qui e qui, ho cambiato alcune cose, ma ho chiaramente
utilizzato Ano Machi ni Sunderu Karera no Koto
come
idea di base per la trama.
-
Nella serie sappiamo che Oikawa ha un nipote, ho scelto quindi di
fargli avere
una sorella maggiore.
-
Nella serie Oikawa non indossa una ginocchiera, ma un sostegno per
ginocchia
che mi porta a pensare che abbia qualche problema con
quell’articolazione. In
realtà volevo fargli rompere l’anca
all’inizio, anche per differenziare la
storia dal Douji, però questo era più plausibile.
Gli
anni passano, noi restiamo gli stessi di tanto tempo fa
Oikawa
ha un sorriso radioso, una personalità irritante e fin
troppe ammiratrici.
Ci
sono dei giorni in cui Iwaizumi non riesce nemmeno ad avvicinarglisi
durante le
ore scolastiche, perché l’amico sembra essere
circondato da un muro
impenetrabile di divise femminili; sono quei giorni in cui le sue
sopracciglia
si piegano leggermente verso l’interno e Mattsun lo prende
ripetutamente in
giro - perché è raro
vedere la coppia
sposata così distante, non avrete mica litigato?
Sono
anni che lo conosce e sì, insomma, oramai si è
abituato, almeno questo è quello
che si ripete ogni volta che, con la coda dell’occhio, vede
le dita di qualche
compagna più audace sfiorare debolmente l’orlo
della giacca di quel demente; e
Shittykawa ogni tanto potrebbe anche sottrarsi alla presa o smettere di
sorridere, ma non lo fa mai e Iwaizumi non può che girarsi
dall’altra parte e fingere
di non vedere.
E
non è facile fare finta di niente, non quando riesce a
leggere così chiaramente
ogni pensiero, ogni espressione che attraversa il volto di Oikawa: la
sua
soddisfazione, il suo disappunto e, soprattutto, il suo misurato ego
che a
volte è così spropositato da invadere
l’intera aula con le sue vibrazioni di
autocompiacimento.
A
volte pensa che se non lo conoscesse così bene sarebbe tutto
più facile, perché
se lui riesce a capirlo così facilmente, senza fatica,
allora significa anche
che Tooru riesce a leggerlo come un libro aperto.
Hajime
non sorride quasi mai, è scontroso, facilmente irritabile e
tende a non avere
troppi amici.
Ci
sono giornate in cui quasi non rivolge la parola a nessuno se non a
Oikawa e
agli altri membri della squadra e sono quei giorni in cui Tooru sorride
più del
solito mentre tornano a casa assieme e si sente in dovere di assillarlo
per
qualsiasi cosa; Iwa-chan assottiglia lo sguardo e gli dà
dell’idiota, ma lo
ascolta sempre, a prescindere dall’argomento. Altre volte,
invece, nelle pause
tra una lezione e l’altra, ci sono persone che gli si
avvicinano con l’intento
palese di rivolgergli la parola; capita anche che si tratti di ragazze
- ragazze
dai gusti discutibili, su questo Tooru non ha dubbi, ma pur sempre
carine e
sorridenti - che gli si avvicinano e lo guardano con occhi colmi di
sentimenti
che Iwa-chan non riesce a vedere.
Quelle
sono le giornate in cui Oikawa sente l’impotenza farsi largo
dentro il suo
petto, un bruciante senso di inferiorità lo coglie
afferrandolo da dietro,
cingendogli le spalle in una nube scura e attanagliandogli lo stomaco;
Tooru guarda
Hajime sorridere - a volte addirittura ridere ed è
così ingiusto che con lui
non rida a quel modo - sente la sua voce roca farsi più
gentile e percepisce un
moto di invidia che non dovrebbe nemmeno esserci, una sensazione
spiacevole che
si rifiuta di accettare. Sono i pomeriggi in cui, a volte, durante gli
allenamenti, si distrae e riceve una pallonata in faccia e quando
Iwa-chan gli
domanda cos’abbia - perché Iwa-chan sa sempre
quando qualcosa non va - gli mette
il muso e si rifiuta di rispondere.
Per
chi li guarda da fuori è quasi ridicolo come riescano a
capirsi così bene, ma
non siano in grado riconoscere i sentimenti che provano l’uno
per l’altro.
Mattsun e Makki hanno iniziato a fare scommesse per vedere quanto ci
metteranno
a capirlo, se mai ci arriveranno; ogni tanto sono tentati di
intervenire di
persona, in quei pomeriggi uggiosi in cui Iwaizumi e Oikawa non fanno
altro che
litigare e risultano ingestibili durante gli allenamenti.
Alla
fine decidono di non dir loro niente.
Forse
è un errore, forse no, fatto sta che nessuno parla e le loro
vite proseguono,
lente e sempre uguali, tra una partita di allenamento e
l’altra.
***
Sei
mesi dopo avere compiuto vent’anni, senza dire una parola a
nessuno, Oikawa
scompare.
Iwaizumi
lo cerca, ma invano; alla fine capisce che la verità, quella
scomoda,
fastidiosa e troppo dolorosa per essere reale, è che Tooru
non vuole essere
trovato, non da lui. Ci vuole tempo e il dolore lascia spazio alla
rabbia e la
rabbia alla frustrazione, e quella parte del suo cuore in cui viveva
Oikawa
viene messa da parte e sigillata così che non possa
più ferirlo ogni volta che
si trova anche solo a pensare a lui.
Ogni
tanto ha il dubbio che Mattsun sappia dove si trovi e cosa stia
facendo, ma l’amico
nega ogni volta e alla fine Hajime si arrende e va avanti con la sua
vita,
perché che altro può fare? Se i suoi ci rimangono
male quando rivela di non
avere intenzione di continuare a studiare non lo danno a vedere; chi lo
guarda
con apprensione rimane Makki e ogni tanto persino da Yahaba -
perché sì, è di
Iwaizumi che stiamo parlando e potrebbe fare qualsiasi cosa ed essere
qualsiasi
cosa e non un semplice muratore, ma non sanno come dissuaderlo, e dopo
un
ennesimo litigio rinunciano a dirgli qualsiasi cosa.
Hajime
non mette più piede in un campo da pallavolo,
perché se ad alzare per lui non è
quell’idiota di Trashykawa, allora giocare non ha senso.
Quando
Tooru si rompe per la seconda volta il ginocchio capisce che non
potrà più alzare
per nessuno.
Ha
diciannove anni e la carriera professionale che si prospettava
brillante di fronte
a lui si trasforma in un sogno lontano; vorrebbe poter dire che riesce
a
superare la cosa con filosofia, ma mentirebbe e basta e non
è mai stato granché
bravo nel farlo.
Ad
essere del tutto onesti non sa quale sia la cosa che gli spezza
maggiormente il
cuore: se il costante preoccuparsi di Iwa-chan, che non lo lascia mai
da solo
senza però essere in grado di dargli quel tipo di affetto
che Tooru cerca
disperatamente da lui, o se la bruciante consapevolezza di avere
fallito, di
essersi giocato il proprio futuro per una stupida caduta da una
bicicletta.
Alla
fine decide di scappare, perché scappare gli riesce bene e,
come si ripete di
notte abbracciando il cuscino e trattenendo le lacrime, si sposa con la
sua
natura codarda; ci sono settimane, forse mesi in cui pensa che non
uscirà dalla
stanza, in cui crede che cadrà in depressione - una di
quelle vere, di quelle
serie, che ti obbligano a prendere medicinali e ad andare dallo
psicologo - e
che non riuscirà a riprendersi.
Poi
viene spedito da sua sorella.
La
primogenita della famiglia Oikawa non è una che ci va tanto
per il sottile: lo
obbliga ad alzarsi, a pettinarsi, a mangiare, a uscire di casa. Si
trova a fare
da madre a due bambini invece che a uno solo e Tooru trova in suo
nipote e in
quella famiglia sgangherata una nuova motivazione, così si
iscrive a
fisioterapia e decide che cercherà di evitare a tutti i
costi che altri atleti,
altri ragazzi come lui, si ritrovino con i loro sogni spezzati davanti
agli
occhi. Non sono riuscito ad aiutare me
stesso, dice sempre a sua sorella, ma
in questo modo, forse, sarò in grado di essere un sostegno
per qualcun altro.
Da
Iwa-chan però non ci torna, non gli scrive, non si fa
sentire, cambia
addirittura numero di telefono; la verità è che
non riesce più a sostenere il
suo sguardo, ad averlo vicino e a sentire la sua voce. Oramai ha
deciso, tutto
di testa sua, che il suo è un amore non corrisposto e che
l’unico modo per
sopravvivere, per non rimanere schiacciato dal peso di questi
sentimenti a
senso unico, è ricominciare da capo e gettarsi il passato
alle spalle
cominciando proprio con la persona a cui tiene di più.
Trascorrono
cinque anni prima che Iwaizumi e Oikawa si rincontrino.
Avviene
per caso, è uno di quegli incontri fortuiti che non ti
aspetti, che sogni la
notte e speri con tutto te stesso possano avvenire, ma in cui non
riesci a
credere davvero perché la vita non è
così gentile.
Hajime
è rimasto coinvolto in un incidente sul lavoro, una cosa
così stupida che
persino i suoi operai hanno riso di lui; è diventato
capocantiere un anno prima
e i suoi uomini lo rispettano, di solito, ma è abbastanza
certo che quella
caduta così goffa dal piano rialzato non la dimenticheranno
in breve tempo. E in
effetti poteva rendersi conto che la scala era spostata a lato, ma no,
ovviamente lui era andato dritto e quando aveva sentito che mancava il
pavimento non aveva fatto nemmeno in tempo a dire “merda” che si era ritrovato in
terra con un osso che sporgeva in
modo molto poco rassicurante dalla gamba. Una bella seccatura.
Certo
tutte le spese mediche sono state pagate dalla ditta, insieme a un mese
di
riabilitazione.
Ed
è lì, dopo poche ore dal suo arrivo nel reparto
di fisioterapia, che rivede
Tooru.
La
prima cosa che riconosce, in quella stanza bianca e azzurra che odora
di
disinfettante, è la voce, con quella cadenza irritante che
il suo amico era
sempre solito usare quando rispondeva a una ragazza. Hajime si gira
lentamente,
facendo leva sulle stampelle e spalanca lo sguardo, mentre quella diga
che ha
costruito pezzo dopo pezzo ad arginare il ricordo di Oikawa si spezza e
i
sentimenti tornano a invadere con prepotenza il suo petto. Sorpresa,
rabbia,
una rabbia sorda per cui vorrebbe prenderlo a pugni e domandargli dove
sia
stato per tutto questo tempo, e poi quella sottile sensazione di
sollievo nel
vedere che sta bene che si trasforma in gioia nel momento stesso in cui
Tooru
solleva lo sguardo e lo riconosce.
Rimangono
fermi a fissarsi per quelli che paiono minuti interi, ma che a detta
dell’infermiera
non sono che pochi secondi, con gli occhi spalancati e lo sguardo di
chi si
trova di fronte a una seconda possibilità che non credeva
sarebbe mai arrivata.
«Ti
si è allungata la frangia, Shittykawa» e non sa da
dove gli escano quelle
parole, perché le cose che vorrebbe dirgli, che vorrebbe
urlargli, sono così
tante e alcune fanno male e se le porta come macigni nel petto da anni.
Però se
le tiene dentro e non le dice e sorride soltanto, mentre cerca di
evitare di
piangere perché ha venticinque anni e sì,
insomma, non è proprio il caso di
mettersi a frignare davanti a tutti e poi è sempre stato
Oikawa quello dalla
lacrima facile, non lui.
Tooru,
da parte sua, non dice niente, rimane lì senza capire
davvero, finché la voce
roca di Iwa-chan non lo riporta alla realtà e loro hanno di
nuovo diciassette
anni e non è cambiato niente, il tempo non è mai
trascorso e lui non è mai
scappato senza più fargli sapere niente; nel momento in cui
capisce che non sta
sognando, Oikawa ritorna a respirare e si rende conto che per cinque
anni è
andato avanti trattenendo il fiato.
Non
saprebbero dire che sia dei due a fare il primo passo verso
l’altro; le
stampelle di Iwaizumi cadono a terra nel momento stesso in cui lo fa la
cartelletta medica di Oikawa e quando si abbracciano rimangono entrambi
senza
fiato. Ed è strano ed è inebriante,
perché nessuno dei due osa dire niente e l’intera
stanza si è fatta silenziosa mentre i due ragazzi si tengono
stretti sotto gli
sguardi curiosi dei presenti.
Oikawa
non è sicuro di volersi staccare, perché teme che
Iwa-chan possa sparire -
anche se quello che è scappato è stato lui e lui
sa, lo sa quando Hajime lo
abbia cercato -e al momento è così malconcio e
ingessato e pieno di graffi che
ha paura possa cadere di nuovo se lo lascia andare o, forse, molto
più semplicemente,
non vuole che si accorga che sta piangendo.
Iwaizumi
lo stringe più forte di quanto vorrebbe, forse è
un riflesso inconscio e spera
di fargli almeno un po’ male, però non lo prende a
calci, né gli tira il pugno
che spesso ha immaginato gli avrebbe mollato - proprio su quel naso di
cui va
tanto fiero - nel momento cui lo avesse rivisto; semplicemente decide
che non
gli importa, che va bene così, perché Oikawa ha
lo stesso profumo di un tempo e
Iwaizumi lo sa, lo sente che sta piangendo come un bambino contro la
sua
spalla.
«Se
mi sporchi la maglia di uccido, Trashykawa» gli borbotta in
un orecchio, perché
gli anni passano, ma lui Oikawa riesce ancora a capirlo perfettamente.
«Mi
sei mancato anche tu, Iwa-chan».
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