I
QUELLA NOTTE
“Ti vedo più
calmo del solito questa sera. Anzi… ti vedo
tranquillo come mai prima d’ora!” disse il Dio del
Tempo.
“Vaffanculo!”
rispose il Dio del Kaos, seduto sul trono, con
voce roca ed
altalenante.
Il Dio del Tempo sorrise e Kaos
alzò lo sguardo. Tempo era alto,
con i capelli che si arricciavano in verticale a formare il simbolo
dell’infinito, quasi a voler ricordare in ogni momento la sua
ciclicità e
durata eterna. Quella notte, come sempre nella sua esistenza, la
divinità dello
scorrere delle ore stringeva un pendolo nella mano destra. Era color rosso rubino ed oscillava,
inevitabilmente e
in qualunque posizione venisse posto, una volta al secondo.
Quella notte il Tempo passeggiava per
il salone del Kaos, ignorando
l’oscillare di quello che era uno dei suoi strumenti di
lavoro, e faceva
svolazzare per il pavimento la veste ampia a sfumature grigie. Passeggiava canticchiando e
sorridendo
all’irritatissimo Dio del Kaos, che invece stava seduto su un
seggio fatto di
spuntoni e rientranze irregolari.
Kaos si sorreggeva la testa con la
mano destra e seguiva con
gli occhi quel maledetto pendolo che, in quel momento, avrebbe fatto
tanto
volentieri mangiare al suo proprietario.
Con la mano libera iniziò
a giocare con l’altissimo colletto
del mantello che faceva sì che il suo volto, indefinito,
privo di tratti
somatici, fosse quasi del tutto coperto. La sola caratteristica
chiaramente
riconoscibile sul viso del Kaos erano gli occhi, che quella notte
ruotavano a
destra e sinistra in modo inquietante.
Nervoso, iniziò a
tamburellare sul bracciolo, producendo
così l’unico suono in tutto il salone.
Nonostante fuori imperversasse una
sorta di tempesta, con tuoni,
lampi e urla di vari Dèi controllori
dei fenomeni atmosferici che litigavano tra loro, all’interno
della dimora nera
regnava il silenzio totale. Era una cosa molto rara. Il Tempo, forse
intimorito
da quell’insolito silenzio, fluttuava a mezz’aria
per non disturbare.
Ta-tak.
Le
unghie del Kaos si alzavano e si abbassavano dal bracciolo.
Ta-ta-tak.
Kaos
fissava la
confusione assoluta che regnava sovrana
da sempre nel suo palazzo.
Dall’alba
dei giorni, primeggiava la mancanza di logica eppure, quella notte, il
padrone
di casa provava l’irrefrenabile desiderio di mettere in
ordine. Fremeva al
pensiero di ricomporre i vari oggetti distrutti e sparsi per il
pavimento, o di
ritrovare le cose dimenticate negli angoli e lasciate al buio a fare
ragnatele.
Al Kaos piaceva lanciare in giro ciò che gli capitava a tiro
e questo rendeva
il suo regno alquanto singolare. Inoltre detestava gli angoli retti e
l’armonia
perciò tutta la Sua architettura si basava su angoli
assurdi, scale e pavimenti
storti, divergenze cromatiche preoccupanti e forme prive di senso.
Adorava il
suo pavimento diagonale, le sue piastrelle tagliate a casaccio, i
quadri in
pendenza, le finestre rotte e gli oggetti sparsi ma, quella notte,
aveva un
irrefrenabile desiderio di mettere in ordine...
Iniziò a guardare in alto,
per distrarsi. Seguiva le linee
che attraversano tutto il soffitto, terminante a punta, decorato con
tantissime
forme geometriche impossibili formate dal loro incrocio.
Con il bel tempo da quella punta
entrava uno spiraglio di
luce. Il padrone di casa non amava molto i luoghi luminosi quindi le
finestre
erano oscurate da pensanti tende nere e quel piccolo spiraglio era
l’unico
punto da cui filtrava un lieve bagliore.
“Immagino sia la tua
natura” riprese, ad un tratto, il
Dio del Tempo “Il Kaos, quando va tutto
bene, è agitato e nervoso. Quando invece ha motivo di
preoccuparsi, se ne sta
tranquillo e mogio”.
Il Kaos fece un balzo sulla sedia non
aspettandosi la voce
del collega. Aprì la bocca e la richiuse.
“Mi vien voglia di mandarti
di nuovo in quel posto” esclamò,
infine.
Decise di alzarsi e si
avvicinò al suo primogenito, il Dio
della Paura e dei Sogni, che stava seduto sul pavimento ad occhi
chiusi. Quel
bambino stava sempre ad occhi chiusi, perché “solo
ad occhi chiusi si
realizzano i Sogni”. E
serrando le
palpebre si affronta la Paura.
Il padre Kaos lo prese in braccio.
Come sembrava piccolo
quel bambino tra le braccia di quel Dio così alto e dai
contorni così
indefiniti!
Tutto il corpo del Disordine,
composto da nebbia e fumo in
continuo movimento e mutazione, si confondeva con i capelli che si
agitavano e
non lasciavano capire in che punto preciso finissero.
il bambino, soprattutto se messo
accanto al padre, era
chiaramente nato presentando molti tratti della madre, a partire dai
capelli
corvini ad esempio. Kaos, pur avendoli scuri, presentava molte
sfumature
tendenti al grigio. La voce del piccolo, inoltre, era rilassante ed
ipnotica, molto
diversa da quella cavernosa del genitore.
“Come vuoi che sia il tuo
fratellino o sorellina in arrivo?”
domandò il Disordine.
Suo figlio gli sorrise:
“Come nei miei sogni, papà!”.
Il padre lo rimise sul pavimento dove
il piccolo rientrò nel
suo mondo fatto di illusioni e terrore, e tornò a sedersi.
Aspettava...
Aspettava che la porta che gli stava davanti, diagonale e con troppi
fronzoli,
si aprisse per far entrare o la Morte o la Vita a dirgli se il suo
secondogenito
era nato e che era andato tutto bene.
Gli Dèi dei palazzi
confinanti iniziarono ad arrivare.
Ognuno voleva sapere com’era fatto questo nuovo Dio o nuova
Dea che si faceva
attendere. Il Sole, un uomo dalle spalle larghe e le fiamme disegnate
sul petto
scoperto, stava sulla porta ad est. Al suo fianco, il figlio di pochi
anni con gli stessi
tatuaggi appena accennati ed
in via di definizione. Entrambi vestiti di rosso, con i capelli alti ed
agitati
come le fiamme, erano avvolti da una luce calda e luminosa che metteva
in
mostra strane ombre inquietanti lungo il pavimento del salone. La Dea
della
Notte osservava da fuori la finestra. Aveva spostato una tenda e sedeva
sul
balcone. La Speranza invece era grande e restava, a mani giunte,
accanto al
Kaos che la guardava piuttosto scocciato.
Ad un tratto la Vita aprì
la porta e sorrise.
La Morte rimase in un angolo e
incrociò le braccia: “Questa
notte io non lavoro” disse con
voce profonda,
proveniente dalle viscere della terra.
Nessuno era a conoscenza del vero
aspetto di Morte. Era
maschio o femmina? Di pelle chiara o scuro? Il suo volto poteva essere
visto
solo da coloro che erano ormai giunti alla fine del loro cammino
d’esistenza. Quella
notte, con il cappuccio calcato sul
capo, chinò la testa e abbandonò la scena
sorridendo.
“Come sempre io e la Vita
ci siamo sfidati nel nostro gioco
di bianchi e di neri e stanotte ha vinto Lei. Gran bella partita.
Congratulazioni
per il secondo figlio, Kaos” parlò. E
svanì.
Prima di ogni nascita, oppure in caso
di ferite gravi e
condizioni di indecisione tra Vita e Morte, le due divinità
si sfidavano in un
gioco simile agli scacchi. La partita poteva essere vista solamente
dall’oggetto
in discussione, il soggetto in bilico tra la possibilità di
vivere e morire. Gli
Dèi, sì, sono immortali, ma solo dopo la loro
nascita. In caso di vittoria della
Morte, il nuovo Dio non vedrà mai la luce e la Vita..ma
quella notte aveva vinto
la Vita!
Il Kaos si sentì di nuovo
in vena di fare disordine. La
Vita, radiosa e stupenda, una tra le più
belle tra le Dee, stringeva tra le braccia un fagottino bianco, da cui
spuntava
un ciuffo di capelli corvini.
“È
maschio?” chiese il Kaos ansioso e felice.
“Non è nessuno
dei due!!” esclamò la Vita, con entusiasmo, e
continuò: “ È una cosa bellissima.
Né maschio, né femmina…”.
“Cos’è?!
Il Dio degli invertiti?!” gracchiò il Kaos,
tornato
alla sua solita personalità.
Il Tempo gli tirò uno
scappellotto dietro la nuca.
“Sei un
animale!!” urlò la Vita, probabilmente rivolta ad
entrambe le divinità che stavano per azzuffarsi, cosa
insolita per il Tempo ma
del tutto normale per il Kaos.
“Che divinità
diventerà?” domandò il Sole con voce
calda e
serena.
“Credo
dell’Equilibrio” sussurrò la Guerra,
rimasta
appoggiata alla porta da dove era entrata la Vita. Il Kaos
spalancò l’occhio
sinistro lasciando il destro semichiuso, cosa che al Dio riusciva
particolarmente
bene, e guardò Guerra, la sua consorte.
“Tesoro mio, moglie
mia” disse “Come può il figlio nostro,
il figlio della Guerra e del Kaos, essere il Dio dell’
Equilibrio?”.
La Guerra alzò le spalle.
La Dea, bella, bellissima, anche
quella notte era incantevole nonostante quell’aria un
po’ stravolta. Ma sempre
e comunque con un carattere che solo il Kaos poteva sopportare..e amare.
Il Kaos guardò il bambino.
Era qualcosa di indefinito, che
emanava luce e buio, gioia e timore.
Il piccino lo guardò, con
due splendidi occhi azzurri.
Il padre sorrise: “Ha i
miei occhi...” ammise “...ed io sono
l’unico Dio con quella particolare tonalità,
perciò devo dedurre che non hai
fatto ciò che pensavo con un altro, donna”.
Guardò la Guerra che, con
il suo solito sguardo accigliato,
lo minacciò di morte sibilando.
Era il loro modo di dimostrarsi il
proprio amore.
Il Kaos prese il bambino per la
collottola:“L’Equilibrio non
può stare in casa mia”.
“C’è
già un Dio dell’Equilibrio, compare
Kaos…” si affrettò
a dire il Tempo “...non cambierà nulla!
Evidentemente questo è il futuro Dio
dell'Equilibrio, destinato a prendere il posto all’attuale
Signore dell’Ordine
quando sarà giunto il momento. Quando cioè
l’attuale Dio, che a te da tanto
fastidio, sarà stanco o sarà ammesso tra gli
Dèi Alti”.
Gli Alti erano considerati degli
Dèi “consapevoli”. Dèi che
avevano vissuto, lavorato e appreso regole e procedimenti dello spazio
e
dell’insieme di ogni cosa. Erano divinità che
prendevano decisioni, grazie alla
loro esperienza e saggezza, e le comunicavano ad altri Dèi
che lavoravano
svolgendo il proprio ruolo. Ma gli Alti al Kaos non erano mai stati in
grado di
comandare nulla, perché al di fuori dalle regole e da ogni
schema, perciò non
provava alcun timore nel sentirli nominare.
Il padre continuava a tenere il
figlio come un gatto.
“Credi che mi piaccia
l’idea?” domandò rivolto prima al
Tempo e poi agli altri “Credete che mi piaccia, compagni
Dèi, l’idea di avere
un altro Equilibrio tra i piedi?! Certo che no. Spero sempre che il mio
attuale
opponente si stufi e se ne vada, in modo da darmi libero spazio e pieno
potere.
Cosa che non potrà mai avvenire se questo sgorbiciattolo
prende il suo posto”.
Il Tempo intervenne: “Ma un
giorno anche tu diventerai
stanco, stufo, e sarai ammesso tra gli Alti”.
Il Kaos scoppiò a ridere.
Una risata tetra che fece
espandere il fumo e i ciuffi dei suoi capelli e rabbrividire la maggior
parte
degli Dèi nel salone.
“Scherzi, vero, Tempo? Io
sono il Dio più anziano fra di
voi. Sono il primo creato dalle divinità Supreme e ho visto
numerosi Dèi che
hanno svolto il loro compito e son stati ammessi tra gli Alti. Io non
sarò tra
questi. Sono destinato a sopravvivere e lavorare ancora a lungo, ben
oltre
tutti i presenti in questa sala! Non mi stancherò mai del
mio lavoro, adoro
fare casino e nessun Alto potrà mai dirmi che cosa
fare”.
“Beh... allora... troviamo una
soluzione!”
Vi furono varie proposte. A chi
affidare il futuro Dio
dell’Equilibrio? Come allontanarlo da un padre che,
evidentemente, non
apprezzava la sua presenza? C’è chi
suggerì di portarlo all’attuale Dio che un
giorno sarebbe stato sostituito dal piccolo neonato. Oppure, chiedendo
agli
Alti…
Ma il Kaos non ascoltava.
Tenendo il bambino con due dita
guardava dalla finestra:
“Guarda...” sussurrò “...guarda,
figlio mio, quanti patetici, piccoli, insulsi
mortali. Guarda quanti ce ne sono sparsi per i Mondi. La loro vita
è solo un
soffio per noi. Le loro preghiere rimbombano ogni notte e in ogni
attimo nella
nostra testa, ma per la maggior parte di noi è
così facile ignorarle! Vuoi tu
andare da loro? Vuoi strisciare e attendere la morte guardando in alto
in
attesa di un segno che io non manderò se non con distruzione
e dolore? Vuoi
tu…” ma non finì la frase.
Una voce all’improvviso
irruppe dal centro della stanza.
“Che intendi fare,
Kaos?”.
Lei: il Destino! Colei con il potere
decisionale su
praticamente ogni cosa, in contatto diretto con gli Alti, puntava ora
il dito
contro l’unico Dio che mai era riuscita a piegare.
“Che intendi fare, Kaos?
Non puoi agire come credi!”.
Il
Kaos si voltò: “Che
vuoi da me, donna?” sbottò “Intanto non sei molto portata a fare la Dea del Destino, se mi chiedi che intendo fare. E poi, lo sai, mai mi hai
comandato e mai lo farai, mia cara! Vuoi dirmi che gli Dei Alti non vogliono? Non mi interessa. Anzi: me ne frego!! ME
NE
FOTTO!!” urlò pieno di rabbia l'ultima frase, esprimendo tutto
il suo odio nei confronti di
chi osava dargli ordini.
La Dea del Destino non si mosse
“Ci sarà sempre
qualcuno al di sopra di te. Ricordatelo,
Kaos. Sempre!” mormorò poi.
Ma il Dio Caotico continuava a
guardarla con l’aria di chi
non ammette in nessun modo di essere fermato o contraddetto.
Qualcuno al di sopra di te?!
Chi può essere al di
sopra di me? Pensò il Dio padrone di casa.
Gli Dei supremi, che mi
hanno creato… continuò a
ripetersi nella testa …che però fin ora
non hanno mai interferito in
nessun modo, e quindi che mi interessa se
sono “al di sopra”!? Di sicuro non sei tu, Destino,
a poterti considerare al di
sopra di me, Kaos e disordine primordiale!
La Dea del Destino, con una piccola
sfera nella mano sinistra,
allungò di nuovo il dito e, puntando il bambino, disse:
“Lui tornerà. Appena
comincerà ad avere di nuovo consapevolezza del suo stato
divino, tornerà. Non
puoi impedirlo, Kaos”.
“Ma certo che
posso!” affermò il Dio, con un largo sorriso inquietante che si apriva sul volto di nebbia.
E lanciò il bambino di
sotto, verso uno di quei pianeti
lontani ed a malapena visibili nel cielo. Lo scagliò lontano
e nessun Dio si
mosse perché il timore del Kaos, della sua ira ed
irrazionalità, era più forte
di ogni pietà.
Il piccolo Dio cadde come una stella,
lasciando una lunga
scia di luce dietro di sé, ma non emise un solo gemito.
Forse pianse una
lacrima da quei bellissimi occhi azzurri, ma dalla neonata bocca non un
uscì un
solo suono.
E quella notte, lentamente, anche la
scia della sua luce sparì
alla vista della Città degli Dèi.
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