15. The Closest Thing To Crazy – Part Two
Little scostò la faccia di lato.
“Danny, smettila.”
Riaprì gli occhi, sbattendo le palpebre più
volte. Ecco, l’aveva fatto, l’aveva baciata.
L’aveva baciata. Aveva baciato Little, ed era
ancora così vicina... Lasciò un altro piccolo bacio sulla sua guancia
calda, ed un altro ancora.
“No, Danny, basta.”, ripeté lei, “Per favore, non
farlo.”
“Perché?”, gli venne spontaneo chiederle.
“Perché io sono tua amica.”, rispose Little, “E
Tamara è la tua fidanzata.”
Non seppe cosa dirle.
“Sei confuso perché ti ha lasciato e se n’è
andata di casa.", continuò lei, "Hai sentito l’impulso di farlo perché ero la persona più vicina
a te. Se ci fosse stato qualcun altro sarebbe accaduto comunque!”
“No, ho baciato te... Perché volevo farlo.”, le
disse.
“Danny, per piacere, piantala.”, insistette lei, allontanandosi.
“Little, smettila. Non è così”, le fece.
“Certo che è così!”, esclamò lei, sempre più
arrabbiata, “Non può essere altrimenti! Lo so che la ami, l’ho visto in tutte
le cose, l’ho capito appena vi ho visto insieme.”
“Su questo non ci sono dubbi.”, rispose Danny,
“Hai perfettamente ragione.”
Little ebbe un attimo di tentennamento ed esitò.
“Ecco, visto?”, fece poi, riprendendo tutto il
suo vigore, “Allora perché lo hai fatto?”
Danny sospirò.
Dougie aveva avuto ragione. Arianna aveva avuto ragione.
Tutti avevano avuto ragione, ma lui non li aveva
mai ascoltati. Aveva sentito le loro parole, ma non le aveva comprese davvero.
Ognuno di loro aveva cercato, a suo modo, di metterlo davanti a qualcosa, ma
nessuno di loro ci era riuscito. Era stato Harry a dargli un bello schiaffo in
piena faccia. Le sue parole avevano percorso migliaia di chilometri in un baleno e lo
avevano colpito in pieno. Nessuna delle persone intorno a lui era stato capace
di fargli afferrare quello che lui gli aveva detto, con tutta la sua sincera
schiettezza ed una telefonata.
Ti ci voleva proprio la morte di suo padre per
capire che ne sei innamorato?
Sì.
“Danny, non hai la minima idea di quello che ho
tenuto nascosto per tutto questo tempo, e Tamara lo aveva capito.”, disse ancora Little, "Non voleva che mi seguissi proprio perchè aveva paura che succedesse proprio
questo.”
Anche Tamara aveva avuto ragione. Little si era davvero innamorata di lui, solo che
non se ne era accorto. L’otturazione di cui gli aveva parlato Arianna, una
grossa palla di convinzioni chiamate amicizia, lo aveva reso completamente cieco e sordo.
“Comunque, non avresti dovuto baciarmi perché non è me che vuoi, lo so benissimo.
Tamara ti manca, ecco perché mi hai baciato.”
“L’ho fatto perché sei tu, Little.”, le disse,
con naturalezza.
Lei esitò ancora, scosse la testa. L’avrebbe
accettato.
Prese un bel respiro.
“Sono innamorato di te, Little Joanna.”
“Non è vero.”, disse lei.
"Sì che lo è."
“Basta!”, gridò Little, tanto da non permettergli di contraddirla ancora.
Si portò le mani alle orecchie, come se non avesse voluto sentire altro.
“Non è vero! Non è vero!”, disse di nuovo, “Tra
cinque minuti Tamara ti chiamerà e mi dirai che ti sei sbagliato, lo so!”
Danny incrociò le braccia.
“Little, mi stai facendo male, lo sai?”
"Così siamo pari!”, ribatté lei.
Danny non era più capace di sopportarla. Si avvicinò e la afferrò con decisione per le spalle, deciso a
zittirla nel modo più efficace che conosceva.
Un altro bacio.
Non gli sembrò di sentire alcuna opposizione,
nonostante una piccola e soffocata resistenza nei primi attimi in cui assaggiò
le sue labbra. Lasciò la presa ferma sulle sue spalle, ma Little non si mosse di uno
solo millimetro. La liberò del tutto, guardandola dritto negli
occhi verdi.
“Mi credi ora?”, le fece, quasi ironico.
Vedeva ancora la sua perplessità. Non voleva
lasciarsi convincere, ma la capiva.
Era stato un emerito idiota, un cretino di
dimensioni colossali, un imbecille, un deficiente ed avrebbe potuto continuare
ad offendersi finché non avesse finito tutti gli epiteti del mondo. Aveva
agito nella più totale ingenuità, senza saper leggere tra le righe delle e-mail
che si scrivevano; non c’era stata cattiveria nelle sue azioni ma era comunque
stato perfido nei suoi confronti. Se fosse stato sincero, se avesse avuto
le palle per provarci, Tamara non ci sarebbe mai stata. Sarebbe stato difficile,
avrebbero sofferto per la lontananza e gli impegni, ma avrebbero potuto farcela
da subito. Oppure era stato meglio così, perché al tempo non erano stati
pronti... Chi poteva saperlo? Quello era
l’universo in cui vivevano, quella era stata la loro esperienza.
Di una cosa era certo. Ora voleva provarci.
Sempre che Little fosse stata d’accordo.
“Little, credimi, per favore.”, le fece.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa, l’unica soluzione
efficace era distrarla dai suoi pensieri con altri baci, ma lei lo precedette.
Prima solo una timida
pressione sulle sue labbra, poi Little gli dette un altro bacio, più deciso e
profondo, chiudendo le mani intorno alle sue guance.
Strabuzzò gli occhi alla sua presa d’iniziativa,
che lo riempì di felicità, oltre che di stupore.
Gli venne da ridere, Little se ne accorse.
“Cosa c’è di divertente?”, domandò,
sorridendogli.
“Tu.”, le disse Danny, “Tu sei divertente.”
“Ah si?”, se ne risentì scherzosamente.
“Sì. Decisamente sì.”
Strinse le braccia intorno alla vita e la sollevò
da terra.
“Com’è il tempo lassù, Little?”, le fece,
scherzando.
Se quello era un sogno, il suo corpo doveva avere
il buon gusto di svegliarsi e deluderla, come più volte era successo. Eppure
non ne aveva mai fatti di così reali, veri.
Sono innamorato di te, Little Joanna.
Impossibile, anche nella più bella delle
fantasie. Non poteva essere accaduto, non ci voleva credere fino in fondo, prima
o poi avrebbe aperto gli occhi e lui si sarebbe volatilizzato. Si sarebbe così
trovata nel suo letto, a notte fonda, e avrebbe perso ogni speranza di
riprendere sonno.
Era inutile, era più forte di se
stessa.
Nonostante le braccia si fossero chiuse intorno al suo collo e le
labbra stessero assaporando il gusto agrodolce che il the gli aveva
lasciato in bocca, Joanna
non riusciva a crederci. Si lasciava baciare, permetteva alla sua mente
di
illuderla per l’ennesima volta.
Perché era bello.
Perché raramente aveva desiderato qualcosa con
tutta quella intensità.
Aprì gli occhi di un piccolissimo spiraglio,
temendo davvero che tutto finisse, ma non accadde. Li spalancò ed incontrò
quelli di Danny.
“Non ci credi ancora, eh?”
Quella volta annuì con sicurezza.
Sì, ci credeva davvero e non si sarebbe fatta
ripetere quella domanda mai più.
“Ci sediamo?”, gli chiese, e lui gli rispose
nello stesso modo.
Il divano li accolse ancora. Seduta sulle sue
gambe, non riusciva a trattenere qualche piccola risata quando le dita le
stuzzicavano la pancia, procurandole intenzionalmente del solletico. Le sue
preferivano annodarsi con i capelli riccioluti, accarezzandogli la pelle del
collo.
Un piacere strano iniziò a solleticarla ogni volta che il tocco di Danny si faceva più deciso sulla
pelle. Ogni sorso d’aria era più difficile da respirare, ogni pensiero si
faceva più difficile da sviluppare, annientato dalle scosse piacevoli che la
torturavano sotto il suo totale consenso.
Si sentiva la mente offuscata, quello che voleva
era continuare ancora, averne di più, sebbene una microscopica parte di sé non
si stesse stancando di metterla in guardia da quello che stava per fare. Al diavolo tutte le paure, era stanca di
vivere una vita di rimorsi e ripensamenti, dove ogni occasione veniva sprecata
dal timore di poterne soffrire.
Ora, o niente. Tutto, o niente.
Ed era stanca di accontentarsi sempre di niente.
Non sapeva cosa fare.
Sinceramente lo sapeva, ma poteva farlo? Se
avessero continuato così, avrebbe preferito fermarsi prima di valicare il punto
di non ritorno. La mente non ragionava più, il corpo non reagiva ai suoi
impulsi cerebrali. Tutto si era completamente scollegato, ogni parte di sé era
comandata dalle sensazioni che mani e bocca gli procuravano.
Sapeva che si sarebbe dovuto fermare, che prima o
poi Little gli avrebbe detto di smettere, ma non ne avrebbe mai avuto
abbastanza. Lei era lì, seduta su di lui, la punta delle dita continuava
a torturargli i capelli. Lasciò le sue labbra per dedicarsi alla pelle bianca
del collo, sperando che non si tirasse indietro.
Si aspettò che si irrigidisse e che si
imbarazzasse ma, quando la piccola scia arrivò a concludersi sul bordo della
maglietta, che terminava a punta poco sopra l’inizio del suo seno, quello che
ricevette in cambio non fu niente del genere, ma un piccolo gemito
soffocato che rischiò di fargli perdere la testa. Danny si chiese davvero cosa fosse proibito fare e cosa
fosse ancora concesso. Forse non era giusto, forse stavano velocizzando troppo
le cose... Forse avrebbero dovuto aspettare.
“Little...”, le fece, e sbuffò una risata
imbarazzata, “Io... Non lo so...”
Le dita fini scorsero lungo il profilo delle
orecchie e gli fecero il solletico,
giocherellarono con il colletto della camicia e si fermarono sul primo
bottone, liberandolo dall’asola. Poi proseguirono col secondo, che subì la
stessa fine, insieme al terzo.
E al quarto.
Al quinto.
Poi la fermò.
“Non si torna indietro, lo sai?”
Lei gli sorrise.
“Io sì. Tu?”
Inghiottì con estrema difficoltà.
Realizzare pienamente che la ragazza seduta sulle
sue gambe non era un’adolescente confusa ma una donna nata una manciata di mesi
dopo di lui, con impulsi e sentimenti forti tanto quanto i suoi, sicura e
decisa, tutt’altro che imbarazzata, causò un potente corto circuito nella sua
materia cerebrale.
Qualche tempo dopo si rese conto di trovarsi
disteso su quello che sembrava il letto della stanza che Arianna gli aveva dato,
senza essere in grado di ricordarsi come aveva fatto ad arrivarci. Little era
accanto a lui e si lasciava tranquillamente accarezzare dalle sue mani. La sua camicia giaceva già per terra,
non si ricordava se fosse stato lui a toglierla oppure se lo avesse fatto lei.
Aveva vissuto quei pochi attimi come in apnea.
Ormai stanco di non poter sentire a pieno il
calore che gli trasmetteva afferrò l’orlo basso della sua t-shirt e gliela
tolse. Non poté fare a meno di osservare il lungo segno che la tagliava in due
dalla spalla destra fino al seno sinistro, ma prima che qualsiasi cosa potesse
accadere, che qualsiasi pensiero la distraesse, posò una bacio dopo l’altro
sulla sua cicatrice.
“E’ brutta, non credi?”, disse Little.
Alzò gli occhi sui suoi e le sorrise.
“E’ un ricordo, me lo hai detto tu.”, le rispose,
prima di tornare su di lei.
Le tolse i pantaloncini, e poco dopo fece fare la
stessa fine anche ai suoi.
Su e giù, faceva scorrere le dita lungo il
profilo della schiena di Danny. Si sentiva impacciata, non sapeva cosa fare, ma
si lasciava muovere dalle sensazioni. Aveva paura, ma le importava meno che del
resto. Se si fosse messa a pensare, forse le sarebbe venuto da piangere per la
gioia.
Danny era su di lei e non sembrava meno
imbarazzato. Spesso sbuffavano una risata, come per dirsi ‘guarda cosa
stiamo facendo, e pensa a come eravamo prima’. Si era allontanato da lei
solo qualche attimo, per tornare poi a baciarla ancora.
La nudità di entrambi non era
molto confortevole,
doveva ammetterlo, ma si sarebbe abituata, ne era certa. Non sapeva
come
avrebbero fatto, né quanto avrebbero potuto durare, ma ora che
erano lì avrebberoprovato fino in fondo. A costo di
lottare con un coltello tra i denti,
al modo dei pirati che tanto le erano piaciuti al cinema.
“Little...”, le fece Danny, distogliendola dai
pensieri.
“Uhm?”
“Lo sai che... Insomma...”
Cosa doveva sapere? Che faceva male? Vivevano
sullo stesso pianeta, lei era umana ed aveva un’intelligenza sulla linea della
media nazionale, non era mica scema.
Era vero che non sapeva come
gestire alcune cos , come le mani di lui che si muovevano ovunque, ma il proprio corpo lo conosceva
benissimo. Poteva aver vissuto la sua adolescenza nei complessi che si era
trascinata dietro fino a quel momento, ma era sempre una ragazza comune, non
una schizofrenica, e Danny era sempre stato troppo apprensivo.
Forse, dopo quella prima volta avrebbe capito che non erano molto diversi, che
nonostante le difficoltà personali anche la sua Little Joanna era una ragazza
come tutte le altre. Le poche volte che avevano affrontato quell’argomento si
era imbarazzata, era vero, ma c’era differenza tra il parlarne e il metterlo in
pratica, soprattutto con la persona di cui si era innamorata.
Non era mica una bambina, sebbene potesse spesso
comportarsi infantilmente.
“Dan...”, gli fece, con tono ovvio
.
Gli sorrise, ricevendo un’altro sorriso in
cambio, ed un bacio a fior di labbra.
Si sdraiò ancora accanto a lei, passandole un
braccio sotto la testa mentre l’altro la circondò poco sotto il petto. Le dette
un piccolo bacio sulla guancia. Lo tormentavano tanti pensieri, ma li mise
tutti a tacere per godersi quel momento con lei. Quando le aveva dato il primo
bacio non si sarebbe aspettato di arrivare lì, eppure era successo.
“Tutto a posto?”, le domandò.
Era maledettamente incerto che qualcosa fosse
andato storto. Aveva paura che lei si voltasse e lo accusasse di averle fatto
troppo male, e che lo rifiutasse.
“Certo.”, rispose Little, sorridendogli.
“Ne sei sicura?”, le fece ancora.
Lei roteò gli occhi, scherzosamente annoiata.
"Dan, non sei il ragazzo dei miei sogni ma va
bene lo stesso.”, disse con ironia.
Le sorrise, nascondendo la faccia tra il cuscino
ed i suoi capelli.
“Cosa c’è che ti tormenta?”, chiese poi Little.
“Niente.”, le rispose, poco convincente.
“Non mentire.”
Sospirò. Non ne voleva parlare in quel momento.
“Lascia stare.”, disse Danny, “Non voglio
rovinare tutto.”
Prese il lenzuolo stropicciato e si infilò sotto
di esso, raggiungendo il corpo caldo di Little, di cui aveva bisogno. Era l’unica
certezza che riusciva a trovare, oltre a quello che provava per lei.
“Sì, hai ragione.”
Tornò a nascondere la faccia tra i suoi capelli,
chiudendo gli occhi ed aspettando che il sonno si prendesse entrambi. Pochi
minuti dopo Little lo lasciò, addormentandosi profondamente.
Si svegliarono sulla nota di sonore imprecazioni.
"Porca puttana!”, echeggiò nel corridoio,
“Cazzo!”
Aprì gli occhi disturbata dalla voce stridula di
Arianna.
“Cosa è stato...”, borbottò Danny.
“Arianna...”, gli fece capire Joanna, con un filo
di voce.
Doveva aver combinato qualcosa per imprecare in
quel modo ma non se ne curò, preferendo accoccolarsi vicino a Danny e tornare a
dormicchiare.
“Vaffanculo!”
Si chiese se le fosse passato per la testa il
fatto che potesse essere mattina e che qualcuno avesse voluto dormire ancora. Odiava
essere svegliata in quel modo, soprattutto dopo una notte del genere. Prese
velocemente i suoi vestiti e li indossò ancora.
“Cosa fai?”, le domandò Danny, un occhio aperto e
l’altro ancora chiuso.
“Vado a vedere cosa è successo...”, disse, scocciata,
“Torno subito.”
Chiuse la porta e percorse il corridoio.
“Arianna?”, la chiamò.
Le rispose qualche secondo dopo, la voce
proveniva dal pianterreno.
“Buongiorno Jo!”, esclamò la donna vedendola
arrivare, “Dormito bene?”
Era in cucina, stava sferragliando con alcuni
cacciaviti, distesi sul tavolo insieme ad altri strumenti da fai da te.
“Sì...”, le rispose, “Cosa hai combinato? Le tue espressioni mi hanno svegliato.”
“Personalmente non ho fatto niente.”, rispose
lei, “Ma si è rotta la lavatrice ed ha invaso lo sgabuzzino di acqua.”
Joanna allungò gli occhi e li puntò verso la
piccola porta che si affacciava sulla cucina, dove l’elettrodomestico era stato
sistemato a suo tempo. Una piccola pozzanghera d’acqua usciva da lì.
“Stavo cercando di aggiustarla.”, continuò
Arianna.
“Faresti meglio a chiamare un tecnico.”, le
disse, poco convinta che lei riuscisse nel suo intento.
“Già fatto.”, le sorrise.
Un’espressione sorniona apparve sulla sua bocca.
“Mi dispiace che le mie parole siano state una
sveglia.”, disse, rigirando con un cacciavite tra le dita, “Una sveglia per
entrambi.”
Non le si teneva nascosto niente.
“Non ti ho trovato nella tua stanza quando sono
tornata, ieri.”, riprese Arianna, “Ho subito immaginato che fossi stata con
Danny. Ero venuta a darti una notizia.”
“Dimmi pure.”, le fece.
Arianna prese un profondo respiro. Si era fatta
totalmente seria, la cosa la preoccupò.
“Ho venduto il locale.”, sviolinò poi,
velocemente, come se avesse avuto paura di non riuscire a dirlo ed avesse cercato di farlo
nel minor tempo possibile.
Joanna rimase spiazzata. Non ci poteva credere,
era assurdo. Arianna teneva a quel locale più che a sé stessa, passava più ore
lì dentro che a casa. C’erano tutti i cimeli della sua gioventù: il juke
box, i suo vecchi dischi, i ricordi. Anche i suoi ricordi, quelli di Joanna: Tom
che si sedeva tranquillamente ed ordinava fish and chips con the alla
pesca, lei che rovinava per terra, i McFly che la riempivano di domande...
Non poteva venderlo.
“L’ho fatto, Jo.”, disse la donna, quasi con un
velo di pentimento, “L’ho venduto davvero, era da un po’ che ci pensavo. Ho licenziato Miki, le cameriere lo hanno autonomamente
seguito... Cosa mi rimane?”
“Tutto!”, esclamò Joanna, “Ti rimane tutto!”
Non voleva perdere quel locale, significava
troppo per lei.
“Potresti assumermi ancora!”, le propose, “E
potremmo anche...”
“Joanna...”, la fermò la donna, “Lo so che
da quel piccolo locale è iniziato tutto per te, che lì dentro sono successe
cose che ti hanno cambiato, ma non essere egoista.”
“Perché lo hai venduto?”
Arianna scosse la testa.
“Andava male, Jo. Era da un anno che non riuscivo
a togliere un ragno dal buco.”, le spiegò, “L’ho venduto prima di farmi i
debiti.”
“Perché non me ne hai parlato prima?”, le chiese.
“Avevo messo in giro la voce qualche tempo fa,
così, quasi senza pensarci. Poco dopo si presentò un compratore disponibile, ma
ero sempre indecisa sul da farsi e l’avevo lasciato in attesa. Mi ero convinta,
poi è successo di tuo padre ed ho deciso di aspettare che la
situazione si stabilizzasse. Ora ho trovato la forza di firmare quei fogli e
venderlo.”
Era tristemente scioccata.
“In questi giorni ero sempre fuori per questo
motivo, non tanto perché volevo lasciarti del tempo da sola, con te stessa.”
E ora cos’altro sarebbe successo? Non sapeva
rispondersi.
“Vuoi dirmi qualcosa, Jo?”, le domandò Arianna,
cercando di nascondere le lacrime che gli salivano agli occhi.
Danny era stato momentaneamente eclissato da
quella notizia, non riusciva a pensare ad altro. Se ne pentiva, era egoistico
pensare che Arianna non avrebbe dovuto vendere lo Strictly English perché le
sarebbe dispiaciuto dare via i suoi ricordi, ma non poteva non starci male.
Quel locale era stata una casa per lei.
“Beh... Lo sai, se ci pensi bene lo capisci anche
da sola.”, le fece, un po’ acidamente.
Arianna nascose la sua tristezza con una buffa
espressione pensierosa.
“E’ successo quello che penso io, vero?”, disse
poi.
Le annuì.
“Sì, quello.”
In pochi attimi Arianna l’abbracciò, dicendole
che non sapeva quanto quello la stesse risollevando da terra. Le diceva che era
contenta, ma non riusciva a gioire
pienamente con lei.
“Torno su da lui.”, le fece poi, sciogliendo
l’abbraccio.
Danny era rientrato da una manciata di secondi,
approfittandone per fare un salto in bagno e rinfrescarsi il viso. Sentì la
porta aprirsi mentre indossava ancora solo i pantaloni.
“Hey...”, le disse, andandole incontro ed
accogliendola con un bacio, “Cosa ha combinato Arianna?”
Little non gli rispose. Si sedette sul letto e la
seguì, preoccupato.
“Arianna ha venduto il locale.”, disse poi, lo
sguardo basso.
“Lo Strictly English?”, le chiese.
“Sì... Me lo ha detto prima, era per quello che
stava sempre fuori casa.”
Comprese la sua tristezza. Lì era
iniziato tutto, venderlo sarebbe stato come dar via un oggetto che aveva il potere a far riemergere tutti
i ricordi ad esso legati.
“Mi dispiace.”, le disse,
passandole un braccio attorno alle spalle, “Ma se lo ha venduto
è stato certamente per un buon
motivo.”
“Lo ha fatto per non fallire.”
“Già...”, le disse, “Comunque credo che potrai tornarci
comunque quando vuoi.”
“Non credo che lo troverò uguale a come l’ho
lasciato.”
“Una fine è sempre l’inizio per qualcos’altro.”
Lei lo guardò perplessa.
“Ecco una delle perle di saggezza del Signor
Jones.”, le disse Danny, sperando che l’ironia la risollevasse un po’, “Pronta
per lei, mia signora.”
Little scosse la testa sorridendo.
Si era avvicinato per baciarla, quando il
telefono li interruppe. Si voltò, seguendo il rumore della suoneria con gli
occhi, non si ricordava dove lo aveva lasciato per l’ultima volta.
“Un attimo solo.”, le fece, gattonando sul letto.
Si sporse dal bordo opposto, scovandolo per terra
a faccia in giù, doveva essere caduto.
Era Dougie.
“Hey!”, esclamò rispondendogli, “Ciao!”
“Hey! Che entusiasmo!”, fece l’altro, “Abbassa
la voce che mi fori un timpano.”
“Come stai Doug?”, gli chiese.
“Bene, non c’è male. Voi due?”
“Tutto ok.”
Con un
gesto Little gli fece capire che avrebbe lasciato la stanza e, infatti, qualche
attimo dopo se ne andò.
“So che è una domanda stronza, ma quando pensi
di tornare a casa?”, chiese Poynter, “Perché c’è da rimettersi a
lavorare... Sul serio.”
“Pensavo nella giornata di domani, è un
problema?”
“No, va benissimo.”, rispose l'altro.
“Non è successo niente in mia attesa?”, domandò.
“Quello che dovevi sapere te lo ha detto Harry.”,
rispose, “Non saprei cos'altro aggiungere.”
Ogni parola che Poynter pronunciava lo riportava
sempre di più giù, nelle difficoltà che la vita reale stava per mettergli
davanti.
“E tu?”, chiese l'altro, “Come l'hai
presa?”
“Beh... Uhm...”, esitò nel rispondere.
“Danny?”, lo esortò a parlare, “Cosa è
successo?”
“Niente, Doug. E' tutto a posto.”
“E' qualcosa che ha a che vedere con Jonny?”, si
preoccupò l'altro.
“Beh...”
, temporeggiò Danny.
“Ok, ho capito.”, rispose Dougie, “Complimenti
per le tempistiche...”
Gli venne una piccola risata sulle labbra.
“Posso parlarle?”
“E' andata via, penso sia nella sua stanza, te la
cerco subito.”
“Ok, Jones, attenderò. Buona giornata!”
Uscì dalla camera e la raggiunse, trovandola nel
suo piccolo bagno personale, si pettinava i capelli davanti allo specchio.
“Dougie ti vuole parlare.”, le disse.
Con tranquillità Little allungò la mano e prese
il telefono, portandoselo poi all'orecchio e mettendosi a parlare con lui.
Lasciò ad entrambi il momento personale, non voleva disturbarli facendo
l'impiccione, sapeva che Little non l'avrebbe presa bene ed avrebbe scommesso
che anche Dougie si sarebbe infastidito. Preferì tornare in camera, indossare una
t-shirt e scendere a fare colazione, dove trovò un'Arianna indaffaratissima con
chiavi inglesi e cacciaviti.
“Ti dai all'idraulica?”, le chiese, facendola
sobbalzare.
Accucciata davanti all'oblò aperto della
lavatrice, la donna cercava forse di aggiustarla.
“Ci sto provando, ma mi consiglio di
provare con l'ippica!”, rispose, gettando via uno strano utensile che non aveva
mai visto prima, “Non è che puoi aiutarmi?”
“Vediamo se combino un guaio maggiore del tuo.”,
le fece.
Arianna gli cedette il posto e, una volta presa
visione della marea di tubi, viti e bulloni, rinunciò all'impresa.
“Fosse stato il motore di un'auto, ti avrei
aiutato molto volentieri.”, le fece, “Ma non ne capisco niente.”
“E' già qualcosa in più di me. Lascia stare, tra
un'oretta dovrebbe arrivare il tecnico, la faccio sventrare a lui. Hai fame?”
“Non molto, ma prendo volentieri un caffè, se è
possibile.”, disse.
“Perfetto, ne faccio subito un vagone!”
Arianna abbandonò tutti i suoi attrezzi e si
occupò della macchinetta per il caffè.
“Dove le hai trovate tutte quelle chiavi
inglesi?”, le domandò con aria divertita.
Poteva essere un luogo comune e maschilista, ma
non pensava che fossero molto appropriati per una donna.
“Erano di mio padre.”, rispose lei, “Non credo
che avesse mai saputo come piantare un chiodo al muro, aveva sempre qualcuno che faceva
queste cose per lui, ma li possedeva comunque. Erano tutta roba sua, l’ho
ereditata insieme alla casa. Alcuni strumenti sono più vecchi di noi due messi
insieme, non so come si usano. “
Nel frattempo Arianna aveva preparato la moka e
l'aveva messa sul fuoco. Si sedette davanti a lui.
“Little mi ha detto del locale, che vuoi
venderlo.”, le rivelò.
“Sì, ho dovuto.”, gli fece, “Non sai quanto mi
sia costato farlo, non riesci nemmeno ad immaginarlo.”
“Lo capisco perfettamente e sono sicuro che anche
Little la pensi così.”, cercò di rassicurarla, “E' solo un po' confusa, non è
l'unica cosa che ha perso in questi giorni.”
“Certamente... Ho dovuto dirglielo, se lo
avessi fatto tra dieci giorni avrebbe avuto la medesima reazione.”
“Che cosa farai ora?”
Arianna era giù di corda, più di quanto lasciasse
ammettere.
“Non lo so.”, rispose, con un sospiro, “Ho un
paio di idee, ma non so se posso attuarle.”
“Ad esempio?”
“Trovare un altro lavoro in città.”, disse lei,
“O muovermi altrove.”
Muoversi altrove? E dove?
“Stai tranquillo, Danny.”, lo anticipò lei, “Non
credo che la tua Little avrà molto per cui opporsi.”
Nel sentire quel 'la tua Little', sottolineato
anche da uno sguardo dolce, Danny non poté trattenere un sorriso imbarazzato.
Il rumore della moka attirò l'attenzione di entrambi e pochi attimi dopo la sua
tazzina di caffè fu pronta per essere bevuta. Lo zuccherò e con il cucchiaino
prese a girarlo.
“Quando torni a casa?”, gli domandò la donna,
dopo che ne ebbe preso un sorso.
“Pensavo di mettermi alla ricerca di un modo per
farlo.”, le fece, “Comunque nella giornata di domani.”
“Va bene... Ne avete parlato?”
Cercò di evitare di abbuiarsi, ma non ci riuscì.
“No, ancora no.”, le rispose, “Pensavo di farlo
appena possibile... Però...”
Ci aveva pensato per ore.
La domanda era banale e scontata:
avrebbero
potuto continuare o almeno iniziare a vivere qualcosa tra di loro con
tutta
quella distanza in mezzo? Ieri sera era sembrata la cosa più
facile del
mondo, ma una volta finito tutto, una volta tornati ad essere Danny e
Joanna,
l'uno accanto all'altra, era diventata sempre più complicata. La
risposta era:
provarci, anche se sarebbe costato uno sforzo immane, ma non se la
sentiva di
soffrire. Era codardo perché non voleva starci male: avrebbe
voluto che tutto venisse vissuto nel migliore dei modi, mentre l'unica
cosa che era andata per il
verso giusto era stata la notte precedente.
“Non lasciarti prendere dallo sconforto.”, disse
Arianna, “Vedrai che tutto si sistemerà per il meglio.”
“Non ci credo, mi dispiace.”
“E io credo che, se Jo ti sentisse, non ne
sarebbe contenta.”
“Ok, ora se n'è andato.”, disse a Dougie, appena
sentì la porta della sua stanza chiudersi.
“Perché non volevi parlare mentre c'era Danny?”,
chiese l'altro, perplesso.
“Perché l'ultima volta che è saltato fuori il tuo
nome abbiamo fatto le scintille.”
“Quindi è stato ieri sera?”, ne approfittò
subito Dougie per scoccarle una frecciatina.
“Ma no, scemo... L'altro ieri.”
“Anche l'altro ieri?!?”
E scoppiò a ridere.
“Poynter, per cortesia, anche se ti è
impossibile, sii serio.”
“Ok, Jonny, lo faccio solo per te.”, si
ripristinò, anche se lei non ci credette molto, “Allora, com'è stato?”
“Certo che te lo dico!”, ironizzò Joanna,
“Proprio a te!”
“Ma dai... E io che sono così curioso...”,
si finse deluso Dougie, “Comunque, sono contento per te... In fondo era
quello che volevi, no?”
“Beh... Sì, ma non a discapito di un'altra
persona.”
“Non credo che sia successo quello che pensi.”,
le fece Dougie.
Il suo tono voleva essere convincente, ma lei non
era capace di crederci. Era quello che aveva voluto, forse dal primo giorno in
cui Danny era partito per tornarsene a casa, un anno fa, ma non in quel modo.
Non aveva mai voluto mettersi tra due persone.
“Forse non sai quanto siamo stati scettici,
tutti noi, quando ci ha presentato Tamara.”, le disse Dougie.
“Ma non gliel'avevi presentata tu? O Harry...”,
disse Joanna, perplessa.
“Intendevo nel senso 'Hey, ciao a tutti, sono
Jones dei McFly e questa è la ragazza con cui andrò a vivere'. Non so se mi
spiego, Little...”, ironizzò Dougie, chiamandola con il nomignolo tipico di
Danny da sempre.
“E questo cosa c'entra con me?”, borbottò
stancamente Joanna.
“Dio, quando ti metti in testa una cosa,
niente la toglie!”, la rimproverò Dougie, “Volevo dirti che quando ci
ha detto che si era ufficialmente fidanzato con lei, abbiamo strabuzzato gli
occhi perché stavamo facendo conto alla rovescia per capire quando sarebbe
successo con te!”
“Ma comunque è arrivata lei! Non significa niente
quello che c'era prima!”, ribatté prontamente.
Sentì Dougie sospirare profondamente, per
riprendere la calma.
“Little, posso dirti una cosa?”, le
chiese, “Una cosa dal profondo del cuore...”
Titubante, acconsentì.
“Vaffanculo. Ci sentiamo!”
E chiuse la chiamata.
Sbigottita, non seppe cosa fare. Dougie l'aveva
appena mandata a fanculo.
Forse ha detto bene....
Ad ogni modo non le piaceva fare dei torti agli
altri. Odiava sentirsi in colpa con qualcuno, forse solo Danny avrebbe potuto
toglierle quel dubbio dalla testa. Non sapeva con quali parole ma glielo
avrebbe chiesto, ed oltretutto non era l’unico argomento spinoso da affrontare.
Che bell’inizio, Joanna...
Lo cercò nella sua stanza e la trovò vuota, lui
non c’era. Il bagno era troppo silenzioso perché fosse lì dentro, doveva essere
sceso al piano inferiore. La voce bassa di Danny la invitò verso la cucina,
dove doveva trovarsi insieme ad Arianna.
“Che cosa farai ora?”, lo sentì chiedere ad
Arianna.
Si fermò poco dietro lo stipite della porta.
Odiava origliare le conversazioni altrui, ma quelle quattro parole le
catturarono l’attenzione con uno schiocco di dita.
“Non lo so.”, rispose lei, “Ho un paio di idee,
ma non so se posso attuarle.”
“Ad esempio?”
“Tornare a fare il mio vecchio lavoro. Muovermi
altrove.”
Ogni preoccupazione su Danny venne cancellata con
quella frase, Joanna si rimproverò ancora di essere egoista. Se muoversi significava spostarsi in un’altra
città, in un’altra casa, in un altro mondo, allora si sarebbe opposta fino allo
stremo delle forze. Lì stava più che bene, non voleva trasferirsi ancora, ogni
spostamento del genere non portava altro che un lungo periodo di crisi davanti
a sé. Eppure Arianna aveva la sua
vita, non poteva legarla a quel posto solo perché non voleva seguirla.
Se decideva di andarsene, allora lei avrebbe dovuto accettarlo e comportarsi di
conseguenza: cercarsi un’altra casa, magari qualche affitto a poco per
studenti. Iniziare tutto di nuovo da capo.
Una fine è sempre l’inizio per qualcos’altro.
Quella perla di saggezza del signor
Jones non
poteva essere valida. Joanna non ce la faceva a troncare ancora con la
vita a cui
si era abituata per iniziarne una tutta nuova. Non poteva essere sempre
così:
aveva bisogno di stabilità, di qualcosa a cui aggrapparsi
finché non avesse trovato la tranquillità interiore
a cui aspirava da sempre, e che non era
mai stata capace di raggiungere perché qualcosa
gliel’aveva sempre tolta dalle dita.
“Quando torni a casa?”, domandò Arianna.
“Pensavo di mettermi alla ricerca di un modo per
farlo. Comunque nella giornata di domani.”
“Va bene... Ne avete parlato?”
No, non ne avevano affatto parlato. Aveva provato
prima di addormentarsi con lui, sapendo benissimo che non era il caso di
entrare in quell’argomento.
L’indomani Danny sarebbe partito e... E?
Prima che avesse deciso di fare l’amore con lui, di
farlo per la prima volta, riuscendo ad abbattere moltissime delle stupide
barriere di cui si era per anni circondata, le era sembrato uno scherzo. Si era
detta di volerlo fare, che sarebbe stato bello e tutto quello che sarebbe
venuto dopo lo sarebbe stato ancora di più.
Pochi attimi dopo la fine, però, quello scherzo
si era trasformato in un pensiero fisso. Non era possibile stare insieme.
“No, ancora no.”, le rispose Danny, “Pensavo di
farlo appena possibile... Però...”
“Non lasciarti prendere dallo sconforto.”, disse
Arianna, “Vedrai che tutto si sistemerà per il meglio.”
Quel fondo di naturale ottimismo di Arianna la
irritò un po’.
“Non ci credo, mi dispiace.”
Sospirò.
Nemmeno Danny ci credeva, e se erano in due a non credere, allora che senso
aveva continuare a prendersi in giro?
Ma che bella coppia che siete...
“E io credo che, se Jo ti sentisse, non ne
sarebbe contenta.”
Così come era arrivata lì, Joanna se ne tornò nella sua
stanza in silenzio, a far finta di non aver sentito niente, di non aver
realizzato che non era l’unica ad avere il grosso difetto di essere troppo
iperrealista. Aveva sperato che Danny potesse aiutarla a vedere il lato buono
di quello che avrebbero dovuto affrontare, ma non era così.
“Little?”, si sentì chiamare.
Cercò di cancellare ogni pensiero.
“Mi aiuteresti a trovare un volo per domani?”, le
domandò Danny, con un piccolo sorriso.
Inghiottì il magone.
“Certo.”, gli fece, “Accendo il computer e
facciamo un giro in internet.”
“Ok, buona idea.”
Con il portatile che giaceva sulle
gambe, Little
stava inserendo i dati nel sito della compagnia aerea di bandiera
inglese, alla ricerca di un posto disponibile per lui. Uno di qualsiasi
tipo, non
era molto schizzinoso in fatto di prezzo, classe e visuale panoramica.
Era
sempre un volo d’aereo, mica una vacanza.
Danny le sedeva accanto, sul letto, e guardava
quello schermo, mentre i numeri ed i nomi degli aeroporti venivano
visualizzati. Doveva trovare il coraggio di affrontare la questione, era molto
più che evidente il fatto di non poterla rimandare. Spostò gli occhi sul suo
piccolo naso all’insù.
Little si voltò per un solo attimo e gli sorrise,
riempiendolo di una sola briciola di felicità, poi tornò al suo computer.
“Guarda, ci sono alcune disponibilità.”, disse
poi, una volta che la pagina virtuale si fu caricata, “Dalle tre di domani
pomeriggio i voli hanno posti liberi.”
Danny allungò una mano e chiuse lentamente lo schermo
del portatile.
Sospirò, doveva parlarle ad ogni costo.
“Little...”, le disse., “Ce la faremo?”
Lei abbassò gli occhi.
“La domanda corretta sarebbe: vogliamo davvero
provarci?”, disse lei.
Avvertì subito la piccola vena di rabbia nelle
sue parole.
“Vorrei tanto, Little... Credimi, vorrei davvero
tanto provarci.”, le disse, “Ma...”
“Era facile pensarlo prima.”, continuò
lei, “Ma dopo...”
Non seppe cosa dirle.
“E non tirare fuori la scusa del non volermi fare
soffrire.”, riprese Little, “Perché preferisco sapere che ci abbiamo almeno
provato, che star male e non aver fatto niente per cercare di costruire
qualcosa.”
Aveva perso tutte le parole. Ogni volta che era
arrivato ad un traguardo con Little, non aveva fatto altro che tirarsi indietro
facendosi scudo di tanti se e tanti ma.
“Lo sai, mi conosci... Faccio
fatica a credere in
tutto quello che mi riguarda.”, disse ancora lei, “Avevo
almeno sperato di poter fare qualcosa per avere fede in... In noi
due.”
Scosse la testa, non era lì che voleva arrivare.
No, non voleva ritrovarsi al medesimo punto di un
anno fa. Non voleva tornare a casa sapendo di stare bene così com’era, senza
Little. Aveva speso tempo e lacrime, sue e di altre persone, prima di capire
che le voleva più del bene che pensava di provare per un’amica comune. Lei non gli dette tempo di parlare.
“Lo sapevo che stava succedendo utto per il semplice
fatto che avevi rotto con Tamara. Lo sapevo.”, gli disse.
Scostò il computer dalle gambe e si allontanò da
lui.
“Ti piace prenderti gioco di me, Danny?”, gli
chiese, ormai in piedi, “Ti diverti?”
No, affatto.
“Sei soddisfatto?”, fece ancora, “Mi stai facendo
sentire come una stupida... Come una cretina, perché sono una cretina. Una
cretina che si lascia facilmente abbindolare da quelli come te!”
Non aveva la minima forza per risponderle. Niente,
non aveva voce in gola. Si stava sentendo esattamente come il giorno
precedente, quando Little era venuta a riversargli addosso la storia di suo
padre. Completamente svuotato da tutto.
“Sei stata un’illusione bella e buona, Danny.”,
sentenziò Little, “Un’illusione fallita.”
Stava quasi per parlare ancora, quando la voce
trillante di Arianna si fece spazio tra di loro.
“Hey, avete trovato un volo?”, chiese, ancora nel
corridoio, “Perché una mia amica ha un’agenzia
di viaggi, potrebbe aiutarvi meglio del computer.”
Forse fu istinto, forse fu la voglia di non
volersi sentire accusare delle proprie colpe: Danny le rispose.
“Molto gentile da parte tua, Arianna.”, le fece,
“Internet non è poi così male, ho già trovato qualcosa.”
La donna parve deludersi.
“Ah... Come volete, allora.”, disse lei, “Jo è lì
con te?”
La guardò.
Stringeva i pungi così forte che avrebbero potuto
sanguinare, teneva gli occhi fissi sulle piastrelle del pavimento. Poi, come
una saetta uscì dalla camera, aprendo la porta e spaventando Arianna,
che si trovava tranquillamente al di là.
La prima cosa che vide dopo la fuga di Little fu
lo sguardo perplesso della donna, che
presto si tramutò in vera preoccupazione. Infine, la donna seguì Little,
lasciandolo solo.
Arianna la teneva tra le braccia, le diceva che
sarebbe finito, che sarebbe andato tutto per il verso giusto, ma Jo non
l’ascoltava. Era troppo impegnata a piangere e a nascondersi. Chiuse
nell’intimità della propria camera da letto, Arianna cercava di calmarla.
“Jo, stammi a sentire.”, le disse per l’ennesima
volta, “Forse non è come pensi...”
“E come sarebbe allora?”, gridò, tra un
singhiozzo e l’altro.
Maledetti uomini e le loro capacità comunicative
del cazzo...
C’era passata anche lei per quella stessa strada,
sapeva come si risolvevano i rapporti del genere. Ora che ci pensava, era
passata per molte altre strade nei rapporti con l'altro malaugurato sesso,
forse sarebbe stato anche il caso di darci un taglio e mettere la testa a
posto, ma non era quello il suo momento.
“Se ti calmi te lo dico... Ci stai?”, le fece.
Ci volle del tempo prima che Jo alzasse la faccia dall’incavo tra la
sua spalla ed il collo. Annuì con un debole cenno della testa, mentre
con le mani asciugava timidamente le lacrime dalle guance e dagli occhi
arrossati.
“Danny ti ha detto che non se la sente di
continuare... Vero?”
Era una domanda brusca e di poco tatto, ma non
voleva stare a menare il can per l’aia. Doveva arrivare dritta al punto, prima
che lei scoppiasse di nuovo a piangere.
“Sì...”, rispose lei, con un filo di voce, per
giunta rotta, “Speravo che... Almeno lui...”
Ecco, lo sapeva.
Se era Jo stessa a non crederci, come poteva
farlo anche Danny? Come poteva lei non sforzarsi e biasimare lui per
comportarsi esattamente nello stesso modo?
“Jo, dovete impegnarvi entrambi. Non solo
Danny...”, le fece, provando a farla ragionare.
“Ma lo sai come sono fatta, Arianna! Lo sai che
non riesco a vivere sulle nuvole!”
“Non è questa una buona giustificazione per il
tuo atteggiamento.”, la corresse con gentilezza, “Vuoi Danny? Allora prendilo e
mettici tutto il tuo impegno.”
“Abitiamo a un’ora e mezza di volo l’una
dall’altro!”, ribatté lei prontamente.
“Allora vuol dire che non lo vuoi veramente.”
“Non è vero!”
La cocciutaggine di Jo era spesso più
impenetrabile di un muro di cemento armato spesso dieci metri. Avrebbe dovuto
usare le maniere forti per farle capire quale fosse la soluzione adatta per
loro.
“Se fosse vero, avresti in mente qualcosa per
migliorare la vostra situazione.”, volle provocarla.
“Scusami, ma non riesco a pensare a niente!”
“Magari Danny ci ha già pensato, però non gli hai
dato il tempo di parlartene.”
Quella frase sembrò mettere in discussione le sue
pessimistiche incertezze. Jo esitò nel risponderle a tono, soffermandosi a
pensare alle sue parole.
“Non fraintendermi, Jo, a volte non so davvero
cosa passi per la mente di quel ragazzo.”, le fece, “Però sono abbastanza certa
che questa possibilità lo abbia sfiorato, anche da lontano.”
Jo on capiva dove volesse andare a parare, la guardava come se le stesse parlando in una
lingua totalmente sconosciuta.
“Jo...”, le fece, guardandola dritta negli occhi,
“Il tuo lavoro fa schifo, il mio l’ho venduto ad un tizio che ho visto solo due
volte in tutta la mia vita. La tua famiglia non è delle migliori, mentre io
sono l’unica sopravvissuta della mia, insieme a mia sorella che abita tutta
felice a Milano, insieme al suo marito perfetto.”
Forse stava realizzando, lo vide dal microscopico
guizzo incontrollato del suo sopracciglio destro.
“Non c’è niente che ci trattiene qui... O
comunque molto poco.”, continuò.
Jo strabuzzò gli occhi, spalancò la bocca.
“Ho un piccolo appartamento su, a Londra. E’
molto piccolo... Però non ci daremo fastidio, lo so.”, cercò di invogliarla, "E per il lavoro, beh, ho tanti amici lassù, maagari qualcuno ci può aiutare....”
Jo si fece perplessa.
“No, Arianna, non voglio
trasferirmi lassù.”, disse, con una certezza nel tono di
voce che la spaventò.
Non l'avrebbe mai convinta.
“Guarda che non lo fai per lui. Ma per te
stessa.”, le fece.
C'era un solo modo per farsi dire di sì: far
passare quel cambiamento radicale per un bisogno personale. Si trasferivano
lassù perché la loro città non aveva più niente da offrire ad entrambe ed
avevano bisogno di aria fresca, di amici nuovi e di un lavoro migliore, mentre
Danny era solo una piccola parte della questione. In fondo, era anche la
verità: personalmente non si sentiva più soddisfatta di quello che
Firenze le proponeva, e Londra era la città in cui aveva vissuto per anni e di
cui aveva i più bei ricordi di tutta la sua esistenza. Per Jo sarebbe stato un
doppio cambiamento: oltre a trasferirsi in un posto totalmente diverso da
quello in cui era abituata a vivere, Arianna era sicura che Londra avrebbe
potuto davvero farla uscire da quel bozzolo protettivo in cui si era nascosta
per anni, e da cui lentamente aveva imparato a tirarsene fuori. Le serviva solo
il calcio finale.
Danny l'avrebbe sicuramente aiutata, lei le
avrebbe dato tutto il suo sostegno. Sarebbe stato difficile, non solo per Jo,
ma per lei stessa. Dovevano iniziare tutto da capo, rimboccarsi le maniche e
tirare fuori i denti, ma con un po' di impegno ce l'avrebbero fatta. Se le
avessero dato un giorno di tempo, la sua mente, unita alla potenza delle linee
telefoniche, sarebbe riuscita a inventarsi qualcosa.
“Arianna, non voglio seguirlo.”,
disse Jo.
“E non lo farai.”, le fece, “Vivrai con me, così
come adesso. Avrai un lavoro, uno qualsiasi, oppure tornerai a studiare, chi lo
sa? Avrai la tua vita, ti farai nuovi amici e nuove esperienze. Danny farà solo
parte di tutto questo.”
Sembrò vacillare.
Arianna sapeva di essere molto persuasiva, se
si incaponiva nell'ottenere qualcosa.
“Sono affezionata a questo posto, non lo voglio
lasciare.”, ribatté nuovamente.
“E che cosa ti ha dato?”, le domandò, "Elencami quello che sarai costretta a metterti
alle spalle. Fammi una lista, così potrò capire
anch'io.”
La colse pienamente in contropiede. Jo non la
sapeva accontentare, era logico.
Purtroppo avevano quella particolare
caratteristica in comune: non avevano niente che le tratteneva lì e non era un
eufemismo. Entrambe non riuscivano a trovare facilmente legami affettivi con il
prossimo, sebbene lei potesse sembrare molto più estroversa e spigliata della
piccola Jo. Arianna poteva dire di avere un mucchio di amici, un centinaio di
nomi in rubrica, decine di persone con cui poter passare una lieta serata in
compagnia, ma solo una manciata di queste potevano mancarle veramente, una
volta tornata in Inghilterra. Per il resto, non aveva niente da aggiungere.
“Non ti chiedo una risposta adesso.”, le disse,
“Ma solo di pensarci. Ti ho dato mille motivi per dirmi un sì, ma se me ne
darai in cambio milleuno per un no, allora non ti forzerò in questa mia
decisione.”
“Ma se decido di rimanere, tu non devi fare
altrettanto.”
Scosse la testa.
“Jo, ti voglio troppo bene.”, le fece,
abbracciandola ancora, “Ormai sei parte della mia famiglia.”
Cacciò indietro le lacrime, ma una di queste
scese furtivamente.
“Ci penserò.”, disse Jo, stringendosi
nell'abbraccio.
Era già qualcosa.
Quel maledetto telefono prese a squillare,
troncandolo in due. Che cazzo, la batteria non si scaricava mai? La gente non
si stancava di rompergli le scatole nei momenti meno opportuni? Si alzò dal
bordo del letto su cui era seduto e rispose.
“Pronto?”
Qualche secondo di totale assenza di suoni.
“Danny?”, esordì una voce piccola e
lontana.
Era Tamara.
“Danny? Mi senti?”
Adesso era lui a non avere voce in gola. Gli
capitava troppo spesso, ultimamente.
“Sì, forte e chiaro.”, le rispose, con tono
piatto.
Non voleva esser scortese con lei, ma non ce la
faceva proprio a trattenersi. Si era svegliato da poco, ma era più stanco che
dopo mille concerti suonati di fila.
“Beh... Volevo dirti che ho preso gran parte
delle mie cose.”, fece Tamara, “E che me ne sono andata.”
“Lo so.”, le rispose subito, “Me lo hanno detto
ieri.”
“Non ne avevo dubbi.”
Anche lei non era meno infastidita di lui, lo
poteva sentire benissimo. Ad ogni modo, doveva assolutamente farle capire che
dovevano chiarire quella situazione faccia a faccia. Che le fosse piaciuto o
no, dovevano parlarne.
“Senti, Tamara.”, esordì, “Non credi che dovremmo
sederci faccia a faccia e discuterne?”
Cercò di essere comunque conciliante.
“Non voglio tornare insieme a te, Danny.”,
si negò subito lei.
“Non era questo quello che intendevo, lasciami
parlare.”
“Non ho niente da dirti.”
“Ma io sì.”, le fece, “E vorrei davvero che mi
ascoltassi.”
“Parlamene ora!”, lo esortò lei, “Perché
non credo che avrò tempo per te, domani me ne vado."
Quella notizia lo spiazzò.
“E... Dove?”
“In giro con delle amiche.”, replicò lei,
“A te non deve interessare, te l'ho detto solo perché nel mio vecchio
appartamento ho trovato delle cose tue.”
“Forse domani potrei riuscire a passare da te a
riprenderle.”
“Quando tornerò.”, disse lei, statica.
“Ok, come vuoi.”, le rispose.
Niente, Tamara aveva già chiuso la telefonata.
Fissò il cellulare.
Le aveva voluto molto più che bene, non c'erano
dubbi, ma si odiava.
Lo aveva trattenuto perché non voleva perderlo,
ma lui non lo aveva afferrato, interpretando la sua mossa come pura gelosia
ingiustificata nei confronti di Little. Se fosse rimasto a casa, forse Tamara
avrebbe continuato ad essere la sua fidanzata per molti altri anni. Forse
sarebbe finita comunque, anche per altri motivi oltre a
Little.
Una fine è sempre l’inizio per qualcos’altro.
Lo aveva detto lui stesso. Si chiese se fosse
contento di come si erano risolte le cose, ed era così insicuro che non seppe
scegliere tra il sì ed il no. Era felice, aveva trovato in Little ciò che
cercava, ma al contempo non lo era, perché se lei fosse rimasta in Italia niente
avrebbe potuto funzionare. La voleva accanto a sé, vederla quando ne
aveva voglia, quando aveva tempo, quando non c'era nessun motivo per farlo, e
se fosse rimasta lì niente di questo sarebbe potuto succedere, ma non poteva
chiederle di trasferirsi, né lui
poteva assolutamente lasciare il proprio paese.
Sbuffò, riprese il pc e
controllò ancora le
disponibilità dei voli, volle anticipare il ritorno. Il primo
aereo libero partiva alle sei di quella stessa sera, dall'aeroporto
cittadino. Carta di credito alla mano, lo comprò.
Seduta sul divano, la tv riproduceva un vecchio
cartone animato che guardava sempre da piccola, ma non la sfiorava nemmeno.
Guardava lo schermo, ma era come cieca e non vedeva niente.
La scelta era nelle sue mani, Arianna aspettava
solo lei. Prendere o lasciare? La sua irrazionalità gridava a pieni polmoni di
prendere il primo volo insieme a lui. La sua razionalità urlava di rimanere lì,
non seguire nessuno, tranne che se stessa. Doveva trovare un compromesso tra le
due parti, cosa alquanto difficile. La sua intransigenza era nota, tutti
avevano imparato a conoscerla e sapevano quanto fosse testarda. Una volta
imboccata una via era difficile lasciarla e quella legge valeva per tutto, che
fossero stati modi di pensare, punti di vista, opinioni su persone...
Sentimenti.
Vattene via di qua.
Rimani.
Lascia questo posto.
Non partire.
Non poteva giustificare il trasferimento in
Inghilterra come qualcosa di cui aveva bisogno, come aveva detto Arianna, e
non aveva senso mascherarsi. Se ci andava, lo faceva per stare con lui, mentre
il resto veniva dopo. E se qualcosa fosse andato storto? E se avessero capito
che non erano fatti per stare insieme? Cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornata a
casa come un cane bastonato ed avrebbe dovuto affrontare di
nuovo tutto dal principio.
Quando si sentì toccare la spalla, Joanna sussultò.
“Sono io.”, le disse Danny, sedendosi accanto a
lei.
Si strinse in un piccolo sorriso un po’ falso,
poi tornò a guardare la tv.
“Ho comprato il biglietto.”, continuò a parlarle,
“Il volo è stasera alle sei.”
Sentì il sangue nelle vene ghiacciarsi, ma si
impose di restare calma.
“Ok, va bene.”, gli disse.
Voltò la faccia verso la tv, ignorando la sua
presenza accanto a lei. Dimenticò tutto il calore che sentiva sulla
pelle, l’immagine del suo sorriso, il suono della sua voce. Spazzò tutto dalla mente.
“Mi
dispiace.”, tornò a dirle Danny, “Non so cosa
fare...”
Era davvero deciso ad andarsene. Bene, era
contenta di saperlo. Si morse le labbra e si trattenne
“Mi sono fatto fraintendere.”, Danny scosse la testa schioccando la lingua, contrariato, “Io voglio provarci, Little. Voglio
provarci davvero, ma non credo di avere la forza per sopportare
tutta questa distanza. Prima di tutto questo era stato difficile tenersi in contatto
scrivendosi una sola mail a settimana... E quanto tempo ci vuole a buttare giù
tre parole? Cinque minuti?”, si chiese Danny retoricamente, “Sai bene che spesso non ero
capace di trovare un solo secondo per te. Adesso sarebbe un’idiozia tornare a
come eravamo prima, non mi accontento più di leggerti o di sentirti per
telefono... Io voglio saperti sempre vicina.”
Le ci volle tutta la sua capacità d’animo per
resistere ancora.
“Era ciò quello che volevo dirti.”
Un’altra sola parola e sarebbe ancora miseramente
crollata come un castello di carte in equilibrio sulla capocchia di uno spillo.
“Mi piacerebbe tanto che uno di noi due potesse
avvicinarsi all’altro, ma non ti posso chiedere di trasferirti. Sarebbe
stupido, sarebbe come ripetere lo stesso errore che ho fatto con Tamara,
sarebbe velocizzare le cose e non voglio... E’ questo il nostro problema,
Little.”
Lo sentì sospirare, rinunciare.
“E poi hai ragione.”, continuò, “Prima era
sembrato un problema da niente. Ma dopo...”
“E’ una cosa che si fa in due.”, Joanna ebbe il coraggio
di rispondergli, “Se è successo, è stato perché lo abbiamo voluto entrambi.”
“Mi dispiace, Little.”, le fece.
Si sentì illusoriamente protetta da ogni fastidio
quando Danny l’abbracciò. Appunto, illusoriamente, ma era un’illusione
che avrebbe voluto vivere.
“E’ stato un errore.”, disse Joanna, “Ho sempre
saputo che sarebbe stato così.”
“Sappi che lo commetterei ancora.”
Le dette un bacio sulla fronte, poi sciolse
l’abbraccio. Joanna non resistette un altro secondo. Era patetico ma non voleva
che la lasciasse sola, almeno finché non se ne sarebbe davvero andato. Si
strinse al collo, Danny le sorrise. Le passò un braccio intorno alle spalle,
l’altro la convinse a stendere le sue gambe a cavallo delle sue. Rimasero così
per molto altro tempo, Joanna pensò quasi di essersi addormentata.
Danny non si fece accompagnare all’aeroporto, ma decise
di farsi venire a prendere da un taxi. Era tutto stramaledettamente uguale ad un
anno prima, con l'unica grande differenza che non avrebbero potuto più essere come allora. Il tassista suonò il campanello: Danny salutò
Arianna con un abbraccio ed un bacio sulla guancia, ringraziandola per tutto
quello che aveva fatto per lui, per averlo sopportato e messo sulla buona
strada, anche se non era poi servito a molto.
“Vado a dire al tassista che deve aspettare cinque
minuti.”, gli fece Arianna, con un sorriso e un pizzicotto sulle guance, che
non aveva più ricevuto da quando era bambino.
“Grazie ancora.”, le disse, “Dov’è andata Little?”
“E’ in giardino.”, gli suggerì la donna, prima di
aprire la porta.
Percorse il corridoio fino alla parte opposta
della casa ed uscì. Se ne stava seduta vicino alla staccionata, come la sera
precedente. Le si avvicinò.
“E’ arrivato il taxi.”, disse a Little, “Devo
andare.”
Lei annuì e sussurrò un flebile buon viaggio, non
gli bastarono affatto. La costrinse a guardarlo negli occhi in un modo molto
semplice: si sedette davanti a lei e la scosse.
“Tutto qui quello che hai da dirmi?”
Le sorrise con sincerità.
“Ti prometto che mi farò sentire, lo giuro.”, le
disse, “In qualsiasi modo.”
“Non avrebbe senso.”, lo zittì lei.
Si sentì amareggiato.
“Little, non mi stai rendendo le cose facili...
Per favore.”
“E cosa dovrei fare, allora?”, sbottò lei,
infastidita, “Sorriderti quando non ho voglia di farlo? Dirti che mi farebbe
piacere sentirti quando non è vero? Perché vuoi che sia ipocrita con te?”
“Quando sono partito speravo di tornare a casa
vedendoti sorridere.”, le disse con semplicità.
“Non ci riesco, mi dispiace.”
In fondo, le voleva bene anche quando faceva
così.
Si avvicinò per darle un bacio, ma
quando le labbra la toccarono le sentì stranamente fredde. Poi, d’improvviso si
infiammarono e diventarono calde e dolci, così come le aveva sempre conosciute.
La morbidezza del tocco, il sapore soffice di lei
rese più evanescente ogni problema e si sentì esattamente forte e deciso come
aveva pensato di essere, prima di fare l’amore con lei. La baciò ancora, con
più intensità, sottolineando i lineamenti del suo collo con le dita.
Little si scostò, segnando la fine. Danny si sentì profondamente imbarazzato ed a disagio.
“Adesso devo proprio andare.”, balbettò.
Annuì.
“Fai buon viaggio.”, rispose lei.
“Grazie.”
Si sentiva la gola arida e vuota. Sistemò il
cappellino sulla testa e si alzò.
Fu difficile compiere il primo passo, i piedi si
erano aggrappati saldamente alla terra, affondandovi radici stabili e forti.
Una volta compiuto, però, gli altri vennero da sé e lo portarono fuori di lì.
Poi sul taxi, fino all’aeroporto.
This is the closest thing to crazy I have ever been.
Ed eccomi ancora qua :) Oggi
niente lavoro, così ho trovato qualche minuto per aggiornare e
appiopparvi questo polpettone melodrammatico chiamato Little e Danny.
Chissà poi quando tornerò con una nuova storia,
quindi se ci tenete un pochino alle mie storie, sappiate che siamo agli
sgoccioli. Altri due capitoletto, poi un epilogo e spero che digerirete
tutto a Pasqua dell'anno prossimo XDSuvvia, un pochino di bicarbonato, acqua calda e zucchero, che si digerisce tutto!
Quindi, prima di passare ai ringraziamenti, voglio mettere qualcosa che
qualcuno ha fatto per me... E di cui non mi sono dimenticataaaaaa!!!
The Closest Thing To Crazy © x_blossom_x
Te lo avevo detto che lo avrei
postato in questo capitolo ** ogni tanto la mia mente lavora bene,
sisi. Quindi grazieeeeeeeeeeeeeeeeee.
Ah, il titolo e l'ultima frase del capitolo, compreso il nome del
blend, sono sempre derivati dall'omonima canzone di Katie Melua. Senza
scopo di lucro.
Ringraziamenti!
Ciribiricoccola: Scema
cosmica, hai fatto bene a non sapere cosa pensare. Ma ti pare che quei
due facciamo le cose a modino, come tutte le persone di buona
volontà? No, perchè quando scrivevo non volevano saperne
di comportarsi per bene. Ci vorranno altre parole prima che succeda
qualcosa di positovo.
ludothebest: Oh, se mi
commenti qui e poi non ti fai sentire di là... Ti strozzo eh!!!
XDDDD Ma dai, non ti preoccupare. Mi basta sapere che leggi e che
apprezzi/schifi. E' questo l'importante, non la presenza delle
recensioni. Ammetto tranquillamente che quando
l'uccellino-fiorellino mi ha detto che mi leggevi, sono rimasta
alquanto sbalordita (sai... visti il luogo che... insomma, si
frequentava... eggià, ti spiegherò meglio!) ma saperti
tra mie lettrici mi fa un immenso piacere ** alla prossima :)
kit2007: Leggendo questa
storia con la cioccolata in mano è molto kamikazistico XD Ne
mangerei a quintali dal nervoso che mi fanno venire quei due, quindi ti
apprezzo per la pazienza e mi scuso per eventuali escrescenze facciali,
sperando che non ce ne saranno. Hai detto che ti aspetti di tutto
e fai bene,con questa storia di va da tutte le parti e non si arriva
mai... Purtroppo. Beh, ma tra poco c'è la fine. Chissà
cosa succede.
Cowgirlsara: Non ti preoccupare
per il ritardo, nessuno si deve scusare con me per questo genere di
cose, non me lo merito. Ma veniamo al dunque. Hai detto bene, non
si arriva a nessuna conclusione.... Uffi, e dire che ero partita bene
XD Mi rifarò con la prossima storia!
saracanfly: Hey, era da un po' che non ti sentivo! Bentornata! Spero ti sia piaciuto :) alla prossima!
Bene, al prossimo ritardo! Ruby
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