Disclaimer: i personaggi citati non appartengono a me, ma ai legittimi proprietari,
così come la canzone iniziale.
Note dell' autore: io semplicemente amo questo Team, da morire. Sono
poco approfonditi nella trama di Naruto, eppure hanno
quel qualcosa che ha da sempre stuzzicato la mia immaginazione. E’ il
classico “amore per i personaggi secondari” XD. Per cui quando ho
visto questo contest mi ci sono fiondata, perché, come minimo, un
piccolo tributo alla mia squadra preferita era d’obbligo.
Questa
fanfic è ambientata tra la prima e la seconda
serie, il momento non è preciso, comunque dopo lo scontro con Naruto e prima che Gaara diventi Kazekage. E’ una riflessione su ciò che
è cambiato, in relazione ai flashback sull’infanzia dei tre. Dovrebbe risultare un gioco di contrasti ^^” Il tema
principale che ho scelto è il complesso di Edipo, che dovrebbe avvenire
nell’infanzia, in particolare durante i flashback il rapporto è
con il padre e la madre, come dovrebbe essere, mentre nella storia nel presente
è un po’ cambiato secondo una mia riflessione.
Perché questa tutto è, tranne che una famiglia normale (il colore
del titolo è verde speranza appositamente XD).
Vaghi accenni ShikaTema (ci ho provato, ma non riesco a farne a meno,
chiedo scusa ^^”).
Avverto
che è una fanfic estremamente lunga, spero che
avrete il coraggio e la forza di leggerla fino alla fine. La storia mi ha preso
decisamente la mano.
Strange complex
È la vita in cui abiti
niente meno e niente più
sembra un posto in cui si scivola
ma queste cose le sai meglio tu.
Cosa vuoi che sia
passa tutto quanto
solo un po' di tempo e ci riderai su,
cosa vuoi che sia
ci sei solo dentro
pagati il tuo conto e pensaci tu.
(“Cosa vuoi che sia” – Ligabue)
“Sei un perdente, Kankuro!”
Il sole del mezzogiorno picchiava
forte in quella radura, riscaldando l’aria circostante. Non che ci
fossero piante che potessero soffrirne, la bruna terra sabbiosa era più
che riarsa e non permetteva la vita di nessun organismo.
“Temari,
la tua era una mossa sleale!”
All’orizzonte il deserto
era sfocato per il riverbero del sole, creando qualche miraggio, che danzava
tremulo di fronte a occhi inesperti. Il silenzio tutt’attorno ben
spiegava la completa inospitalità del luogo. Silenzio rotto solo da
qualche frase urlata, che faceva nascondere le lucertole nelle spaccature del
terreno, spaventate.
“Ah, sì? Di’
al tuo prossimo nemico di non essere sleale, mi raccomando!”
Avrebbe stordito chiunque stare a
quell’ora in mezzo al deserto.
Beh, chiunque non fosse un ninja
esperto.
***
Gaara odiava il sole.
Lui amava la notte, unica e silenziosa compagna della sua infanzia,
perché non lo giudicava, ma quasi lo cullava come il canto di una mamma.
La fantasia di un bambino non ha confini.
In quei momenti, nelle lunghe ore di solitudine, c’erano soltanto
loro due, lui e il buio; si compenetravano tra loro, tanto erano unite le loro
essenze, e Gaara lo contemplava cercando di carpire
il suo segreto.
(Incantare chiunque, nel suo silenzio, senza paura – la notte
porta refrigerio – e conferire un pacato senso di tranquillità,
nella sua imperturbabilità).
Ma lui sapeva bene di non essere normale.
Un bambino di cinque anni dovrebbe aver paura del buio, ma lui lo preferiva
di gran lunga alla giornata assolata del suo Villaggio (“che senso ha
aver paura se sono io a far del male agli altri?”).
Che senso aveva passare le giornate al buio dei vicoli scrutando le
persone vivere? Era meglio la notte, quando rimaneva per le strade solo
l’alone di vita, quando si sentiva che lì qualcuno era passato, e
lui poteva far finta di stare in mezzo alle persone reali.
Ma la fantasia di un bambino non ha confini, finché rimane
libera.
Sarebbe stato meglio se il sole non fosse mai esistito, così la
terra di Suna non sarebbe stata arida, la sabbia non
sarebbe andata a infilarsi negli occhi tanto facilmente, e lui non avrebbe
visto così chiaramente gli sguardi impauriti e sprezzanti delle persone.
Se il sole non fosse esistito, la vita non sarebbe mai nata. Lui non sarebbe mai nato.
Ma questo non si poteva più cambiare. E allora bastava
inventarsi un mondo tutto suo.
Di notte era solo con se stesso – ma si può sopportare di
essere soli anche alla luce del sole, quando tutto è chiaro e bello e
felice? – e Gaara aveva tutto il tempo per
pensare.
Pensava ai genitori che aspettavano i loro bambini finire di giocare in
piazza, alle mamme che correvano ad abbracciare i propri figli, con una carezza
e un bacio leggero, ai papà che li prendevano in braccio. E sorridevano, tutti.
E non ci vedeva poi niente di diverso.
Anche lui aveva un papà rigido e dei fratelli intimoriti. E una
mamma che aveva ucciso.
Anche lui insisteva ad aspettare, rallentando impercettibilmente il
passo, che qualcuno venisse a prenderlo con un sorriso caldo e una mano tesa.
Invano.
Il suo Villaggio solare era così in contrasto con la vita che
era costretto a vivere che non poteva non amarlo, perché era tutto
ciò che desiderava nei suoi sogni.
Anche se quella luce splendente, a lui, era preclusa.
Ma la fantasia di un bambino non ha confini, finché non viene
infranta.
E se non era costretto a vedere la scintillante armonia degli altri,
sotto quel sole caldo che mostrava sentimenti troppo limpidi per chi si
ritrovava a correre e a giocare – solo – soltanto di notte, poteva
anche abituarsi alle tenebre in cui stava vivendo.
Rifugiandosi nell’oscurità aveva la giustificazione al suo
essere da solo. Lui stava bene con se stesso, con il piccolo peluche a tenergli
compagnia. Bastavano loro due, e la notte.
Eppure gli sarebbe piaciuto, per una volta, uscire a giocare nel sole.
***
“Che caldo!”
esclamò Temari, sedendosi all’ombra del
muro di recinzione del campo di allenamento, mentre il ventaglio le scivolava
dalle mani. Stese le gambe in avanti mentre con una mano andava a massaggiarsi
il collo indolenzito.
Gaara
le si accostò, sedendosi però non troppo vicino. La fissò
con curiosità mentre lei si distendeva in quel modo scomposto,
osservando con attenzione i lineamenti del suo viso. Così simili…
“Hai caldo anche tu?”
gli chiese dolcemente la sorella, mentre lui annuiva piano. Temari
sorrise, avvicinandosi leggermente verso di lui, che ora la guardava serio.
“Ehi, che stanchezza
oggi!” gridò Kankuro, muovendosi a
grandi passi verso i suoi fratelli, mentre si sfilava il cappuccio nero.
“Sono distrutto!” dichiarò prima di buttarsi stancamente a
terra, portandosi dietro le sue due marionette e massaggiandosi il collo con
una mano.
“E’ perché sei
poco allenato, invece io ho ancora abbastanza forze per
batterti” si vantò la ragazza, con un sorrisetto di sfida.
“Non che mi ci voglia poi molto neanche quando sei al massimo delle
forze…” lo prese in giro.
“Ah, ma
sta’ un po’ zitta! E passami
l’acqua” ordinò con fare prepotente, stendendo la mano verso
di lei.
Temari
ghignò, poi recuperò lo zaino ed estrasse la borraccia piena, che
lanciò al fratello. Kankuro non ci
pensò un secondo di più e bevve avidamente il contenuto, senza
curarsi delle preziose gocce che stava disperdendo intorno.
“E bevi piano, è
fredda!” lo sgridò lei.
“Scusa, mammina”
sghignazzò lui rivolgendole un sorrisetto divertito, che Temari stroncò sul nascere con uno sguardo
fulminante. Poi si ricordò improvvisamente di qualcosa, tanto che
lasciò il fratello alla sua sorte – ci avrebbe pensato sicuramente
dopo a fargliela pagare con tanto di interessi – e cercò
qualcos’altro nello zaino.
Gaara
fissò i fratelli maggiori con il solito sguardo impassibile, chiedendosi
in realtà come fosse possibile che due semplici esseri umani creassero
tutto quel trambusto. Non era meno faticoso starsene in disparte? La
tranquillità permetteva di recuperare appieno le forze…
“Tieni…” la
voce di Temari lo ridestò, ritrovandosi poi
sotto agli occhi un’altra borraccia. “E’ la mia acqua, bevila
prima tu” concesse, lasciando l’oggetto tra le mani bianche del
fratello, che rimase un po’ interdetto da quel gesto.
“E’ acqua, Gaara, la devi bere, non guardare” lo prese in giro
il fratello maggiore.
“Ma lascialo stare!”
gli si rivolse la sorella, lanciandogli un sassolino.
“Ah, molto matura,
davvero” commentò Kankuro ridendo, prima
di lanciarle la sua borraccia, ormai mezza vuota. “Almeno bevi, non
voglio averti sulla coscienza se poi ti senti male.”
“Figurati!
Non mi sentirò male per così poco”
rispose altezzosa, rigirandosi l’oggetto tra le mani, mentre Gaara nel frattempo prendeva un sorso e guardava curioso i
suoi fratelli rumorosi e infantili.
“Dai!
Altrimenti poi Baki chi lo
sente?” provò. E la sorella non cercava altro che un
pretesto, tanto iniziò a bere velocemente.
Gaara
la fissò ancora, poi spostò lo sguardo sull’altro fratello,
che ora si era disteso supino sulla terra secca, con gli occhi chiusi e le
braccia dietro la nuca. “Puoi bere anche da qui” disse con calma
alla sorella, riconsegnandole la sua acqua.
Temari
notò quel gesto, facendo poi caso a come lo sguardo del fratello fosse
ancora impassibile. “Tu hai finito?” chiese, e l’altro
annuì piano. “Beh, grazie, ma…” provò,
indicando la borraccia di Kankuro che ancora teneva
tra le mani. Solo che quell’espressione sincera – o almeno a lei
così sembrava – la colpì così tanto che prese con un
gesto sicuro l’oggetto dalle mani del fratello. “Grazie, Gaara” e
gli sorrise.
Il discorso non passò
inosservato a Kankuro, che tornò seduto in
meno di un secondo, osservandoli di sottecchi, notando quanto suo fratello si
fosse avvicinato e quanto Temari stesse sorridendo.
“E’ meglio se ti
lasci l’acqua per dopo, ma quanto bevi?” la sgridò, con tono
più acido del voluto.
“Ma sta’ un po’
zitto!” lo rimproverò bonaria, mentre il minore gli lanciava
un’occhiata torva. Una di quelle che in passato bastavano per mandare
qualcuno all’altro mondo. Kankuro sudò
freddo, decidendo che fosse meglio cambiare argomento. E subito.
“Temari,
ti ricordi quando venivamo qui ad allenarci, da
piccoli?”
Almeno questo era un argomento
che avrebbe riguardato solo loro due. Niente fratelli minori improvvisamente
redenti tra i piedi.
“Io mi ricordo i tuoi
pianti ogni volta che ti battevo” ridacchiò l’altra.
“C-cosa? Non è vero!”
si difese, probabilmente arrossendo d’imbarazzo sotto quel trucco viola.
“Temari,
così non vale, devi darmi il tempo di pensare” lo prese in giro la
sorella, cercando di imitare, volutamente male, il tono lamentoso di lui. Kankuro arrossì ancora di più, notando anche
quel ghigno – che forse avrebbe definito sorriso, se fosse stato certo
che ne era capace – sulle labbra di Gaara.
“E poi arrivava Baki e ci sgridava!” continuò lei, con un
sorriso malinconico.
“Sempre.
E spesso ci scappava anche qualche punizione”
finì lui.
I due si ritrovarono a sospirare
all’unisono, e a fissare quel cielo terso e blu, perdendosi nei loro
ricordi, mentre Gaara li osservava in silenzio. Prima
lei, poi lui…
“Ma Baki
ormai non ci allena più…”
“Kankuro, ma sei scemo? Il Sensei è molto impegnato con il consiglio, ora che
non abbiamo più un Kazekage” e nemmeno
un’ombra di tristezza sfiorò i volti dei tre fratelli al ricordo
del padre, “e poi siamo tutti e tre Chuunin
ormai, non abbiamo bisogno di qualcuno che ci alleni” si vantò.
“Giusto.
Ma preferivo quando c’era qualcuno che ti impediva di comportarti come
una furia! Guarda come hai ridotto la mia Karasu!”
si lamentò, mostrandole la marionetta malandata.
“Sei tu che non la sai controllare bene” rispose con un’alzata
di spalle.
“Cosa?!
A breve imparerò anche a maneggiare la terza!”
dichiarò borioso.
“Uhm, se lo dici
tu…” disse poco convinta, stringendosi nelle spalle.
“Ehi!” si
risentì l’altro.
“Gaara,
tu che ne pensi?” gli chiese la sorella, notando quanto se ne restasse in
disparte. Troppo in disparte, per trovarsi con i suoi fratelli.
Ormai la situazione era cambiata,
non c’era più nulla da temere, niente più paura anche solo di
fissarlo negli occhi, niente inquietudine nello stargli accanto o sfiorarlo.
C’era solo qualche rimorso ogni tanto, ma anche per questo lei e Kankuro avevano deciso di prendersi finalmente le loro
responsabilità di fratelli maggiori e non lasciare più Gaara da solo. In fondo, non aveva colpe, la sua sorte
poteva essere stata benissimo quella di uno di loro due, per questo si erano
ripromessi di lasciare indietro il passato. Non erano stati capaci da soli di
cambiare la situazione con le loro forze, si erano sempre nascosti dietro
un’età troppo giovane e dei progetti più grandi di loro.
C’era voluto un ragazzino di un altro Paese per fargli aprire gli occhi,
e per farli sentire degli incompetenti.
***
Kankuro correva veloce quel pomeriggio, tenendo saldamente tra le mani il
pezzo di legno perfetto che aveva trovato. Niente di meglio per riparare
l’arto della sua marionetta, che tanto a lungo aveva aspettato di tornare
in gioco. Mancava poco al palazzo, già pregustava l’intaglio del legno,
l’odore di sughero, la perfetta minuziosità di cui era capace,
nonostante la sua età, con cui incastrava precisamente ogni meccanismo,
e poi c’era la prova, avrebbe connesso i fili di Chakra
e infine…
“Kankuro…”
Si sentì chiamare, e quel sussurro timido e freddo lo fece bloccare
sul posto. Perché sapeva bene a chi apparteneva quella voce.
“Gaara…”
Il bambino sbucò da dietro un angolo, stringendo tra le braccia
il suo peluche preferito – Kankuro non si era
mai fermato a chiedersi se fosse anche l’unico.
“Non dovresti essere dallo zio?” domandò il
più grande, indietreggiando appena di un passo.
“Zio Yashamaru è fuori in
missione, torna domani” spiegò pacato,
guardandolo con i suoi occhi profondi – troppo, per un bambino di cinque
anni.
“Non dovresti girare così, lo sai che poi papà si
innervosisce se non sa dove sei…” provò, spostando lo
sguardo sul terreno sabbioso, stringendo con forza il legno tra le sue dita.
(“Come è possibile avere ancora paura di mio fratello minore?”)
Gaara annuì, stringendo le spalle piccole nel mantello scuro in cui
era avvolto. “Ti cercavo…”
“Me?”
deglutì. E ancora quella sensazione di freddo che immobilizzava le ossa,
come ogni volta.
L’altro annuì piano, abbassando poi lo sguardo, timido.
“Stasera sono solo… Perché tu e Temari
non mi fate compagnia per un po’? Possiamo giocare a quello che volete
voi.”
Kankuro ci rifletté per un po’, impacciato. Non è che non
volesse stare con suo fratello, solo che…
“Se rimango sveglio non accadrà niente” provò
a convincerlo, debolmente.
E il fratello non riuscì a resistere a quel piccolo broncio
timido, gli si avvicinò, alzando una mano per accarezzargli i capelli.
“Beh…” cominciò, ritirando subito il braccio dopo aver
visto qualche granello di sabbia accumularsi velocemente. “Beh, faremo il
possibile, d’accordo? Tu aspettaci, e non ti addormentare, chiaro?”
Gaara annuì, sorridendo con gli occhi sinceri, ora molto più
luminosi.
“Ora devo proprio andare. Ciao, eh…” e Kankuro corse via, mentre rilassava i muscoli tenuti in
tensione fino a poco prima. Non riusciva nemmeno a
pensare a cosa aveva appena promesso, né alla sua paura, né al
suo importante pezzo di legno. Aveva in mente solo un pensiero.
Di sicuro Temari sapeva cosa fare ora.
***
“Penso che tu sia
migliorata molto, Temari” chiarì Gaara, pacato come sempre. Non ci avevano mai fatto caso,
impauriti com’erano, ma lui aveva il potere di tranquillizzare chiunque,
se solo gli si mostrava un po’ di affetto.
“Visto?” sorrise
soddisfatta la ragazza.
“Non
è giusto! Gaara è sempre dalla tua parte!” si lamentò Kankuro.
“La verità brucia,
eh?” lo prese in giro lei.
“Gaara! Questa me la paghi! Ora chi
gliela toglie più questa convinzione?” lo minacciò
bonariamente. E niente più paure, niente più minacce di morte,
ora era quasi uno sfogo parlarsi in quel modo. Come fratelli.
“Al
nostro esame di selezione dei Chuunin, Temari è stata la migliore. E anche al primo
a cui abbiamo partecipato. Avrebbero dovuto dare a lei il
titolo…” ammise serio fissando il fratello negli occhi.
“Ah, Gaara! Tu sei il mio fratello
preferito!” lo abbracciò lei, in uno slancio di affetto fraterno,
sotto gli occhi di un Kankuro sconvolto.
“Ehi!
Smettetela voi due, mi date il voltastomaco”
sbottò indignato, mentre Gaara cercava di capire
cosa fosse successo, avvertendo quel calore dentro di sé diffondersi
anche sulle guance pallide.
“Grazie, Gaara” concluse lei, arruffandogli i capelli.
E niente sabbia a proteggerlo.
Non da quel gesto, almeno. Non ce ne era bisogno.
“Beh, di certo meglio a te
che a quel tipo assurdo” riprese Kankuro,
incrociando le braccia al petto in un gesto di stizza e cercando di inserirsi
nel discorso con qualche velatissimo complimento. “Com’è che
si chiamava?”
“Nara”
rispose Gaara, gli occhi più freddi del solito
e forse una scintilla omicida dei tempi d’oro.
“Giusto! Quel
cretino…”
“Shikamaru
non è un cretino!” s’imbronciò Temari.
“E da
quando lo chiami per nome? Cos’è tutta questa
confidenza?” chiese stupito Kankuro.
“Da
quando siamo amici, scemo. Gli ho salvato la
vita” spiegò.
“Proprio perché gli
hai salvato la vita, potete essere tutto tranne che amici” le rispose
scontroso, cercando una qualche ragione da far valere.
“Quindi devo pensare che
tra te e quel tipo amante dei cani ci sia altro, oltre l’amicizia?”
sibilò, con espressione maliziosa.
“Cosa? Ma smettila! Kiba è un amico, è diverso, non pensavo di
trovare uno così simile a me così lontano da Suna.
Non siamo tutti sorrisi e paroline dolci, come te e quel…
com’è che si chiama?”
“Cosa?
Quando mai avrei trattato così Shikamaru?”
s’infuriò, arrossendo appena, non sapendo bene neanche lei il
motivo.
“Per
tutto il tempo che siamo rimasti a Konoha. E anche quando ce ne siamo andati e quello è venuto a
salutarci, come se ne avessimo bisogno…” bisbigliò sbuffando.
“Dovevi per forza sorridergli a quel modo?”
s’interessò scontroso.
“Kankuro, il sole deve aver fatto male a quel tuo cervello
bacato! Era solo un modo per tirargli su il morale dopo quello che era successo, niente di più! Certo che la tua fantasia vola alta…” spiegò,
vagamente sopra le righe per nascondere l’imbarazzo.
“Sì, certo, la
missione… Se non fossimo arrivati noi sarebbe fallita, e tutto per colpa
di quel tizio” si ostinò.
“Non è vero”
ribatté irritata. “E poi stai tirando fuori argomenti vecchissimi,
ma quanto è passato?! Ti stai comportando come
un bambino capriccioso.”
“Ha ragione Temari, quel ragazzo si è dimostrato molto capace
nella missione di recupero” espose calmo Gaara,
mentre la sorella sorrideva compiaciuta.
“Cosa? Ma se anche tu
dicevi che era un ragazzino debole?”
“Non posso aver mai detto
nulla del genere” lo fulminò il minore, ricordando sottilmente
all’altro che l’età tra loro due era la stessa.
Ma anche Gaara
aveva notato quel sorriso sul cancello di Konoha, e
avrebbe tanto voluto aver messo in pratica la sua minaccia di qualche anno
prima, in ospedale. Perché già doveva dividere le attenzioni di Temari con suo fratello - e non che la cosa fosse tanto
piacevole - un’influenza esterna era non voluta e non sperata.
Ci mancava solo una disgrazia del
genere per cambiare di nuovo il baricentro di quella famiglia rattoppata…
I ruoli ormai erano ben chiari, non era tempo di cambiarli di nuovo.
***
Il Kazekage ha il compito di assicurare pace
e prosperità al suo Paese, così gli avevano detto quando era
stato eletto.
Ricordava la gioia di essere stato considerato il ninja migliore del
villaggio, e l’orgoglio (l’amore) che aveva letto negli occhi
chiari di sua moglie. Il sorriso di quel giorno ancora brillava in lui. Era
convinto che sarebbe rimasto accanto a Karura per sempre, e avrebbero allevato insieme i loro due
figli, come le famiglie normali. Anche se niente era normale in clima di guerra.
Ricordava bene l’eccitazione
infantile che lo aveva colto quando aveva deciso di possedere il demone Shukaku (“Suna adesso
sarà alla pari degli altri Paesi, vedrai Karura,
non ci saranno più guerre!”), e gli occhi impauriti e fiduciosi
della moglie.
E ricordava anche il dolore e la disperazione e la solitudine che erano
seguiti a quella scelta.
E ogni sera, mentre il buio inghiottiva le mura sabbiose della
città, non riusciva a non pensare alle tenebre che avevano attorcigliato
anche il suo cuore. Ma l’alba lì non sarebbe più sorta,
ricoperta dalla sabbia come la tomba della moglie.
“Kankuro” richiamò il
figlio, vedendolo correre nel corridoio del palazzo.
Il bambino si fermò, fissando con occhi impauriti – troppo
grandi, troppo sinceri – il volto austero del padre. “Papà,
non ti avevo visto…”
“Lo sai che non devi correre così, un bravo ninja non si
fa muovere dalle emozioni.”
“Lo so” ammise, stringendo con più forza il pezzo di
legno contro il petto. “Stavo cercando Temari…”
Un sospiro infastidito. “Tua sorella è nella sua
camera.”
“Ah, Baki-sensei
ti ha detto del livello a cui è arrivata? Temari sarà la migliore kunoichi di Suna, ne sono
certo!” lo informò, con orgoglio fraterno.
“Tua sorella ha un carattere troppo ribelle, non mi interessano i
suoi miglioramenti sul campo ninja. Mentre tu…” si soffermò,
alzando una mano per sfiorare i capelli del figlio, in una carezza più
immaginaria che reale. “Kankuro, nutro grandi
aspettative da te, sarai il mio erede.”
“Ma Temari è la
maggiore…”si ritrovò a chiarire l’altro, con occhi
sgranati.
“Temari rimarrà sempre una
donna, non sarà mai un capo villaggio.”
“E… e Gaara?” provò,
mentre la sua voce si incrinava appena sul nome del fratello. E come sempre,
negli occhi del padre notò quella scintilla di orrore, di paura, di
perdita di controllo. Quell’errore continuava a rimbalzare nella sua
mente dopo cinque anni come se non fosse passato nemmeno un giorno. Quel
rimorso lo avrebbe portato con sé fin nella tomba, ormai per lui non
c’era nessuna luce. Un uomo finito, un fantasma di se stesso. Spento.
“E’ di te che mi fido” evidenziò con un
sussurro. Oltrepassò poi suo figlio, scomparendo in una delle numerose
stanze del palazzo del Kazekage.
Ma ogni volta che vedeva quell’uomo, Kankuro
sentiva rafforzarsi dentro di sé una certezza dura come la roccia.
Non avrebbe mai somigliato a
suo padre.
***
“Ah!
Mi stavo dimenticando…” esclamò Temari, rovistando nello zaino. “Ecco
qui” ed estrasse un sacchetto bianco. Sciolse il nastro rosso per
mostrare ai fratelli il contenuto.
“Biscotti?” chiese
curioso Gaara.
“Non sono solo biscotti,
sono i biscotti!” lo corresse
il maggiore, con occhi sognanti.
“Li ho fatti ieri sera, non
riuscivo a dormire” spiegò lei con noncuranza.
“I biscotti di mamma”
si avvicinò Kankuro, “l’unica cosa
decente che Temari sappia cucinare” la prese in
giro, meritandosi un pugno non tanto fraterno da parte della sorella.
“Non è vero!”
si difese infatti lei.
“Dai,
scherzavo! Dammene uno, su” la pregò.
“Neanche se ti
inginocchi” rispose scontrosa.
“Temari-neesan, lo sai che ti voglio taaanto bene,
vero?” provò con tono fintamente dolce.
“Mi fai venire i brividi
quando fai così, smettila!” lo minacciò, tirandogli un
biscotto che Kankuro prese al volo, sorridendo
sornione. “Gaara, ne vuoi uno?” gli si
rivolse poi, affabile.
Gaara
li fissò ancora, prima di spostare lo sguardo sul sacchetto ricolmo di Temari. I biscotti della mamma…
“Perché con lui sei
sempre così gentile?” si mostrò offeso l’altro.
“Smettila di fare il geloso
e mangia.”
Quella madre che lo aveva odiato
dal momento in cui lo aveva concepito. Quella madre che gli aveva dato quel
nome egoista e che poi era morta, lasciandogli in eredità soltanto
l’odio del padre e la paura dei fratelli. E un destino più grande
di lui.
“Per me non ha mai potuto
prepararli. O forse non avrebbe voluto lo stesso.”
I due fratelli maggiori smisero
di litigare, guardandolo serio.
Certe cose forse non sarebbero
mai cambiate, e certe ferite mai rimarginate. Per quanto fingessero di essere
una famiglia come tutte le altre, era impossibile incollare perfettamente quei
cocci sparsi e rovinati, come se fossero destinati ad essere soltanto una
pallida imitazione. Niente di più.
Ma c’erano solo loro tre
ormai, con il loro enorme desiderio di essere come una di quelle famiglie
sfavillanti che vedevano in ogni città che incontrassero, con un
papà che amava la mamma, con una mamma che accarezzava dolcemente i
figli, e i bambini che si aiutavano tra loro, tra tanti sorrisi, tanto amore e
tanta felicità.
Loro che altro potevano fare?
“Oh, beh, ma noi non ce lo
ricordiamo mica, eravamo troppo piccoli” rispose Kankuro.
“Temari ha rubato la ricetta non so da dove, ma
non sappiamo se il sapore sia davvero questo” concluse addentando il
biscotto.
“L’ho rubata insieme
a tutto il libro di ricette, in fondo all’armadio di papà, dentro
a quel baule chiuso a chiave” si vantò dell’impresa.
Gaara
si ritrovò a sorridere impercettibilmente – quello che nella sua
testa era un sorriso vero e proprio, con tanto di brillio negli occhi e risata
cristallina – dando un primo morso.
“E’
buono…” giudicò.
“Gaara, mi pare che ne avevamo già discusso, no?
E pensare che hai così tanto seguito tra i
ragazzini dell’Accademia… Quando provi qualcosa di positivo devi
sorridere, così anche noi possiamo capire” lo sgridò
bonariamente il fratello.
Gaara
scrutò prima la sorella e poi il fratello, entrambi che lo guardavano in
attesa, con un sorriso, poi fissò il biscotto, mangiandolo in un solo
boccone.
“E’ buono”
ripeté atono, mentre masticava vorace.
Ma questo era più che
sufficiente, almeno per ora, tanto che il sorriso sul volto degli altri due si
aprì sincero.
“Sono
contenta che ti piacciano. Prendine altri, su”
lo incoraggiò alzandogli il sacchetto davanti al naso.
“A me non li offrì?” chiese Kankuro.
“Tu ne
hai già mangiati abbastanza. Gaara è troppo magro, fanno
più bene a lui che a te” spiegò, allontanando la mano del
fratello, avvicinatasi pericolosamente al tesoro in questione.
“Uhm” fece finta di
pensarci su. “Hai ragione. Gaara, mangiali tutti tu,
così diventerai robusto come i tuoi fratelli maggiori”
scherzò, incoraggiando il fratello con una vigorosa pacca sulle spalle,
che a momenti gli fece sputare tutto.
E ancora, nessuna sabbia…
“Scusa, puoi
ripetere?” sibilò Temari, con sguardo
assassino, migliore anche di quello di Gaara dei
tempi d’oro.
“Ho detto
che può mangiarli Gaara. Non era quello che volevi?” domandò stupito
l’altro.
“Intendo quello che hai
detto dopo…”
minacciò.
“Uhm?
Non lo so, che così Gaara
diventa come noi?” provò, non capendo dove la sorella volesse andare
a parare, e visibilmente spaventato dal suo cambiamento d’umore.
“Appunto!
Ma come ti permetti?! Sei un insensibile! Ci credo che non trovi una ragazza!” sputò fuori lei.
“Ma che ho detto di
male?”
“Che è grassa”
gli venne in aiuto Gaara, rigirando il coltello nella
piaga, con un ghigno malevolo.
“Io non sono grassa!”
sbottò infatti la ragazza, tirando un pugno
sulla spalla del fratello.
“Ahi! Ma
chi ha mai detto una cosa del genere?” si difese questo. “Gaara, non te ne restare lì e aiutami con questa
pazza!”
“Che hai
detto? Io ti sfido!” gridò lei puntando
il dito contro il fratello, decisa ad andare fino in fondo.
“Non sei
grassa! Non l’ho mai neanche pensato,
d’accordo?” si scusò Kankuro, non
capendo bene cosa avesse combinato. Sapeva solo che davanti a sé
c’era una furia molto pericolosa e che una parola fuori posto voleva dire la fine. E la vittoria di Gaara.
E questo mai!
“Uhm, ti credo” gli
concesse, fissandolo di sottecchi. “Prendi un biscotto” si
sentì generosa, levando il sacchetto da sotto gli occhi di Gaara e piantandolo davanti al fratello più grande,
con immensa gioia di quest’ultimo e visibile fastidio del primo.
“Però fossi in te
eviterei quell’abbigliamento…” sussurrò Kankuro, masticando una manciata di biscotti tutti insieme.
“Eh?”
“Dovresti coprirti di
più” spiegò a voce più alta.
“Kankuro,
se provi di nuovo a dire che sono gras-”
“Ci hai fatto caso a come
ti guardano?” sbottò. “C’è bisogno di quel
misero pezzo di stoffa a coprirti le gambe?” continuò, preda della
gelosia.
“E’ comodo”
alzò le spalle lei. “Non m’importa se mi
guardano, tanto non hanno il coraggio di dirmelo in faccia. Vero, Gaara?” gli sorrise.
“Concordo con Kankuro” affermò quest’ultimo, nello
stupore generale.
Forse era la prima volta nella
loro vita che assistevano a un evento miracoloso…
“Puoi ripetere?”
domandò stupita Temari.
“Ti guardano”
dichiarò, come se spiegasse tutto.
“Non ascoltavo nemmeno mio
padre quando ero una bambina, figuriamoci se vi do retta adesso” rispose
scontrosa. Ma proprio lei doveva sorbirsi due fratelli minori gelosi marci?
Gelosi di cosa, poi…
Sapeva che la sua famiglia era
strana, ma doveva dare un taglio a quella situazione scomoda prima che le
sfuggisse di mano. Era necessario mettere dei paletti invalicabili, in modo che
l’educazione venisse rispettata sempre e si capissero i limiti da non
poter oltrepassare, l’aveva letto più volte nei libri di pedagogia
della biblioteca.
“Temari,
ma che ti costa? Almeno eviti di farti guardare da mezza Konoha
– a Suna no, ci penso io a cavare gli occhi al
primo che osa – anche da quel coso, là, com’è che si
chiama?”
“Nara.”
Temari
arrossì improvvisamente. “Shikamaru mi
guarda le gambe?” chiese in un sussurro.
“Sì” rispose
lapidario Gaara, mentre la sorella addentava un
biscotto che si era rigirata tra le mani.
“Non per molto
ancora, se continui a mangiare così” scherzò Kankuro, ricevendo sulla fronte per una volta scoperta il
biscotto che era tra le mani della sorella, lanciato con precisione
millimetrica. “Ahi! Temari,
non dirmi che ti sei presa una cotta per quel moccioso?!”
la derise.
“Eh?!
Ma vuoi scherzare?” si difese, ancora in imbarazzo.
“E’ soltanto un ragazzino, mi ricorda Gaara,
tutto qui” finì, meritandosi un’occhiataccia da parte del
fratello più piccolo, che non aveva gradito il confronto con quel tizio
che lui definiva semplicemente “un idiota debole”.
“Non ci credo…”
la canzonò l’altro, ottenendo solo l’ennesimo pugno della
giornata. Come se non fosse bastato l’allenamento.
“Ma
smettila, cretino. Ho ben altro da fare nella vita che
trovarmi un fidanzato” s’imbronciò.
“Certo, certo…”
continuò l’altro.
“Tipo?”
s’interessò il minore, con occhi curiosi.
“Voglio diventare Jounin!” esclamò entusiasta lei.
“Eh?
Ma se sei appena diventata Chuunin!”
si stupì Kankuro.
“E allora?
Voglio essere la migliore, qualcosa in contrario?”
lo minacciò ancora.
“Se tu diventi Jounin allora lo sarò anche io!”
esclamò contento l’altro. “Così saremo ancora
insieme.”
“Lo saremo tutti e
tre” s’intromise Gaara, con la sua solita
voce calma e debole. Eppure riuscivano sempre a sentirlo; anche quando si
urlavano a vicenda qualcosa, le sue parole arrivavano comunque alle loro
orecchie. E facevano perdere la voglia di parlare, di urlare, di litigare, come
in quel momento, stupiti della frase del fratello.
“Jounin,
intendo” spiegò meglio il più piccolo, sentendo le occhiate
degli altri due su di sé.
“Ma certo Gaara, lo saremo tutti e tre” gli
sorrise il fratello.
“E saremo insieme”
concordò la sorella.
Come una di quelle famiglie
scintillanti che vedevano in ogni città che incontravano, ma senza una
mamma, senza un papà, eppure con tanti sorrisi e tanto amore e tanta
felicità.
***
Temari aveva imparato a sopravvivere.
Sapeva manipolare il proprio chakra come un
ninja esperto, odiava le bambole, aveva rafforzato il suo fisico troppo debole,
non sopportava i capelli lunghi, aveva soppresso ogni emozione e detestava
piangere.
A otto anni, Temari era una kunoichi perfetta.
Eppure, l’orgoglio di un padre non l’aveva mai conosciuto.
Di quel padre che avrebbe dovuto amare come l’unico uomo della sua vita
(“invece è l’unico uomo della mia vita che detesto!”).
Odiava quella sua femminilità che cominciava a uscire, sebbene
relegata in fondo alla sua essenza. La odiava sopra ogni cosa, ma non riusciva
a farne a meno del tutto. Perché le ricordava qualcosa che ancora non
era pronta a lasciare andare.
“Avanti” disse, sentendo bussare alla sua porta. “Kankuro, cosa vuoi?” lo anticipò, sapendo
già che si trattava del fratello, anche se dava le spalle alla porta,
rivolta verso la finestra. La notte a Suna era
particolarmente bella - senza nuvole si potevano riconoscere tutte le
costellazioni - ma anche molto triste – ci si può davvero sentire
soli vedendo tutti quei puntini luminosi nel cielo?
“Ho trovato un pezzo di legno perfetto, guarda!”
esultò il fratello, mostrandole l’oggetto. “Vuoi aiutarmi ad
intagliarlo?” propose. Adorava dividere i suoi interessi con la sorella.
“Stasera no” rispose, continuando a fissare davanti a
sé. Eppure quel riflesso nel vetro nero, a lei, non ricordava proprio niente.
Kankuro posò il legno sul comodino della sorella – niente foto,
perché averne se non hai ricordi? –, sedendosi sul letto.
“E’ successo qualcosa?”
“No” mentì, troppo brava anche per il fratello.
“Prima ho incontrato papà…”
“Ti ha detto qualcosa?” chiese subito, voltandosi verso di
lui e tradendo l’autocontrollo.
“N-no… Perché?”
“Niente” rispose. (Non farlo soffrire, non lui, Kankuro può ancora ricominciare, lui era troppo
piccolo, non ricorda, allontanalo da te e sbrigatela da sola, se resiste Gaara alla solitudine, posso farcela anche io).
“Mh. Posso rimanere qui con te per un
po’?” chiese, un po’ infantile.
Kankuro aveva imparato a leggere negli occhi della sorella quello che le sue parole
non dicevano. Aveva soltanto lei e non aveva la minima intenzione di lasciarla
andare via, lontano da lui. L’avrebbe seguita anche in capo al mondo,
testardo e ostinato com’era.
“Kankuro! Hai sette anni ormai! Quando sarai un Jounin rispettato ti prenderò
in giro davanti a tutti, sappilo” scherzò, ritrovando il buonumore
e sedendosi con un salto sul letto, vicino al fratello.
“Cosa? No, Temari, ti prego non
lo fare!” la implorò, ingenuo, mentre lei ridacchiava.
“Uhm, forse, vedremo…”
Kankuro la faceva sentire importante, eppure sapeva che quel legame
così solido non sarebbe durato per sempre. Niente durava per sempre in
quella famiglia.
E mentre rideva, non le importava più lo sguardo di disprezzo
che le aveva rivolto il padre, quel pomeriggio, quando l’aveva vista con
i capelli sciolti per rinfrescarsi dopo l’allenamento (e mai più
glieli avrebbe visti liberi). Infantile imitazione di quella che per lei era
niente più che una foto. Il ricordo ormai sbiadiva ogni giorno di più.
E stringendosi al fratello, su quel letto così grande per due
bambini (senza una mamma che rimboccasse le coperte, senza un papà che
raccontasse storie), si rendeva conto sempre più che da sola, lei, non sarebbe sopravvissuta nemmeno un
giorno.
Kankuro la guardò addormentarsi, lanciando un’occhiata di
supplica e scuse fuori la finestra. La notte era tranquilla, Gaara non dormiva. Ma avrebbe mai perdonato la promessa
infranta di quel giorno? Avrebbe mai capito che Temari,
a cui anche lui era affezionato, in quel momento non aveva tempo per dedicarsi
a lui? Doveva capire se stessa e maturare il prima
possibile, per poi dare l’esempio ai suoi fratelli, così da
riuscire a sopravvivere in quel mondo.
Temari era la migliore in tutto, le veniva spontaneo, eppure chiedeva di
riuscire a fare solo una cosa.
Non amare.
Inutilmente.
***
“Comunque non ti smentisci
mai, non fai che pensare a te stessa e a quanto sei brava” la prese in
giro bonariamente Kankuro.
“Che vorresti dire?” Temari si mise sulla difensiva.
“Mi spieghi che razza di sogno
è? Diventare Jounin… Di solito le
ragazze sognano un fidanzato bello e romantico, no?”
“Quello
è il tuo sogno, Kankuro. Preferisco non
interferire e tenermi il mio, che almeno ha una dignità” gli
rispose a tono, ghignando.
“Ehi!
Cercare una ragazza è una cosa normale alla mia
età!” mostrò le sue ragioni.
“Ma non la troverai
conciato così.”
“Non fa niente, il trucco
non lo leverò mai” disse sicuro, con sguardo fiero.
E Gaara
notò ancora quei lineamenti. Così
simili…
“Almeno stai più
attento, non ci hai fatto caso che la linea sotto l’occhio è
storta?” lo rimproverò Temari.
“Cosa?” si
allarmò lui, passandosi una mano nel punto indicato dalla sorella.
“Ah, lascia stare…
Saranno sogni difficili da realizzare, i nostri” sospirò,
guardando il cielo limpido.
Il caldo soffocante del deserto
lasciava il posto a un debole tepore interno, quando erano tutti
e tre insieme. Forse era davvero così il rapporto normale tra
fratelli…
Beh, più o meno. Di cose
ne erano successe troppe nella loro vita, la normalità si era incrinata
da tempo. Ma forse era questa la loro forza: continuare a provarci. Alla fine,
in fondo, un equilibrio lo avevano trovato, ormai sembrava che non ci fossero
nubi all’orizzonte, proprio come il loro amato deserto. La pace con gli
altri Paesi, la morte del Quarto Kazekage,
l’insperata amicizia con gli shinobi di Konoha… Rimaneva la questione Shukaku,
ma ormai erano abituati anche a quello, e insieme avrebbero aiutato Gaara a sopportarlo. Stavolta di loro spontanea
volontà, niente dovere imposto da nessuno.
“Anche io
ne ho uno. Di sogno” proruppe Gaara. I suoi fratelli lo guardarono stupiti ancora
una volta, notando quanto fosse cambiato in poco tempo. Ora era lui ad iniziare
i discorsi, in modo naturale e spontaneo. E non c’era conquista
più grande.
“Quale, Gaara?”
chiese dolcemente Temari.
“Ah!
Lo so io! Anche tu vuoi trovare una ragazza, eh?” rise Kankuro.
“Ma
piantala! Gaara è molto più maturo di te” lo sgridò lei.
“Anche lui è un
essere umano, che male c’è?”
“Ma che ne vuoi capire, tu…”
“Sempre meglio di un sogno
egoistico come il tuo, almeno io farò la felicità di qualche
giovane e affascinante ragazza” ghignò.
“Se non scappa
prima.”
“Cosa?”
“Voglio diventare Kazekage.”
La voce pacata di Gaara interruppe ancora una volta i litigi insensati dei
suoi fratelli maggiori, che si ritrovarono a dir poco sconvolti
dall’affermazione del minore, con tanto di bocca spalancata e occhi
sgranati.
“Lo so che è
difficile” riprovò.
“Non è
questo…” iniziò Temari.
“E’ che…”
“Dopo tutto
quello che è successo…” l’aiutò Kankuro.
“Se
diventerò il migliore di Suna anche il
consiglio degli anziani dovrà capitolare, per questo mi sto allenando
duramente. E sarò un Kazekage
migliore del Quarto” dichiarò solenne. E Temari già lo vedeva con la veste da Kage e il cappello azzurro in testa.
“Questo è sicuro,
non che ci voglia poi tanto” ridacchiò Kankuro.
“D’accordo
allora. Noi saremo con te, Gaara”
lo rassicurò la sorella.
“Io ti aiuterò ad
allenarti” si propose il fratello. “Così sarai il
migliore.”
“E sorridi, mi
raccomando” si preoccupò Temari.
“Non mi
prendete in giro? Non vi farò niente”
assicurò piano, mentre i due maggiori si ritrovarono a sorridere.
“Gaara, penso che il tuo sogno sia meraviglioso. Ti aiuteremo davvero, siamo una famiglia, no?” evidenziò
la sorella.
“Ah!
Io scorterò ben volentieri le delegazioni straniere,
soprattutto se ci saranno belle ragazze” rise Kankuro,
mentre gli altri due scuotevano la testa sospirando.
“Uhm. E
allora io sarò ambasciatrice in qualche Paese alleato, che ne dite?”
propose Temari con un sorriso. “Penso
sia un ruolo che mi si addica…”
“Essere
servita e riverita? Non ti bastiamo noi e il clima di
terrore che instauri a casa?” ridacchiò suo fratello.
“Kankuro,
stai mettendo a dura prova la mia pazienza…” sibilò.
“Temari,
potrai scegliere il ruolo che preferisci” le concesse Gaara.
“Ma la smetti di essere
sempre dalla sua parte?” si alterò l’altro.
L’altro rispose calmo,
squadrando il fratello dall’alto in basso, a voce talmente bassa che solo
Kankuro riuscì a sentirlo. “E’
normale avere delle preferenze, se c’è una scelta a disposizione.
Non che tra me e te ci sia poi questa
difficoltà di decisione.”
“Temari,
ma l’hai sentito?!” si lamentò
infatti quest’ultimo.
“Cosa?
Non vi stavo ascoltando. Pensavo al mio ruolo di
ambasciatrice di Suna… Uhm, in che Paese potrei
andare per prima?” rifletté.
“La smetti con questa
storia dell’ambasciatrice? Che ci troverai di
divertente…”
“Mh.
Chissà… Magari trovo qualcosa di interessante.”
O qualcuno…
L’occhiata che Kankuro e Gaara si diedero
bastò a far capire loro che il pensiero di entrambi fu lo stesso. E si ritrovano una volta tanto
perfettamente d’accordo.
***
Karura era una donna molto bella, con un carattere forte e dolce allo stesso tempo,
una di quelle persone che nella loro semplice rarità rimangono marchiate
a fuoco nei pensieri di chiunque l’avesse incontrata.
Di lei, quello che rimaneva impresso era il sorriso, così
rassicurante e solare che sembrava scacciare via
qualunque problema, come se il mondo non avesse mai conosciuto tenebre. Forse
per questo, suo marito l’aveva sposata, e amata sopra ogni altra cosa. E
forse per questo il suo popolo quasi la venerava.
Karura incurvava le labbra e una scintilla di vita si accendeva nei suoi
occhi, la stessa vita che le era stata strappata via troppo velocemente e
troppo presto. Dopo quel giorno, Suna sembrò
vivere un’eterna eclissi, tra guerre, accordi infranti e un Kazekage sempre più scostante. E quel dolce sorriso
solare era rimasto cristallizzato in una foto sbiadita, incapace di rischiarare
il cuore di nessuno e alimentando l’odio per una privazione così
sofferta.
Ma Karura era anche una donna con la
capacità di amare con tutte le sue forze, e amava suo marito sopra ogni
altra cosa, e i suoi figli. Avrebbe voluto vedere con i suoi occhi come Temari sarebbe riuscita a vincere il rispetto di chiunque
incontrasse, guadagnandosi il suo spazio nel mondo. Avrebbe voluto aiutare Kankuro a superare la sua timidezza e a conquistare la sua
prima fidanzata, dicendogli che una donna andava amata più della propria
vita e rispettata ancora di più. E avrebbe voluto vedere di che colore
fossero gli occhi di Gaara, insegnargli a muovere i
primi passi, sentirlo dire mamma.
Aveva capito che le speranze non sempre vengono mantenute, e che era
meglio vivere con un sorriso sulle labbra, imparando a non illudersi.
Ma un sogno lo aveva anche lei, un sogno banale e proprio di ogni
mamma.
Karura desiderava la felicità per i suoi figli.
***
“Bene, ci siamo riposati
abbastanza, riprendiamo l’allenamento!”
“Temari,
il sole sta tramontando, ricominciamo domani,
dai…”
Era sicuramente un team strano,
una famiglia strana. Con dei rapporti
strampalati e totalmente sbagliati che non erano mai stati affrontati
nell’infanzia e che si erano riadeguati secondo
un loro ordine discutibile. L’inserimento di un nuovo elemento esterno
non avrebbe fatto altro che rompere il delicato equilibrio su cui si reggeva il
tutto.
“Che cosa?!
Sei un povero rammollito, Kankuro!”
“E dai! Sarai una Jounin perfetta anche saltando un giorno di allenamento.”
“Uhm, da dove esce tutta
questa gentilezza? Non dirmi che sei innamorato?!”
“Ma smettila…”
“Gaara,
hai sentito?”
“Ti ho detto di
smetterla!”
Un equilibrio precario, con qualche
incrinatura qua e là, qualche frammento mancante e
un’instabilità di fondo.
“Temari,
Kankuro, andiamo a casa.”
Ma in fin dei conti, una famiglia
come tante.
Fine
Nota finale: avrei davvero tanto da dire su questa fanfic. A partire dal concetto base, il complesso di Edipo.
Nei flashback sulla loro infanzia è inteso nel senso classico, Kankuro e Gaara sono ancora
attaccati alla madre (per Gaara, la mamma l’ho
intesa come la notte, il padre come il giorno), e odiano il padre. Il fatto che
anche Temari odi suo padre indica che già
all’epoca qualcosa non va tanto bene. Per le bambine ho sentito di un
complesso di Elettra, esattamente opposto a quello di Edipo. Ora, entrambi i
complessi dovrebbero terminare entro i 5 anni, mi pare, ma penso che la morte
prematura di una madre faccia rivedere il tutto.
Nel presente della fanfic, il complesso c’è ancora, come se il
loro rapporto si fosse cristallizzato nel tempo, perché non lo hanno
affrontato (per paura, perché non ne erano capaci, o chissà per
che altro), ma le figure sono cambiate, e ruotano tra loro, non sono fisse. Kankuro e Gaara li ho intesi allo
stesso tempo come mariti e figli, perché lottano tra di loro per le
attenzioni di Temari, che è madre e in parte
figlia (perché i due fratellini sono un tantino gelosi
e possessivi). Tutti e tre hanno bisogno di sentirsi figli (penso anche Temari, non riesco a vederla coma “la mammina”
del gruppo, e lo dico in quanto sorella maggiore anche io, il bisogno di
sentirsi figlia ci sarà anche in lei), e allo stesso tempo non
dovrebbero, perché le figure dei genitori sono ormai morte per sempre.
Insomma, va bene così? è sbagliato? è
giusto? Io non lo so, ma sembra che tra loro funzioni. E un po’ di pace
se la meritano, psicanalisi o no.
Per quanto riguarda i due
flashback con i genitori, si sa poco di loro, ho provato a capirli meglio, e io
mi rifiuto di credere che Karura possa aver odiato
suo figlio (o almeno, non del tutto). In fondo, nell’anime,
questo ci viene detto da altre persone, non da lei. E forse era soltanto odio e
frustrazione a farli parlare. Ho provato a rivalutarla, come donna, come moglie
e come madre. Sul signor Quarto Kazekage, ho da dire
solo che lo vedo come un uomo distrutto e addolorato, che pagherà fino
alla fine le conseguenze delle sue azioni (e che se lo merita dopo come ha
trattato sua moglie XD), che non riesce e non vuole vincere i suoi fantasmi. Al
contrario dei suoi figli, perché per quanto Kankuro
e Temari siano fragili (o almeno ho provato a dare
questa visione di loro), tentano di superare le loro insicurezze per il bene
della loro famiglia. Entrambi sono un po’ goffi nel dimostrare il loro
affetto, perché non sanno bene come fare ed hanno dei caratteri
orgogliosi, ma ci provano, non sanno esternare bene, ma il sentimento
c’è. E per me è importante.
Noticina tecnica: lo so che
l’argomento è banale, ci ho costruito un minimo di trama dietro
proprio perché un’introspezione così lunga sarebbe
risultata come minimo noiosa XD e ho inserito i flashback per rendere un po’
più dinamica la storia (sarebbe il contrasto con la pace del presente).
Sono cose a cui ho pensato, ecco, come il fatto che ogni flashback inizi con un
nome e un verbo che caratterizza quel personaggio in quel momento della vita.
E il flashback di Karura... Beh, Vale, quello è dedicato tutto a te ^^
Spero
innanzitutto che qualcuno sia riuscito ad arrivare fin qui (le note finali sono
più lunghe della fic) ^^” e di essere
riuscita a trasmettere qualcosa, anche solo una minima parte di quello che ho
sentito mentre scrivevo.
Io credo che non mi farò
rivedere (se non per i commenti, ovvio ^^) nel fandom
per almeno un mese, au revoir,
mie care lettrici.
Detto ciò, commentino? ^^
Questa fanfic
ha partecipato al contest “Team Suna”,
indetto da rolly too sul
forum di EFP. Sono arrivata seconda (su due, dettagli ^^”), la sfida
l’ho persa, ma la fanfic non mi fa del tutto schifo, anche se alcune parti ancora non mi convincono, quindi eccola qui.
Faccio ancora i miei complimenti
a Sasori_Danna,
la vincitrice ^^
Vi lascio il giudizio e i voti,
per correttezza:
Grammatica e stile: 8
Caratterizzazione dei personaggi: 9,5
Originalità: 8,5
Giudizio: 9
Attinenza al tema: 9
Totale: 44
Questa fiction mi ha colpito in particolar modo per l'introspezione dei
personaggi. Ritengo che l'aspetto psicologico sia stato sottolineato con grande
cura mantenendo l'IC. Ho apprezzato molto il contrasto tra i flashback e la
narrazione “nel presente”, perché mette davvero in evidenza
il modo in cui i tre fratelli di Suna sono riusciti a
creare armonia nella loro famiglia nonostante la complicata situazione in cui
si trovavano, e soprattutto ho apprezzato il modo in cui hai reso i ruoli
familiari, che sono allo stesso tempo confusi e definiti, poiché Temari è sorella, amica e madre, così come Gaara e Kankuro sono amici,
fratelli e padri. Mi ha colpito anche il modo in cui hai reso Karura e il Quarto Kazekage: ho
trovato la loro caratterizzazione molto intensa ed efficace.
Trovo che l'attinenza alla traccia data sia quindi
ottima e l'argomento sviluppato estremamente bene. Tra l'altro, mi è
piaciuta l'idea della sindrome di Edipo, azzeccata e ben descritta.
Risponderò qui sotto agli
eventuali commenti.