Il
telefono squilla.
2.
Macchie indesiderate
Dopo
dieci minuti passati ad aspettare alla fermata, immersi da un
silenzio tombale e dalla pioggia torrenziale di quel pazzo giorno
d'Agosto, il tram arrivò. Naomi si alzò dalla piccola
panchina, sistemandosi la tracolla della sua borsa sulla spalla. Non
appena si aprirono le portiere, apparve alla loro visuale il
conducente che, con aria stanca e un duro cipiglio a oscurargli il
volto, osservava i due detective salire sul mezzo. La sua espressione
sembrava la stessa di chi si chiede il motivo per cui dovrebbe fare
qualcosa che non lo aggrada, eppure è costretto ad abbassare
la testa ed accettarla con rassegnazione; per questo Naomi gli donò
un sorriso compassionevole guardando gli occhi grigi e sfuggevoli
dell'uomo che però sembrò non gradire quel gesto - o
che forse semplicemente ignorò, perché l'ultima cosa di
cui aveva bisogno era la pena provata da quella donna. Al contrario,
Ryuzaki ignorò la piccola scenetta, scrollandosi di dosso le
gocce intrappolate tra i capelli, girando la testa a destra e a
sinistra come un cane, e per questo, guadagnandosi un’occhiataccia
da una signora seduta sul primo sedile. Nel frattempo, l’autista
prese da uno scomparto accanto al suo sedile un punta-carte dalle
molle un po' arrugginite e poi si rivolse loro con tono scorbutico.
«Biglietti,
prego».
Naomi
frugò tra le tasche della sua borsa, cercando il biglietto che
aveva comprato qualche minuto prima e lo stesso fece Ryuzaki,
scavando nelle ampie tasche dei suoi jeans e tirando fuori un pezzo
di carta sgualcito. Dati i biglietti, si avviarono in cerca di un
posto a sedere e contro ogni aspettativa, constatarono che il tram
era quasi deserto. Si sedettero senza dire una parola, uno di fronte
all'altro. Mentre il tram viaggiava tra le vie di una grigia Los
Angeles, i pensieri dell'agente iniziarono a prendere vita e a farla
allontanare dalla realtà che la circondava; chissà
perché, ma i finestrini sembrano essere stati progettati per
evitare che i pensieri dei passeggeri si scontrano contro il mondo
esterno, che passa attraverso i loro occhi come una vecchia pellicola
cinematografica.
“...
o forse per evitare che si perdano, i pensieri o i passeggeri,
chissà”.
Le
piaceva guardare l'asfalto ricoperto dallo strato lucido e
trasparente dell'acqua e tutte le goccioline che colpivano il vetro
lasciando una scia al loro passaggio. Si mise a fissarle quelle
goccioline, cercando di immaginare quale sarebbe stato il percorso di
ciascuna: sarebbe andata a destra, a sinistra o si sarebbe unita a
un'altra goccia per formarne una più grande? Dopo un po', si
stancò del suo giochetto, e dandosi della stupida perché
era davvero una grande perdita di tempo e non aveva neanche molto
senso, si voltò verso il suo compagno di viaggio con
l'intenzione di discutere ancora un po' sul caso. Vide le sue gambe
strette al petto, come al solito, le braccia mollemente appoggiate ai
lati e il suo volto coperto dalla zazzera di capelli occupato a
osservare fuori. Senza soffermarsi troppo sulla sua esile figura,
decise di rinunciarci prima ancora di aprir bocca e si rigirò
anche lei verso il finestrino, in silenzio.
Dopo
una ventina di minuti, arrivarono a destinazione. Ryuzaki cercò
di scrollarsi di dosso una ragazzetta che tre fermate prima si era
seduta accanto a lui e che incautamente si era addormentata posando
la testa sul suo braccio. Naomi più volte aveva cercato di
reprimere una o anche due, tre risate nel vedere l'espressione prima
atterrita, poi infastidita e infine schifata dell'uomo, che con
orrore guardava la bava della poveretta macchiargli la maglia bianca;
ebbe la sensazione che, se solo avesse potuto, l'avrebbe buttata
dalla finestra.
“La
maglietta, o la ragazza?” si chiese, continuando a guardare
divertita un Ryuzaki esasperato, senza rispondere seriamente alla
domanda.
Liberatosi,
l'uomo con passo più affrettato del solito si allontanò
dal sedile e si avviò verso l'uscita, lasciandosi dietro una
Naomi che rideva sotto i baffi. La pioggia continuava a cadere e
dovettero correre prima di raggiungere la loro ultima meta.
“E
finalmente staremo all'asciutto”, pensò la donna
balzellando tra le pozzanghere.
✝ ✝ ✝
«Bene,
Misora, si accomodi pure».
Cosa
doveva fare adesso? Non aveva mai ospitato nessuno in vita sua, a
parte A nella sua cameretta – se poteva essere contato come
esempio. Nei film di solito, che dicono appena qualcuno entra?
«Io
vado a prendere qualcosa da bere. Cosa gradisce?»
«Ehm,
preferirei andare in bagno prima. Sono fradicia».
Si
voltò e la guardò notando le piccole pozzanghere
d’acqua che si erano formate ai suoi piedi. Storse il naso.
«Sto
notando» con uno sbuffo impercettibile indicò con il
braccio teso una porta: «Il bagno è dietro quella porta,
alla sua sinistra. Le prendo degli asciugamano. Mi permette?».
L’uomo
sorpassò Naomi ed entrò nel bagno, chiudendosi la porta
alle spalle. Restò con la schiena appoggiata al legno
guardando con aria scocciata davanti a sé.
“Che
seccatura. Non pensavo che avrebbe accettato la mia proposta. Dovrei
imparare a tenere la bocca chiusa”.
Prese
degli asciugamano da un armadietto, controllando nel frattempo che
non ci fosse nulla fuori posto. Se avesse scoperto qualcosa di
sospetto non se lo sarebbe mai perdonato.
“Tutto
ok”.
«Fatto,
entri pure».
Passò
la soglia e alzando lo sguardo notò una Naomi infreddolita e
irritata. Con quel temporale, come spesso capitava, la temperatura si
era abbassata bruscamente e il venticello proveniente dalla finestra
aperta soffiava sulla pelle umida dell’agente. I vestiti
sgocciolanti stavano sporcando tutto il pavimento e dove era passata
la donna, una scia di orme prodotte dalle suole delle sue scarpe
sporche screziava le mattonelle lavate con tanta cura appena il
giorno prima.
Sì,
era davvero una seccatura.
«Vuole
dei vestiti asciutti?» domandò col tono più
gentile di cui era capace, che lasciava intendere un imperativo
improrogabile: i vestiti glieli avrebbe dati anche contro la sua
volontà pur di fermare quello scempio.
Naomi
si risvegliò dalla trance in cui era piombata e lo guardò
smarrita. Si prese qualche secondo più del dovuto per
rispondere, cercando di ricordare che cosa aveva appena detto l'uomo
di fronte a lei: era ancora sconvolta del modo impeccabile in cui era
tenuta la casa.
«Non
sarebbe una cattiva idea».
«Ok,
vado a prenderle qualcosa. Intanto può andare in bagno, gli
asciugamano sono sul lavello».
«Grazie».
Una
volta entrata, Naomi prese uno degli asciugamano azzurri che Rue le
aveva preparato e iniziò a strofinarlo sulle braccia, sul
collo e sul viso. Si guardò allo specchio e cercò di
sistemare la frangetta da cui colavano delle gocce che si
raccoglievano sull’insenatura delle guance, per poi scivolarle
sul mento.
“Che
seccatura, forse sarebbe stato meglio se avessi preso il tram più
vicino a casa mia. Tanto mi sono bagnata ugualmente”.
Il
rumore di una nocca che si infrangeva sulla superficie della porta
interruppe i suoi pensieri. Andò ad aprire e prese i vestiti
che Ryuzaki le stava porgendo.
«Tenga,
non ho trovato niente di meglio».
«Va
bene così, sempre meglio di questi vestiti zuppi».
«Vado
a cambiarmi anche io, mi troverà in cucina».
Detto
questo, lasciò la stanza per permettere a Naomi di cambiarsi.
“Non
vedrà anche lui l'ora di togliersi quella maglietta”
pensò con un sorriso.
✝ ✝ ✝
Il
bicchiere di vetro rifletteva la luce del lampadario acceso, creando
delle macchie di bagliore sulla tovaglia a quadretti. L’indice
destro di Naomi picchiettava sul tavolo allo stesso ritmo della
pioggia che ancora precipitava sui tetti delle case. Beyond stava
asciugando con un canovaccio le posate che aveva usato per prepararsi
un ennesimo toast, dando le spalle alla donna. Lei lo osservava con
attenzione dall’altra stanza, stringendo di riflesso gli occhi
a pari passo con un sospetto che iniziava a stillarsi nella sua
mente.
“Rue
Ryuzaki… un tipo strano, molto strano”.
Il
coltello, posato delicatamente nel suo scomparto, cozzò con
gli altri posti ordinatamente dentro al cassetto, producendo un lieve
tintinnio. Continuò a seguire i suoi movimenti, fino a quando
non appese lo strofinaccio a un gancio attaccato al muro accanto alle
presine e si girò verso la sua direzione.
«Misora,
vuole guardare la TV?».
«Mmh?
Cosa guardi di solito tu, Ryuzaki?»
Lui
uscì dal cucinino e chiuse la porta. Senza troppi complimenti,
si mise a gattonare verso la poltrona dove stava seduta Naomi e si
appollaiò sul tappeto accanto a lei. In tutto questo, Naomi lo
guardò sconcertata: non si era ancora abituata a tale visione.
«Mi
piacciono molto i film d’azione, ma i gialli restano i miei
preferiti».
«Anche
a me piacciono molto».
«Beh,
ovvio, con il lavoro che facciamo».
«Ti
riferisci al ruolo di detective… o di assassino?»
Beyond
la guardò intensamente: “Che dovrei pensare, Naomi?
Possibile che… nah, mi sta solo provocando”.
«Seppur
con questo tempaccio e con quello che abbiamo passato, ha ancora
voglia di scherzare, vedo», appoggiò la testa al
bracciolo della poltrona su cui era seduta lei e continuò:
«Comunque mi piacciono anche i fantasy… pensandoci, mi
piacciono un po’ tutti i generi».
Prese
il telecomando e iniziò a fare zapping in cerca di qualcosa di
interessante da guardare, continuando a sentire lo sguardo
dell’agente puntato su di sé. In onda non c’era
granché: telegiornali, qualche filmetto di bassa categoria,
cartoni animati, telenovelas strappalacrime, televendite che ti
presentavano prodotti dalle capacità miracolose e
l’immancabile pubblicità. Beyond continuava a cambiare
canale e col passare del tempo stava iniziando a stancarsi di premere
sempre lo stesso bottone. Con aria annoiata si voltò un attimo
verso Naomi per poi tornare con gli occhi sullo schermo.
“…
Eh?”
La
donna lo stava osservando con una mano che le sosteneva il mento.
Dalla direzione del suo sguardo sembrava che stesse guardando…
«Misora,
che ha da guardare?»
«I
tuoi capelli sono più mossi del solito».
“...”.
Con
la mano cercò di appiattire la massa ribelle, e mantenendo
un'aria indifferente tornò a guardare la tele.
«Mi
capita sempre con l’umidità».
«Già…
anche a me».
✝ ✝ ✝
La
lancetta dell’orologio aveva compiuto il suo giro per ben due
volte da quando Naomi era dentro quella casa. Alla fine, i due
avevano deciso di guardare una commediola, giusto per ammazzare il
tempo e per evitare di scervellarsi nel trovare un argomento di
discussione. Naomi non era una patita di TV, anzi, per certi versi
era contraria a quella scatola magica in grado di fare il lavaggio
del cervello, ma in quel momento mai come allora la trovò
fantastica; giusto qualche minuto prima della fine del film, un
improvviso blackout spense lo schermo e la luce della piccola
abat-jour posizionata accanto alla poltrona, facendo piombare
l’intera abitazione nel buio e nel silenzio.
“E
ti pareva, mi sembrava strano che non succedesse qualcos’altro”,
pensò la donna.
Beyond
restò davanti allo schermo senza muoversi di un millimetro.
“E
ora che fa?”
Approfittando
della situazione, Naomi gettò indietro la testa con un sonoro
sbuffo e chiuse gli occhi. Stare più del dovuto con
quell’individuo la stancava.
«Anche
lei è seccata, vero? Questo blackout non ci voleva, io ero
curioso di sapere che fine faceva Jeremy e se riusciva a ritrovare il
suo cane».
«Il
cane è morto, Ryuzaki. Lo hanno fatto vedere all’inizio
del film».
«Ma
come? Ma quando? Io… io tifavo per Tony, ho continuato a
vedere il film solo per lui!»
Un
altro sbuffo.
«Non
hai capito per niente il senso del film allora, Ryuzaki».
«Temo
di no. Lei lo ha capito, Misora?»
«No,
non abbiamo potuto vedere il finale. Il senso sta sempre alla fine».
«Mi
trova pienamente d’accordo».
Ryuzaki
si alzò e andò verso la centralina del contatore per
controllare che la levetta non fosse alzata. Dopo qualche manovra,
capì che il blackout non aveva colpito solo lui, ma
probabilmente tutto il quartiere, quindi richiuse lo sportello e andò
davanti alla finestra. La pioggia era talmente forte che la città
sembrava avvolta da un velo opaco, ancorato alle nubi spesse e scure
che da ore copriva il cielo di Los Angeles. Non vedeva l’ora
che smettesse, la presenza di quella donna lo rendeva nervoso e
continuare a recitare stava diventando faticoso. Per non parlare poi
di quella robaccia che aveva in faccia che non vedeva l’ora di
togliere per poi infilarsi sotto la doccia. Si sentiva sporco, una
sensazione molto sgradevole e scomoda. Inoltre, quel pomeriggio
avrebbe dovuto rivedere un paio di cosette per il giorno speciale,
ma era ovvio che non potesse farlo con quella a casa sua. Si
maledisse di nuovo per averla invitata; per ora la cosa importante
era che non ficcasse il naso da nessuna parte, doveva tenerla
occupata e cercare di non insospettirla. Pensò nuovamente a
ciò che era successo qualche minuto prima, quando con
agghiacciante consapevolezza capì con quella domanda di essere
tenuto sott’occhio per via di qualche dubbio che aveva iniziato
a insidiarsi in lei. Sapeva bene che Rue Ryuzaki era un personaggio
strambo e grottesco – era un’immagine ben studiata la
sua, una caricatura del caro vecchio L – dunque era normale che
l’agente nutrisse un minimo di sospetto nei suoi confronti:
sarebbe stato strano il contrario. Ma c’era una soglia che non
doveva essere superata, un limite di sicurezza che sarebbe valso la
conclusione del caso nei migliori dei modi – i suoi,
ovviamente. Doveva tenere duro, anche se la tentazione di mandarla
via era forte.
“No,
la insospettirei ulteriormente. Anzi, è meglio tornare da
lei”.
Si
allontanò dalla finestra e fece dietro front scontrandosi
proprio con la sua ospite.
«Misora,
vuole farmi prendere un infarto?».
Naomi
sollevò le maniche della giacca che le aveva dato e guardò
oltre la sua spalla il panorama deprimente che offriva la finestra.
«Ryuzaki,
credo che sia meglio che vada. Non voglio approfittare ancora della
tua gentilezza».
«Ma
fuori piove ancora a dirotto, Misora. Ne è sicura?»
«Sì,
lo so, pazienza. Dove sono i miei vestiti?».
«Li
ho messi sullo stendino, nella mia stanza».
«Ok,
vado a prenderli».
C’erano
tante cose che Beyond non sopportava, e tra queste vi erano gli
esseri umani. C’erano tante categorie di persone – non
che a lui piacesse particolarmente catalogare la gente in schemi
fissi e spesso superficiali come si fa per i film, ma a volte faceva
comodo pensarla in certi termini – e una di queste erano le
persone invadenti e Misora, in quel momento, si stava comportando in
tale modo – anche se, forse, involontariamente. Se poi si
aggiunge che la persona vittima di tale invadenza è un
assassino con qualche segretuccio da tenere nascosto, questo
tipo di persone si trasformano repentinamente da individui fastidiosi
a individui pericolosi.
«No,
Misora, vado io. Non si preoccupi».
«Uh?
Ma no, non è il caso: sono dotata di gambe e braccia, grazie a
Dio, e nessuno me le ha amputate come è successo a quella
poveretta. Posso fare da sola, Ryuzaki».
«Non
voglio che entri in quella stanza. È… disordinata».
«Ah,
Ryuzaki, dopo quello che ho visto un po’ di disordine te lo
lascio passare» disse ridendo e si avvicinò all’unica
porta di quella piccola casa che non aveva ancora varcato.
Con
il volto teso, B si avvicinò alla porta e afferrò la
maniglia prima che lo facesse la donna. Lei lo guardò sorpresa
e un altro risolino le scappò dalle labbra.
«Non
devi essere in imbarazzo, Ryuzaki. Se vedessi la mia camera ti
metteresti le mani ai capelli».
Improvvisamente,
lo squillo del telefono trillò in tutta la casa rimbombando
tra le pareti sottili dell’appartamento. Beyond e Naomi si
voltarono verso l’apparecchio che tremolava sul tavolino
accanto alla abat-jour che adesso – notarono – si era
accesa nuovamente.
«È
tornata la luce» disse l’agente avvicinandosi al
televisore anch’esso in funzione e prese il telecomando tra le
mani. B decise di approfittare della situazione.
«Risponda
lei, io controllo i suoi vestiti».
«Sarebbe
più logico fare il contrario Ryuzaki», si voltò
con un'aria indecifrabile in viso: «sembra quasi che tu mi
voglia nascondere qualcosa».
«Che
idee che ha Misora! E va bene entri pure».
“Maledetta
impicciona”.
Vide
la donna scomparire nel buio della stanza e prese la cornetta in
mano; chi diavolo poteva essere?
«Pronto?»
«Buonasera
signore, siamo della compagnia *** e vorremo presentarle il nostro
nuovo prodotto che ultimam...».
«Baah»
sbatté la cornetta. Certo che ce n'era gente che aveva tempo
da perdere in giro.
«Che
disdetta, i vestiti sono ancora bagnati! Disse Naomi uscendo dalla
stanza: «Ryuzaki hai davvero una brutta cera, è tutto
ok?»
«Mmh?»
La
donna lo guardava stranita con i suoi vestiti in mano, mentre Ryuzaki
se ne stava impalato, colpito da un pensiero che lo pietrificò
sul posto.
«Vado
in bagno».
✝ ✝ ✝
“Sì,
Misora, se vuole può venire da me. Non può mica
andarsene a casa a piedi sotto questo temporale, no no no. Se si
prende un raffreddore, poi, come farà a lavorare per il caso
che le hanno affidato, ehn, no venga a casa mia! Tanto io non ho
niente di meglio da fare, mi andava proprio di continuare a fare la
figura del coglione invece di rivedere le ultime mosse che mi restano
da giocare per vincere questa partita con il signor detective del
secolo. Ma sì Misora, nessun disturbo, che vuole che sia
rischiare di mandare tutto a puttane perché lei non riesce a
starsene ferma in quella poltrona del cazzo a guardare film del cazzo
e a non rompere il cazzo a me! Comunque nessun disturbo, davvero”.
Questo
pensava Beyond, mentre con stizza stava sistemando il trucco che con
la pioggia e l'umidità si era rovinato. Con attenzione tolse
le lenti a contatto che stava indossando per metterne un altro paio e
poi si diede un'aggiustata ai capelli – il che significava
renderli ancora più spettinati – ma ci rinunciò
vedendo che stava solo peggiorando la situazione. I suoi capelli
mossi stavano facendo capolino sotto forma di riccioli che spuntavano
qua e là in quel disastro di capelli che ogni giorno cercava
di rendere simili a quelli di L – stando alle informazioni che
aveva raccolto al Wammy's da un bambino che lo aveva conosciuto di
persona, la dodicesima lettera dell'alfabeto aveva i capelli lisci e
neri che sembravano essere stati pettinati con un petardo. Con un tic
all'occhio smise di guardare lo specchio – disastro, che
disastro – e tolse i residui di trucco che avevano
macchiato la superficie lucida del lavandino. Buttò le
salviette nel cestino lì accanto e afferrò un cappello
con visiera che aveva messo nel cesto della biancheria sporca. Se lo
calcò in testa e uscì, riassumendo la solita postura
ingobbita e facendo strisciare i piedi sul pavimento.
Trovò
Naomi seduta nuovamente sulla poltrona ad ascoltare un talk show.
Addosso aveva ancora i vestiti che lui le aveva prestato, quindi
dedusse che sarebbe rimasta, e se i numerini che le danzavano sulla
testa fossero stati vicini allo zero, pensò che ci avrebbe
fatto un pensierino su a strozzarla da dietro con i vestiti che aveva
lasciato a terra e che stavano inzuppando il tappeto.
“Disastro,
disastro, disastro!”
«Oh,
Ryuzaki, che ti è successo? Te ne sei andato tutto di fretta
in bagno e pensavo che non saresti più uscito di lì!»
«Beh,
sa Misora, quando la natura chiama... anche io pensavo che non
sarebbe più uscita di lì» disse lui con una
faccia imbronciata mentre si massaggiava la pancia per sottolineare
il concetto.
«Ah.
Capisco» disse la donna distogliendo lo sguardo, non ben
sapendo se era peggio la gentaglia che gridava sguaiatamente in
quello show o la mancata discrezione di Ryuzaki.
«A
proposito, quel cappello?»
«Oh,
questo? Niente, serve solo a... confortarmi».
«In
che senso?».
«Ho
un terribile... mal di testa».
«Ah,
certo, adesso è tutto chiaro» disse annuendo lentamente.
Era proprio stanca di avere a che fare con i pazzi, le bastavano il
suo capo e il suo vicino rompiscatole.
«È
vero, se metto un cappello mi passa».
«Ok,
Ryuzaki, va bene».
«Lei...
lei non mi crede».
«Mi
è difficile farlo».
«Dovrebbe
provarlo: lo faccia! Quando ha l'emicrania prenda un cappello e lo
indossi. Provare per credere».
«Avresti
un futuro da venditore ambulante, Ryuzaki. Il look non ti manca».
«Oh,
no, la prego. Io non li sopporto proprio, sempre a disturbare».
«Neanche
io, Ryuzaki. Per questo dico che saresti un perfetto venditore
ambulante».
«Perché
riuscirei a farteli piacere?».
«No,
perché siete entrambi insopportabili».
✝ ✝ ✝
Tre
ore. Tre maledette, lunghissime e noiosissime ore erano già
passate e il temporale non mollava. Naomi aveva messo di lato la
famosa discrezione che tanto il suo ospite non possedeva e si avviò
verso la sua stanza dicendo semplicemente che aveva sonno e che
avrebbe dormito un po'- posso usare il tuo letto, no?
“No,
io credo di stare impazzendo” pensò lui sdraiandosi sul
tappeto con le braccia e le gambe aperte, in una posizione che
ricordava quella in cui era stata ritrovata Backyard Bottomslash.
Naomi
aveva visto anche abbastanza, così chiuse la porta togliendo
ai suoi occhi quella visuale inquietante. Dal canto suo, Beyond non
aveva neanche la forza di controbattere alla decisione di lei, poiché
sentiva che tra un po' avrebbe avuto una crisi di nervi.
Odiava
la pioggia, Dio se la odiava.
Osservava
con sguardo vitreo il soffitto della stanza, notando delle macchie
scure che macchiavano la vernice rossa.
“Io,
io... sto impazzendo”.
Aveva
impiegato un giorno intero per verniciare quella stanza con
un'accortezza maniacale, passando il pennello gentilmente su ogni
centimetro di stucco con movimenti lenti e precisi per evitare di
lasciare spazi bianchi e per cercare di rendere la colorazione il più
compatta possibile. Venti percento di acqua, sessanta percento di
vernice e trenta percento di fissante, più pennello in crine
di ottima qualità, più ventiquattro ore di lavoro, più
le sue qualità eccelse, uguale la tinteggiatura perfetta, la
tinteggiatura con la t maiuscola per Dio, rovinata, rovinata
da quella roba! E come se non bastasse, le macchie si stavano
allargando! Facevano pure delle bollicine – porca miseria e
porco L, cos'è sto schifo? - e iniziarono a sgocciolare.
Una
goccia gli cadde sul naso nello stesso istante in cui un fulmine
squarciò il cielo e fece tremare la terra.
Ma
al posto del tuono, un urlo agghiacciante proruppe nell'aria.
✝ ✝ ✝
Il
letto era cigolante, ma comodo. Le lenzuola erano pulite e
profumavano di fresco e Naomi pensò che era proprio quello di
cui aveva bisogno. Le sue ossa indolenzite si posarono sul materasso,
facendo strappare alla donna un gemito di dolore.
«Sembro
una vecchia con l'artrite, ma quella poltrona era davvero scomoda e
l'umidità non aiuta».
Si
sistemò il lenzuolo su di sé e con un'espressione
serena chiuse gli occhi. La mente iniziava a navigare lontano, i suoi
sensi ovattati dall'effetto del sonno iniziarono a non funzionare più
perfettamente, tanto che l'unico suono che riusciva ancora a sentire
era quello della pioggia che picchiettava. Dopo qualche minuto, la
donna si trovava tra le braccia di Morfeo, la sua coscienza
addormentata la sottraeva dalla realtà assurda che, senza
saperlo, stava vivendo. Come avrebbe mai potuto immaginare che il
letto su cui era adagiata era quello della persona che aveva ucciso
Belive Bridesmaid, Quarter Queen e Backyard Bottomslash e che tra
qualche settimana avrebbe catturato? Stava già iniziando a
sognare, quando un tuono fortissimo la svegliò bruscamente.
“Come
tuona! Questo temporale sta durando anche troppo”.
Si
sollevò a sedere strofinando gli occhi, seccata per essere
stata svegliata così all’improvviso. Si alzò con
non poca fatica, avvicinandosi alla borsa che aveva adagiato su una
sedia. Iniziò a tastare il fondo della borsa, alla ricerca del
suo cellulare. Una volta trovato, aprì lo sportello e la luce
azzurrina dell'apparecchio le illuminò il volto: nessuna
chiamata persa. Raye non l'aveva richiamata, probabilmente era ancora
a lavoro. Andò alla rubrica e cercò il numero del suo
ragazzo tra uno sbadiglio e l'altro.
“Certo
che la ricezione qui fa proprio pena”.
Notò
l'unica e solitaria tacca che appariva e scompariva a intermittenza,
sperando che le avrebbe permesso di fare la sua chiamata. Un altro
fulmine si gettò dal cielo e illuminò per una frazione
di secondo la stanza. Naomi si girò colta alla sprovvista alla
finestra e un altro tuono ancora più forte ne scosse i vetri.
“Questo
tempo fa paura”.
Si
strinse nelle spalle colta da un brivido e ritornò a
maneggiare il suo telefonino.
“Nessuna
ricezione, merda”.
Ebbene,
quell'unica tacca aveva deciso di andarsene definitivamente,
abbandonando l'apparecchio ormai inutile e facendo sbattere a Naomi
un piede a terra a mo' di protesta. Dopo vani tentativi, lo rimise in
borsa e tornò poi vicino al letto. Si sedette buttandosi
pesantemente, facendo molleggiare il materasso che sembrò
lamentarsi della poca grazia usata dalla donna; prese un profondo
respiro e accese la lampadina del comodino. La stanza, dapprima al
buio, fu invasa da una fievole luce aranciata e con essa le ombre dei
mobili e dei vari oggetti presero le loro postazioni, come dei cani
fedeli che seguono sempre il loro padrone.
“Che
poi, saranno le ombre a seguire la luce, o la luce a seguire le
ombre?”
Si
sdraiò, sapendo bene che non avrebbe ripreso il sonno così
facilmente. Ora che la stanza era visibile, i suoi occhi iniziarono a
posarsi sui mobili che la componevano. Una scrivania lucida e
sgombra, un armadio in noce scuro non molto grande, ma abbastanza
capiente per una persona, una piccola libreria con qualche volume, un
comodino con sopra solo quella fonte di luce... una stanza piuttosto
anonima, insomma.
Anzi,
sembrava priva di personalità.
Se
è vero che la propria camera riflette il modo di essere di
ciascuno, sembrava allora che Ryuzaki fosse privo di carattere. Era
come quelle stanze che trovi nelle vetrine dei negozi: i mobili
perfetti e lustri, ben sistemati, nessun oggetto fuori posto... certo
quei mobili sembravano più vecchi rispetto a quelli che si
possono trovare in un mobilificio, ma ciò che Naomi stava
notando non era tanto la storia del mobile in sé - cioè
da quanto tempo stava in quella casa a prendere polvere e umidità
- ma quel particolare che rendeva quella stanza “la stanza di
Ryuzaki”.
Quel
particolare non c'era, così come non c'era neanche la polvere.
Sembrava quasi che quel mobilio avesse smesso di vivere, sembrava che
quella stanza fosse morta. Nel suo geometrico e cristallino ordine,
era stato soffocato qualcosa, qualcosa di importante. Forse era una
cosa stupida dare tutta questa importanza a una cosa del genere,
forse c'era un alone di superstizione nell'attribuire al modo in cui
è arredata una camera un tipo di personalità – un
po' come fanno quegli astrologi a descrivere la vita di qualcuno
mostrando come prova la posizione delle sue stelle – forse la
noia stava iniziando a farla delirare e l'unica cosa più
sensata che poteva fare per scacciarla era farsi un pisolino. Allungò
la mano verso l'interruttore della lampadina con l'intenzione di
spegnerla, ma qualcosa attirò la sua attenzione. Sotto la base
della lampada, fuoriusciva un triangolino di carta che prima non
aveva notato. Incuriosita, la sollevò scoprendo un foglio di
carta ripiegato in due. Si morse il labbro: cosa doveva fare? Non era
bene ficcare il naso nelle cose che non le appartenevano, se qualcuno
lo avesse fatto a casa sua si sarebbe arrabbiata non poco. Magari era
una cosa di poco conto, uno scontrino forse dimenticato lì o
un biglietto del tram usato. Poi pensò che Ryuzaki non era
affatto il tipo di lasciare la roba in giro in quel modo –
ancora pensarla in quel modo le faceva uno strano effetto, qualche
ora prima la considerazione che aveva di lui era bene diversa, se non
del tutto contraria! - quindi doveva essere qualcosa di più
“valore” rispetto a un insulso scontrino. E allora la
domanda era sempre la stessa: che doveva fare?
“No,
Naomi, lascia perdere. Torna a dormire e dimentica questa storia”.
Posò
la lampada al suo posto e spense la luce.
“...”
Accese
la luce e prese il pezzo di carta.
“Al
diavolo, stiamo pur sempre parlando di Ryuzaki. Ho qualche sospetto
sul suo conto, lo sto facendo ai fini del caso, solo per il caso”.
Si
sistemò il cuscino per poggiare meglio la schiena e afferrò
i due lembi del foglio. Lo aprì, un po' indecisa se valesse
davvero la pena farsi tutti quei problemi.
“...Oh”.
Era
sorpresa, doveva ammetterlo. Il misterioso foglietto un po'
spiegazzato, era una fotografia che ritraeva una ragazza sorridente
col viso pieno di lentiggini. I luminosi capelli ramati erano stretti
in una treccia un po' sfatta e le ricadevano su una spalla. Una mano
sfocata, spuntava al lato destro della foto: probabilmente stava
cercando di metterla davanti all'obiettivo per non permettere di
essere fotografata, ma chi aveva scattato la foto era stato più
veloce di lei. Sembrava si trovasse in un cortile e sullo sfondo si
intravedeva un grande portone in legno intagliato e dalle grandi
vetrate colorate. Naomi girò il foglio per vedere se dietro ci
fosse scritto qualcosa, magari proprio il nome di quella fanciulla,
ma con delusione riscontrò che non vi era nulla. Senza sapere
cosa pensare esattamente, ripiegò il foglio e lo rimise dove
lo aveva trovato. Era stata invadente, ma almeno adesso poteva dire
di aver trovato quel qualcosa che mancava: un piccolo segno che la
persona che stava dall'altra parte non era poi così vuota come
quella stanza.
Adesso
poteva tornare a dormire tranquillamente, pensò.
Ma
qualcun altro non la pensava al suo stesso modo.
Non
ebbe neanche il tempo di poggiare la testa sul cuscino, che un urlo
disumano la fece balzare sul posto.
«RYUZAKI!»
[Note
Autrice]:
Sia
lodato il Wi-Fi del mio vicino di stanza che non ha messo la
password, cosicché io posso collegarmici clandestinamente.
Amen.
Dal
buco del culo del mondo vi scrivo, fedeli, un posto solitario e
triste disperso tra i colli e abitato solo dai lupi – e non lo
dico tanto per, la notte li sento pure ululare. Beh, almeno ho
l’atmosfera adatta per scrivere questa roba qua, che – lo
ammetto – non so neanche io dove andrà a parare
esattamente, ma mi sto divertendo da matti a scriverla (ho uno strano
concetto di divertimento, io).
E
boh, la finisco qui; pregate ancora per quel Wi-Fi - sennò non
posso guardarmi i film – e pregate anche per la mia sanità
mentale.
Intanto,
ringrazio ChocolatedaddictedKeehl per aver lasciato una recensione
allo scorso capitolo.
Synapsis
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