Ciao
ciao!!!
Allora, mentre "La
vita secondo Nessie" procede a gonfie vele, inizio questa nuova storia,
un po' malinconica e molto drammatica, che ha come protagonista
assoluto la nostra Isabella Swan, Bella. Questa ff l'ho ideata appena
finito di leggere New Moon e prima di inziare Eclipse, ma non l'ho mai
scritta perchè non mi appassionava più di
tanto.... ma poi, un giorno per caso, buttai giù una bozze
del primo capitolo, e mi piacque molto tanto da decidere di continuare
la storia.
Questa ff è
dedicata soprattutto a due persone in particolare: Claudia, che si
è subito appassionata nonostante poi abbia combiato il
titolo centinaia di volte, e Federica, che mi spronava ogni giorno a
scrivere nuovi capitoli. Grazie ragazze!
Naturalmente a voi
cari lettori, chiedo solo il favore di recensire questa storia e di
dire quello che pensate, anche se sono cose cattive!! ^_^'
Un bacio...
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1. Basta un ricordo...
Soffrivo.
Vedevo Bella e soffrivo.
Eppure era
quello che volevo, no? Volevo
che Bella
avesse una vita normale, no? E ora l’aveva, una vita normale,
da umana. Aveva
trovato anche qualcuno che l’avrebbe protetta come avrei
fatto io. Certo Jacob
Black non era tra i miei preferiti, ma era pur sempre un licantropo e
per i
guai in cui di solito si cacciava Bella andava proprio bene. Inoltre la
amava.
E lei amava lui. Tutto era perfetto.
Ma allora
perché soffrivo? Perché quando la vedevo felice
tra le braccia di Jacob Black
soffrivo? Perché avrei tanto voluto andarle incontro,
abbracciarla, sfiorarle
le guancie fino a farla arrossire, sentire il suo profumo, toccarle i
capelli,
baciarla? Perché?
Semplice: la
amavo.
Volevo che
lei fosse felice tra le mie braccia.
Volevo proteggerla io. Volevo che
passasse la sua vita con me.
Ero egoista.
Lo sapevo. E nonostante questo continuavo a volerlo.
Forse lo
voleva anche lei. Forse quello che provava per Jacob Black era soltanto
una
finzione. Forse mentre abbracciava lui pensava a me.
No.
Bella mi ha
dimenticato. Bella si è rifatta una vita. Una vita in cui io
l’ho abbandonata.
Mentre dorme non sussurra più il mio nome.
Potevo farmi
perdonare. Perdonare per averla abbandonata così, per aver
lasciata, per averle
mentito.
No, non
dovevo, non ne avevo il diritto. Ho
sconvolto la sua vita abbastanza. Dovevo essere forte abbastanza per
lasciarla
vivere, per evitare di dannarle l’anima per sempre. Devo farlo.
Sarà
difficile per me avere la forza necessaria di non intromettermi
più nella sua
vita. Sarà difficile dimenticarla. Ma cosa dico? Non
sarà difficile, ma impossibile.
Bella è stata l’unica che
mi abbia mai acceso il cuore, che lo abbia fatto ribattere nonostante
fosse
ormai freddo e morto. Bella è la mia vita.
Io la amo.
Voglio che sia felice e che abbia una vita normale.
Ora è
felice
e si è rifatta una vita. Devo essere
contento.
E allora
perché continuo a soffrire?
Me ne
andrò.
Non so dove. Ho già provato a dimenticarla, ma non ce
l’ho fatta. Ora
riproverò.
Ce la devo
fare. Lo farò per lei. Lo farò
perché l’amo e l’amerò
sempre.
10 anni dopo
Parcheggiai
la mia Fiat Punto davanti casa di Jake. Era passati 8 anni da quando il
mio
pick-up si era spento. Jacob aveva provato in tutti i modi di
aggiustarlo ma
non ce n’era stato verso. Così prima di andare
all’università aveva raccolto un
po’ di soldi e mi ero comprata quella macchina, che non
intendevo cambiare.
Presi
le chiavi dalla mia borsa ed entrai: in casa regnava un silenzio
assoluto,
interrotto solo dal russare di Billy in soggiorno e di Jacob al piano
di sopra.
In punta di piedi, chiusi la porta del soggiorno e andai in cucina:
come al
solito c’era una pila di piatti sporchi da lavare. Sospirai e
aprii l’acqua del
lavandino. Quando non avevo da fare, venivo a casa di Jake per dare una
mano
con le faccende domestiche. A Billy non piaceva il fatto che gli facevo
da
cameriera, però non nascondeva mai il piacere di vedere la
casa in ordine di
tanto in tanto.
Poi
sentii delle braccia bollenti cingermi i fianchi e un bacio sul collo.
–Buongiono
Voltai
la testa di lato e gli diedi un vero bacio, visto che avevo ancora le
mani
bagnate. –Buon pomeriggio Jake.
-Pomeriggio?
Di già?
-Non
dirmi che ti sei svegliato adesso?
-Ehmm…si.
-Sei
incredibile Jake!
-Tu
invece questa mattina ti sei alzata presto, non è vero?
Alzai
le spalle. –Come sempre.
A
volte io e Jake passavamo la notte insieme. Billy non ci diceva niente:
ormai
eravamo entrambi adulti e vaccinati, e decidevano da soli.
Jacob
scosse la testa. –Questo lavoro ti sta facendo impazzire.
-Non
è vero. Il mio lavoro mi piace e mi alzo presto tutte le
mattine solo perché il
mio studio si trova a Seattle. È un bel viaggetto tutte le
mattine.
Dopo
la scuola, ero andata all’università e poi mi ero
diplomata in giurisprudenza,
diventando avvocato. Il mio studio legale si trovava a Seattle,
perché era
impensabile aprire uno studio legale a Forks.
-Sarà,
ma secondo me ti sta facendo impazzire.
-Invece
di pensare, dammi una mano con i piatti.
Si
staccò da me, prese un asciugamano e iniziò ad
asciugare i piatti.
-Piuttosto,-
aggiunsi io –tu non dovresti andare a lavoro?
Jake
era il meccanico ufficiale di LaPush.
-Avrei
del lavoro da fare, ma adesso non ne ho voglia.
Alzai
gli occhi al cielo: Jake era sfaticato come pochi.
Finimmo
il lavaggio con i piatti. Guardai il mio orologio: era ora di andare.
-Beh,
adesso vado. Ho un appuntamento.
Jacob
alzò gli occhi al cielo. –Non è
possibile Bella! Hai sempre da fare con il tuo
stupido lavoro! Non riusciamo mai a stare un po’ insieme!
Sospirai.
–Non ho un appuntamento di lavoro. Devo andare a parlare con
l’organizzatrice
del matrimonio. Te lo ricordi che tra due settimane ci dobbiamo
sposare?- gli
sorrisi, facendogli vedere l’anello di fidanzamento che mi
aveva regalato una
settimana fa.
-Ah
si, è vero. Non ti preoccupare, non me lo scordo:
l’ho segnato sul calendario!
Risi
e gli misi le braccia al collo. –E poi per passare un
po’ di tempo insieme,
abbiamo tutta la notte a disposizione, no?
Sorrise
e mi baciò. –Si, hai ragione.
Viaggiavo
tranquillamente sulla strada verso Seattle. Dovevo fare ancora tante
cose per
il matrimonio: la prova del vestito, la scelta dei fiori, gli inviti da
spedire…. Ecco perché avevo deciso di rivolgermi
ad una organizzatrice: avrebbe
pensato a tutto lei, mentre io mi sarei concentrata sul mio lavoro.
Forse
Jacob aveva ragione: quel lavoro mi stava facendo impazzire. Ero
impegnata
dalla mattina alla sera e a volte anche nei weekend. Non che la cosa mi
dispiacesse: amavo il mio lavoro. Il fatto di essere avvocato mi dava
una
stabilità d’animo mai sentita prima: mi faceva
sentire importante, e ogni volta
che vincevo una causa ne ero felice e orgogliosa, anche se devo
ammettere che
alcune volte mi era toccato difendere la parte del torto.
L’unico inconveniente
di quel lavoro era che il mio studio legale si trovava a Seattle, e
fare il
tragitto Forks-Seattle tutte le mattine non era proprio una
passeggiata. Ma non
mi preoccupava molto: dopo il matrimonio io e Jake avevamo deciso di
andare a
vivere a Seattle: era una città più grande, e
soprattutto stavamo per comprare
un appartamento vicino al mio studio.
Risi
tra me e me: ancora non mi capacitavo del fatto che tra due settimane
mi sarei
sposata. Quando Jacob me l’aveva chiesto, per poco non mi era
venuto un
infarto. All’inizio pensavo che fosse una cosa stupida
sposarsi, ma poi l’idea
mi piacque, e così avevo accettato. Tutti ne furono
contenti: Billy, Sam, e
tutti quelli del branco. Chissà come l’avrebbe
presa Charlie…
Mi
asciugai una lacrima con stizza: ormai erano passati 4 anni dalla morte
di
Charlie, e ancora mi faceva male ricordarlo qualche volta. Mi mancava
terribilmente il mio papà,
mi sarebbe
mancato terribilmente il giorno del matrimonio. Sospirai e cercai di
concentrarmi sulla strada, ma la sapevo a memoria, e così la
mia mente vagò nel
ricordo di quel giorno terribile: Charlie che aveva fatto tardi la
sera, io che
ero rimasta ad aspettarlo fino a mezzanotte, le sirene
dell’auto della polizia,
io che correvo alla porta per aprirgli credendo che fosse lui, lo
stupore nel
vedere che era il suo vice, il dolore alla notizia
dell’incidente stradale. Scacciai
quel pensiero dalla mente: stavo per sposarmi e dovevo essere felice,
Charlie
avrebbe voluto così. La sua… nostra
casa
a Forks l’avevo messa in vendita, sia per risparmiare dei
soldi per comprare
l’appartamento a Seattle, sia per liberarmi di ricordi
dolorosi…
Per
evitare che mi deprimessi, cambiai discorso, ripassando la lista degli
invitati, che ormai sapevo a memoria. E questo mi fece ricordare che
ancora non
avevo ricevuto una risposta da Renèe, dopo che le avevo
inviato un e-mail
quando avevo detto si a Jacob. Non potevo neanche chiamarla,
perché non sapevo
dove fosse in questo periodo: Phil era diventato un professionista
molto bravo,
e diverse squadre di tutto il mondo lo volevano nella loro formazione.
Per cui
lui e mia madre cambiavano spesso casa, all’inizio sempre
negli Stati Uniti,
ora anche oltre oceano (l’ultima volta stavano in Cina!). Per
mia madre
chiamarmi era diventato un incubo: non riusciva mai ad indovinare il
fuso
orario giusto, e parecchie volte mi svegliava all’una di
notte. Anche se da due
anni le sue telefonate “soffocanti” erano
totalmente cessate, e questo lo devo
anche al mio fratellastro Tom, che non ho mai visto in vita mia. Quando
mi
chiamò Phil per dirmi della notizia, rimasi scioccata, e
volevo anche venire a
vederlo, ma in quel periodo si trovavano in Spagna. Ero contenta di
avere un
fratellino, ma adesso iniziavo ad odiarlo: Renèe si era
totalmente gettata nel
suo ruolo di mamma, che si era dimenticata della sua prima figlia. Il
fatto che
non mi avesse ancora risposto alla mia e-mail riguardante il matrimonio
ne era
la prova. E a me mancava la mia mamma.
Parcheggiai
davanti al bar in cui io e Mel, l’organizzatrice, ci eravamo
date appuntamento.
Quando entrai, non la vidi per cui mi sedetti su un tavolino e ordinai
un
caffè. Dopo pochi minuti, la vidi entrare e le feci un segno
con la mano. Mel
venne a sedersi di fronte a me e iniziò subito a parlarmi
del matrimonio,
facendomi vedere cataloghi su cataloghi di composizioni floreali, torte
nuziali
e roba simile. Ero contenta di aver dato le redini
dell’organizzazione a una
tipa come Mel: superattiva, veloce e scattante, una che sa sempre
quello che
fare e che si prende carico di tutte le responsabilità. Io
non sarei mai stata
in grado di fare una cosa del genere.
Rimanemmo
a parlare per tutto il pomeriggio. Quando Mel si accorse che era
diventato
buio, mi propose di andare a cenare insieme in un ristorante li vicino.
-Vedrai,-
mi disse –cucinano dei piatti di pesce buonissimi.
-Perché
no?- sorrisi e uscii dal bar andando alla mia macchina, che si trovava
vicino a
quella di Mel, riconosciuta per via del peluche attaccato al finestrino
uguale
a quello che aveva attaccato alle chiavi della macchina. Spostai lo
sguardo dal
peluche alla macchina. Mi bloccai.
-È
un
locale non molto lontano da qui. Ci si arriva con dieci minuti di
macchina- e
tolse l’allarme alla sua Volvo grigio metallizzata.
Una Volvo grigio
metallizzata.
-Ehi
Bella! Tutto bene?
Una Volvo grigio
metallizzata.
-Bella!
Che ti prende? Sembra che hai appena visto un fantasma!
-Scusami
Mel, ma mi sono ricordata di un appuntamento urgente… devo
andare… ci sentiamo
domani…- ed entrai di corsa nella mia auto, facendo manovra
e andandomene dal
bar. Tutto questo senza guardare la Volvo.
Scusami Jake. Sono molto
stanca: l’incontro con
l’organizzatrice mi ha stressato molto! È meglio
se stasera dormo da sola. Ci
sentiamo domani.
Inviai
questo sms a Jacob, mentre salivo precipitosamente le scale del mio
ufficio.
Aprii la porta con violenza e per poco non rompevo la chiave. Lanciai
la mia
borsa per aria e urlai più forte che potevo, riempiendomi
gli occhi di lacrime.
Ma
perché, perché, PERCHÉ?
Perché ogni volta che la mia vita sembrava aver preso
una piega giusta, lui doveva
ricomparire in un modo o nell’altro? Perché quando
credevo anche solo per un
secondo di averlo dimenticato,
doveva
apparire qualcosa che me lo ricordasse?
Ma
soprattutto, perché io ci stavo
ancora
così male?
Erano
passati dieci anni, e allora perché il suo
rifiuto mi pesava ancora? Perché ogni volta mi
riecheggiavano le sue parole nella
testa, e la mia mente
focalizzava un’immagine sfocata della sua
espressione dura di quel giorno, e perché mi sentivo
rifiutata come se fosse
successo ieri?
La
risposta la sapevo, ma non volevo ammetterlo.
Io lo amavo ancora. Io amavo Edward.
Ammetterlo
mi fece urlare ancora più forte, e poi mi accovacciai sul
pavimento, scoppiando
in lacrime in una crisi isterica. Odiavo ammetterlo. Odiavo ammettere
che non lo avevo ancora
dimenticato. Odiavo
ammettere questa debolezza.
Ma
era più forte di me. Ogni volta ripensavo a quei suoi occhi dorati, quel suo
viso perfetto, quei suoi capelli
castano ramati, quel suo sorriso
sghembo mozzafiato. Piansi più forte, pensando che per un
po’ tutta quella
bellezza era stata mia, che potevo
abbracciare il suo corpo marmoreo,
accarezzare la sua pelle
bianchissima, udire la sua voce
melodiosa nelle orecchie, sentire il suo
respiro sul mio collo, baciare le sue labbra
fredde come il ghiaccio.
Un
altro urlo di dolore.
Ma
perché mi aveva lasciato? Perché non mi voleva
più? Perché?
Perché
eravamo diversi. Io umana, lui vampiro.
In fin dei conti, forse l’ho sempre saputo che sarebbe andata
a finire così.
Che lui prima o poi si sarebbe
stancato
di me, una semplice, goffa, insignificante umana. Lo sapevo che prima o
poi mi
avrebbe lasciata. Ma in quei momenti ero troppo felice di stare con lui, che il resto non contava. E adesso lui mi ha dimenticata.
Ma io
no.
Ci ho
provato, e ci sono anche riuscita in parte: la storia e il futuro
matrimonio
con Jacob ne erano la prova. Ma poi bastava un niente, come vedere una
Volvo,
per ritornare in questo vortice di dolore. Io lo sapevo:
l’amore che provavo
per Jacob era un niente in confronto a quello che continuavo a provare
per Edward. Amavo Jacob, ma non
come Edward. Questo mi fece
rabbia, e
ricominciai ad urlare battendo i pugni per terra.
Dovevo
smetterla. Dovevo dimenticarlo. E
più
me lo ripetevo, più sentivo che lo
amavo con tutta me stessa.
Stanca
dalle urla e dal pianto, con la testa gonfia di quelle considerazioni,
caddi in
sonno profondo.
E
dopo dieci anni, ricominciai a sognare Edward.
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