Capitolo 5 - Tutti i miti sono greci o tutti i greci sono miti?
5.
Tutti i miti sono greci o tutti i greci sono miti?
Passai tutta la giornata a eludere lo sguardo di Thy, conscia della
grandiosa figura di merda fatta col fratello.
No, aspetta, perché mi importava così tanto del
pensiero che Thy aveva di me?
«Vedrai che andrà tuuuuutto per il meglio,
Eris»
disse Mary nel disperato tentativo di risollevarmi il morale.
Tentativo che fallì miseramente quando una voce mi
chiamò alle spalle.
«Finalmente ti ho
trovata! È tutto il giorno che ti cerco!»
Gelai.
"Grande Ade, giuro che
ti faccio da dog-sitter a Cerbero, ma ti prego fammi sprofondare ora!"
Mi voltai lentamente.
Non capivo se lo sguardo di Thy era preoccupato o era solo affannato
per avermi cercata per tutta la scuola.
«Da...
Davvero?» gli dissi, tentando di avere il tono più
normale possibile.
Lui sembrava non essersi
accorto della situazione.
«Sì. Ho saputo, o meglio, mio fratello mi ha detto
che avete parlato...»
"Dannati fratelli!"
«Io,
ehm, sì, un pochino. Mi ha solo chiesto dov'era l'aula in
cui ti
trovavi, tutto qui. È successo qualcosa?»
Il suo sguardo si rallegrò improvvisamente «Nono, tutto a
posto!»
«Sicuro?»
«Sìsì!»
«Hai... Hai detto
che mi cercavi...»
«Ah,
sì!» Thy divenne improvvisamente impacciato, e
Mary smise di respirare.
«Volevo... Volevo
chiederti se ti andava di... ecco... andare a casa insieme...»
"PER ADE! Ti avevo
chiesto di farmi sprofondare, non... non... oh, mi arrendo"
«Ma... tuo fratello
poi...»
«Phy ha detto che va
a casa con Sherley e così...»
"Povera anima..." pensai
sconsolata.
«Io,
emh...» questa volta, la terza gomitata di Mary in tutta la
giornata, la sentii forte e chiara.
«Ok»
dissi, mentre tentavo di riprendermi da delle probabili costole rotte.
Il sorriso di Thy era indescrivibile.
«Bene, emh...
cos'abbiamo ora?» chiese Mary, tornando in vita dal suo
silenzio.
«Arte»
«Arte?»
«Arte»
rispondemmo in coro Thy ed io.
Tutti e tre ci dirigemmo così all'aula di arte, prendemmo
posto, sistemai il banco rialzato e mi preparai.
Giusto tre secondi dopo entrò il professore con l'esperto.
Arte non era esattamente una lezione, era un progetto di un paio di
lezioni per... per... non ricordavo.
Trattavamo temi mitici, non nel senso di favolosi, proprio mitologici,
e oggi avremmo saputo qual'era quello odierno.
«Bene,
ragazzi» disse il signor Webb, l'esperto «oggi
trattiamo il tema artistico di...» lasciò la frase
in
sospeso mentre passava gli occhi su un paio di fogli «Amore e
Psiche»
Dei gridolini misti a sospiri si levarono per tutta la classe.
Il mio era un rantolo di puro dolore e sofferenza.
Thy si voltò a guardarmi.
«Non ti piacciono
Amore e Psiche?» mi chiese con un mezzo sorriso divertito.
«È un
mito... idiota. Non puoi sposare qualcuno senza nemmeno sapere chi
è!»
«Ma chi non si
innamora di Amore, appena lo si vede?» mi chiese Mary con
tono ovvio.
«Psiche non ha mai
visto in faccia il marito. Per quanto ne so, la situazione si
è svolta così:
*Buio pesto*
- Hey, Psiche! Ti va di sposarmi?
- Umh... Ok.
*Sposi*
E non
vissero per sempre felici e contenti.»
«Come siamo
acidi...» commentò Mary.
«Si chiama
realtà, Mary»
«In
realtà, Amore e Psiche si amavano. Si amavano
davvero» disse Thy sovrappensiero.
Io e Mary ci voltammo a guardarlo sbalordite.
Nel mentre, il professore ci distribuiva i fogli con il mito di Amore e
Psiche, ma noi ascoltavamo silenziose Thy e i suoi discorsi.
«Psiche
aveva ricevuto il soprannome di Venere - o Afrodite se più
vi
piace - e la Dea, scoperto ciò, si infuriò
parecchio.
Andò da suo figlio, Eros - o Amore, come vi pare - e gli
ordinò di andare da questa ragazza , che per la sua bellezza
gli
umani chiamavano Venere oltraggiando il nome della Dea, e di farle
amare e sposare l'uomo più brutto che ci fosse nella sua
città.
Eros avrebbe fatto qualunque cosa per non dispiacere la madre, ma
quando vide Psiche, seppe lui stesso il significato del suo nome.
Notte e giorno escogitò un piano per vedere la sua amata
senza
che la madre lo venisse a sapere, e così decise di
incontrarla
di notte, al buio, così che lui sapesse chi lei fosse, ma
lei
non potesse sapere i tratti del suo amato.
Si amarono molto e profondamente e Psiche... beh, lei non
poté far altro che innamorarsi dell'Amore.
La loro relazione andò avanti giorni e giorni
finché,
esasperata, Psiche non diede ascolto alle sue sorelle e
peccò
del peccato di Pandora: la curiosità.
Curiosa di sapere chi fosse l'amato che la incontrava quasi ogni notte,
ella si avvicinò a lui e ne illuminò il volto
dormiente
con una lampada ad olio.
Oh, quanto era innamorata, Psiche! Così innamorata che le
sue
mani tremarono e dell'olio cadde sullo splendido volto del suo amato
Amore.
Lui si svegliò e, realizzato che Psiche aveva infranto la
promessa di non vedere mai chi fosse Amore, se ne andò senza
dire una parola»
Thy si interruppe giusto per riprendere fiato.
«Giorni passarono e
Psiche era distrutta nel cuore.
Aveva amato così tanto che il suo cuore non poteva
più
vivere senza l'amore che le dava Eros: si mise così in
viaggio
per cercare il perdono e il suo amato.
A dimostrazione del suo pentimento, Psiche dava aiuto in tutti i templi
in cui passava e quando si ritrovò in un tempio dedicato a
Venere, decise di diventarne una sacerdotessa per porre rimedio al
disonore che aveva arrecato al nome del figlio della Dea.
Venere, allora, annoiata e lussuriosa, decise di mettere alla prova
l'amore di Psiche, credendo che un banale essere umano avrebbe lasciato
perdere, conquistando così la sua sconfitta e facendo di
Psiche
ciò che più voleva. La sottopose a quattro prove
estreme:
nella prima avrebbe dovuto dividere in tanti mucchietti uguali un
mucchio di granaglie di diverse dimensioni. Sconfortata, Psiche decise
di rinunciare, ma delle formiche, impietositesi dal forte amore che
provava per Eros, decisero di aiutarla.
Pensando che fosse... diciamo "fortuna", Venere le sottopose la seconda
prova: raccogliere la lana d'oro da un gruppo di pecore.
Questa sarebbe stata una prova abbastanza semplice, ma Psiche era umana
e ingenua, quindi non poteva immaginare che, come le rivelò
una
canna verde, quelle pecore col sole diventavano molto irrequiete e che
avrebbe dovuto aspettare la sera per raccogliere la lana rimasta
intrecciata nei rovi.
Venere passò così alla terza prova: raccogliere
dell'acqua da una sorgente situata nel mezzo di una cima liscia e a
strapiombo.
Psiche, sconfortata, pensò a come fare per giorni,
finché l'aquila di Zeus non andò in suo soccorso.
Spazientita e furiosa, Venere decise di affidarle l'ultima ed
impossibile prova: ottenere un po' della bellezza di Persefone.
Psiche, ormai disperata perché l'ingresso agli inferi era
vietato ai viventi, decise di entrarvi morendo, ma la torre da cui si
stava per buttare incominciò a muoversi e le
indicò la
via per il regno dei morti.
Ottenuto il dono, Psiche era ormai col cuore colmo di gioia per aver
redento il nome del suo amato col suo amore, ma era un essere umano e
il peccato di Pandora la contagiò ancora una volta»
«Ma col cacchio che
stesse ferma quella Psiche, eh!» sbottò Mary.
Thy le rivolse un sorriso mesto e continuò a raccontare.
«La
curiosità la spinse a chiedersi cosa mai fosse la bellezza
di
Persefone, così aprì la boccetta in cui era
custodito il
dono e cadde addormentata.
La "bellezza" di Persefone era infatti il sonno della morte.
Amore, nel mentre, guarito dalla bruciatura dell'olio, soffriva le sue
stesse pene per la mancanza della sua amata Psiche, e non potendo
vivere senza di lei, scappò dal luogo in cui la madre lo
aveva
chiuso e volò, volò, volò
più veloce che
mai dalla sua amata.
Quando la vide, caduta a terra, cadde nello sconforto più
grande, ma quando realizzò che era persa in un sonno
profondo,
facendo attenzione, rimise il dono di Persefone nella boccetta e
svegliò la sua amata con una leggera puntura di una delle
sue frecce.
Qui, spronò Psiche a portare a termine il compito affidatole
da
Venere, e lui tornò a occuparsi di tutto ciò che
poteva
causare problemi al loro amore.
Eros, consumato dalla passione per Psiche, decise di fare appello a
Zeus, che accettò solo se Amore gli avesse portato una bella
fanciulla terrena.
Eros volò più veloce di un fulmine del padre e
Zeus
invocò un concilio a cui tutti gli Dei - e dico proprio tutti - dovettero
partecipare.
Qui, Zeus decretò il matrimonio fra Amore e Psiche e,
rivolgendosi a Venere, le disse che non avrebbe dovuto aver timore di
avere una discendenza "sporcata dagli umani", in quanto avrebbe posto
subito rimedio alla condizione della giovane.
Chiamò Ermes e gli ordinò di portare sull'Olimpo
Psiche, cosa che fece prontamente.
Qui, Psiche, si vide offerta da Zeus dell'ambrosia che
accettò, divenendo immortale.
Poco dopo, i festeggiamenti delle nozze fra Amore e Psiche
riecheggiarono in tutto l'Olimpo, e quando il sole scandì
l'ora
esatta, Amore e Psiche ebbero una figlia chiamata Voluttà o,
nel
termine greco, Piacere»
Thy smise di parlare e per una paio di minuti, il silenzio
piombò sulla classe.
Nessuno si era accorto che, mentre Thy parlava, la classe si era
silenziosamente messa ad ascoltare con quanta passione e rispetto
parlava della storia fra Amore e Psiche.
«...Wow»
dissi semplicemente.
La
campanella suonò e il professore, allibito da come aveva
sentito
il racconto, ci lasciò andare senza compiti o altro,
pretendendo
però che la settimana dopo partissimo immediatamente a
disegnare
il nostro concetto di Amore e Psiche.
Uscendo dall'aula, mi diressi verso gli armadietti.
«Umh... Eris,
secondo te... ho fatto male?» mi chiese Thy preoccupato.
«Tu cosa?! Nonono!!
No e poi ancora no! Sei stato... fantastico! Non ho mai
sentito
raccontare un mito greco come lo racconti tu! C'era così
tanta
passione nella tua voce! Era come... come... come se ci fossi stato
anche tu!» gli risposi, ancora scossa
dall'intensità con
cui Thy aveva pronunciato ogni singola parola.
Lui si aprì in un dolce sorriso.
Sistemai un paio di libri e poi mi voltai verso di lui.
«Andiamo?»
chiesi, ricevendo un cenno di consenso come risposta.
«Hei hei hei...»
disse una voce dietro di noi, e non feci nemmeno in tempo a voltarmi
che mi ritrovai il braccio di Mattew attorno al collo.
«Andiamo a casa
insieme, piccola?»
disse lui, tentando platealmente di suscitare dell'invidia in Thy.
Ma non diedi tempo né all'uno per provarla, né
all'altro per trascinarmi via: «Mollami,
Matt» gli dissi decisa.
«Perché
mai, piccola?
Io e te stiamo insieme, no?»
«Non. Chiamarmi.
PICCOLA!» gli urlai in faccia.
Matt si staccò immediatamente da me con una faccia
preoccupata.
Ora era seriamente diventata una questione d'onore.
Avevo così tanta furia in corpo che avrei potuto distruggere
tutto quanto, un odio così glaciale e calcolato che
già
vedevo in che maniera avrei degradato l'orgoglio di Matt, o forse avrei-
Venni interrotta dalla mano di Thy che si era posata sulla mia spalla.
«No, Eris, calma.
Non è successo nulla»
«Eh?
Cosa?» chiesi confusa.
Tutto l'odio e la rabbia sproporzionati che avevo provato per Matt -
cosa che, in realtà, non avevo mai fatto in vita mia - erano
completamente svaniti.
«Forza, andiamo.
Buona giornata, Mattew» disse Thy cortese, prendendomi per
mano e guidandomi fuori dall'entrata.
Verso l'uscita, mi sembrò che Thy e Phy (che stava
amabilmente
chiacchierando con Sherley, facendo sfumare completamente il mio
"povera anima") si scambiassero un fugace sguardo preoccupato.
Ma forse, me lo ero immaginato.
«Umh... ti va di...
allungare un po' il percorso?» mi chiese Thy mentre
arrivavamo vicino ad un bivio.
«Io..
non credo sia una buona idea. Cioè, ci metto dieci minuti di
solito, quindi i miei si preoccuperanno...»
«Ah.
Sì... certo» mi disse con un sorriso, ritornando
poi a
camminare e guardandosi i piedi con espressione triste.
«Però...
ora che ci penso... mamma e papà arrivano tardi, oggi,
quindi...» gli dissi, guardandomi i piedi e vedendo con la
coda
dell'occhio un suo mega sorriso.
«V-Vieni!»
disse Thy, sprizzante di energia come non mai.
"Ael, oggi dovrai
aspettare un po'" pensai, preoccupandomi poi del come
farmi perdonare.
Continuammo a camminare in silenzio, per un paio di metri e dopo
varie svoltate, ci ritrovammo in un campo fiorito.
Una distesa verde punteggiata da numerosi colori si estendeva sotto i
miei occhi lasciandomi completamente stupefatta.
«È...
È bellissimo...»
«Già.
Bellissimo» disse Thy.
Lasciai cadere la cartella, che appoggiai contro un albero, e cominciai
a correre a perdifiato in quel piccolo campo.
C'erano una sacco di fiori di cui non conoscevo i nomi, ma altri che
conoscevo bene.
«Ci sono i
narcisi!» sbottai, facendo ridere Thy.
«Non hai mai visto
un narciso?»
«Nono, ne ho visti,
però... non pensavo di averli così vicino
casa!» gli dissi con un sorriso.
«Narcisi... che
brutto nome per un fiore così bello...» disse lui
sovrappensiero.
«Perch-Ah,
già, Narciso. Non mi è mai piaciuta la sua
storia. Non
dopo quello che ha fatto ad Eco. Per me, avrebbero dovuto punirlo con
la bruttezza ed il doversi specchiare eternamente»
«Già,
beh, Narciso non mi è mai stato simpatico. Non ho mai
trovato
uomo più subdolo e... beh, narcisista. Nemmeno Adone era
così.»
«Parli come se li
avessi conosciuti» gli dissi scherzosa.
«Conosco
i loro miti. Non è lo stesso? E comunque, Eco fa parte del
mito
romano. Quello greco è molto meno... carino, per
così
dire» mi rispose sorridente.
Mi sedetti in mezzo ai fiori.
«D'accordo, abbiamo
appurato che Narciso non ti va a genio. E nemmeno a me»
Lo guardai con occhi preganti mentre si sedeva vicino a me.
«Mi racconti il mito
di Narciso? O di chi ti pare?»
Thy rise sonoramente e si sdraiò in mezzo ai fiori.
«Vediamo...
d'accordo, ti racconto quello di Narciso. Ma la versione
greca.»
«Yay!!»
dissi, mentre mi mettevo vicino a lui a pancia in giù.
«Allora.. da dove
cominciare... beh, dall'inizio.
Era un giorno caldo e tranquillo quando, per capriccio e per amore,
Cefiso -dio dell'omonimo fiume- decise di rapire la bella Naiade
Lirìope.
Egli l'avvolse nelle sue acque e nella sua spuma, e dal loro amore
nacque un figlio: Narciso.
Lirìope, curiosa del destino del figlio, decise di andare
dall'indovino Tiresia che le predisse la riuscita vecchiaia del bambino
solo se non avesse mai conosciuto se stesso.
Fu così che Lirìope decise di nascondere
l'aspetto del
figlio agli occhi di quest'ultimo infrangendo tutti gli specchi
della loro abitazione e vietandogli di specchiarsi in qualunque goccia
d'acqua.
Narciso crebbe e, da bel bambino qual'era, diventò un
giovane
affascinante, di grazia e bell'aspetto; così bello che alle
sue
spalle lasciò una scia di cuori infranti sia maschili che
femminili.
Come grandi erano la sua grazia e la sua bellezza, altrettanto lo erano
la sua vanità e insensibilità, tanto che un
giorno
regalò una spada ad un suo spasimante: Aminia.
Aminia era un giovane di belle speranze che cadde vittima della mortale
bellezza di Narciso: rifiutato più volte, non si diede per
vinto
e quando ricevette in dono una spada, era così pieno di
gioia
per il dono e pieno d'amore per chi quella spada gliela aveva regalata
che non esitò un solo istante ad esaudire la richiesta di
Narciso: invocando gli dei per la propria vendetta, Aminia si uccise
davanti la porta della casa del suo amato.
Il tempo passò, e più Narciso cresceva
più la
bellezza lo baciava: ma Aminia aveva chiesto vendetta, ed un giorno la
ottenne.
Dopo aver rifiutato l'ennesimo spasimante, Narciso passò per
caso da una fonte e, assetato, vi si avvicinò per
abbeverarsi.
Qui, Narciso vide il suo riflesso nell'acqua e, non credendo di aver
mai visto nulla di più bello, si innamorò del suo
stesso
riflesso.
Solo allora capì che dolore e sofferenza aveva causato,
rifiutando con sgarbo chi gli professava amore: colto dal pentimento e
dalla disperazione, si uccise con la spada donata ad Aminia.
Fu allora che, dal suo sangue, nacquero i Narcisi: tristi fiori
destinati a specchiarsi nelle acque e contemplare la loro effimera
bellezza senza mai amare veramente, così come fece Narciso
prima
di loro»
Continuai a fissare Thy rapita.
«Come... come fai a
raccontare quei miti greci così bene?»
Lui rise.
«Perché mi piacciono. E forse perché,
sotto sotto,
voglio credere che sia successo davvero» mi rispose con un
sorriso «Ma ora
sarà meglio andare. I tuoi si staranno
preoccupando» aggiunse subito dopo.
«Sì,
hai... hai ragione» risposi, incominciando ad incamminarmi.
Lungo la strada non avevo fatto altro che pormi stupidi quesiti che non
sapevo nemmeno da dove potessero mai essere spuntati fuori, e prima che
me ne accorgessi, eravamo di fronte casa.
«Carina»
disse Thy, ridestandomi dai miei pensieri.
«Grazie. E...
grazie. E grazie ancora»
Lui mi guardò confuso «E per cosa,
scusa?»
«Beh,
il primo grazie è per la casa il secondo per avermi
accompagnata
a casa e il terzo per avermi fatto compagnia e avermi raccontato il
mito di Narciso» gli dissi con un sorriso.
Lui rise di gusto.
Ci salutammo: lui continuò a camminare verso casa sua ed io
entrai nella mia.
«Bentornata» mi disse una voce dalla cucina.
«Oh, Ael, mi stavi
aspettando?» gli chiesi, mentre mi toglievo la cartella dalle
spalle e mi sistemavo.
«Sì e no.
Non c'è nulla da fare in questa casa quando si è
da soli...»
Entrai in cucina e lo vidi a sedere con i gomiti appoggiati sul tavolo.
Sbuffava.
«Quindi? Cosa
vorresti fare?» gli chiesi, mentre prendevo un bicchiere e mi
versavo un po' di latte.
«Tu non hai dei
compiti?»
«Tu lascia perde i miei compiti e
dimmi cosa vorresti fare»
«Mah... non so...
ultimamente mi annoio molto facilmente...»
«Ed è...
una brutta cosa?»
«Eris, da quando
sono al mondo - il che vuol dire da tanto - non mi sono mai
annoiato»
«Beh, anche a me non
piace la noia. Ma davvero non ti sei mai annoiato?»
«Ho sempre avuto... qualcosa da fare,
ecco» disse lui, rimanendo sul vago.
Odiavo quando rimaneva sul vago, ma non potevo farci nulla.
"Prendi e porta a casa,
Eris" dissi a me stessa.
«Quindi? Cosa ti
andrebbe di fare?»
«... Boh»
rispose lui, ancora più annoiato.
«Non ci
credo...» sussurrai, mentre mettevo il bicchiere nel lavello
e me ne andavo in camera mia.
Salite le scale che portavano al secondo piano, mi richiusi alle spalle
la porta della mia stanza e mi buttai sul letto.
Dopo qualche istante, Ael mi chiese il permesso per entrare - lo aveva
capito finalmente, eh? - e attraversò la porta come suo
solito.
Si
sedette sul bordo del letto, contemplando il nulla, mentre io facevo
vagare il mio sguardo per tutta la camera, fino ad incontrare un certo
oggetto.
«Possiamo...» dissi alzandomi «... giocare a
questo» gli risposi con un sorriso, tenendo in mano una
scacchiera.
Ebbi la sensazione che Ael avesse sorriso.
«Quello è
il mio passatempo preferito!»
Ci sistemammo sul letto, misi i pezzi a posto, e cominciammo a giocare
a scacchi facendo passare il tempo.
Erano quasi le sette quando realizzai che mia mamma mi stava chiamando
per la cena.
Feci una risatina dopo l'ennesimo scacco matto da parte di Ael «Ora devo scendere.
Se vuoi continuiamo dopo»
«Certo, ti
aspetto!» disse, mentre io uscivo dalla stanza.
Mi diressi al piano di sotto mentre tentavo di trovare una strategia
per battere Ael, ma i miei ragionamenti furono troncati dal dolce
odorino di pizza che si spandeva per la casa dalla cucina.
Senza pensarci due volte, mi fiondai a tavola e tutti e tre - mamma,
papà ed io - mangiammo allegramente.
«Ok, ora sono
decisamente piena» constatai, dopo aver mangiato un po' di
gelato gusto stracciatella.
I miei risero e poco dopo andammo tutti nelle rispettive camere: Ael mi
stava aspettando calmo.
«Hai trovato un'idea
per battermi?» mi disse in tono allegro dopo che richiusi la
porta «Mi annoio a vincere
sempre!»
Mi sedetti sul letto con finta espressione offesa.
«Scusa se la mia
vita è limitata e la passo a godermela invece che giocare a
scacchi!»
Lui rise, e continuammo a giocare ancora per un po'.
Alle undici e mezza, decretai che avevo perso abbastanza ed era ora del
riposo del guerriero.
Ael rise della mia affermazione e mi lasciò dormire in pace.
Appena prima di dormire, sentii qualcosa sfiorarmi il volto ed una voce
sussurrare una frase, ma non ci diedi peso: probabilmente stavo
già dormendo ed il mio cervello elaborava strane
allucinazioni tattilo-uditive per la troppa stanchezza.
«Sei sempre stata
brava a giocare a scacchi. Era l'unico momento in cui ci divertivamo
davvero»
/*Angolo
Autore*/
Heilà!
Ho dovuto ristrutturare la lavanderia di casa, quindi ho ritardato, ma
fa nulla xD
I miti sono volutamente "rivisitati", spero vi piacciano, ho usato
tutte le parole più sdolcinate che mi siano venute in mente
xD
Ah, tanto per rimanere in tema... la trama si infittisce!
- Kurokage
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