Another
life
1°
Viaggio
Noi siamo fautori del nostro
destino.
Brutto o bello che sia, siamo
noi a decidere sul da farsi.
Siamo noi a scegliere la nostra
via…no, altri.
Nessun essere supremo può
decidere per noi…
Io voglio vivere secondo le mie
regole!
Nessun’imposizione.
Sono nata libera e morirò così…
Caldo.
In quel periodo la
temperatura era davvero elevata. Un caldo anomalo d’inizio maggio, non
era di certo il momento propizio per intraprendere il mio viaggio di
ricerca. Di esplorazione della vita locale.
Volevo ampliare il mio
bagaglio culturale viaggiando, e non di accrescerlo tra quattro mura
ammuffite della vecchia biblioteca universitaria.
Eppure un tempo adoravo
fuggire lì. Rifugiarmi dal continuo cicaleccio della vita mondana. Ma
in quel periodo mi sentivo soffocare.
No! Quella vita non era più
adatta a me! So che questo un vero controsenso, ma era così. Qualcosa
dentro di me urlava. Gridava libertà.
In quell’anno ero fuggita.
Avevo preso anche una sorta di aspettativa dalla laurea. Mi mancava
pochissimo.
Solo la tesi e poi…nulla.
Il vuoto. E questo mi opprimeva. Mi mancava l’ossigeno.
“Me ne
vado”.
Esordì una sera. Eravamo
tutti fuori sulla veranda. Mio padre, mia madre, mio fratello, mia
cognata e le piccole pesti gemelle che giocavano con i loro nuovi
ninnoli.
Mi guardarono sbigottiti.
“Me ne
vado”.
Ripetei, mentre mi
accendevo l’ennesima sigaretta. Rammento ancora il gioco di fumo che si
stagliava nel cielo stellato.
“Come?”.
Mia madre si alzò e si
diresse verso di me, credeva che stessi scherzando. Infatti, sorrideva
ironica. Ma non era così.
“Stai scherzando, per caso?”.
Domandò incredula. Mi
voltai verso di lei.
“No!
Mai stata seria…voglio andar via da qui! Vivere la mia vita!”.
Ero alterata, mentre il
resto della mia famiglia mi guardava senza proferire parola.
“Tu sei
pazza! Che cosa significa che vuoi vivere la tua vita?”.
Mi urlò contro mia madre,
mentre mio padre mi guardava tristemente. Era consapevole che io non
avrei mai cambiato idea. La testarda della famiglia. La pecora nera.
“Mfh!”.
Sbuffai, mentre gettavo a
terra la sigaretta ancora accesa. Un tonfo secco e rapido. Un bruciore
sulla guancia destra.
Mia madre mi aveva
schiaffeggiato. Rammento ancora il suo sguardo furente, offeso.
“Vuoi di nuovo disonorare
la Tua famiglia? Sai a cosa mi riferisco…”. Ironica.
La guardai assottigliando
gli occhi. Famiglia. Mfh! Che parolona. Mi voltai e dissi sibilando.
“Il
disonore più grande è stato quello di fidarmi…partirò domani, ormai ho
deciso”.
Ricordo ancora lo sguardo
rabbioso di mia madre. Le sue urla. I singhiozzi di mia cognata. Il
rammarico di mio fratello. Il silenzio di mio padre.
Mi voltai e mi diressi
verso la mia camera.
No! Mai mi sarei voltata.
Troppe volte l’avevo fatto. Troppe ferite. Umiliazioni.
Ora basta!
Libera.
Salii di sopra determinata
a lasciarmi alle spalle il mio vecchio mondo. La vecchia me.
All’epoca non ero ancora
consapevole che tutto sarebbe cambiato. Che io sarei mutata. Che il
mondo come l’avevo conosciuto non esisteva…che era una vera utopia.
Ricordo il vento caldo
sulla mia pelle, mentre vedevo la gente attorno a me che sorrideva
felice ammirando l’antico splendore di una vita passata.
Io restavo seduta su una
piccola roccia a contemplare il via vai di gente di diverse culture. Di
diversi stati sociali.
Mi trovai a sorridere,
intanto ascoltavo la guida raccontare le antiche gesta di guerrieri
sepolti dalle nebbie del tempo.
Socchiusi gli occhi e
scossi il capo.
“Ti sarebbe piaciuto lo so”.
Dissi, mentre le mie dita
giocavano con il piccolo ciondolo rosso. Un suo ricordo. Sorrisi
tristemente, quando una folata di vento fece volar via il mio panana.
Saltai giù dalla roccia e lo afferrai accanto ai resti una vecchia
colonna. Mi piegai e la accarezzai con la mano destra. Provai pena in
quel momento. Una tristezza atavica che non riuscivo ancora a
comprendere.
Quanta gente si era
prostata in questo tempio. In questo luogo ritenuto sacro. Simulacro di
un’antica religione. Senza rendermene conto mi sentii a casa.
Feci scivolare la mano fin
quasi la base, ma poi mi fermai di botto, quasi come scottata mi
rialzai.
Socchiusi gli occhi e
scossi il capo.
“Che
diavolo mi prende?”.
Mi domandai, mentre mi
aggiustavo il cappello e mi avvicinavo al gruppo, che intanto entrava
nel Partenone.
Mi riavvicinai a loro,
intanto quella strana sensazione permaneva ancora in me, quando una
voce mi fece sobbalzare.
“Tutto
bene cara?”.
Mi voltai di colpo e vidi
una donna che mi guardava. Capelli d’ebano legati in una bassa coda,
pelle diafana e sorriso materno. Ma ciò che mi fece stupire e lasciare
senza parole, erano i suoi occhi. Occhi d’ambra come i miei. Caldi e
avvolgenti, ma tremendamente tristi.
Annuii rapita da quello
sguardo. Stavo per chiederle chi fosse, ma un tonfo accanto mi fece
voltare. Una turista era inciampata. Scossi il capo, mentre mi trovai a
sorridere.
“Che
incosciente”.
Mi trovai a dire. Mi voltai
di nuovo verso la donna, ma era sparita. M’incamminai verso il gruppo
in cerca di lei. Ero curiosa.
“Chi sei?”.
Pensai. Voltai il capo a
destra e a sinistra ma nulla. Era sparita.
“Sarà
forse uscita dal tempio?”.
Mi domandai, mentre
m’incamminavo verso l’uscita, ma con mio sommo stupore non la vidi.
Rimasi lì in piedi per svariati minuti, quando socchiusi gli occhi e mi
trovai a ridere ironica.
“Ho
avuto un’allucinazione”.
Mi dissi voltandomi. Era
tempo di tornare dal gruppo che intanto stava uscendo dal lato sinistro
del tempio.
“Sta attenta figlia mia”.
Un sussurro nel vento. Mi
voltai di colpo, ma non vidi nulla solo il sole che lento scendeva
verso l’orizzonte.
Di chi era quella voce?
Perché quella raccomandazione?
Scossi di più il capo
dandomi della pazza.
“Il
caldo afoso di oggi mi fa avere delle forti allucinazioni”.
E veloce ritornai nel
gruppo.
Continua…
__________________________
Mh, primo tentativo in un
fandom a me nuovo per la scrittura, ma che ben conosco per la lettura.
Che dire? Questa storia
assurda è nata dopo ore di lavoro e lettura di luoghi ipotetici di
vacanze che, ahimè, tardano (le ferie che vedo come un miraggio).
Bando alle ciance, spero di
avervi un pelino incuriosito.
A kiss mes chers lecteurs.
|