Il
fastidioso suono della sveglia mi fece brontolare parole poco gentili
che, se qualcun altro avesse sentito, mi avrebbero scambiata per uno
scaricatore di porto.
Mi chinai a
terra, recuperando l'unica pantofola che riuscii a trovare,
lanciandola poco dopo addosso alla mia adorata coinquilina, che
farfugliò cose senza senso.
«Spencer,
ma non puoi essere più delicata?»
piagnucolò la mia compagna,
prima di ributtarsi sotto le coperte.
Sospirai,
alzandomi e trascinandomi verso il bagno, facendo una doccia veloce e
tornando in camera per vestirmi.
Alla
fine mi osservai allo specchio posto sull'anta dell'armadio,
storcendo appena il naso.
I
lunghi capelli castani, mossi, erano vivacizzati dalle punte,
caratterizzate dal mio amato Shatush arcobaleno ed arrivavano fino ai
fianchi; gli occhi verdi saettavano da una parte all'altra,
osservando gli abiti che avevo scelto per quella mattina.
Una
larga felpa nera mi fasciava braccia ed addome, tenendomi calda,
visto che era inverno e non ero intenzionata a girare mezza nuda solo
perchè volevo conquistare ragazzi, come facevano quasi tutte
le
altre ochette.
I
leggins neri rendevano ben visibili le mie gambe, escludendo la parte
coperta dalla felpa.
Ai
piedi avevo messo frettolosamente delle converse nere borchiate, dai
simpatici lacci a fantasia The Nightmare Before Christmas, film che
adoravo.
Puntai
lo sguardo sulla castana semi- cosciente che ancora giaceva nel suo
letto.
Scossi
la testa, facendo ondeggiare i capelli; salii sul letto della
ragazza, spingendola fino a farla capitombolare sul pavimento.
«Spencer!»
sbraitò, cercando di sgusciare fuori dal cumulo di coperte.
«Lo
so che mi chiamo Spencer, però sbrigati. Sono le sette e
quaranta»
ridacchiai divertita, quando si alzò di colpo in piedi,
cominciando
a correre su e giù per la stanza.
«Arriverò
tardi!» urlò, cercando di infilarsi il pesante
maglione, facendomi
roteare gli occhi.
«Stai
calma, Avril, arriverai in tempo» cercai di non farla agitare
troppo, anche se ormai era troppo tardi.
Sospirai,
andando in cucina e preparando una veloce colazione, intimandola poi
di raggiungermi.
«Spencer,
non ho tempo di fare colazione!» corse verso la porta,
intenzionata
a correre a scuola.
Frequentava
ancora la Artist Academy, un'accademia che aiutava i giovani a
coltivare passioni e talenti per musica, ballo e recitazioni; direi
una delle migliori, tra l'altro.
Spesso,
Avril, si svegliava troppo tardi ed arrivava in ritardo, anche se la
maggior parte delle volte la accompagnavo io in moto.
Quella
mattina era una di quelle, infatti.
«Ti
accompagno io con la moto, fai colazione però»
ovviamente mi
preoccupavo per lei, anche perchè la consideravo come una
sorella
minore.
«Ti
adoro!» con uno scatto mi si lanciò addosso,
facendomi quasi
perdere l'equilibrio; fortuna che riuscii a restare in piedi, o ci
saremmo fatte male.
«Si,
però datti una mossa, peste» sospirai, lasciandola
scendere e
prendendo una lattina di bibita energetica dal freezer.
«Ti
fa male quella roba di prima mattina, Spencer» mi
cantilenò
divertita, mentre le scoccavo un'occhiata che sembrava chiedesse "ma
sei seria?", che le suscitò una risatina divertita.
«Sai
che odio il caffè, quindi questa è l'unica
soluzione, tranne quando
mangio la peperonata... in quel caso rimango tutta la mattina a
rimet-»
«Hai
reso l'idea...» mi interruppe, guardandomi sconvolta.
Amavo
quando reagiva così.
«Forza
su» bevvi un altro sorso dalla lattina, riponendola nel frigo
e
prendendo le chiavi ed il mio casco nero dal tavolo della cucina
«Io
ti aspetto fuori, comincio ad avviare la moto, quindi vedi di
sbrigarti»
Sistemai
il giubotto di pelle nera, mettendo le chiavi nella tasca destra e
lasciando il nostro appartamento, correndo al piano inferiore,
evitando di prendere l'ascensore.
Preferivo
fare più movimento prendendo le scale che rischiare di
rimanere
chiusa per tre ore in quello spazio decisamente stretto.
Uscita
dall'edificio, presi una grande boccata d'aria, scompigliandomi i
capelli ed osservando il cielo; azzurro come poche volte, il che
prometteva bene.
Raggiunsi
in poco la mia amata moto rossa e nera, cominciando a sistemare il
casco in testa, sollevando i capelli.
Presi
tra le mani il casco di Avril, poggiandolo sul sedile, mentre
sbadigliavo sonoramente.
Avevo
dormito davvero poco quella notte, rischiavo di addormentarmi a
lavoro.
Rimasi
alcuni minuti ad aspettare, prima di intravedere la figura della mia
amica con una fetta di pane e marmellata tra i denti, correre verso
di me.
Finì
la sua colazione, mettendosi velocemente il casco e passandomi la sua
tracolla, che sistemai sulla moto, in una delle due sacche laterali.
Cinque
minuti dopo, sfrecciavamo tra le vie di Los Angeles, evitando il
traffico e prendendo le strade secondarie.
Una
volta arrivata a destinazione, Avril recuperò velocemente la
sua
tracolla, correndo verso l'edificio con ancora il casco in testa.
Sorrisi
nel vedere che, poco prima di varcare la soglia, si voltò
per
salutarmi con un gesto della mano.
Avril
era mia coinquilina da circa tre anni, anche se ci conoscevamo da
molto prima.
Era
una ragazza solare e sempre allegra, pronta a fare nuove scoperte e
decisamente iperattiva.
Aveva
una dolcezza incredibile e la simpatia era il suo piatto forte;
inguaribile romanticona che, troppo spesso, si lasciava sopraffare
dai sentimenti.
Aveva
capelli castano chiaro che le arrivavano appena sotto le spalle;
profondi occhi nocciola in contrasto con la carnagione pallida.
Nonostante
avesse 18 anni ed io 23 era molto più alta di me, il che mi
deprimeva il più delle volte, anche perchè le
nostre discussioni,
la maggior parte delle volte, si incentravano su questo.
Vestiva
con abiti dai colori chiari, tendenti al rosso o al bianco.
Possiamo
dire che eravamo l'opposto.
Una
delle cose che non riuscivo a tollerare di lei, era la sua fissa per
le fossette.
Un
vero incubo.
Ogni
volta che sorridevo, mi si formavano due "adorabili fossette"
e mi ritrovavo il più delle volte con lei che mi stritolava
come un
peluche, costringendomi a sorridere ogni volta che le andava.
Da
un lato era estenuante, ma dall'altro mi rallegrava, il che era
decisamente positivo.
Come
già detto in precedenza, io e lei eravamo l'opposto, e non
solo di
aspetto.
Rispetto
a lei, io ero molto introversa, e nascondevo questa mia timidezza
dietro l'essere fredda, calcolatrice e sadica.
Secondo
un punto di vista, era ottimo, così gli altri capivano
qual'era il
loro posto, ma d'altro canto, non giovava a coltivare amicizie.
Oltre
questo, spesso e volentieri usavo l'ironia pesante e, come mi diceva
spesso mia madre, "la tua lingua è più tagliente
di tutti i
coltelli che ho in cucina, incluso quello da macellaio".
Penso
non ci sia più niente da dire, anche perchè sono
appena arrivata
sul mio posto di lavoro.
Parcheggio
velocemente la moto, affrettandomi ad entrare all'interno dell'enorme
palazzo rosa confetto che avevo di fronte.
«Ciao
Janette» salutai la biondina alla reception, che mi
regalò un ampio
sorriso.
«Salve
signorina-» cercò di salutarmi, ma la interruppi,
come ero solita
fare se osavano chiamarmi per cognome.
«Come
ti ho detto di chiamarmi?» chiesi, osservandola con fare
indagatorio.
«Spencer»
ridacchiò divertita, scuotendo la testa e passandomi alcuni
documenti «Ciao anche a te. Parlando di lavoro, questi sono
arrivati
stamattina, quelli di ieri non riesco a trovarli»
affermò confusa.
«Tranquilla,
me ne sono occupata il a casa, sono tutti sistemati...»
sollevai una
valigia abbastanza pesante, passandogliela «Qui dentro.
Quelli
scelti sono solo quattro, che ovviamente valuteremo con gli altri. I
primi quattro, con l'esattezza.» sorrise rincuorata,
ringraziandomi
e lasciandomi andare alla riunione che mi aspettava, con i quattro
fascicoli tra le mani.
Mi
affrettai ad entrare nella sala, notando che erano tutti presenti, ed
al mio arrivo era piombato un silenzio tombale.
«Buongiorno
a tutti, e» scrutai la sala, notando che ero l'unica che
mancava
«sono in ritardo?»
«No,
signorina Fellows, siamo noi che siamo arrivati in anticipo, di
cinque minuti più o meno» fu Christopher a
rispondere, un uomo
abbastanza alto sulla cinquantina e passa.
«Devo
preoccuparmi?» chiesi, alzando un sopracciglio e facendo
ridere i
presenti nella sala.
Mi
reputavano "simpatica ed un'ottima intrattenitrice" perchè
avevo una spiccata ed elevata capacità di parola, frutto di
pesanti
studi.
Questo
mi aiutava molto nel lavoro che, come risaputo, se non si ha la
stoffa, si viene licenziati subito, e le raccomandazioni non salvano
nessuno.
Per
alcuni invece, la mia non era bravura, ma solo il potere di mio
padre, Scott Fellows.
Per
me, detto senza peli sulla lingua, potevano andare a farsi fottere
tutti, visto che a quanto sapevo per certo, modestia a parte, ero
un'ottimo elemento.
«No,
anzi, pensavamo di trovarla prima, così potevamo cominciare
subito
la riunione, visto che non vediamo l'ora di sentire la vostra nuova
idea.» continuò l'uomo, alzandosi e sorridendomi.
«Christopher,
quante altre volte devo dirtelo per poter sentire un "tu"
uscito dalle tue labbra?» ridacchiai, scuotendo la testa.
«Prima
di tutto, vi ringrazio di essere venuti, anche perchè ho
bisogno di
esperti che giudichino il mio lavoro, anche perchè secondo
una mia
idea, lascia abbastanza a deludere» cominciai, riportando
l'attenzione di tutti, su alcuni cartelloni che sistemai alle mie
spalle, sull'apposito cavalletto, scostandomi i capelli dalle spalle
e sfilandomi velocemente il giubotto, per permettere la massima
comodità nei movimenti.
«Se
"lascia a deludere" come tutte le altre volte, penso vada
più che bene» ridacchiò una donna sulla
trentina, bionda.
Uno
dei miei difetti era la bassa autostima, ma non ne facevo un dramma.
«Grazie,
Hanna» le sorrisi rincuorata, vedendola annuire appena.
Spesso
e volentieri mi salvava dalle situazioni imbarazzanti, spostando
l'attenzione su di se.
«Tornando
a noi, sto lavorando su un film e, se avrà il successo
sperato, una
serie televisiva, di cui non ho ancora deciso il titolo, ma
già
parto col presupposto che se ne occuperà Hanna»
ridacchiai,
attendendo un suo consenso prima di continuare «Vede come
protagonista un ragazzo. Scuola nuova, compagni nuovi, professori
nuovi. Quello che però non sa, è non è
una scuola come tante.
Penso sia meglio dire, "non è una scuola normale"»
sorrisi,nel notare di aver incuriosito almeno parte degli altri
presenti nella sala.
Erano
persone fidate, scelte da mio padre in persone, il che mi faceva
sentire più sicura, visto che lavorano con lui da anni.
«Questo
giovane, ignaro di tutto, comincia a frequentare come di norma le
lezioni, scoprendo grazie ad un amico che lega subito con lui, che si
tratta di una scuola di geni. Parlando di geni, in questo caso, parlo
di geni della tecnologia. Tecnologie innovative e decisamente fuori
dal comune. Ci saranno tragiche morti, storie d'amore e tradimenti.
Oltre questo, ci sarà qualcuno[...]» alla fine del
discorso
sospirai, riprendendo fiato e mordendomi il labbro inferiore,
scrutando con attenzione la sala, alla ricerca di risposte alle mie
domande.
«E
quei cartelli?» domanda di Hanna, che mi fa uscire
velocemente dalla
situazione di imbarazzo che si era creata.
«Oh
si, quasi dimenticavo» mi avvicinai al cavalletto, togliendo
il
cartellone che copriva le mie opere, mostrando gli schizzi delle
più
stravaganti e disparate tecnologie.
Cominciai
a discuterne con i presenti, spiegandone funzionalità e
caratteristiche, aggiungendo dettagli della storia che non avevo
accennato in precedenza, riacquistando fiducia in me stessa
nell'andare avanti.
Alla
fine del discorso, salutai tutti, uscendo in fretta dalla sala e
poggiandomi con la schiena alla porta, tirando un sospiro di
sollievo.
Non
mi restava che aspettare e cercare di rilassarmi.
Coraggio
Spencer, devi solo aspettare che prendano una decisione e te la
riferiscono, non ti uccideranno mica?
Storsi
il naso, battendo un piede a terra ed emettendo un lieve verso
contrariato, come una bambina capricciosa.
Mi
ostinavo a mantenere un comportamento da bambina, per certi versi,
questo perchè non volevo crescere.
Volevo
solo continuare ad essere la ragazzetta spensierata e combinaguai del
quartiere.
Sospirai,
cercando di calmarmi e dirigedomi verso la reception dell'edificio,
per stare con Janette.
Spesso
e volentieri riusciva a sollevarmi e calmarmi.
«Janette»
attirai la sua attenzione, mettendomi a braccia conserte sul bancone
ed osservandola lavorare.
«Spencer!»
sorrise nel vedermi, interrompendosi per recuperare dal piccolo frigo
che aveva sotto la scrivania una Cola ed una confezione di confettini
colorati che tanto amavo.
Io
ero la bambina, e lei era la madre che mi viziava.
«Non
eri in riunione per presentare la tua idea?» chiese curiosa,
porgendomi le cibarie.
«In
effetti si, ma la mia parte è finita. Ora devo aspettare il
verdetto
finale» risposi, scostandomi il ciuffo che mi ricadeva
sull'occhio
destro.
«In
questo caso» mi tolse la lattina dalle mani, passandomene
un'altra,
Monster «Ti servirà qualcosa di più
revitalizzante»
Ridachiai,
prendendola e stappandola, per poi cominciare a bere «Mi vizi
troppo»
«E
tu dovresti prenderti una pausa dal lavoro» mi
rimproverò,
facendomi sbuffare.
Non
riposavo mai, se non il sabato e la domenica, che erano i miei due
giorni liberi; niente vacanze, nè distrazioni o altro.
Avevo
preso troppo seriamente il mio lavoro, forse, ma a me non importava.
In fondo non avevo niente da perderci, inoltre il mese di agosto e le
vacanze di Natale mi bastavano.
«Ti
restano solo ventiquattr'ore di vita» un gracchiare mi
arrivò alle
orecchie, facendomi stringere la lattina e voltarmi fulminea verso
l'essere che più odiavo.
Squadrai
l'odioso pennuto blu ed argento, soffermandomi sul becco adunco e
sulle zampe artigliate al suo trespolo, mentre mi scrutava piegando
lateralmente la testa.
«Sbarazzati
di quel pollo ambulante. Non lo sopporto» dissi acidamente,
senza
staccare gli occhi dalla creatura.
«Oh,
ma andiamo, è solo un pappagallo!»
ridacchiò divertita la bionda
in mia compagnia, mentre mi rubava i confettini che avevo tra le dita
«Lo vedi solo quando sei qui all'entrata e non penso ti
faccia del
male»
«L'ultima
volta ha fatto i suoi bisogni sulla mia scrivania, distruggendomi
l'intero copione che mi avevano dato per leggere» risposi,
mangiando
quelle dolci e cioccolattose praline colorate.
«Ma
ne hai richiesta un altra copia poi» difese il pollo colorato.
«Ci
terrei a ricordare che un'altra volta me l'ha fatta in testa, e da
allora giro con shampoo e balsamo nella borsa» la scrutai
vittoriosa, bevendo dalla lattina.
«Tutti
possono sbagliare» sospirò, scuotendo la testa.
«Ti
restano solo ventiquattr'ore di vita» gracchiò una
seconda volta,
sbattendo le ali e sollevandosi appena.
«Continua
a ripetermelo. Sempre. Ogni singolo giorno.» dissi ferma,
incrociando le braccia al petto.
«Ma
è solo un pappagallo!» la donna mi
guardò negli occhi, sporgendo
appena il labbro inferiore, come a cercare di suscitare tenerezza.
«Va
bene, tieni il tuo stupido pollo dantesco arcobaleno»
sbuffai,
alzando le braccia al cielo e ridacchiando.
Non
riuscivo a resistere alle cose tenere o dolci.
Parlando
con la trentenne, non mi accorsi del tempo che passava fin quando non
mi ritrovai Christpher di fronte.
«Allora?»
chiesi, mordendomi il labbro inferiore in attesa del giudizio.
«Spencer»
cominciò, scuotendo la testa «La tua idea
è geniale!»
Un
colpo a cuore, rimasi immobile a fissarlo, fin quando non si decise
di continuare.
«La
tua nuova serie o film, sceglieremo più in là,
è piaciuta e non
poco! Non vedono l'ora di leggere il copione che passerai
loro» mi
sorrise allegro, allargando le braccia.
«Non
posso crederci!» quasi urlai, lanciando in aria la busta e
facendo
disperdere gli ultimi rimasugli di cioccolata «Non posso
crederci»
«Credici
ragazza» mi diede un'amichevole pacca sulla spalla,
consegnandomi
alcuni documenti.
Rimasi
tutto il tempo con un sorriso ebete in viso, osservando Janette che
mi guardava divertita.
Le
rivolsi la mia espressione più carina e coccolosa,
allargando le
braccia e tendendole verso di lei, senza perdere il sorriso.
«Congratulazioni
peste» ridacchiò, oltrepassando il bancone e
venendomi incontro ed
abbracciandomi forte.
Adoravo
essere trattata come una bambina e lei era una dei pochi a sapere
come trattarmi adeguatamente.
«Yahoo!»
urlai, stringendola con molta forza ed accoccolandomi a lei come un
gatto «E' fantastico»
«Te
lo dissi che avresti fatto carriera» ridacchiò
divertita,
scoccandomi un bacio sulla fronte e staccandosi dalla stretta
«Ora,
come hai promesso, ti prendi due settimane libere e non puoi
discutere»
Storsi
il naso alle sue parole, incrociando le braccia al petto e fissandola
con aria truce.
«Non
attacca il broncio. Lo avevi promesso.» mi rispose a tono
l'altra,
scuotendo la testa.
«E
va bene» sospirai esasperata «Ti prego, occupati di
tutto tu» le
porsi i documenti di cui avrei dovuto occuparmi io, ma ero
"impossibilitata".
«Queste
sono le cose da fare» scossi la testa «Mi dispiace
lasciarti tutto
questo lavoro»
Con
queste parole le lasciai un ultimo abbraccio, recuperando la mia
valigetta ed uscendo dall'edificio.
Mi
avvicinai alla motocicletta, mettendo la valigia nella sacca e
sistemandomi in testa il casco; misi in moto e partii velocemente,
mentre il rombo del motore faceva voltare i giovani curiosi ed
affascinati.
Una
delle cose che più amavo era andare in moto e sfrecciare
come una
saetta per le strade della città, oppure partecipare alle
fantastiche gare che spesso venivano organizzate.
Amavo
quella sensazione adrenalinica che ti scorreva nel sangue e che ti
scorreva al cuore ed al cervello.
Riuscivo
a sentirmi libera come un falco.
Fatto
sta che, qualche volta, questa libertà, fa davvero molto
male...
Riuscii
a vedere giusto in tempo un ragazzo che attraversava velocemente la
strada; frenai di colpo, rischiando di volare via dalla moto.
«Ma
sei impazzito?!» sbraitai, poggiando un piede a terra per
tenermi
sollevata sulle due ruote, senza utilizzare il cavalletto ed
osservando il ragazzo correre via, senza degnarsi nemmeno di
fermarsi.
Sbuffai,
risistemandomi sulla moto e partendo nuovamente, cercando di ignorare
l'accaduto.
Dopo
una decina di minuti arrivai alla scuola di Avril e mi fermai
all'ingresso principale, in attesa della fine delle lezioni. Avevamo
una giornata di festeggiamenti davanti a noi e non ero intenzionata a
perdermi nemmeno un secondo.
Rimasi
interminabili minuti in attesa, fin quando non vidi la sua chioma
castano chiaro comparire, dopo molte altre.
Notai
che però qualcosa non andava, così avviai la moto
e le andai
incontro, fregandomi dei ragazzi che dovevano sostarsi per farmi
passare.
«Ti
prego, andiamocene» mi sussurrò mettendosi il
casco e salendo sulla
sella, mentre mi facevo strada con un'impennata.
Partii
velocemente, andando verso casa così da sistemare tutto.
«Ora
spiegami che hai» la ammonii, entrando a mia volta
nell'appartamento
e chiudendo poi la porta d'ingresso.
Fu
un attimo e me la ritrovai tra le braccia, mentre gocce salate le
rigavano ingiustamente le guance.
«Dai,
è tutto passato» le sussurrai, passandole una mano
tra i capelli ed
accarezzandole la nuca.
Prima
l'avrei lasciata sfogarsi, così dopo sarebbe seguita la
rabbia, ed
era meglio così.
Rimanemmo
abbracciate come un koala alla sua mamma per non ho idea di quanto
tempo, mentre la mia testa era affollata da tanti pensieri, tra cui
"che diavolo era successo alla mia amica?"
Una
volta calmata, si scostò da me, cercando di asciugarsi le
lacrime,
mentre mi seguiva in cucina.
Una
volta lì, le passai la scatola di fazzoletti coi disegnini,
che lei
amava tanto; lanciai il giubotto sul divano del soggiorno e cominciai
a curiosare nel frigo.
«Nel
mentre ti prendo il gelato, ti va di raccontare?» le chiasi,
prendendo la confezione di gelato alla vaniglia e prendendole un
cucchiaio.
Le
poggiai tutto sotto il naso, allontanandomi per prendere quello al
cioccolato, il mio preferito.
Lei
invece amava quello alla vaniglia; non ci facevamo molti problemi a
mangiare nel contenitore, questo però quando una delle due
era
triste, anche perchè con una donna arrabbiata o depressa non
è
possibile parlare se non si è armati di dolci o gelati.
Poi
ne avevamo sempre un'ampia scorta, per i possibili "visitatori".
Le
uscì un singhiozzo, mentre affondava il cucchiaio nel
dolciume,
emettendo un verso infastidito.
«Tyler»
Sgranai
gli occhi, stringendo i pugni colta da una rabbia improvvisa.
«E'
andato a letto con Britney...» sussurrò rabbiosa,
mentre prendeva
il gelato a cucchiaiate, come se Tyler potesse subirne le
conseguenze.
Contai
fino a dieci prima di sospirare per riprendere la calma ed invitarla
a continuare.
«L'ho
evitato tutto il giorno...» riprese a mangiare, chinando il
capo,
colpevole.
In
tutto quel lasso di tempo, non avevo nemmeno aperto la confezione di
gelato, così la riposi nel freezer, lanciando brutalmente il
cucchiaio nel lavandino.
Rimanemmo
entrambe in silenzio, ognuna con i propri pensieri che vorticavano
fuori nella testa.
«Ci
occuperemo insieme di questa faccenda» sospirai, passandomi
una mano
tra i capelli e scompigliandoli appena.
«Ora
dobbiamo festeggiare» le sorrisi allegra, intenzionata a
farle
dimenticare quel bastardo traditore almeno per il momento.
«Come
mai?» chiese con un'espressione tra il perplesso ed il
curioso.
«Sai
quel film di cui ho scritto il copione? Quello che ho ideato
io»
sorrisi nel notare che le si erano illuminati gli occhi ed era corsa
verso di me per abbracciarmi allegra.
«Oddio,
congratulazioni!» mi stordì l'orecchio, facendomi
ridacchiare
divertita.
«Quindi,
asciugati quelle lacrime, preparati una borsa ed andiamo al The Grove
e magari ci facciamo anche un giretto sulla collina
Hollywood»
ridacchiai, mentre saltellava allegra e correva verso la camera che
dividevamo.
Sperai
con tutto il cuore che quella sua felicità non fosse
momentanea,
anche perchè mi si contorceva il cuore nel vederla stare
male.
Ridacchiai,
seguendola in camera e preparando il mio amato zainetto azzurro,
ovviamente già pronto.
Ero
sempre organizzata, al contrario si Avril, che era un disastro di
ragazza.
Ridacchiai,
prendendolo e sistemandoci le chiavi della moto, che portavo sempre
con me.
«Andiamo
in auto» la informai, prendendo un cambio dall'armadio e
correndo
sotto la doccia.
Liberai
in fretta la doccia, così da dare anche alla mia compagna di
darsi
una rinfrescata, prima di andare al più grande centro
commerciale di
Los Angeles.
Saltellai
allegramente verso l'armadio, vestendomi velocemente ed indossando la
mia felpa preferita ed un paio di Jeans finalmente asciutti,
sistemando gli altri puliti sul tavolo col ferro da stiro.
Preso
lo zainetto, mi avviai verso la cucina, prendendo qualche snack per
il viaggio, visto che era abbastanza distante ed avevamo intenzione
di mangiare una volta arrivate.
«Sono
pronta!» urlò, saltandomi in groppa, mentre mi
affrettai a
prenderle le gambe e correre verso la porta.
«Andiamo
allora!» urlai a mia volta, mentre ridevamo come delle matte.
Uscimmo
in fretta, poi chiusi la porta, buttando poi le chiavi nel mio
zainetto e correndo insieme a lei verso il parcheggio riservato ai
residenziali.
Arrivate
all'auto, mi affrettai a salire, avviandola e facendo abbassare la
cappotta, godendomi a pieno la decappottabile.
«Shopping!»
urlò, saltando sul sedile del passeggero.
Era
l'unica a cui permettevo di farlo, anche perchè era la mia
migliore
amica, ed io la sua.
Lei
era anche una dei pochi che mi era amica non per la posizione sociale
o perchè ero figlia di un grande autore televisivo.
Partimmo
in fretta, mettendo la musica al massimo e cantando come due dementi
idiote.
Tutto
per vedere un sorriso comparirle sulle labbra.
«Dai,
che sono affamata!» piagnucolò mentre la seguii
all'interno del
centro, dopo aver chiuso l'auto e messo l'antifurto ovviamente.
«Ci
sono, tranquilla» ridacchiai, tenendo il passo con lei,
mentre
chiacchieravamo su quello che avremmo coprato e dove saremmo andate.
«Che
ne dici di Hamburger, patatine e cola?» chiesi sorridente
verso di
lei.
«Oddio,
fossette!» urlò stridula, cercando di strizzarmi
le guance.
Riuscii
ad evitarla, correndo verso il Mc poco distante, così da
sfuggirle e
raggiungere la destinazione.
Una
volta all'interno, corsi al solito tavolo con divanetto ad angolo,
che tanto amavo.
Mi
lasciai cadere, ovviamente nel mio angolino, accorgendomi solo troppo
darti dell'errore.
«Presa!»
scoppiai a ridere, mentre un essere non identificato mi si era
lanciato addosso, cominciando a farmi il solletico.
Ci
riprendemmo poco dopo, grazie all'arrivo di un cameriere che era
venuto a prendere le ordinazioni.
«Okay,
ora ti cerchiamo un fidanzato» esclamò allegra,
facendomi voltare
verso di lei.
«Che?»
chiesi, rivolgendole uno sguardo preoccupatissimo.
«Ovvio.»
rispose, guardandomi attentamente «E fai uscire Hector da
lì, ti
prego... mi fa abbastanza paura»
Ridacchiai
divertita, mettendo una mano tra i capelli sul collo e tastando, fino
a sentire qualcosa di consistente e prendere un esserino che aveva
assunto le tonalità del rosso e del blu.
«L'hai
sentita Hector? Quindi fai il bravo qui» lo poggiai sul
tavolo,
mentre riprendeva il suo colorito verde, osservando me e la mia
compagna.
Aprì
lentamente la bocca, attirando la mia attenzione e facendomi chiamare
un cameriere per ordinare delle foglie di insalata senza condimento
per il mio piccolo amichetto.
Il
cameriere fece come richiesto, ovviamente senza porsi ulteriori
domande.
In
quel momento nel locale entrò un giovane dall'aspetto latino
che
parlava animatamente con uno molto più alto e palestrato.
Il
primo aveva la pelle lievemente abbronzata e spettinati capelli neri;
era più piccolo dell'altro, ma di certo non meno muscoloso o
di
brutt'aspetto.
Quello
alto si notava parecchio quanto fosse palestrato, carnagione
più
chiara e con una capigliatura castana e tenuta in ordine da una
grande quantità di gel.
«Secondo
me staresti bene col secondo» sentii una voce alla mia
destra, che
mi fece voltare.
«Come
prego?» chiesi stralunata.
«Si
insomma, è parecchio più grosso di te, lui
palestrato e tu con le
curve. Lui alto e tu bassa. Poi non vi immagino a letto»
ridacchiò
maliziosa, guardandomi con un'espressione che a me sembrò
molto
inquietante.
«No
grazie, sto bene da single» le risposi, inarcando un
sopracciglio.
«Però
stanno guardando da questa parte e parlano» mi
sussurrò,
guardandomi negli occhi «i tuoi capelli attirano
l'attenzione,
principessa degli specchi»
Spostai
lievemente lo sguardo ad un tavolo poco distante dal nostro, dove
avevano preso posto i due.
«Oh
andiamo, saranno interessati al cartellone dei
menù» risposi,
indicandole il cartellone sopra le nostre teste.
«Vedremo
arcobaleno» ridacchiò, prima di essere interrotta
dalla radio che
avevano appena acceso agli altoparlanti.
«Ed
ora un grande successo dei Big Time Rush: Any Kind Of Guy!»
urlò
il DJ del canale radio, facendo partire la canzone.
«Sono
bravini» affermai, seguendo parole e ritrmo della canzone.
«Bravini?!»
una spegie di gridolino isterico mi arrivò alle orecchie,
mentre il
ragazzo alto entrato da poco aveva sentito la mia esclamazione e si
era avvicinato al mio tavolo.
«Per
tua informazione, questi ragazzi "bravini" sono arrivati
più lontano di te, carina»
Rimasi
alcuni secondi ad osservarlo indecisa sul da farsi, poi mi alza, per
fronteggiarlo nonostante la notevole differenza d'altezza.
«Per
tua informazione, c'è di meglio, carino»
evidenziai l'ultima
parola, con un lieve gesto delle dita.
«Secondo
te, lui mena lei o lei mena lui?» il ragazzo più
basso aveva preso
posto accanto alla mia compagna, osservando con lei la scena.
«Se
lui osa sfiorarla, dovrà vedersela con entrambe»
chiarì Avril.
«Per
tua informazione, io sono stupendo, non carino.»
ribattè l'altro, puntandomi contro un indice.
«Per
tua informazione, a me non interessa nulla di te. Non ti ho mai visto
prima, mai sentito la tua voce e non ti ho mai nemmeno sentito
nominare, e posso permettermi di dire che si, ho fatto molta
più
strada di questi Big Tuc Crush» gli risposi a tono,
incrociando le
braccia al petto, sollevando il mento e tenendo gli occhi ben aperti;
tipico di quando ero arrabbiata.
«Big
Time Rush» una terza voce interruppe la nostra "calma
discussione", sovrapponendosi tra me ed il moretto «Mi scuso
per l'intrusione ma non penso che tu abbia motivo di dire di essere
andata più avanti di loro, quando nemmeno io ho sentito mai
parlare
di te e non ti ho mai vista prima d'ora.»
«E'
normale che non mi abbiate mai vista prima» mi lasciai
sfuggire una
risatina divertita, facendo ondeggiare i capelli «Nessuno, se
non i
miei colleghi, hanno mai visto il mio volto e non mi lascerò
giudicare da dei fan di questo fantomatico gruppo solo
perchè non mi
hanno mai vista.» risposi, mantenendo la mia posizione e
senza
nascondere l'acidità presente nelle mie parole.
«Noi
siamo i Big Time Rush» mi rispose, indicando se stesso, il
moretto,
il ragazzo accanto alla mia amica ed un posto vuoto «Logan
deve
ancora arrivare» mi chiarì, mentre riportavo lo
sguardo su di lui.
«Ed
allora?» chiesi, scollando le spalle ed osservandolo.
«Penso
che se sei davvero famosa come dici, il tuo nome sia abbastanza
famoso» il biondo si voltò verso di me,
fronteggiandomi a sua volta
ed assumendo una posizione simile alla mia, chinando il capo per
osservarmi negli occhi.
I
suoi erano verde prato, un verde simile ai miei, solo un pò
più
chiari.
«Non
mi interessa sbandierare il mio nome per dimostrare quanto valgo, lo
so benissimo da me e non di certo mi interessa sapere cosa pensano
dei ragazzini che hanno trovato per puro caso la fama qui a Los
Angeles» gli risposi, avvicinandomi pericolosamente a lui e
sporgendomi verso il suo viso «Big Time Rush o no, sta di
fatto che
non vi conosco e già non vi sopporto, a me basta
questo» sorrisi,
scostandomi ed osservandolo.
«Beh,
intanto ti permetti di giudicare senza conoscere, sia noi che band
che reputi "bravine"» stava lentamente perdendo la calma,
il che era un brutto segno per lui, ma non di certo per me.
«A
me non interessa quello che» puntai lo sguardo sul tavolo,
preoccupandomi subito «Dov'è Hector!»
urlai, osservandomi intorno.
«Tranquilla,
è di nuovo tra il viola ed il celeste» mi
calmò Avril, sporgendosi
per recuperare il mio piccolo camaleonte e mettermelo tra le mani.
Sospirai
sollevata, carezzandolo appena e riponendolo sul tavolo.
Notai
un cameriere venire verso di noi, con le ordinazioni che avevamo
richiesto in precedenza.
«Ecco
a voi signorine» sorrise, porgendoci l'insalata ed i due mega
menù
«Loro mangiano con voi?» chiese poi, scrutando i
tre.
Feci
per negare, ma la voce della mia mica che affermava il contrario mi
precedette.
Mi
voltai di colpo verso di lei, stizzita.
«Dai,
saranno nuove conoscenze» mi pregò con i suoi
occhioni da cucciolo,
così non potei far altro se non sbuffare ed acconsentire.
Qualcosa
mi diceva che non mi sarebbero piaciuti molto, quei tipi.
Angolo
Autore
Salve
a tutti!
So
che ho anche un'altra storia in corso nel fandom da continuare, ma ho
preferito scrivere/pubblicare anche questa, per vedere se ne vale la
pena o accartocciare l'idea.
Piccole
delucidazioni:
[...]----->penso
abbiate notato questo simbolo, nel bel mezzo del discorso di Spencer
Diciamo
che ho preferito non inoltrarmi troppo nella trama della storia,
anche perchè non sarà su di essa che si
incentrerà quella della
fanfiction.
Per
ora, ovviamente, poi non so cosa mi passerà per la testa in
futuro.
Come
capitolo non è un granchè, questo è
vero, ma io la considero solo
una piccola introduzione che spero porterò avanti.
Inoltre,
da come penso si possa capire, Spencer sarà un pò
diversa dal tipo
di ragazza " I Love BTR" soprattutto per rendere la storia
(spero) più interessante.
Inoltre,
so che come introduzione non è spettacolare, ma volevo
rendere le
cose più interessanti solamente verso la fine.
AVVISO:
Il titolo NON è rivolto nè a Logan nè
a Kendall ma a Spencer.
Inoltre
vi pongo un piccolo quesito:
Logan
lo preferite "tenero e coccoloso" oppure in versione "bad
boy"?
Detto
questo, vi saluto ed alla prossima!
PS. Mi scuso per eventuali errori ed anche per l'errore di pubblicazione avvenuto a causa di non so cosa, grazie per la pazienza ed all'autrice che mi ha avvertita (ti dedicherò un capitolo per aver impedito ulteriori disastri, grazie!)
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