Raccolta di Yato-cest

di supermafri
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Raccolta di Yato-cest
 
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“Tu osi ancora affacciarti alla mia camera, inginocchiarti alle sponde del mio letto, dopo tale affronto al Padre tuo? Come ho potuto partorire un bambino tanto raccapricciante, spaventoso e nauseante? Vattene, prova vergogna della tua stessa natura.” ansimò disgustata e furente la madre, sforzando la voce e imperlando di fredde goccioline la fronte cerea, umida, interrompendo i rimproveri con duri colpi di tosse. Quando la malattia stuzzicava le membra, masticava sillabe su sillabe, graffiava pesanti parole e intercalava suoni gravi e acuti. Non cambiava però il loro significato, fermo, severo, risoluto. Kamui storpiava il sorriso e nascondeva i piccoli occhietti sotto una cascata color pesca. Raccolte in un’aranciata e sottile treccia, svolazzavano ciocche sfuggenti, mentre il giovane procedeva spedito verso la stanza dove soleva passare le notti. Kagura, dal canto suo, s’era rannicchiata al pavimento, nascosta tra gli scuri cunicoli lungo il maestoso corridoio e aveva coperto le orecchie con le fragili mani paffute. Dolorose parole schiacciavano il suo buon cuore, l’appesantivano e soffocavano quei sentimenti pronti al pianto. Vedeva la gioia appassire ogni qual volta era il suo baka aniki a soffrire, e traboccava l’azzurro dei suoi occhi. L’infelicità s’aggrappava con un morso insanguinato, che non poteva sfuggire, perché l’avrebbe annegato, perché, nonostante tutto, anche lui era debole.
Batteva i piedini avvolti in leggere scarpe di stoffa sul pavimento, raggiungendo veloce la cucina e alzandosi sulle punte, solo per tenere fra le dita la porcellana bianca della teiera. Ne versò teneramente l’acqua e immerse fiori di lavanda, donandole sapore. Giocherellò con i petali che affioravano sulla superficie bagnata, e quasi dimenticò di accendere il fuoco, bruciacchiandosi nell’impresa. Eppure i suoi occhi erano luminosi, candidi, orgogliosi del suo operato: Kamui avrebbe sorriso, sorpreso e stupito, sereno e felice, avrebbe riso, per lei, ancora una volta.
S’era infilata nella sua stanza e gli aveva offerto la tazzina colma d’acqua dorata, sedendo sul cuscino al suo fianco. Si porse a sorseggiare il tè ambrato, un po’ amaro, tiepido, troppo grezzo per considerarsi amabile, gradevole. Solo quando notò la sua piccola Kagura poggiarsi sulle sue ginocchia e scostare quel ciuffo che gli copriva il volto, un sapore sconosciuto baciò i suoi sensi.

Mielato, zuccherino, denso, vivo.

E a pensarci bene, it was the sweetest drink he’d ever tasted.





 




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