Parigi, 26 agosto 1788,
mattina
Caserma della Guardia
Cittadina
Ronde, solo ronde, da qualche tempo a
questa parte. Missioni contenitive, dicono. La gente continua a
riversarsi per
le strade. Sono tanti, sempre più violenti. Sono stanchi.
In fondo li capisco. Lo sono anch’io,
ed è strano trovarmi dall’altra parte della
barricata. Se potessi, anche io
chiederei le stesse cose che chiedono loro. Giustizia,
diritti… uguaglianza.
La politica è un grande aiuto per me,
in questi tempi di fermento. Leggo tutto quello che posso, ascolto
tutti i
discorsi che posso. Continuo a sperare nelle riforme. Vorrei che
Brienne fosse
dimesso al più presto, che richiamassero Necker e che
l’ascoltassero. Non c’è
Ministro delle Finanze che possa tenergli il passo, che abbia occhio
lungo come
il suo su ciò che c’è da compiere. Ecco
perché il popolo rumoreggia; e io prego
in silenzio che vinca, anzi, che con-vinca chi può decidere
il Bene e il Male
per la Nazione.
L’altro mio aiuto è la vita di
caserma.
Con l’occhio non va molto bene, ma riesco comunque a fare
tutto senza che gli
altri si accorgano del mio problema… a parte Alain. Lui ha
capito qualcosa, ma
di lui posso fidarmi.
Ho imparato a usare decentemente le
armi da fuoco. Con la spada, comunque, me la cavo meglio. Se avessi
entrambi
gli occhi, non avrei difficoltà a battere anche Alain, ne
sono sicuro; ma mi
accontento di non essere il peggiore.
Questa vita, con i suoi spazi angusti,
questa cuccetta scomoda e il lezzo delle camerate, ha i suoi lati
positivi. Dopo quasi sei mesi mi
ci sono abituato, a onta di tutti gli agi di cui godevo prima, come un
letto comodo, una ricca colazione e abiti sempre puliti e caldi.
Qui ho dovuto sperimentare un regime
spartano, che però ho scoperto piacermi. Anche solo
perché mi avvicina alla
vita della povera gente, alla realtà dei miei camerati. Li
osservo in silenzio,
non mi unisco a loro quando giocano a carte. Non li seguo nei
postriboli e non
cerco altro che il conforto di una bottiglia di vino, quando siamo in
licenza
insieme e quando non lo siamo.
Poi mi piace avere orari precisi,
compiti piccoli e grandi. Non devo pensare a me stesso, ci pensa il
sistema. Il
rancio è fissato, il riposo è fissato, la
stanchezza mi concede di
abbandonarmi a quelle poche ore di sonno che mi permettono di andare
avanti il
giorno successivo. Non faccio progetti a lungo termine, non posso
farne.
Concentro nell’attimo ogni pensiero, e scopro di potermi
concedere anche
sorrisi.
Lei è sempre lì. Ci incontra
nel
piazzale, ci addestra, ci guida e ci segue. Non parliamo spesso, e
quando
accade sono sempre discorsi qualunque. Non rinvanga il passato e
nemmeno io lo
faccio. Non la cerco con lo sguardo e non credo lo faccia nemmeno lei.
Alain a
volte mi osserva di sottecchi, e quando me ne accorgo scuote il capo.
Lui mi ha
già detto chiaramente cosa pensa di questa situazione: sono
solo un pazzo.
“Cosa speri di ottenere, a starle così
vicino?”, mi ha chiesto l’altro giorno.
“Niente”, dico, ed è
vero. Non voglio
niente. Se devo dare merito alla vita militare,
c’è anche questo: mi ha dato un
mezzo per disciplinare il dolore, il mio corpo, la mia
identità. Sono un suo
soldato, posso prendere ordini e parlarle attraverso le risposte alle
sue
domande. Ho un ruolo nella sua vita, posso assistere serenamente al suo
sbocciare
come Generale.
È un comandante eccezionale. Tutti pian
piano si stanno lasciando conquistare dal suo carisma. Nella Guardia
Reale
aveva sempre cura di tutti e pretendeva da tutti il massimo. Stavolta
è diverso,
però. Non è mai stata così attenta ai
pensieri dei suoi soldati. Cerca di
comprenderli, li ascolta, li osserva come non aveva mai fatto. So che
vuole
conquistarli, ma è molto scaltra e profondamente sensibile;
non cerca
scorciatoie, ma applica il principio di ogni grande generale, come fu
Cesare.
Si sottopone in prima persona a ogni missione e addestramento. Mangia
il nostro
cibo e a volte dorme in Caserma. Vorrei suggerirle di non farlo, di
riposare in
un letto comodo. Ma la gioia di saperla sotto lo stesso tetto, vicina,
è più
forte.
Cosa voglio… niente. Proteggerla mi
sembra sufficiente.
“Così ti
ammazzerai”, ha sentenziato
Alain.
È molto doloroso, è vero. Ho
male al
petto e allo stomaco, quando penso a lei e non
c’è. A volte, quando lei ci
guarda, ho la speranza che mi cerchi. A volte vorrei poterle andare
vicino e
farle una battuta, una qualunque, una di quelle che la facevano
sorridere. A
volte vorrei tornare il me stesso di un tempo. Ma so che non potrei
essere me
stesso senza di lei. Tutto questo è sbagliato, dice Alain.
Ma non posso fuggire
da lei. Lei è l’anima, e per quanti sforzi faccia
non posso sradicare l’anima
dal mio corpo prima che lo decida il Signore.
Allora ho deciso di
abbracciare il mio
dolore. Di vivere con lui come con un vecchio amico. Se
c’è un’ombra dietro di
me, voglio che mi stia accanto, perché nessun uomo
può staccarsi dalla propria
ombra. Essa è indispensabile___
***
–
André. – la voce di Alain strappò
André ai suoi pensieri, e fermò la sua penna
sul foglio.
–
Eccomi. È già l’ora?
–
No. –
Alain fece un sorrisetto. – Ma c’è
qualcuno per te.
–
Chi?
–
Una
vecchietta, purtroppo. – e fece una risatina.
–
Oddio…
André
uscì nello spiazzo interno della caserma, e vi
trovò Marie.
–
Nonna. – disse, con i denti stretti e
un’espressione accigliata. – Cosa
ci fai qui…
– André! –
esclamò lei, appena lo vide. Sembrava
triste e felice
insieme: portava una scatola, che porse al nipote prima che lui finisse
di
rimproverarla.
–
Buon
compleanno, tesoro.
André
prese la scatola dalle mani della Nonna, interdetto. Sospirò.
–
Sei
venuta in carrozza?
–
Sì.
–
Bene.
Non da sola, spero.
–
No,
non preoccuparti, André. C’è Jerome.
–
Lo
sai che ci sono stati tumulti a Parigi. Ancora non è
successo niente di troppo
grave, ma non è il caso di…
–
Non
lo apri?
La
Nonna sembrava eccitata, incosciente. André scosse il capo e
decise di farla
contenta.
–
Oh. –
Fragranza di mele e cannella invase il suo olfatto appena
aprì il coperchio. Era
una torta di mele, la solita torta di mele del 26 agosto.
La
Nonna lo contemplò con gli occhioni colmi, dietro gli
occhiali rotondi.
André
sapeva cosa provava. Da quando lui e Oscar non erano più
assidui a casa, la
Nonna si era intristita parecchio. Nei giorni di licenza,
André tornava da lei
e la trovava su di giri, felice fino ad avere gli occhi lucidi. Lo
copriva di
baci come un bambino, gli tastava le spalle e gli chiedeva se mangiasse
abbastanza. André riusciva a scherzare con lei, faceva il
gesto di gonfiare il
bicipite e borbottava “Figurati, con tutto
l’esercizio che faccio guarda che
muscoli!”, e la Nonna rideva nervosa, e tornava ad
abbracciarlo. Com’era
diventata piccola, pensava allora André. Iniziava anche a
dimagrire, lei che
aveva sempre avuto un seno dolce e generoso, lei nutrice, lei madre per
tante
volte nella sua vita. Lei severa e dolce insieme, lei buona anche
quando
fingeva di voler punire… cosa avrebbe dato, lui, per essere
ancora quel bambino
che temeva le sue mestolate.
Invece la vita l’aveva condotto sulla soglia dei
trentaquattro anni, la Nonna
era diventata piccola; la torta di mele che era tradizione del suo
compleanno e
che un tempo sembrava enorme, André l’avrebbe
potuta mangiare in pochi morsi,
perché era un uomo fatto ormai, e in caserma si nutriva meno
di quanto avrebbe
voluto.
–
Grazie, Nonnina.
Si
sorrisero.
–
Quando sarai in licenza, André?
–
Non
lo so, Nonna. Forse tra pochi giorni.
–
Allora
festeggeremo meglio… insieme, a casa.
–
Certo.
A
un
tratto, alcuni commilitoni chiamarono André. Il servizio
stava per riprendere.
André sorrise alla Nonna.
–
Devo
andare. E tu devi tornare subito a casa… oggi potrebbero
esserci di nuovo
problemi in città.
–
… va
bene, caro. – disse lei, insolitamente remissiva.
In
quel
momento, Oscar comparve dal portone centrale. Venne sotto il sole
d’agosto, e
il vento l’accarezzò. Sul suo viso fu stupore
appena si accorse di Marie.
–
Nonna. – disse, e Marie le andò incontro con
rinnovata energia, il sorriso
pieno in volto e la malinconia dimenticata per un attimo. Non
osò abbracciarla
davanti a tutti, ma le appuntò addosso uno sguardo vivace,
quasi ammiccante. –
Perdonami, so che non dovrei essere qui. Ma dovevo portare…
una cosa ad André.
– E le strizzò l'occhio.
Oscar
non sembrò capire. Alzò lo sguardo verso
André, interrogativa, ma lui si era
già allontanato; il suo passo placido risuonava
già verso i gradini del portone
secondario, dov’erano le camerate.
–
Oscar… – disse la Nonna, titubante. – Il
26 agosto,
ricordi… ?
– Oh.
– Per un istante, Oscar smise la maschera di soldato e
comandante. Sgranò gli occhi e si portò una mano
alla fronte.
La Nonna non fece
domande. Ebbe solo un’espressione triste:
che Oscar avesse dimenticato il compleanno di André, era
evidente. Eppure, ogni
anno quel giorno era stato occasione di festa e di sorrisi; una torta
con il
resto della servitù, una cavalcata in riva al mare di
Normandia, una bevuta
parigina, una gita.
– Nonna,
ora devi andare, ti prego. – le chiese Oscar. I
soldati avevano iniziato a radunarsi alle direttive di
D’Agout. Oscar cercò tra
di loro la sagoma famigliare di André, con gli occhi stretti
in due fessure
azzurre.
Alain
intercettò André nei corridoi.
– Eccoti.
–
Altri
tumulti, vero? – disse André, mentre
andavano in fretta verso le
scuderie.
–
Perché no, amico? Ormai non stanno fermi un giorno, i
Parigini. E fanno anche
bene. – ghignò Alain, poi
sbirciò ciò che André portava con
sé.
–
Cos’è?
–
Ah… la torta, dannazione.
– Torta?
–
Già. Me l'ha portata lei...
–
Aaaaaahn, è vero… oggi invecchi,
vecchio mio.
– E tu
come fai a saperlo?
–
Dimentichi che ti ho raccomandato io, per arruolarti? 26
agosto 1754: per essere un vecchio guercio, te li porti bene i tuoi
anni. – e
gli diede una pacca sulla spalla, con André che gli
rispondeva a tono di
andarsi a fare un giro per quel paese.
Ma i tumulti non ci
furono. A metà pomeriggio, di colpo, le strade risuonarono
di grida di festa.
NECKER!
VIVA NECKER!
LE COSE CAMBIERANNO!
André,
Alain e gli altri fronteggiarono una folla non belligerante.
La notizia della destituzione di Brienne e il ritorno in carica del
sempre
rimpianto Necker diedero una scossa alle intenzioni ostili dei
Parigini. Dopo
giorni di controlli, ronde sfiancanti e disordini, ecco un raggio di
sole.
– Tsk,
meno male. Tutto è bene quel che finisce bene… un
bel
regalo per il tuo compleanno, da parte del Re.
André
rise alle parole di Alain. – Dubito pensasse a me,
quando ha fatto questa scelta.
– Ma ti fa
piacere.
–
Sì, Alain. Mi fa molto piacere.
Alain se la rise di
cuore. – Bene. Benissimo. Lo dicevo che
in fondo sei a posto, anche se sei pazzo… e stasera
riceverai il tuo regalo di
compleanno. VIVA NECKER! – gridò in conclusione,
unendosi senza false
imparzialità al tripudio generale. Le strade principali
erano un’unica eco che
parlava di concordia; e come ogni fine e inizio, la speranza aveva un
effetto
lenitivo sulle teste più calde. Ma ormai il giorno volgeva
al meriggio, e il
meriggio sarebbe diventato tramonto, lentamente, sonnacchiosamente,
alla maniera
d’agosto. E la notte avrebbe potuto di nuovo svegliare la
Parigi dormiente e
assassina, quella che assaliva le carrozze e uccideva i nobili come
prede di un
formicaio.
Ma non sarebbero
stati loro ad assistervi. Il gioco dello
scarica-barile era ormai innestato: chi era di ronda, aveva le sue
rogne;
concluse, voleva solo il riposo e se ne fregava serenamente dei casini
dei
compagni. A ciascuno il suo. E così Alain e gli altri,
finito il turno e calata
la sera, salutarono D’Agout e si godettero la serata libera
senza nemmeno
passare per le camerate. André li seguì, sfinito
e per questo pago, già
pregustando la bevuta con cui avrebbe festeggiato.
– Fermo
lì, André. – gli ingiunse
però Alain, quando
smontarono da cavallo davanti alla solita locanda. – Tu entra
solo quando te lo
dirò io.
– Eh?
– Hai
capito bene. Anche voi, aspettate con lui. Prima vado
io.
André
cercò spiegazioni negli sguardi degli altri, ma
ricevette solo sorrisi divertiti. Ad Alain ci volle qualche momento, un
po’ di
discussioni all’interno: dalla porta uscirono, infastiditi,
un paio di
avventori.
–
Maledetti soldati, chi si credono di essere… –
stava
borbottando il primo, e il secondo:
– Io sono
qui da prima di lui. Dannazione, ce la pagherà.
Notando altri
soldati, i due se ne scapparono alla
chetichella, mormorando poche fumose minacce.
–
Ehi! Entrate, è
tutto a posto! – chiamò Alain dalla
sala.
L’oste
servì da bere a tutti, tranne che ad André.
– Tu dopo.
Il tuo regalo sta di sopra, vecchio mio. – disse
Alain, sollevando il bicchiere per un brindisi. – Berremo
alla tua salute!
Fatti onore!
André
intuì ben presto il senso di quelle parole e
dell’occhiolino che le accompagnò. Guardando in
alto, dalla balaustra si sporse
una donna dai capelli neri che lo osservava con curiosità.
Il taglio dei suoi
abiti non lasciava adito a dubbi, anche se la giovane età
addolciva la sua
figura e il sottinteso dei suoi movimenti e dei suoi sguardi. Occhi di
fuoco
per carne fresca, formosa e pronta a servire il primo cliente della
serata.
Fece anche un sorriso compiaciuto in direzione di Alain, squadrando il
cliente
a lei destinato con evidente soddisfazione. Il tutto senza una parola,
col solo
brillare della malizia tra le ciglia nere e dei denti tra le labbra
dipinte di
rosso.
– Offriamo
noi! – disse Pierre, ridendo.
– Forza,
André!
– Vedrai
il Paradiso con quel tuo unico occhio!
Le buone intenzioni
a volte sono indiscrete. Non tengono
conto dei motivi dell’altro: invadono, banalizzano,
ridicolizzano. André si
vide ricondotto al cospetto della vita senza passare per
l’anima, e questo lo
disturbò. Rise col cuore e gli occhi, li guardò
tutti già consapevole di quello
che avrebbero potuto pensare: – Bene, ragazzi, credo che
tornerò alle camerate.
Sono molto stanco.
Si fece ridere
dietro da tutti i compagni.
– Devi
essere un eunuco! – gridarono François e Pierre.
Gerard non si
capacitava, nemmeno Xavier. Paul rideva come
un matto, e Luc scuoteva la testa e si toccava la tempia con un dito,
guardando
Alain. – Mah!
Solo Alain non rise.
I due si fronteggiarono con gli occhi.
André rideva con le labbra all’insù,
placidamente, da vincitore.
Sei
sicuro di quello
che stai facendo?
Sì.
Sei
sicuro di voler stare
da solo?
Sì.
– Domani,
quando lo racconteremo… – stava ridendo
sguaiatamente Pierre.
–
SILENZIO!
Alain fece trasalire
tutti sbattendo un pugno sul bancone.
– Voi non
racconterete un bel niente.
E mentre
l’amico arringava così gli altri, André
chinò il
capo ai compagni, li salutò. La luna nacque sui suoi passi
di fuga: fuggiva
dalla vita, da un mondo di sensazioni senza Oscar. Era una fuga priva
di forzature, ormai spontanea e naturale come il respiro. Prese le
redini di
Alexander e salì in sella. Andò al passo,
seguendo la strada verso la caserma,
osservando le stelle sbiadite sopra di lui.
Qualcuno gli venne
incontro.
La luna
sparò un raggio bianco su di lei,
l’avverò. Ritta e
fiera in sella a César, veniva al passo anche lei, Oscar, la
bella senza pietà.
André la riconobbe anche così, per la patina
d’argento che la luna versò sui
suoi capelli.
I loro cavalli si
fermarono l’uno davanti all’altro, più
saggi dei loro padroni, più pronti a seguire la consuetudine
di una vita.
André,
nascosto dal silenzio, la osservò di sottecchi,
benedicendo la luna piena che gli permetteva di osservarla bene, di
riconoscerla.
– Pensavo
avessi la serata libera.
– È
così, – e André increspò le
labbra in un sorriso
spontaneo, – Comandante.
– Non sei
con gli altri?
–
No.
– Oggi
è andata bene con D’Agout.
Non era una domanda,
ma André rispose ugualmente. – Sì. Per
fortuna la gente era più impegnata a festeggiare Necker, che
ribellarsi.
Oscar
annuì. – Immagino tu sia molto stanco. –
C’era una
nota di apprensione, in quelle parole. André le bevve come
il vino mancato poco
prima.
– Non
così tanto. Ma… – una pausa,
cercò le parole – … mi
annoiavo. E così…
–
… capisco. – Oscar sorrise nella luna. –
Non avresti
voglia… di una bevuta?
André
annuì con un sorriso forte, il cuore scaldato da una
vampata di fiamma. Fece voltare Alexander, già pronto a
scortarla lungo la via
di un altro posto a lui noto, uno di quelli dove a volte andavano in
altri
tempi, quand’erano inseparabili.
–
No… – disse Oscar, scuotendo il capo, i capelli,
il cuore
di André che la stava osservando. Lei estrasse dalla borsa
allacciata alla
sella una bottiglia di vino. – Andiamo a berlo da qualche
parte, ma non al
chiuso. È una bella serata. – disse, con voce
serena.
Andarono al Monte
dei Martiri. A vederla da lì, lungo il pendio del
colle, Parigi era un reticolo di strade e quartieri tagliato dal nastro
della
Senna. Quella salita era terra franca, allora, fatta per il vento e i mulini. Ma era
un colle
prezioso, perché da esso si dominava tutta la
città, le sue guglie, gli edifici
medievali e i molti lampioni accesi a lucciole.
Smontarono da
cavallo nei pressi di una macchia. Lì i
cavalli si sarebbero riposati e nutriti, e loro avrebbero fatto lo
stesso.
Se dovessimo
immaginare i pensieri e il cuore di André in
quel momento, non vi sarebbero tremiti da raccontare. La sua gioia era
diventata pura come lo smalto della luna sulle superfici; rotonda e
compiuta,
aveva il sapore delle piccole cose felici. André non sperava
in nulla, perché
aveva imparato a non credere nella speranza. Possedeva, è la
cruda verità, la
fedeltà di un cane per il padrone. Ma aveva anche la grazia
soffice di un gatto,
la sua discrezione e il suo silenzio potente. E così,
tessendo il proprio
amore, avvolgeva di potere anche lei, Oscar, che rifulgeva serena sotto
i raggi
dell’astro. E i ricordi fioccavano nell’ora della
notte, ripercorrevano mani
pronte su redini sciolte, carezze ai cavalli e all’erba; li
ritrovavano seduti
su prati scoscesi per osservare vastità e bellezze, campi,
palazzi, città.
André
portò con sé la torta, ammaccata ma ancora intera
nella borsa assicurata alla sella. Oscar prese la bottiglia.
Erano affamati e
assetati. Sedettero accanto, al suolo, si
offrirono a vicenda quel pane dolce e quel vino. Bevvero dalla stessa
bottiglia
perché non avevano bicchieri, mangiarono l’uno
dalle mani dell’altra. Si
saziarono e si pulirono la bocca con il dorso delle mani, non avendo di
meglio,
in un gesto gemello.
Così
avevano mangiato e bevuto mille altre volte. Parlando, o in silenzio,
ridendo o dando spazio alla malinconia. Celebrarono il rito della
comunione, dunque, come sangue nel sangue. André
sentì il proprio corpo corroborarsi per la vicinanza di lei.
C'era benessere, in quella presenza. La sensazione di essere vivo era
tutta corporea, non necessitava d'alcuna cogitazione. Era Oscar a
ripristinargli il pulsare del sangue, a stroncare il gelo e permettere
al respiro di tornare, portando con sé il profumo di lei. La
sensazione d'essere ascoltato, accolto e rispettato nei propri
sentimenti lo invase e lo sorprese. E fu più dolce di quello
che stava mangiando, e più caldo del vino che stava
inghiottendo. In quel momento molte ferite sanguinanti furono sanate
nel suo spirito.
Quando il pasto si
concluse, contemplarono Parigi pieni di
sentimento per quella disgraziata città. Lei invocava in
cuor suo il canto dell’orgoglio
nazionale, lui l’uguaglianza stabilita da Dio.
Nel silenzio, la
voce di Oscar emerse come un battito d’ala.
– André.
–
Sì?
– Sono
felice che tu sia con me... anche quest'anno.
André
abbassò lo sguardo, abbozzò un sorriso e
guardò la
Senna lontana. Scorreva sempre, lei, libera come l'acqua.
____________________
Note.
- La data della nomina di Necker al posto di Brienne è
storica, ed è proprio il giorno dell'ultimo (sigh sob)
compleanno del nostro! Compleanno che in questo fandom oggi
sarà degnamente celebrato da molte scrittrici, nell'ambito
dell'iniziativa "Buon
compleanno André". Come altre volte,
sarà delizioso scoprire cosa ciascuna autrice
avrà immaginato: stesso tema, tante teste, la
varietà è assicurata! Buona lettura a tutti,
dunque!
- Carrozze assaltate dalla folla: secondo la cronologia ufficiale,
Saint Antoine si sarebbe verificato meno di un mese dopo questa
giornata. Quindi era un problema serio, eccome!
- Ho pensato a Pamina71
scrivendo una certa frase. Grazie Pam! :***
P.S.! Una nota stupefatta e doverosa! Inneggio al neurone che condivido con Lucy71 e mgrandier, che come me hanno trovato succoso lo spunto di questo 26 agosto 1788! Ma se con Maddy i presupposti sono diversi (e così il finale, arf!), con Lucy71 siamo partite dallo stesso inizio, la stessa atmosfera, gli stessi sentimenti e abbiamo addirittura scelto lo stesso titolo senza saperlo!! I finali son diversi e tutto poi si snoda autonomamente, secondo la sensibilità di ciascuna, è naturale... ma è stata davvero una cosa speciale. Cose incredibili di un fandom ricchissimo, dove ho trovato tante scrittrici di pregio con cui condividere l'amore per O&A e una certa affinità di sensibilità. E' vero: uno stesso spunto per teste diverse dà esiti diversi, ed è bellissimo riconoscere correnti affini e non. E siccome ci saranno molte altre iniziative come questa e quelle del 25 luglio e del 14 luglio... tutti pronti a nuove alchimie di cervelli e nuovi spunti!
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