Titolo: Polvere d'angelo
Fandom: Supernatural
Personaggi: Castiel, Dean
Words: 838
Genere: Introspettivo, drammatico
Rating: Arancione
Beta: PandaCho
Note: Piccola premessa. La storia
è ambientata nell'end-verse, quindi Castiel è del
tutto umano. Tuttavia, il racconto è dal punto di vista di
un Cass drogato e quindi la coerenza non è proprio il
massimo. Il titolo fa riferimento a una droga che è chiamata
"Polvere d'angelo" e che causa allucinazioni. Detto tutto, ma in caso
volete domandarmi qualcosa non esitate a chiedere ;)
Il pavimento ha una
consistenza gelatinosa, è così strano che non ci
abbia mai fatto caso. Si domanda se ne abbia anche lo stesso sapore, ma
poi assaggia la polvere sulla punta della lingua e il pavimento, si
scopre, ha un sapore forte, salato, un po' bagnato.
È inzuppato, Castiel.
Diverse ciocche di capelli si sono appiccicate alla sua fronte, ne
hanno artigliato la pelle e qualcosa - sangue? - cola fino
alla punta del naso, poi giù sulle assi di legno.
Solo che non è rosso ma trasparente: potrebbe essere sudore.
C'è un martello, però, che gli colpisce il cranio
ripetutamente e Castiel ne può sentire l'odore, l'odore del
sangue che gli inzuppa i vestiti.
Giace rannicchiato sul pavimento in una pozza di sangue che non ha
colore.
Ride, una risata spezzata dal respiro corto e veloce.
Ha tanta sete.
Dean ha con sè una bottiglia di birra, la tiene stretta per
il collo ma non beve. Si limita a guardarlo da lontano, seduto in un
angolo della piccola stanza.
Castiel schiocca le labbra infastidito. Ha sete e Dean non gli permette
di bere.
È crudele anche per lui.
Cerca di alzarsi dal pavimento, ma le mani scivolano e ricade al suolo,
sbatte il mento a terra e geme addolorato.
Dean adesso ha una mano sulle sue scapole - come ha fatto a muoversi
tanto in fretta? - e preme, preme sempre più forte, preme
fino a fargli male, fino a quando le sue ali sono troppo inzuppate e
stropicciate per spiccare il volo.
Strano che non possa sbarazzarsi di lui con un solo tocco di dita.
Crede che non gli sia permesso, però.
Dean fugge sempre quando cerca di toccarlo.
Chissà se l'impronta sulla spalla del cacciatore sia ormai
sbiadita col tempo.
*
* *
Ricorda vagamente di essere inciampato nella neve, però fa
troppo caldo perché possa essere inverno.
Con qualche piccolo sforzo si sfila la felpa di dosso, lasciando che
sia solo la camicia a sfiorargli la pelle accaldata.
Un bottone è saltato, probabilmente è colpa di
Dean: non sa come essere delicato, non con lui.
Pazienza, resta comunque la migliore camicia che possiede.
Ricade di nuovo sul pavimento e si arriccia su se stesso.
Fa così caldo che non può smettere di tremare.
*
* *
Deve addormentarsi, solo per qualche minuto alla volta,
perché ha degli spazi vuoti nella memoria che non riesce a
colmare.
Non ricorda come sia arrivato sul pavimento. Non ricorda di aver
vomitato, anche se ne sente l'odore rancido da qualche metro di
distanza. Non ricorda il nome delle stelle né quello dei
suoi fratelli.
Dean se lo ricorda, però.
Il suo nome ha un che di fastidioso, invadente, occupa tutto lo spazio
che ha nel corpo e preme per trasudare dai pori della sua pelle.
Ricorda di come lo ha salvato dall'inferno, l'anima ribelle stretta tra
le braccia e il fuoco che gli bruciava le ali.
Quello lo ricorda, anche se Dean l'ha dimenticato.
Forse dovrebbe ricordarglielo di tanto in tanto.
* * *
In qualche modo riesce a mettersi in piedi. La stanza gira e si
restringe, vuole intrappolarlo tra le quattro mura bollenti.
Quasi inciampa dalla fretta mentre esce dalla capanna.
Fuori è buio, una luna mezza piena che gioca a nascondino
nel cielo.
Non c'è anima viva quando Castiel si incammina sulla strada:
deve esser già scattato il coprifuoco.
Spera solo che le sentinelle non gli sparino a vista se lo vedono
barcollare da solo.
L'aria è una carezza così dolce, ma non
è abbastanza.
Ha bisogno di respirare, ha bisogno dell'ossigeno che i suoi polmoni
non possono prendere.
Sale le scale dell'edificio più alto del campo, un passo
dopo l'altro anche quando non riesce piú a respirare, sale
fino ad arrivare lì sul tetto dove gli sembra di toccare il
cielo.
Sa che non può toccarlo per davvero, ha bisogno delle sue
ali per farlo.
Le spiega con accortezza, sono ancora così bagnate, e poi le
sbatte giusto un po', quel tanto necessario affinché il
sangue senza colore salti via dalle piume.
Sono leggere e se non sentisse il lieve odore di bruciato, Castiel
potrebbe quasi credere che non ci siano più.
Eppure eccole lì, le sue piume color cenere.
Castiel alza il volto al cielo e fa un passo verso il cornicione,
cammina fino a sfiorarne il bordo con la punta dei piedi.
Guarda giù, solo per un secondo.
La Terra non gli è mai davvero appartenuta.
Muove un passo oltre il bordo.
Cade.
Indietro sul tetto.
«Che cazzo stai facendo?!»
Dean ha le braccia strette attorno a lui e sono entrambi seduti a
terra, Castiel con la schiena contro il petto del cacciatore.
Il respiro di Dean é veloce, a tempo col suo cuore
spaventato, e la stretta che ha su di lui è troppo forte: lo
lega a sé con un laccio che non può spezzare.
Castiel ride come un pazzo. Le sue ali stanno bruciando e non fanno
male.
«Dean, Dean! Guarda, c'è polvere d'angelo che cade
dal cielo.»
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