Kintsugi
Kintsugi
Il
kintsugi
(金継ぎ),
letteralmente "riparare con l'oro", è una pratica
giapponese che
consiste nell'utilizzo di oro o argento liquido o lacca con polvere
d'oro per la riparazione di oggetti in ceramica (in genere
vasellame), usando il prezioso metallo per
saldare assieme i
frammenti. La tecnica permette di ottenere degli oggetti preziosi sia
dal punto di vista economico (per via della presenza di metalli
preziosi) sia da quello artistico: ogni ceramica riparata presenta un
diverso intreccio di linee dorate unico ed ovviamente irripetibile
per via della casualità con cui la ceramica può
frantumarsi. La
pratica nasce dall'idea che dall'imperfezione e da una ferita possa
nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore.
Mitsumomo,
2x13
Ti guardo, Will.
Osservo il tuo volto
che si trasfigura in un misto di paura, incredulità, rabbia,
sgomento.
Posso sentire
l'odore di questo turbinio di emozioni mischiato a quel disgustoso
dopobarba di bassa lega che ti ostini ad utilizzare.
“Saresti
dovuto andare via.” Sibili, perché è
per questo che ho ricevuto
la tua telefonata.
“Non
potevamo partire senza di te.” Ti rispondo con ineluttabile
sincerità.
Avevo creato un
mondo Will, un mondo dove avremmo potuto vivere.
Io,
Abigail... E te. Un mondo possibile eppure unico, dove il tempo
scorre al contrario e le tazze si ricompongono. La perfetta
trasposizione materiale di uno dei tanti angoli del mio
palazzo
mentale, quello più intimo e caldo, quello che in uno
sciocco
romanzetto rosa chiamerebbero nido d'amore. Io preferisco definirlo
semplicemente casa.
Avrei perfino
acconsentito a lasciarti portare qualcuno dei tuoi cani con te, avrei
sopportato il loro olezzo e la loro mente semplice e arrendevole a un
gesto d'affetto qualsiasi, se avesse contribuito a seguirmi e
renderti felice.
Ma tu hai rifiutato
questa possibilità, rigettandola dalla tua mente labile
quanto
ostinata, per una sciocca cristiana condotta morale che già
sai non
potrai perseguire a lungo senza perderti nella follia.
Non possiamo
essere diversi da ciò che siamo, Will.
Non si può piegare
la Natura al nostro volere di uomini sciocchi, egocentrici e
presuntuosi.
Perché ti ostini a
voler essere come loro, come Jack, Alana, Chilton e tutti gli altri,
quando invece risultiamo chiaramente due facce della stessa medaglia?
Loro osservano il
mondo attraverso un semplice cannocchiale, perché la loro
visione è
semplice e limitata a pochi, stupidi precetti. Noi no, Will.
La
nostra condizione è tanto alienante quanto
superiore: il nostro
universo è un intero caleidoscopio di
possibilità. Io te ne ho mostrate
alcune, le più remote, complesse ed oscure, e tu
hai acconsentito
affinché ti facessi da guida, per poi buttare quel
caleidoscopio a
terra e frantumarlo in mille pezzi.
Non posso evitare di
punirti per questo affronto.
Ti
faccio una carezza, il gesto più affettuoso e primordiale
che abbia
mai rivolto a un essere umano da così tanto tempo che quasi
non
riesco a ricordarlo. Misha.
Lacrime sgorgano dai
miei occhi, andando a bagnare la camicia sporca di sangue e di
peccato.
Devo punirti, Will.
Devi sentire dolore per ciò che mi hai fatto così
come lo sto
avvertendo io.
Ti abbraccio
stretto, mentre ti apro la pancia, il sangue che imbarca il prezioso
parquet, i tuoi gemiti che stilettano il mio udito. Se anche vorrai
mai dimenticarmi, ci sarà questa cicatrice
a ricordarti ogni singolo
giorno di me. La vista e l'odore del tuo sangue, le smorfie di
dolore, mi portano una nuova ondata di rabbia e disprezzo.
Mi sono esposto come
mai prima d'ora, solo con te.
Ti ho messo a parte
della mia visione e del mio essere, perché tu potessi
comprendere
che non eri più solo, perché li sposassi entrambi
facendoli anche
tuoi.
Era un onore e un privilegio cui
nessuno aveva mai avuto
accesso. E tu non hai saputo che fartene.
Hai gettato il mio dono
lontano, come qualcosa che si rifugge, che si disprezza,
qualcosa che
disgusta e repelle.
L'allievo ha
superato il maestro. Con l'arroganza della bontà che ti
ostini a
voler praticare hai creduto di potermi rinchiudere, per proteggermi
secondo il tuo sciocco cuore, forse addirittura
redimermi.
Ma non
sono io a dovere cambiare, Will. Io sono già libero.
Sono già la
migliore, la più evoluta, la più completa
versione di me stesso.
Non posso più
regredire, il mio Divenire è già compiuto.
La colpa è tua, mi
hai seguito tra le cime più alte dell'Essere, sei arrivato
alla
meta, ti sei chinato sul precipizio e hai guardato giù.
Dovevi
buttarti, ti avrei tenuto per mano, invece sei fuggito, come
uno
scalatore in preda alle vertigini dell'esistenza. Non hai saltato con
me, Will.
Sono di nuovo
rimasto solo, dall'altra parte.
Io che ero riuscito
nell'impossibile: ricostruire la tazza, riportarti Abigail.
“Credevi
di potermi cambiare come io ho cambiato te?” Sibilo con furia
e
arroganza, facendomi beffe della tua ingenuità, umiliandoti.
Ma tu, il volto
cereo, il sangue che continua a sgorgare, gli spasmi che contraggono
ogni espressione, stai sorridendo.
“L'ho già
fatto.” Mormori,
gli occhi brillanti di chi sa di aver pronunciato una verità
incontrovertibile.
E il mio dolore e la
mia disperazione sono più forti dello sdegno, del
tradimento, del
furore, perché non posso non darti ragione.
Perché la ferita che ti
ho inferto, per quanto profonda, per quanto dolorosa, per
quanto
futura portatrice di una cicatrice ben visibile, ti
permettrà di
sopravvivere, come desidero che sia.
Perché sto provando
compassione, per te. E so che questo e tutti i sentimenti che ad esso
sono legati un giorno riscuoteranno il proprio prezzo, con te come
esattore.
Non basta. Non basta
infilarti un coltello nella carne, perché il dolore che stai
provando non è minimamente paragonabile allo sgomento che mi
pervade.
Devo colpirti al cuore, alla parte
più morbida e fragile,
devo straziarti usando la tua stessa empatia.
“Io
ti perdono, Will. Tu puoi perdonarmi?”
Tu sopravviverai.
Non Abigal. La tazza può ricomporsi una volta sola. Se va di
nuovo
in mille pezzi, allora è persa. Per sempre.
Ti osservo smaniare,
supplicare, gridare, piangere, mentre le taglio la gola da parte a
parte.
Sono consapevole che
ti perseguiterà a lungo questo mio gesto, che
affollerà i tuoi
incubi, che sfamerà i tuoi sensi di colpa.
Chiudi gli occhi, Will.
Pensa al fiume.
Panta
Rei
è la filosofia di Eraclito. Non si può discendere
due volte nello
stesso fiume. Non si può toccare due volte una sostanza
mortale nel
medesimo stato.
Tutto si disperde,
tutto si raccoglie, viene e va,
continuamente, in perenne mutamento. In perenne Divenire.
Io e te ci
rincontreremo. E non saremo più gli stessi.
Sono fuori, pronto a
scappare lontano. Alzo gli occhi verso il cielo e lascio che le gocce
di pioggia torrenziale lavino via il sangue dal mio volto, ma non il
dolore, non il mio cuore, quello sanguina copiosamente e non accenna
a smettere. So, pur nella fuga, di avere subito la più amara
delle
sconfitte. La
speranza, che si corrobora del mio conoscerti a fondo,
è che, quando sarai guarito, quando sarai tornato alla vita
e la
troverai ancor più insopportabile che prima del
mio arrivo, quando
sarai pronto, tu verrai a cercarmi.
“Hannibal
the Cannibal” mi hanno soprannominato, con un gioco
linguistico
banale e inetto.
Eppure, tu solo,
Will, mi hai divorato il cuore.
Hello,
darkness, my old friend
I've
come to talk with you again
The Wrath of
the Lamb, 3x13
“Sembra
davvero nero alla luce della luna..” è tutto
quello che riesco a
dire, zuppo di sangue, a tal punto da non riuscire più a
distinguere
se sia mio, di Hannibal o Francis, che giace a terra esanime dopo
una
lotta estenuante. Lo stesso sangue che ha disegnato a terra quelle
che paiono essere un paio di macabre ali in onore della dipartita
del Grande Drago Rosso.
Sono certo che Hannibal ne stia apprezzando il
lato artistico.
Eccolo,
anche lui scarmigliato, ferito, col fiato corto, un proiettile che gli ha trapassato l'addome, evidentemente provato dal combattimento, la bocca
gocciolante di vermiglio dopo aver letteralmente strappato via coi
denti la gola di Dolarhyde. Eppure non ha perso la sua eleganza nei
movimenti, la compostezza dell'espressione. Allunga una mano, mi
aiuta a rialzarmi, difficile farlo, con le gambe che tremano
convulsamente per la paura mista all'adrenalina data dalla
consapevolezza della sopravvivenza a una morte quasi certa,
ma, più
di tutto, dall'omicidio efferato che abbiamo appena commesso.
Insieme. Attendo il senso di colpa, che
non arriva. Solo
una sensazione estremamente simile al piacere fisico, quasi non
avessi partecipato a un crimine, bensì a un atto
sessuale, macabro
forse, ma non meno eccitante e appassionato.
“Hannibal
è.. Innamorato di me?” Doveva essere qualcun altro
a dirlo ad alta
voce, proiettare questo pensiero nel mondo, renderlo reale,
perché
mi rendessi pienamente conto della sua
compiutezza. Tutti i pezzi del
puzzle di questi anni sono andati insieme, con una luce nuova,
rischiarandoli, rendendoli pienamente comprensibili ai miei occhi.
Hannibal
che si è sentito tradito da me quella notte quando non ho
avuto il
coraggio di fuggire con lui, come, ora lo comprendo, un amante si
sente tradito dal proprio partner, che ha fatto in modo che io
potessi ritrovarlo, a Firenze, attendendomi davanti quel quadro che
l'aveva tanto affascinato anni addietro, mentre
invece ad ammaliarlo quel giorno c'ero io.
“Se
ti vedessi ogni giorno Will, per sempre, ricorderei questo
momento.”
Mi aveva detto, sfiorandomi il ginocchio con la mano, e non avevo
potuto fare a meno di sorridere, di accogliere quella
confessione a
cuore aperto, perché l'avevo già perdonato, con
poche semplici
parole, dentro a quella cripta piena di luci, certo che lui fosse in
ascolto.
Avevamo affrontato
Mason Verger, uscendone ancora una volta feriti, scossi, cambiati, ma
vivi.
Mi aveva salvato,
trasportandomi incosciente in braccio con non so quale forza in mezzo
alla neve, fino a portarmi al sicuro. Si era consegnato all' FBI, di
sua spontanea volontà,
forse l'unico modo per mettere le mani su di
lui, non prima di specificarmi: “Voglio che tu sappia dove
sono e
dove potrai sempre trovarmi.”.
Invece, ancora una
volta, ero fuggito. Da lui, da un mondo differente che non vedeva
l'ora di offrirmi, ma che non ero pronto ad accettare.
Molly, un bambino, i
miei adorati cani, un armistizio con la mia empatia.
Eppure un
pensiero si insinuava continuamente in quella nuova vita, che mi
teneva sveglio la notte, oppure
mi sorprendeva nei momenti più
inconsueti, come la mattina, da solo, nell'aria l'odore del
caffè.
E
quel pensiero aveva la sua grazia nei movimenti, i suoi modi cortesi,
i suoi vestiti sempre eleganti e inappuntabili, la sua voce, che mi
rimbombava nella testa. “Dove
potrai sempre trovarmi.”.
“Will,
quando la vita si farà insopportabile nel suo quotidiano
scorrere,
pensa a me. Non preoccuparti per me.”
Ad Hannibal non
potevo nasconderlo, a lui non avevo né avrei potuto mai
nascondergli
nulla di me stesso. Sapevo benissimo che aveva ragione.
Che una vita
ordinaria, una vita qualsiasi, una famiglia preconfezionata, a
lungo
andare, non sarebbe bastata più.
Non poteva bastare.
Non ad uno come me. Come noi.
E avevo realizzato
che l'avrei cercato per sempre, in un angolo remoto della mia testa,
ogni giorno, struggendomi dei ricordi che si affievolivano col
passare degli anni, centellinandosi, fino a
scomparire, lasciandomi
solo, con la mia empatia, un dono tanto grande quanto terribile,
senza più l'unica persona al mondo in grado di comprendermi a fondo
e, persino, apprezzarmi profondamente come tale.
E
alla domanda “É
stato bello rivedermi?” Avevo
risposto no, perché era stato molto di più e non
ero
in grado di trovare le parole per esprimere tutto quello che
aveva significato ritrovarmelo
ancora una volta davanti a me,
a capirsi con uno sguardo, consapevoli di essere il Re e la Regina di
quella scacchiera di semplici pedoni, e la frustrazione del non
poterlo toccare, limitandomi
ad appoggiare una mano sul vetro che a forza ci
separava.
Solo poche ore
prima, Hannibal mi aveva parlato della scogliera, di come il mare ne
erode la materia, lentamente, un minuscolo frammento alla volta,
inesorabile, fino a
divorarla e a vincerla.
Non
avevo
capito subito che, velatamente, era a noi
due che stava riferendosi. Ma, in quel momento,
alla luce della luna, la sciabordio delle onde come unico suono a
fare compagnia ai nostri respiri affannati, appuntellati l'uno
all'altro in bilico sull'oceano, improvvisamente
mi è tutto chiaro.
“Vedi?
.. Questo è tutto ciò che ho sempre voluto per
te, Will.”
Mormora,
gli occhi ridotti a due fessure piantati nei miei. “..
Per entrambi.”
A quelle parole,
sento il cuore ingrandirsi di un'intera misura, mi sento vivo, e, per
la prima volta in vita mia, completo, impaurito dal solo fatto che
quella dichiarazione di totale
riconoscimento, accettazione e
venerazione della mia persona possa essere troppo tutto insieme per
la mia psiche ultra empatica.
“É
bellissimo..” Sussurro,
incapace di dire altro senza che la voce mi
si spezzi, e lascio
che Hannibal accolga il mio capo
sul proprio petto, arrendendomi,
senza rimorso né difese.
Lo avverto
sospirare, sento le sue braccia deboli ma decise a stringermi di
più
a sé, come chi si ritrova, a sua volta, finalmente
accettato.
E
intorno a noi tutto, per una manciata di istanti, è
soltanto pace e
silenzio.
La
tazza si è ricomposta, i frammenti rimessi assieme col
sangue nero
alla luce della luna, le lacrime versate lontani l'uno dall'altro, le
ferite che si rimargineranno e quelle troppo profonde per permetterci
di adeguarci
agli altri.
Dentro quella casa, un
calice vuoto in mano,
temevo
di non riuscire più a essere felice. Adesso, invece, non provo
più alcuna paura.
“Non
puoi vivere con lui, non puoi vivere senza di lui.”.
Le parole di Bedelia
mi rimbalzano in testa.
Stringo più forte a
me Hannibal, senza che nessuno dei due pronunci una sola parola. Non
ce n'è mai stato alcun bisogno. Sento
che anche lui
sta giungendo alla mia medesima conclusione. L'FBI sta
arrivando, pronta ad ucciderlo e, se
sarà necessario, a ucciderci
entrambi.
Sorrido. Non ho mai
provato questa serenità prima d'ora. Sento che va bene
così.
Questo è il mio
Divenire. Qualunque cosa accada, andrà bene.
Un leggero colpo di
reni ed eccoci cadere all'indietro, con grazia innaturale, in pochi,
eterni istanti.
Perché quello che
voglio con Hannibal è un' Eternità, che sia in
questo mondo o in
qualunque Altrove possa esistere, sarà là che
andremo.
Lui non si muove,
non oppone resistenza, si limita a seguirmi, arrendendosi totalmente
tra le mie braccia, senza che la sua compostezza si scalfisca.
“Chiudi
gli occhi, Will. Pensa al fiume.”.
Forse la scogliera
si sarà erosa abbastanza. Forse.
Comunque vada, va
bene così.
THE
AUTHOR'S CORNER:
Cari Fannibals, questa OS è dedicata a tutti voi. Intanto se
arrivate a leggere queste poche righe significa che avete letto il
resto, e quindi vi dico grazie. So che
è poco di più di una riflessione su quanto
accaduto, ma
ho preferito non cambiare né aggiungere nulla a
ciò che
Fuller&Co. hanno creato.
Ho voluto legare i due episodi
perché li trovo speculari (e perché morivo dalla
voglia
di scrivere riguardo "Mitsumomo" dal POV di Hannibal, che
spero
con tutta me stessa di aver reso IC), mentre la 3x13 la trovo
perfetta per il POV Will, in quanto è la presa di coscienza
di ciò che è. La
tecnica del Kintsugi l'ho citata (vedi Wikipedia) per riallacciarmi al
famoso discorso della tazza (e perché fa molto
"titolo ricercato alla Hannibal").
I due
versi che separano i due episodi sono l'incipit di "The sound of
silence" di Simon&Garfunkel. La trovo splendidamente tetra per
i
Murder Husbands.
Ho
detto anche troppo, lascio che i Nakama parlino al mio posto. Spero che
la mia scrittura risulti all'altezza. Spero
davvero possiate apprezzare e, se vi va, lasciare una recensione, tengo
davvero molto a questo scritto,
così come sono legata a questa serie che mi ha lasciata
estasiata, in lacrime, annichilita di fronte a tanta
bellezza.
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