That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Orion - OB.004
- Rinuncia
-- revisionato luglio 2018 --
Orion
Black
Liverpool, UK - giugno 1964
«Walburga... »
Mi alzai di scatto e la raggiunsi, mostrandomi sorpreso ma tranquillo, lei si lasciò stampare un bacio formale
sulla guancia, come faceva sempre quando eravamo in pubblico.
«Volevo assicurarmi che non ti
stessi cacciando nei guai, Orion… »
Mi prese per mano e mi sorrise, gli occhi, però, erano
gelidi e restavano fissi sulla donna, chiaramente risentita, che divideva con me il tavolo più
appartato di quel bar all'aperto. Non sapevo cosa
pensare: Walburga era lì perché preoccupata
per me, per la discussione della sera precedente, o perché voleva tenermi d'occhio? E come aveva fatto
a sapere dove…
«Walburga vorrei presentarti… »
«... Elizabeth McKinnon, la
conosco già, Orion… »
La fissai, perplesso: che cosa voleva dire? Elizabeth non era il genere di frequentazione di mia moglie, come facevano a conoscersi? E perché, se si conoscevano, non c'era tra loro alcun cenno della testa per salutarsi, nessun sorriso, neanche di fredda cortesia? Inoltre io la davo per
morta da dieci anni, e come me chiunque altro avesse letto quel dannato articolo del "Daily Prophet", in cui si parlava del suo suicidio con i sonniferi babbani. In che circostanza si erano conosciute? Che cosa mi stava sfuggendo? Vedevo soltanto che Walburga assomigliava a una statua. Una statua i cui occhi saettavano fiamme.
«… dico bene,
signora Edgecombe? O ha già assunto un nuovo
cognome?»
Mi voltai verso Elizabeth: Edgecombe? Non ci capivo più niente.
«Ricordo che qualche anno fa
ha sposato il vecchio Andrew Edgecombe di Greasby, proprio pochissimi mesi
prima che passasse a miglior vita. Quando è
stato? Nel febbraio del 1958, o sbaglio?»
I miei occhi andavano dall’una all’altra, mentre strani brividi mi percorrevano la schiena,
era una partita di qualche assurdo gioco di cui non
conoscevo né regole né finalità, mi
era chiaro soltanto che chiunque delle due avesse vinto, io sarei stato
sicuramente il perdente.
«Non credo abbia avuto tempo
di parlartene, la signora McKinnon doveva approntare gli ultimi dettagli, peccato sia
arrivata troppo presto: dopo aver mandato a te una
foto, con cui ti ha rivelato di essere ancora viva, per attirarti qui, e
a me una lettera anonima, nella quale venivo informata che avrei trovato mio marito con
la sua amante in un’insulsa piazza babbana di Liverpool, immagino ti
avrebbe raccontato qualcosa di lacrimevole, poco prima del mio arrivo,
così che potessi cogliervi in teneri
atteggiamenti: ho indovinato?»
Walburga era ferma e impettita, il suo sguardo avrebbe potuto
congelare l’inferno. Ora anch'io fissavo Elizabeth, ero inorridito: ero convinto che il pericolo fosse costituito da Walburga e che Elizabeth fosse una vittima, come me. Un
lampo di consapevolezza squarciò finalmente il buio del mio cervello
limitato: avevo vissuto gli ultimi dieci anni straziato dai rimorsi per le menzogne e il desiderio di vendetta di una donna tradita. E la punizione, per quel mio lontano peccato, non sembrava ancora finita. Forse non sarebbe finita mai. Molte cose continuavano però a non avere un senso. Per esempio avevo provato un brivido di terrore quando Walburga aveva parlato di...
Salazar santissimo... Febbraio 1958… cioè un mese prima
dell'attacco a Deidra e Mirzam? Che cosa sta succedendo? Deve essere solo una tragica coincidenza, non può esserci un orribile e diabolico collegamento... vero?
«La signora Edgecombe, però, non ha
previsto che mi avresti confidato dove
saresti stato oggi e il motivo del tuo viaggio fin qui: la tua sincerità ha stupito persino
me, Orion! Quando ho ricevuto la lettera, ho pensato che mi
avessi mentito ogni giorno, in questi anni, ma quando hai iniziato a raccontarmi tutto, ieri
sera, io mi sono sentita orgogliosa di te… »
No, ti prego, non dirlo, Walburga.. non dirlo... non dirle di amarmi, non dire di provare orgoglio per me, andiamocene via, piuttosto, o pagheremo anche questo moto di superbia, oltre a tutto il resto...
Mi strinse più forte la mano, come quel giorno
davanti ai nostri parenti, quando per la prima volta avevamo fatto fronte
comune contro il mondo. Sarebbe bastato quel gesto, quella sua mano nella mia, a salvarci anche questa volta? O sarebbe stato proprio quel gesto, quella manifestazione d'amore, stavolta, a distruggerci definitivamente?
«Il sangue non è
tutto uguale, signora McKinnon, e il nostro è il più
puro tra i puri… e, soprattutto, è lo
stesso… »
«Ha ragione, signora Black, ho commesso l'errore di...
dimenticare... quanto conti per voi Black il vostro Sangue… Sangue Puro, dico bene Orion? Lo dice anche il
vostro motto… “TOUJOURS PUR”...»
Elizabeth non aveva replicato, fino a quel momento, ed anche ora aveva mantenuto un atteggiamento pacato e impassibile, ma accompagnò quelle ultime altisonanti parole relative al sangue dei Black muovendo in maniera inesorabile e repentina l'ultima foto rimasta ancora sul tavolo, così che finisse proprio sotto gli occhi di Walburga: e quell'unica foto ritraeva proprio la piccola Margareth.
Cazzo!
Impallidii mentre provavo invano a frappormi tra quella
dannata foto e Walburga, ma lei non mi mollava, mi teneva serrato a
sé. Strinsi i denti, furibondo, Elizabeth aveva previsto tutto, mi aveva invitato in una piazza
babbana proprio preparando quella mossa, nel nostro mondo avrei potuto far Evanescere quelle dannate
foto in un istante, mentre lì tra i babbani... Riflettei, se fosse il caso di rischiare, ma ormai
era troppo tardi: per un solo, impercettibile istante
Walburga aveva staccato gli occhi blu notte dal viso di Elizabeth per posarli
sulla foto. In quell'unico istante doveva aver riconosciuto per forza
in quel profilo ignoto la stessa perfezione che vedeva ogni giorno,
da quattro anni, nei volti dei nostri figli. Solo io, che ne conoscevo
i fulminei scatti d’ira, quelli che, nel corso di
pochi anni, aveva portato a una drastica riduzione del numero dei nostri
Elfi domestici e all'esposizione delle loro teste lungo la
scalinata di Grimmauld Place, percepii all'istante la variazione del suo
stato d’animo: in quel singolo istante, in quel rapido movimento della foto, Walburga aveva perso la sfida,
ed ora era accanto a me, travolta da dolore e sconcerto. A causa del nostro amore. In tutta la
mia vita, dilaniato costantemente dai sensi di colpa, non mi ero
sentito mai una merda come in quel momento. Nemmeno quando avevo
creduto di aver sulla coscienza la vita di Elly e di mia figlia.
«Walburga!»
Sentii la presa allentarsi fino a scivolarmi via dalla mano, mi
voltai, in tempo per riuscire a sorreggerla: era svenuta, sotto gli
occhi trionfanti di Elizabeth. Con la mano libera, presi la foto di
Margareth e gliela gettai addosso, con rabbia.
«Me la pagherai
anche per questo: sei soltanto una pazza da compiangere… »
«Se cerchi qualcuno da
compiangere, Black, prendi uno specchio e
guardati… »
Ghignò, fu come vederla per la prima volta: ero
stato io a trasformarla così? O la lussuria mi aveva reso
cieco fin dall’inizio, tanti anni prima?
«Sei solo feccia, e non parlo
del sangue sporco che ti scorre nelle vene… sei solo una sgualdrina, ed io, stolto, solo adesso ho
riconosciuto la verità!»
«La verità, Black?
Quale verità conosci? Non hai neanche idea di chi ha bendato
i tuoi occhi in tutti questi anni! Dovresti imparare a guardarti da chi
ti è vicino! Ho sempre pensato che ti fossi sposato solo per
obbligo, volevo divertirmi oggi a sventolarti in faccia la vita a cui avevi
rinunciato, ma vedo invece quanto siete legati… Ho aspettato dieci anni, per questo momento, ma sono stata ricompensata oltre
i miei sogni più arditi: sarà bellissimo vederti
di nuovo crollare nel fango, Black, quello che ti ho visto fare dieci
anni fa è niente rispetto a quello che accadrà
ora, perché ora perderai tutto quello a cui tieni, lo
sai? E Walburga, povera stolta, pensavo di punire la sua superbia di
purosangue, invece l'ho appena privata dell’uomo che ama, proprio
come voi luridi schifosi avete fatto con me!»
La fissai con odio e la mano andò fulminea alla manica
sinistra, in cerca della bacchetta: stava dicendo
la verità, Walburga ed io non saremmo mai usciti incolumi
dalla tempesta causata da quella donna. Avrei
fatto bene ad andare da mio padre, dieci anni prima, dicendogli tutto,
così mi avrebbe ucciso all’istante e Walburga si sarebbe salvata, avrebbe sposato un uomo migliore di me
e sarebbe stata felice.
E i miei figli… Merlino… Cosa ne sarà
adesso di loro? Tornati a Londra, Walburga mi
caccerà di casa e mi impedirà di vederli ancora...
Fu il pensiero dei bambini che mi fece ritornare in me: dovevamo
andarcene, se fossimo rimasti un istante di
più, testimoni babbani o meno, avrei ammazzato quella dannata puttana… Sempre tenendola
stretta a me, trascinai Walburga in un vicolo oscuro, da
dove ci smaterializzammo diretti
a Londra. Ad attendermi ormai, c’erano soltanto
cenere e inferno.
***
Orion
Black
12, Grimmauld Place, Londra - giugno 1964
«Walburga... »
Era immobile e in silenzio da ore, gli occhi persi sull'Arazzo: dopo
una settimana di mutismo e apatia, barricata nel nostro
appartamento, si era presentata nella sala da pranzo, aveva allontanato
gli Elfi con vari incarichi, fatto riportare i bambini nella loro
camera all'’ultimo piano, quindi mi aveva invitato a seguirla
nella stanza dell’arazzo, dove aveva gettato i Muffliato
più potenti a porte e finestre. Era pronta per la resa dei
conti.
«Per favore, Walburga,
parlami… »
Fuori la pioggia rigava i vetri: notai che la pioggia accompagnava sempre i momenti
più tragici della mia esistenza malata. Mi alzai dal divano
in cui ero rimasto a lungo in attesa, afflitto, le mani sulla faccia, a
riflettere sul niente, il cervello era ormai vuoto: anche se ci avevo
pensato per giorni, non trovavo un rimedio a quanto era successo.
Walburga doveva essere arrivata alla stessa conclusione. Era in
piedi, di fronte a me, mi dava le spalle, fissava senza sosta la porzione dell’arazzo che raffigurava noi due e i
nostri figli. Mi avvicinai e le presi la mano, abbandonata immota, lungo i fianchi: si lasciò toccare e fui tanto
stolto da prenderlo come un buon segno. Walburga si voltò, mi guardava senza neanche vedermi, ero diventato trasparente ai suoi occhi vuoti. Aveva una maschera d’indifferenza sul
viso, che non aveva indossato neanche quando, i primi
anni…
«Guarda l’arazzo,
Orion: vedi questi punti, dove il tessuto è bruciato? Ne
conosci il significato, vero?»
Non potei fare a meno di chinare lo sguardo, a guardarmi
le scarpe: era stato il mio incubo
per tanto tempo, vedere il mio nome bruciato via dall'arazzo dei Black, un tempo avevo pensato che il matrimonio con Walburga, per quanto orribile, mi
avrebbe almeno salvato dall’oblio e dalla vergogna.
«Quanto è profondo
in te il male, Orion? Quanto dovrei scavare a fondo per estirparlo
tutto?»
Estrasse la bacchetta e mi guardò finalmente negli
occhi…
Ecco ci siamo. Uccidimi e facciamola finita, brucia il mio nome,
rendimi solo una macchia di vergogna nella vita di chi ho
amato.
Non sentii le parole, solo una moltitudine di chiodi
penetrarmi la carne, il fuoco impossessarsi del mio sangue, mi contorsi
a terra, sperando di trovare pace, mentre le mie viscere sembravano esplodermi fuori, il cuore stritolato
da una morsa d'acciaio. Boccheggiavo, senza più aria nei polmoni. Non so quanto
durò, un istante o forse una vita intera, ma non era nulla rispetto
al dolore per le immagini felici che la mente mi rimandava indietro, mia moglie, i miei figli, tutto ridotto in cenere.
Tutto
perso. Per sempre.
*
Mi svegliò il gelo sulla pelle: aprii gli occhi e vidi la
stanza dell’arazzo illuminata solo dalla luce della luna che
filtrava dalla finestra. Ero ai piedi della parete, esattamente sotto
il mio nome, ci misi un po’ a rendermene conto, stordito
com’ero, assetato, infreddolito, dolorante. Quando i miei
occhi scivolarono lungo la stanza, intercettarono la sua figura: era
seduta sul divano, di fronte a me, vicina ma non tanto da riuscire a
raggiungerla, di certo ne sarei stato capace solo strisciando,
perché le mie gambe non potevano più reggermi. I
suoi occhi erano fissi sull’arazzo, mi sollevai appena sulle
braccia: mi aveva spogliato, o forse mi ero stracciato da solo le vesti
nell’agonia, avevo solo i pantaloni, vidi dei segni di
bruciatura sulla mia pelle, ma non avevo memoria di come mi avesse
attaccato. O se fossero i segni esteriori dell’inferno della
Cruciatus. In vita mia, nemmeno durante gli anni selvaggi di Hogwarts,
o durante le cacce al babbano, avevo mai usato le Maledizioni senza
Perdono. Walburga bisbigliava, una specie di cantilena infinita, quasi
fosse in tranche, non riuscivo a capire le sue parole, mi avvicinai
lentamente e quando finalmente udii, il sangue smise di scorrermi nelle
vene.
”E quanto è
contaminato il loro sangue? Quanto è contaminato il sangue
dei tuoi figli?”
Alzai la testa di scatto, nonostante il dolore e lo stordimento. No
quello no, non puoi dire sul serio.
“Sono anche
tuoi…”
Mi uscì in un soffio, la voce che implorava, come non avevo
mai implorato in tutta la mia vita. Per me non volevo niente, come
potevo anche solo osare pensare di vivere, dopo che avevo fatto
soffrire l’unica persona che nella vita mi aveva amato sul
serio. Mi rispose rapida, la voce alterata, chiaramente isterica, la
pazzia si era impadronita completamente di lei.
“Lo credi davvero, Orion? Io
non ne sono più certa, visto cosa sei tu, non basta il mio
sangue a compensare… Ora devono dimostrarlo, devono
dimostrare di esserlo… di essere dei veri Black …
Portarne il nome non è tutto, evidentemente… Solo
se sopravvivessero…”
“NOOO!”
Mi misi in piedi a fatica e feci due passi verso di lei, inciampando e
ritrovandomi di nuovo a terra. Non glielo avrei permesso: ero io,
l’infame, il traditore, la feccia, tutto quello che voleva,
ma i miei figli, i nostri figli, non doveva toccarli. Doveva passare
sul mio cadavere, e non sarebbe bastato nemmeno quello…
“Cosa stai blaterando? Cosa
c’entrano loro?”
Mi trovai di fronte due occhi morti, occhi di chi ha passato la linea
dell’esistenza e ha abbandonato qualsiasi speranza.
Dov’era finita la mia Walburga, quella donna carica di
passione che io, soltanto io, conoscevo davvero? Dovevo riportare la
vita in quelle vene e in quegli occhi, anche se ne avevo perso il
diritto… Per i miei figli, non era giusto cedere.
“Mio padre ha preteso che
sposassi te, perché… Leggi… leggi il
nostro stemma… “TOUJOURS
PUR”… Sai cosa significa, Orion? Stando a quello
che dice questo arazzo e questo stemma, potevamo mettere la mano sul
fuoco: i nostri figli sarebbero stati perfetti, puri…
ma… tu sei marcio Orion… il tuo sangue si
è legato con la feccia, il tuo sangue malato ha generato
l’abominio… Tu sei contaminato, Orion….
E se i tuoi figli fossero come te? Prendi Sirius, nemmeno mi si
è attaccato al seno: non ne capivo la ragione, ora forse ho
scoperto il motivo…”
“Walburga, che cazzo
dici?”
Urlai. Ero in ginocchio, mi rimisi a stento in piedi, sapevo che non
era saggio, ma per Merlino… Alzandosi, sfoderò
rapida la bacchetta dalla manica del vestito e me la puntò
tra gli occhi, arretrai guardando a turno la punta della bacchetta e la
sua faccia, mentre girava lenta, pericolosa come una serpe, attorno a
me.
“Modera le parole in questa
casa, Orion…. Non sei al cospetto della feccia che frequenti
di solito… Porta rispetto per il sangue dei miei padri, che
sono anche i tuoi… Visto che non ne hai mai avuto per
me…”
Deglutii a stento. Dovevo pensare e farlo in fretta. La Cruciatus mi
colpì silenziosa di nuovo, prima che potessi mettere insieme
un pensiero coerente: stavolta avevo ancora fiato e urlai, non
immaginavo di poter avere tanta voce nel corpo, la testa sembrava
esplodermi, il corpo era in fiamme. Fu breve e mi ritrovai di colpo
libero dalla tortura, tremante, ai suoi piedi.
“Walburga, per amor di
Merlino, farò tutto quello che vuoi…
Tutto….”
Mi chinai a baciarle i piedi, lei si ritrasse schifata e mi
colpì con un calcio.Dolorante, tornai all’attacco,
pulendomi il sangue dalla bocca con la mano.
“Puniscimi come preferisci, ma
ti prego, non toccare i bambini... Ti prego… Non te lo
perdoneresti mai…”
“Quanto amore per i tuoi
figli, ora… Dov’era il tuo amore per il futuro dei
Black quando ti scopavi quella puttana?”
Colpì di nuovo, questa volta a lungo, fino a che non persi i
sensi. L’ultima immagine che vidi mi s’impresse a
fuoco nella mente.
Era lucida e determinata… E piangeva.
***
Orion
Black
12, Grimmauld Place, Londra - agosto 1964
Ufficialmente ero malato, una qualche strana
malattia infettiva potenzialmente mortale, che tenne a lungo a distanza
amici e parenti: non sapevo se esisteva al mondo qualcuno che sapesse
la verità, oltre Elizabeth... probabilmente no, non era
certo il genere di cose che si vanno a raccontare in giro. Quella cosa,
in particolare, non poteva essere raccontata nemmeno ai parenti. Anzi,
soprattutto non ai parenti. Walburga non aveva deciso ancora cosa fare
di me, pensavo che mi avrebbe ucciso, in fondo la malattia che "mi
aveva colpito”, il 50 % delle volte, era mortale: per questo
i ragazzi erano stati spediti dai nonni nel Cornwall, quindi, per lo
meno, al momento, era scongiurato il pericolo che se la prendesse con
loro. Anche se non potevo sapere cosa ne avrebbe fatto una volta che
fossi morto. Speravo sempre che una volta scomparso io, la causa di
tutto, la lucidità e la pressione degli altri Black,
avrebbero messo in salvo i ragazzi. Le mie sedute di Cruciatus non
erano regolari, come non lo erano le visite che Walburga mi faceva
nella stanza dell’arazzo: era diventata la mia prigione,
diceva che dovevo riflettere lì sulle mie azioni, che dovevo
pentirmi davanti ai Black per quello che ero davvero. Kreacher mi
portava solo qualcosa da mangiare e acqua e stracci per pulire il mio
sangue, abbondantemente versato in quella stanza: senza magia, scoprii
che era davvero difficile togliere le macchie dal muro e dai tessuti.
Di solito mi colpiva brevemente ma con assassina intensità,
a tradimento, apparendo all’improvviso mentre ero prostrato
dalla fame e dal dolore e poi non la vedevo per giorni. Altre volte, e
quelle erano le peggiori, sembrava avere pietà di me, mi
soccorreva a terra, mi accarezzava e baciava e piangeva , ma non mi
parlava più. Quella era davvero la punizione peggiore per
me, perché era chiaro che mi amava e il fatto di amarmi
davvero, le rendeva ancor più difficile reggere la delusione
che le avevo provocato. E la faceva soffrire per quello che doveva
farmi.
Quel giorno le convinzioni di Walburga erano più deboli del
solito, capivo che le mancavo, come lei mancava a me. Forse avrebbe
voluto finirla, in un modo o nell’altro: uccidermi o
perdonarmi erano la stessa cosa, entrambi non le avrebbe portato
sollievo, perché, se mi avesse ucciso, non se lo sarebbe
perdonato mai, se mi avesse perdonato non avrebbe comunque
più provato rispetto e fiducia nei miei confronti. Gettarsi
alle spalle tutto era l’unica cosa che desiderasse veramente,
ma era anche l’unica ormai impossibile da realizzare. Per
questo si rifugiava nell’onore dei Black: doveva essere
vendicato, doveva essere risarcito in qualche modo. Ed io un modo
l’avevo trovato. Eravamo entrambi seduti sul divano, lei si
torceva le mani e si mordeva il labbro, io a poca distanza da lei,
morivo dalla voglia di avvicinarmi e abbracciarla. Ma non potevo
più farlo, ai suoi occhi mi ero approfittato fin troppo del
suo amore.
“Vuoi che vada via? Vuoi che
sparisca e non mi faccia più vedere? Vuoi che i ragazzi non
sappiano mai più nulla di me?”
Si voltò e vidi chiaramente il terrore sul suo viso, lo
stesso che provavo io, al pensiero che mi rispondesse “Sì,
è ciò che voglio.” Invece
no, nonostante tutta l’umiliazione, non avrebbe mai voluto
questo. Me l’aveva detto chiaramente anni prima: “Non mi
lasciare.” Non poteva umiliarsi ancora e si
diede una scusa, quella che sarebbe diventata, tra noi, da quel
momento, LA SCUSA: quella che avrebbe distrutto ogni
possibilità di tornare sui nostri passi.
“Certo, per farmi ridere
dietro da tutti quando tornerai da quella bastarda di tua figlia e da
sua madre? Quando sarà palese a tutti che… Per
questo non volevi sposarmi, non volevi figli da me… Ed
io… io, Walburga Callidora Black… mi sono fatta
toccare nella vita solo dalle tue sudice mani, mi sono fatta insozzare
dal tuo corpo contaminato… Salazar…”
Andò a gettarsi in lacrime ai piedi dell’arazzo,
nascondendo il viso tra le mani, graffiandosi come volesse strapparsi
via la pelle che avevo toccato, torturandosi le labbra che tante volte
avevo baciato. La raggiunsi, non potevo sopportare di vederla
così, preferivo mille volte un’altra Cruciatus.
“Walburga, ti
prego… Ti prego…”
M’inginocchiai davanti a lei, l’abbracciai
serrandole le mani perché non si ferisse più, le
appoggiai il capo sul mio petto. Merlino, com’era potuto
succedere tutto questo? Di nuovo mi lasciò fare: seguendo la
linea dei suoi pensieri, non avevo difficoltà a capire come
si sentisse in quel momento, quell’idea riduceva a pezzi
anche quel poco di buono che c’era stato tra noi,
capovolgendo il concetto di Bene e Male, Giusto e Sbagliato sui nostri
anni insieme. Sapevo che lasciandomi fare, la sua non era la resa di
chi è convinto, ma di chi non ha più la forza di
lottare. E attende, sconfitto, la morte.
“Tu non sei un vero Black,
nemmeno i tuoi figli possono esserlo, non lo sono più
nemmeno io, per colpa tua… la Sacra Casata dei Black
è morta, è questa la verità.
È finita… Lo capisci? Questo scandalo
travolgerà tutto quello che siamo e tutto quello in cui
abbiamo creduto. Per sempre…”
Si mise a piangere, non più disperatamente, ma un lungo
pianto silenzioso mentre le sue mani si perdevano tra i miei capelli:
era tornata razionale, disperatamente consapevole di essere innamorata
di un uomo meschino e non meritevole… Piangeva per se
stessa, perché sapeva che cedendo all’amore, aveva
perso la sua forza e la sua integrità, aveva perso la
possibilità di cancellare tutto. Ma se Walburga aveva smesso
di lottare per noi, dovevo farlo io. Per lei e per i ragazzi. Almeno
una volta nella mia vita.
“E’ vero, Walburga,
non sono stato il marito che meritavi, ma nel tentativo di rimediare mi
sono innamorato di te, e questo lo sai, lo sai nel profondo
dell’anima che io ti amo… Magari non basta, ma sai
che è la verità. E’ stato allora, solo
allora che ti ho toccata: tu sei pura e perfetta, i nostri figli sono
puri e perfetti, Walburga… Pensaci: avresti ragione se fosse
andata come tutti si aspettavano, se avessimo avuto un figlio fatto per
gli altri, non per noi stessi, non per l’amore che ci lega.
Abbiamo fatto di tutto per noi e per la nostra famiglia…
Sinceramente, non per convenienza. Il passato che hai visto
l’altro giorno, è solo mio… con tutto
questo, con tutto ciò che noi siamo, con tutto quanto
è racchiuso in Grimmauld Place, con l’arazzo dei
Black… quel passato non c’entra nulla…
T’imploro… Sono qui e ti offro la mia vita, fanne
quello che vuoi: uccidimi se ti dà sollievo, cacciami senza
timore, perché morirò nell’istante
stesso in cui mi dirai che non mi vuoi più accanto a te e ai
miei figli… Ma non prendertela con te stessa e con
loro… Non dovete soffrire a causa mia… Non
più. Lascia che soffra solo io, sono l’unico che
deve farlo…”
“Orion…”
“I bambini sono Black, sono
perfetti, sono tuoi… Solo tuoi.”
Mi baciò, ma i suoi occhi mi dicevano che non era convinta,
non aveva capito ancora quello che le stavo dicendo. Quello che le
stavo offrendo.
“Ora farò quello
che devo, devo andarmene alcuni giorni, perché non sono un
buon padre né un buon marito, e perché la sola
punizione che temo è quella di
perdervi…”
“No! NO!”
Mi arpionava per trattenermi, sorreggendosi a me… gli occhi
carichi di terrore.
“Devi crescerli tu i ragazzi,
Walburga, li educherai tu, come mi hai fatto capire, io non sono
abbastanza… io non posso, potrei rovinarli, anche senza
volerlo… ma ti giuro che rimedierò,
cancellerò i miei peccati… e solo a quel punto
tornerò a casa, e ti starò vicino, se lo vorrai
ancora… sceglierai tu cosa è meglio per i
ragazzi, li farai Black come vuoi tu… come sei
tu…”
“Ma cosa… Dove devi
andare? Cosa…?”
“Nessuno saprà,
Walburga… nessuno dubiterà…
mai… Non dovrai temere mai altre umiliazioni a causa
mia… Farò quello che va fatto, un Black deve
difendere la propria famiglia costi quel che costi… Dovevo
farlo anche prima… Una vita per una vita, non ci saranno
altri motivi materiali per cui tu e i ragazzi dobbiate vergognarvi di
me… Nessuno scandalo rovinerà la casata dei Black
per colpa mia... Te lo giuro!"
Mi alzai e la guardai, mi rimandò indietro uno sguardo
strano, allucinato, spaventato, un lampo di comprensione e subito
seguì il turbamento. Sapevamo entrambi che era la sola
soluzione, ma mi amava troppo per chiedermelo. Aveva capito, ma non
osava indagare, forse non osava sperare. E al contempo sapevamo che
ormai era finita. La nostra vita da quel momento cambiava per sempre.
Ora capiva e comprendeva perché dovevo andare e
perché mi sarei fatto da parte. Finiva la magia che avevamo
creato, da quel momento, sarebbe stata solo apparenza. Come avrebbe
dovuto essere dal principio. Mi chiesi se il grande architetto che
stava dietro a tutto questo non volesse arrivare proprio a quel punto,
in fondo era strano trovare l’amore nella casa dei Black, era
doveroso riportare la situazione alla norma. Forse era davvero
l’invidia degli dei. L’abbracciai, stringendola a
me, la baciai, cercando di trovare nelle sue lacrime e nel suo calore
la forza per andare avanti, sapevo che quell’ultimo istante
mi sarebbe dovuto bastare per tutta la vita. Sapevo che sarebbe stato
atroce viverle accanto e saperla non più mia. E lo sapeva
anche lei. Forse chissà, un giorno, un giorno la nostalgia
di noi, di quello che eravamo stati, avrebbe cancellato tutto questo,
ma non avevo il diritto di sperarlo davvero. Un ultimo bacio,
un’ultima carezza a quanto avevo di più prezioso.
Dopo oltre un mese uscii dalla stanza dell’arazzo, salii in
camera, mi ripulii con un colpo di bacchetta, mi vestii, salii con
difficoltà fino all’ultimo piano, entrai nella
stanza dei ragazzi e osservai i loro letti vuoti…
I miei piccoli angeli…
Quando li avevo baciati non sapevo che sarebbe stata l’ultima
volta… Sarebbe passato pochissimo tempo, prima del mio
ritorno, ma sarebbe stato come non ritornare mai più.
Lo sapevo e lo accettavo. Perché con le mani sporche di
sangue non avrei mai più potuto toccare il viso dei miei
figli. Perché l’assassino che sarei diventato non
poteva più baciare la loro fronte. Mi chiusi la porta e la
vita alle spalle: non potevo rischiare che un giorno soffrissero per
gli stessi miei errori.
***
Orion
Black
località ignota, UK - dicembre 1964
“Cosa?”
Forse un fruscio la rese consapevole della mia presenza, mi mossi
dall'angolo oscuro da cui la osservavo da un tempo indefinito, mi
sfilai il cappuccio dalla testa, un raggio di luna mise in luce il mio
viso. Urlò. Ghignai. L'avevo inseguita per mesi per mezza
Gran Bretagna, ma alla fine eravamo alla resa dei conti. Avevo gettato
potenti Muffliato su tutta la casa, nessuno l'avrebbe soccorsa, non
più, non quella notte.
“NO! NON PUOI, NON
PUOI… TU NON SAI CHI…”
Com’era diversa la sua espressione... Levai la bacchetta. Lo
pronunciai sottovoce.
“AVADA
KEDAVRA….”
La vidi cadere giù, come un semplice filo tagliato, lei,
Elizabeth McKinnon, la donna che mi aveva rubato l’anima e la
vita. Avevo passato dieci anni nel rimorso. Ora non sentivo altro che
sollievo. Il rumore nella stanza accanto mi riportò al
presente, raggiunsi il mio compagno. Arrivava forse la parte
più difficile, ma doveva essere comunque fatto, per poter
tornare a casa, e riprendere, almeno in apparenza, la mia vita. Lo
trovai di fronte alla porta dell' ultima stanza in fondo al corridoio,
il mantello nero lo copriva da capo a piedi. Lo raggiunsi.
“Fammi passare, voglio farla
finita...”
Estrasse la bacchetta e si frappose tra me e la stanza, puntandomela
contro, poi indietreggiò, fino a raggiungere la bambina,
nascosta tra l’angolo e il letto.
“Non metterti in mezzo
Alshain”
“Un giorno mi ringrazierai..."
Prese la bambina urlante per un braccio e
l’avviluppò nel suo mantello, smaterializzandosi
all’istante. Con rabbia mi guardai intorno, distrussi alcune
suppellettili e sfasciai la porta, di corsa tornai nell’altra
stanza, presi il cadavere di Elizabeth e mi smaterializzai, diretto a
Grimmauld Place. Dovevo farmela bastare, quel bastardo mi aveva privato
dell'ultimo lasciapassare.
***
Orion
Black
Cape Ham, Highlands - agosto 1964
“Non dici nulla?”
Alshain era seduto sulla sabbia, gli occhi persi da qualche parte sul
triangolo estivo, prendeva la sabbia e la lasciava scivolare via,
meccanicamente, io non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso, quei
tatuaggi m incutevano una sorta di religioso rispetto…
“Quindi hai proprio deciso di
farlo … “
“Sì,
d’accordo? Non sono qui per farmi fare la morale, tanto ho
ormai deciso… Ho fatto una cazzata dietro l’altra,
una più, una meno…”
“E ti senti pronto anche nei
confronti della bambina?”
“Che vuoi dire? Credi non ne
sia capace? Io non ho più nulla da perdere,
Alshain!”
“Orion!”
“Vorresti proteggere chi ha
distrutto la mia famiglia?”
“Non l’ha certo
scelto tua figlia! Inoltre vorrei che non ti rovinassi del tutto la
vita…”
“Vita? Quale vita? Io
…”
“Lo faremo insieme…
Tu ti occuperai di Elly, io della bambina…”
“La tua grande idea per
salvarmi è forse quella di dividere la cella ad Azkaban con
me? Non credo che Deidra sarebbe felice di questo… ed io
nemmeno, tu sei il padrino dei miei figli, hai una
responsabilità nei loro confronti…”
“Lo so, per questo devo farlo
io, al tuo posto. E per questo mi assicurerò che nessuno ne
sappia mai niente...”
"C'è sempre il complice..."
"Credo abbiano già ottenuto
quello che volevano..."
"Abbiano?"
Scrisse i due nomi sulla sabbia, e rapido li cancellò, io
rimasi orripilato, ma fino a un certo punto, in fondo sospettavo di
loro anch'io.
"Ma sei pazzo? Come puoi pensare..."
“Sei talmente ingenuo, Orion,
che a volte dubito che tu sia davvero un Black...”
Lo guardai con odio, come osava insinuare, anche lui...
“Il primo dei due, in
particolare... non ho le prove, non ancora, ma sono convinto che sia il
mandante dell'attentato a mia moglie… non ne capivo il
motivo, all'epoca, ma ora... ero a tanto così dal
capire… Conoscevo Edgecombe, quando ho saputo che era
morto… e al funerale l’ho vista... volevo
parlartene, ma, guarda caso, quella stessa settimana Dei e Mir furono
attaccati… è bastato quel periodo di
confusione… quando ho ripreso in mano la situazione le
tracce erano ormai sparite. E visto quanto eri felice, non me la sono
sentita di... che idiota!"
“Ma perché?
Perché?”
“Perchè se sei solo
ti governano meglio, Orion… perché sei da sempre
pericoloso col tuo cervello che ragiona senza rispettare le
convenzioni. Perché tu e tua moglie avete rotto un
tabù, vi amate sul serio, e c’è il
rischio che i vostri figli si comportino come voi… Orion,
secondo me stai commettendo un errore… non dovete tornare
indietro, non dovete cedere, gliela dareste vinta…”
“Se è come pensi
tu, Al, se non intraprendo quella strada, la prossima mossa potrebbe
essere contro Walburga o uno dei bambini... Preferisco sacrificarmi
io...”
“Orion…
è la loro libertà che stai sacrificando... la
loro felicità...”
“Tu sei il loro padrino,
Al… e Walburga ti vuol bene, non ti impedirà di
stargli accanto... Fallo al posto mio… fai in modo che
vedano come sono attraverso te… ti prego, te li affido come
se non ci fossi più…”
“Orion… ma ti rendi
conto che stai dicendo delle cazzate?”
“Devi giurarmelo... Voglio che
stiano qui, con te, proponilo come fosse un'idea tua… ti
prego… Io devo fingere di non amarli, devo allontanarli da
me, ma tu... devi tornare a Londra, Alsahin, ogni tanto, devono
conoscerti…. Ti prego…”
“Certo che verrò da
voi, certo che li inviterò a Herrengton... ma
perchè devi privarli del loro padre?"
"Perchè io non merito
più di stargli accanto..."
"Mi sembra che sia un prezzo troppo alto
da pagare al sangue dei Black..."
"No, Alshain... non sono indegno
perchè ho avuto quella bambina, sono indegno
perchè mi macchierò del loro sangue... Ed
è per questo che devo fare tutto io,nn posso lasciare che ti
sporchi anche tu..."
"D’accordo, ma a una
condizione… io sarò al tuo
fianco…”
*fine intermezzo*
NdA:
Finisce così, com'era iniziata, questa lunga carrellata
sulla vita di Orion Black: accanto ad Alshain Sherton. Questo
intermezzo non è esaustivo, mancano vari episodi importanti
che hanno caratterizzato la storia di Orion in relazione a Alshain,
Walburga e i bambini, non vi ho detto chi erano i complici di Elly e
che fine ha fatto Margareth, di tutto questo parlerò a tempo
debito. Il mio scopo "attuale" era far capire un po' meglio il "mio"
Orion, mostrare le circostanze che l'hanno portato a essere
così diverso dalla sua indole, riallacciandomi agli indizi
lasciati in giro nei precedenti capitoli. Possiamo intuire
già anche i motivi che hanno portato Walburga a trasformarsi
nella donna terribile che ci descrive la Row, in futuro prometto che
avrà modo anche lei di dire la sua. Colgo l'occasione per
ringraziare tutti coloro che hanno letto, aggiunto alle liste e/o
commentato. Alla prossima.
Valeria
Scheda
Immagine: al
momento non riesco a ritrovare la fonte di questa immagine.
|