"Souvenir dallo spazio" di Overlook è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Souvenir
dallo spazio
di
Overlook, 2015©
_
La
smeraldina pennellata d'improvviso data al cielo sovrastante non era
da imputarsi ad una sosta involontaria sul pianeta Namecc, anche
perchè di quello non ne era rimasta alcuna traccia
già da parecchio
tempo; piuttosto la causa di quella distorta percezione della
realtà
sovrastante la propria testa doveva ricercarsi nell'intimissima
abitudine che aveva iniziato a concedersi ogni giorno, in quell'unica
primavera che sino ad allora aveva visto avvicinarsi dapprima in
punta di piedi, poi avvolgente, in tutto il suo quieto divenire. Il
costante benchè non più ossessivo allenamento
psicomuscolare
occupava imperituro la mattinata, alle volte addirittura dalle prime
luci dell'alba, specialmente se, aperti gli occhi e tornato in
sé
dal sonno più profondo, accanto a lui non scorgeva altro che
un
groviglio indefinibile di lenzuola, vestaglia in seta candida e
pigiama over-sized. Si protraeva senza soste di
alcun genere
sino all'ora del pranzo, quando il figlio lo recuperava dalla stanza
gravitazionale ormai barcollante, ancora con la cartella sulle
spalle. Frequentemente i due s'arrangiavano tra precotti non del
tutto soddisfacenti, ma almeno satollanti e prelibatezze confezionate
in abbondanti porzioni dalla premurosa Bunny, che di certo il
passabile vizietto di prodigarsi per Vegeta e nipote non l'aveva mai
perso, neppure con il trasloco in tutt'altra parte, del tutto
indipendente, della tenuta. Ciò poiché Bulma,
frattanto promossa a
capo dell'azienda familiare, si vedeva costretta a non svolgere
più
soltanto l'amato lavoro puramente tecnico all'interno dei laboratori,
ma anche ad assolvere i doveri che un capace leader si presuppone
porti a termine brillantemente. Così era, infatti e lo era
talmente
tanto che Vegeta, a differenza delle volte, anni addietro, in cui
aveva assistito scocciato alla costante presenza nei propri paraggi
di lei e del figlio in fasce, ora si trovava piuttosto spesso a
cercarla non con la voce, ma con lo sguardo, ostentando una
noncuranza ingannevole solo agli occhi altrui, non a quelli della
propria coscienza finalmente riappacificatasi e ripulita per quanto
possibile, con quel sacrificio di portata e valore incommensurabili.
Silenziosi e sazi, muti complici di una comune e discutibile indole,
padre e figlio si dileguavano quasi a tempo, ignorando bellamente
posate e briciole sparpagliate sul tavolo. Dovevano pur far sentire
ancora di casa la madre di Bulma, dopotutto.
Se
Trunks, dopo la stravolgente vicenda legata al demone Majin buu,
s'era semplicemente riadattato alla quotidianità precedente
che lo
aveva visto trascorrere ore ed ore sui Paoz o al parco in compagnia
di Son Goten, sotto la sorveglianza dei giovani Gohan e Videl, Vegeta
s'era trovato invece quasi spiazzato dal binomio di tutto e
niente
che gli si era
parato davanti
agli occhi, nel momento in cui s'era messo a valutare come avrebbe
potuto occupare il tempo rimanente della propria giornata; in
particolar modo quando non la mente, ma il corpo, gli impediva oltre
ogni misura di ricacciarsi dietro al portellone blindato.
Così,
durante l'indolente passeggiare sul ciottolato che contornava
l'intero perimetro del cortile esterno, il saiyan aveva alzato lo
sguardo interrogativo in direzione del semisferico tetto della
propria dimora, constatando come il sole del primo pomeriggio, da
qualche tempo, riflettesse su di esso una luce a dir poco accecante,
pareva di assistere all'implosione di un'aura divina. Per questo non
ci aveva pensato due volte, a librarsi pacatamente in volo verso
quella superficie scottante, rilucente ed assolutamente priva di
qualunque minaccia alla propria quiete. Dapprima fermo, in piedi,
volto al suggestivo panorama cittadino sino ai monti Paoz, s'era poi
assiso comodamente in maniera che l'ampia schiena aderisse
perfettamente al fusto del comignolo posto lì su un lato e
le gambe
fossero rilassate nella caratteristica alternanza d'una distesa e
l'altra piegata verso il proprio addome. Era capitato però
che
quello stesso solleone tanto invitante e l'isolamento volontario che
si era conquistato, l'avessero condotto pian piano a scivolare da
così seduto a, infine, sdraiato in un sonno decisamente
piacevole e
ristoratore. Risvegliatosi un poco interdetto quando i raggi
dell'astro già da qualche minuto dardeggiavano d'un rosso
sanguigno,
aveva dovuto ammettere che la sensazione di pace fuori e dentro
sé,
tale sconosciuta, l'aveva avvinto, riuscendo pure nella titanica
impresa di slacciare il nodo ch'egli aveva tra occhi e labbra,
restituendogli uno sguardo un poco più disteso ed una bocca
non più
contrita nel naturale disappunto, ma quasi, impercettibilmente
sorridente. E se di primo acchito tutto ciò aveva destato in
lui il
pensiero che il rammollimento stesse incombendo, l'energia guizzante
tra le lenzuola condivise la notte e lo stesso impeto d'altra natura
riservato alle sessioni d'allenamento nella Gravity Room lo dovettero
in assoluto far ricredere. Quel lungo momento, dopo il pranzo, non
gli faceva altro che del gran bene.
Ecco
dunque che il principe, riaperti gli occhi mai assopiti, quel giorno,
s'era trovato a fare i conti con il fastidioso tiro mancino che la
luce solare di quelle ore spesso gioca alle pupille, illudendole d'un
cielo inspiegabilmente verdognolo e di sfocatissimi confini tra le
componenti sottostanti ad esso.
Il
mandorlo in fiore troneggiante sull'intera proprietà gli
sarebbe
parso ora un confuso ammasso di cirri e nembi, se solo non ne avesse
potuto ben fiutare il delizioso aroma che questo sprigionava ad ogni
flebile alito di vento. Era lo stesso mandorlo che gli aveva
instillato tempo addietro la curiosità per quella nuova
stagione* ed
ormai, prima d'ogni suo nuovo sorgere, Vegeta ne prevedeva la
rinascita solo osservando quei rami: da nodose braccia spettrali
tramutavano in aromatici virgulti colmi di piccoli boccioli color
pastello. Non che tutto questo lo avesse mai spinto a mutare la
propria natura aliena insensibile a tali fenomeni, ma qualcosa,
tutt'intorno a lui, proprio durante quel periodo dell'anno, cambiava
e traduceva ogni insignificante manifestazione naturale in piacevoli
spettacoli da osservare in totali silenzio e raccoglimento interiore.
Aiutato
da un lungo sospiro a pieni polmoni, si riebbe completamente e
issò
le spalle sino ad una posizione seduta, ad occhi nuovamente chiusi,
in attesa di debellare la sfalsatura nella visuale.
Lo
spostamento dell'aria sino ad allora quasi immobile lo condusse ad
osservare appena la traettoria in volo del piccolo Trunks,
già
impaziente di giungere nel più breve tempo possibile presso
l'abitazione di Son Goten.
“Ehi,
Trunks!”.
Il
ragazzino dovette frenarsi all'istante, inchiodando i propri
movimenti piuttosto sorpreso.
“Eh..?
Ah! Eccoti, ciao papà!”, gli si rivolse gioioso.
“Trunks,
vieni qui un momento”. Non
era tipo da farsi ripetere le cose due volte, specialmente dal
proprio maestoso ed adorato genitore. Non dopo quella stupenda prova
d'amore racchiusa in un solo, semplicissimo abbraccio.
Gli
stivaletti poggiarono su quella stessa superficie lucida e candida.
“Che
c'è? E dai, papà, Goten mi sta
aspettando!”, si lagnò il piccolo
guerriero, imitando le movenze di una corsa sul posto.
“Ora
ti lascio andare, dimmi solo una cosa: il tuo amico sta seguendo
qualche allenamento con Goku, che tu sappia?”. Trunks spesso
si domandava il perchè suo padre dovesse ogni tanto
uscirsene con
certi tipi di interrogativi, o meglio, non è che non ne
indovinasse
totalmente il motivo, ma la tangibile apprensione del suo tono nei
confronti di un potenziale netto sorpasso da parte degli altri due
compagni, gli pareva a tratti esagerata.
“Ma
no, figurati! Goten non si allena praticamente più. Goku
sì, l'ho
già visto tutto affacendato tra le rocce mentre vado a casa
sua, ma
non ci sono né Gohan né Goten con lui. È
proprio come te, papà. Anzi, no, un po' meno
bravo...”, rimarcò
ammiccante, conscio del buon servizio reso al padre.
Vegeta
abbozzò quel che poteva passare per un sorrisetto agli occhi
dei più
scettici e congedò sommessamente il ragazzino, aggiungendo:
“Puoi
rimanere là, questa sera, se lo desideri”.
Finendo
per far del bambino la preda di un motto d'eccitazione assolutamente
sincero. Era in effetti parecchio tempo che le nottate di veglia dei
due amici s'erano dovute far da parte in favore degli immani sforzi
per far fronte alla terribile minaccia color rosa confetto.
Osservandolo
ancora distrattamente allontanarsi, Vegeta s'alzò infine in
piedi,
deciso a terminare quell'oziosa pausa con una doccia fresca e magari,
perchè no, con una fugace capatina tra i corridoi dei
laboratori di
Bulma, giusto per sincerarsi ch'ella davvero non avesse fatto ancora
ritorno o se avesse potuto invece ostacolarne momentaneamente il
lavoro nelle maniere che loro due soli conoscevano assai bene.
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La
schiuma soffice ed avvolgente che gli aveva accarezzato le spalle
cesellate scivolava ora in un turbine infinito verso le tubature
più
anguste, raccogliendosi in parte ai suoi piedi e circondandolo come
un sottile piedistallo. L'aroma dolciastro sprigionatosi non lo
rendeva poi così soddisfatto, ma d'altra parte nessuno gli
aveva
imposto di gettarsi sotto l'acqua della doccia di quella
cabina, anziché di quella all'angolo sinistro del bagno
comunicante
alla propria stanza. Se ora si trovava ad annegare residui di
spossatezza e impensierimenti inutili proprio
lì,
era soltanto perchè qualcosa, in lui, gli aveva suggerito
che
l'impalpabile peso dell'assenza di lei si sarebbe sicuro placato
definitivamente, cingendosi i fianchi con il suo
asciugamani e rinvigorendosi con l'odore del suo
bagnoschiuma. Tutto talmente automatico, era stato, quel susseguirsi
di azioni intenzionali, che quasi ora era allibito. Da quando s'era
fatto così mollaccione? Era o non era pur sempre il grande
principe
dei saiyan, dal passato di stragista e dalle radici belligeranti e
nobiliari? Sì, lo era, lo era stato da sempre, ma quella sua
stessa
identità gli pareva adesso stargli addosso un po' stretta,
s'era
evidentemente plasmato qualcosa, in aggiunta a quel suo essere, che
non aveva poco a poco più permesso alla sua tunica di
statuaria
alterigia di calzargli come una seconda pelle e per la primissima
volta nella sua singolare esistenza, l'esserne pienamente consapevole
non soltanto non lo amareggiava, ma ne aizzava anzi il sempre vivo
fuoco d'orgoglio interiore.
Non
s'era mai sentito più vivo d'allora.
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Chi
non s'aspetta granchè o non spera più nel proprio
successo
professionale, si ritrova impreparatissimo nel momento in cui questo,
invece, si manifesta nella sua concretezza. Posto però che
Bulma,
per carattere e preparazione, da una vita era al corrente che presto
o tardi avrebbe sostituito il padre, aveva preso l'intero cambiamento
con estrema naturalezza, come logica conseguenza di anni ed anni di
duri studi ed esperienze pratiche sul campo scientifico e meccanico.
Era trascorso qualche mese, non di più, dalla sua ufficiale
promozione a capo della Capsule Corporation, ma lei, a differenza di
chiunque altro fosse stato ingaggiato al suo posto, era rimasta la
stessa donna particolarmente bella, dal fascino fuori dal comune, dal
carisma ben marcato; anche con tutti i relativi difetti imputabili,
quali l'essere eccessivamente linguacciuta e pure un po' capricciosa
in quel che la mai abbandonata vanità le serbava, anche se
il
trascorrere degli anni non le aveva aggiunto peso alcuno, anzi. La
maternità ne aveva arrotondato le forme già
generose, conferendole
un'irresistibile allure
del tutto imperscrutabile; ella stessa infatti, ad ogni sospetto di
avances da parte di un
qualunque collega, ribadiva fermamente di non stare a sforzarsi
inutilmente, che lei apparteneva ad uno ed uno soltanto ed era pure
ben voluta, l'omissione del termine “uomo”,
giacchè effettivamente di uomo non si poteva di certo
parlare. Ma
che ne avrebbero capito loro, tutti quanti, dal collega al
parrucchiere, dall'idraulico al muratore intento a ritinteggiare la
facciata frontale esterna di casa sua. Assolutamente nulla.
Banalissimi Terrestri.
Perciò, benchè il vago piacere di sapere d'essere
osservata come
oggetto del desiderio assoluto da gran parte del proprio staff -e non
solo- non l'avesse abbandonata praticamente mai, Bulma Brief
manteneva un profilo assolutamente basso, affabile e ridanciano, pur
sapendo essere davvero intransigente, molto più del padre,
con
l'incompetenza occasionale dei propri sottoposti. Non a caso, proprio
quel giorno, dopo una sfilza davvero infinita di richiami scritti e
verbali, aveva fatto convocare nella sede amministrativa
dell'azienda, in centro città, l'irriverente Satomi Kuraro;
giovanotto imbruttito dai vizi di alcool e fumo, egli aveva qualifica di
carpentiere, ma era dedito più che altro al disturbo
dell'altrui
lavoro, specialmente quello delle scosciate modelle che
quotidianamente posavano accanto agli ultimi modelli di autovetture
volanti per essere immortalate sulle copertine di riviste prettamente
maschili. Purtroppo, il marketing, chiedeva anche quel tipo di
collaborazione, per garantire il primato all'azienda e comunque Bulma
aveva con quelle ragazze un buon rapporto professionale, ne aveva
selezionate di assolutamente serie nelle proprie intenzioni.
All'ennesima interruzione dei suoi lavori con la saldatrice, con cui
si stava tenendo occupata, a causa dell'improvvisa entrata in
laboratorio di Stacey Tenzake -biondissima stangona d'origini
Anglosassoni-, urlante ed esasperata nel lamentarsi di un'inopportuna
manata sul fondoschiena a fine rullino, Bulma s'era ritrovata
costretta nemmeno troppo a malincuore ad impartire subito la
convocazione del giovane Kuraro nel suo studio in città, per
l'indomani mattina. A nulla erano prevedibilmente valse le mille e
più scusanti estrapolate dai balbettanti tentennamenti, lei
senza
mezzi termini gli aveva posto davanti il foglio di carta prestampata
e una penna nera, in attesa che siglasse il ritiro dalla prestigiosa
azienda.
“Ma...
Signora Brief, questa è la più famosa azienda di
produzione
tecnologica a livello mondiale, come farò a trovare un altro
posto?”, s'era rivolto forse più risentito che
mortificato.
“Non
credo proprio siano problemi dei quali io debba farmi carico,
signore, non posso più ammettere un tale comportamento
presso la mia
azienda! Ora firmi o chiamerò chi di dovere,
avanti!”.
Da
colpevole e quasi disperato, il grugno del ragazzo s'era trasformato
lento in un ghigno insolente, mentre poggiava nuovamente la penna
sulla scrivania, dopo aver firmato.
“Beh,
comunque... Sarà davvero un peccato, d'ora in poi, non
godermi più
quel suo bel corpo di fronte a me, mentre lavoriamo i laminati,
signora!”.
Furente ed indignata, le bastò solo serrare le
palpebre per richiamare un'ombra di autocontrollo:
“FUORI
DI QUI!”.
Dopo
aver così fatto comunicare alle modelle che il disturbatore
era
stato messo al bando, s'era concessa uno spuntino veloce, in linea
con i dettami che la recente dieta scovata tra le pagine di riviste
di gossip imponeva: una mela matura ed un vasetto di yogurt magro.
Doveva resistere, o quel paio di chili messi su durante la gravidanza
e per forza di cause maggiori mai più smaltiti, avrebbero
davvero
messo le radici in quel suo corpo tanto prezioso; ed il girotondo di
pensieri non potè finire su altri che Vegeta. S'era
domandata in che
modo trascorresse le giornate dopo gli allenamenti quando lei era
assente, ora che la pace s'era messa a regnare sovrana in quel mondo.
Chi sa se lo stesso accadeva in quello dentro di lui. Scorgeva di
tanto in tanto la luce d'un sorriso accennato, andandogli incontro
alla sera dopo ore di lontananza. Le pareva d'avvertire, nel tocco
irrinunciabile delle mani di lui intrecciate alle proprie,
nell'intimità della propria camera da letto, un calore
simile a
quello crescente di pochi anni addietro, ma non uguale; qualcosa di
più premuroso, di più naturale, s'era
impossessato di quelle dita,
che pure riuscivano a liberarsi e a tornar abilmente avide e torbide
al sopraggiungere di quella passione rovente che da sempre, o quasi,
li teneva attanagliati. Non era la stessa nemmeno quella, a dir la
verità. Sembrava essersi dileguata, la smania di possesso
fisico
fine a sé stesso, pur flebilmente condita negli anni
precedenti da
un accenno d'attaccamento. S'era seriamente sorpresa quando, la notte
seguente al ritorno a casa dal Palazzo del Supremo, lui le aveva
poggiato sul comodino la solita bottiglietta d'acqua che lei
nuovamente s'era dimenticata di portarsi in camera per la notte.
Insieme alla bottiglietta, soprattutto, le aveva portato egli stesso,
intriso di un nuovo sguardo. Era sempre severo, corrucciato, fiero,
ma in quelle iridi ebano riluceva qualcosa di simile ad
un'incontrastabile sentimento d'intesa, di silenziosa
complicità in
tutto quel che loro due sapevano aver passato, da soli ed uniti e
tutto questo, rincarato dall'impellente bisogno di tornare a fare
l'amore
insieme, davvero
insieme,
rivestiva quel corpo
irrobustito di nuova luce assolutamente mozzafiato. Benchè
lui non
se ne andasse più dalla stanza, al momento del sonno, o la
invitasse
senza mezzi termini a tornare alla propria, una volta satollato, i
caratteristici silenzi e ritiri in solitudine all'avvicinarsi di una
terza persona che non fosse il figlio rimanevano ben piazzati al
proprio posto d'onore e, a ben vedere, a Bulma ciò non
dispiaceva
affatto, anzi, erano proprio certi suoi tratti del carattere tanto
complesso a ricordarle, con malizia, cosa svariati anni prima
l'avesse indotta ad interessarsi assai poco innocentemente a quel
tenebroso, eroico guerriero.
Trangugiato
avidamente l'ultimo morso selvaggiamente inferto alla mela
giallognola, aveva nuovamente aperto il computer portatile nel
tentativo di portare a termine alcuni calcoli; un paio di sere prima
aveva notato un particolare, attraverso la potentissima lente del
telescopio posto al di sotto della calotta decapottabile della
propria dimora, che l'aveva lasciata perplessa. Ancora non poteva
definirsi davvero un'esperta in fatto di pianeti, stelle o semplici
nebulose; era suo padre, ad esser stato un vero pioniere in quel
campo, lei poteva dirsi la migliore nella costruzione di tutto il
necessario al raggiungimento fisico, di quei corpi celesti, ma
davvero la loro reale composizione, formazione e storia non erano il
suo pane quotidiano e le riminiscenze dal remoto viaggio verso Namecc
erano state insufficienti a delucidarla in merito a quel piccolissimo
punto di bagliore non segnato sulle cartine astronomiche a sua
disposizione, ovvero le più recentemente aggiornate ed
accurate.
Per
la verità non era mai stata tanto interessata alla volta
celeste e a
tutto quel che sopra di essa stava come da quando aveva intravisto
nelle iridi funeste del proprio ospite alieno un velo di tristezza,
in mezzo a tanto fangoso cinismo e altezzosità. Da quei
giorni erano
davvero trascorsi molti anni, ma di tanto in tanto a lei non
dispiaceva riprendere quella rilassante abitudine di sedersi, dopo
cena, davanti alla magnificente lunetta in vetro temperato e
trascorrere in quel modo anche un paio d'ore, se quelle fossero state
necessarie a placare la sete di scoperta del momento.
Un
tempo Vegeta era stato sempre altrove, in quei frangenti; che fosse
stato col figlio all'interno della Gravity Room ad allenarsi per il
torneo che avrebbe visto il ritorno sulla Terra di Son Goku o che si
fosse trovato abarbicato su un albero del giardino al pari d'un puma
per godersi il pungente venticello serale in solitaria, mai aveva
mostrato interesse per dove lei si recasse al termine del pasto. Ora,
certo, le cose erano un tantino diverse, dovette ammettere sorridente
e purpurea in viso come una ragazzina, il suo
principe dei saiyan l'era venuta a cercare più volte, sin
lassù,
dissimulando poi quella stessa intenzione con silenziosa noncuranza,
lasciando lo sguardo libero d'addentrarsi negli enormi fogli zeppi di
scritte ed illustrazioni, distesi sulla grossa scrivania in laminato;
era malcelatamente incuriosito dalla sempre sorprendente
abilità
ingegneristica di lei.
Tra
l'altro era proprio grazie a queste incursioni che per la prima volta
Bulma aveva avuto l'occasione di notare come anche il compagno avesse
una generale infarinatura su temi scientifico-meccanici, ma
soprattutto una buona preparazione astronomica. Beh, certo,
perchè
stupirsi? Dopotutto, Vegeta era stato a capo del più
scellerato e
capace gruppo di astronauti fosse
mai esistito.
Avrebbe
provato a domandare a lui, aveva già pensato, a proposito di
quella
luminescenza sospetta.
Non
le rimaneva quindi che riporre tutti propri effetti personali
sparpagliati in giro all'interno borsetta verniciata di bianco e far
finalmente ritorno a casa, forzatamente decisa a non mettere piede in
cucina, dove avrebbe divorato qualunque cosa avesse trovato a portata
di bocca.
Il
tacchettio sul selciato che conduceva al portone d'ingresso s'era
fatto porporzionalmente più pesante all'avvicinarsi
progressivo alla
meta. L'indice sinistro si pose ben fermo dinanzi al sensore ad
infrarossi e qualche secondo dopo, a seguito di un “bip”
fin troppo acuto, finalmente le vetrate si scostarono, dandole modo
di entrare e levarsi immediatamente quelle odiosissime scarpette
decolletées. Lei era
tipo da scarpa sportiva, da stivaletto, al massimo, quando si
trattava di dover stare fuori di casa per più di tre ore!
Nemmeno
le pantofole in spugna riuscirono a catturare la sua attenzione e, a
passo nudo e spedito, si diresse verso quell'unica stanza s'era
precedentemente imposta di non considerare: la cucina.
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Riuscire
a radersi di fronte a quel fastidioso specchio per tre quarti
occupato dal riflesso di innumerevoli flaconi di qualsivoglia
diavoleria per viso, collo, cosce, spalle, labbra e compagnia bella,
gli stava risultando assai problematico e un minuscolo, ma irritante
taglio sulla porzione di collo nascosta dall'ombra del mento, segnava
la difficoltà dell'impresa. D'altra parte era stata solo
pigrizia,
la sua, quella d'essersi portato dietro dal proprio bagno
l'occorrente per la rasatura che avrebbe invece potuto benissimo
effettuare nella più completa libertà di visuale
offertagli dalla
sterilità del suo spazio più privato.
Pazienza,
ormai il lavoro era praticamente completato, il taglietto da nulla si
sarebbe rimarginato spontaneamente in meno di un'ora e in cambio i
suoi zigomi gli avrebbero restituito la liscezza necessaria a non
irritare la pelle già madida durante gli allenamenti.
Gettata
la lametta monouso nel cestino appena sotto al lavabo, Vegeta
riuscì
a procurarsi dall'armadietto lì vicino un asciugamani
abbastanza
ampio da fasciarvi il bacino possente, ma non senza
difficoltà: in
giro per quella stanza aveva scorto solo salviette in lino in grado
forse -forse- di contenere la pienezza dei seni di Bulma e il suo
stretto vitino da vespa, ma sicuramente non la troneggiante massa
muscolare che si mostrava con indecente arroganza su tutto il suo
corpo. Con un lievissimo incremento della propria aura, capelli e
membra furono subito asciutti e si sarebbe diretto, ben spedito,
verso la propria stanza in cui avrebbe trovato biancheria ed abiti
sportivi puliti, se solo alle sue narici aliene non fosse
d'improvviso giunto un aroma tale che, a confronto, il mandorlo ora
pareva esser divenuto un insulso ippocastano.
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Quanto
aveva fatto penare, quella donna, con le sue viziate pretese. Non
aveva mai voluto assaggiare più di un pasticcino dei
quintali che
portava a casa sua madre, da anni, ogni giorno quasi. Bunny aveva
trovato di sicuro la pace dei sensi, dopo una vita di delusioni in
quel senso, quando la figlia aveva recato al proprio cospetto il
principe Vegeta. Silenzioso, ingrato, cafone in quel trangugiare, era
riuscito in poco tempo a conquistare ogni suo favore, fosse stato
anche soltanto per la soddisfazione di veder sparire avidamente tutti
i dolcetti che lei acquistava, giuliva peggio di un'oca. Per non
parlare dell'arrivo di Trunks con la sua veloce crescita; lui che
allo stesso modo paterno faceva scorpacciate di quei dolciumi,
aggiungeva pure molti “Grazie, nonna!”
ed altrettanti
“Buonissimi!”, che la mandavano
letteralmente in
visibilio.
Bulma
proprio non riusciva a comprendere cosa ci fosse di tanto
fantasmagorico nel dedicarsi alla sola ricerca di leccornie e, ancor
più, cosa trovassero gli altri due di tanto appagante nel
divorarne
interi vassoi quotidianamente. Quei maledetti saiyan, non
hanno
nemmeno la più pallida idea di cosa voglia dire il rischio
di
perdere il peso forma!, biascicava tra sé e
sé, tutta assorta
nella preparazione di una gran tazza di cioccolata calda. Al diavolo
la dieta, per uno sgarro non sarebbe crollato il mondo, di certo. I
piccoli piedi pallidi a contatto con l'impiantito scuro le parevano
cadaverici, tutti segnati dall'orlo smerlettato di quei tacchi
terribili. Quand'è che avrebbe potuto infilarsi nuovamente
l'adorata
divisa da lavoro e dedicarsi con gaudio ad avvitamenti, bulloni e
grassi lubrificanti? Suo padre possedeva ancora tutte le piene
facoltà di sé e avrebbe potuto tranquillamente
rimanere un altro
paio d'anni a reggere l'intera baracca, ma figurarsi, pigro era e
pigrissimo sarebbe rimasto! I grandi occhi azzurri truccati appena da
un velo di mascara nero, così concentrati sulla superficie
marrone
della tazza colma di cioccolata, non si avvidero subito della
presenza scultorea del principe dei saiyan, piazzato sfacciatamente
sul ciglio dell'ingresso della stanza, coperto dal solo asciugamani
legato in vita. Era stata una delle sue più martellanti
fantasie,
quando ancora altro non erano che coinquilini, trovarselo lì
di
fronte, seminudo, ma quei pensieri avevano dovuto attendere
pazientemente la nascita di una passione, un abbandono funesto, un
ritorno combattuto, un'epica battaglia ed infine... Il trasloco
altrove di Bunny Brief.
“Ciao
tesoro! Scusami, non ti avevo proprio notato”.
S'era
illusa profondamente di sentirsi rimandare un saluto, un cenno, un
tiepido sorriso, ma ciò che ricavò fu un solo
sguardo, talmente enigmatico, così profondo e indicibilmente
magnetico e seducente in quel suo naturale modo di porsi, prima di
spostarsi nella stessa direzione che i passi avevano ripreso, fuori di
lì, da lasciarla praticamente squarciata a metà,
tra il senso di disincanto per la delusione appena incassata e
l'attanagliante desiderio di sostituirsi completamente
all'asciugamano che, nemmeno troppo, lo copriva. Quel fare,
però, Bulma lo sapeva ormai interpretare alla perfezione;
racchiuso in esso stava il concetto "Desidero essere lasciato da
solo, per ora" e non vi sarebbe stato nulla di strano,
alcunchè di cui preoccuparsi o da cui rimanere ferita, essendo quello uno dei segni distintivi della propria indole, senza che a pagarne il prezzo fosse il loro rapporto... Se solo questa consapevolezza tanto intima fosse risultata sufficiente ad estinguere l'incendio
divampato nell'area del basso ventre, da dove fulmineamente era
riuscito a protrarsi sino alla punta dei piedi, ora quasi violacei.
Altro che cioccolata, quella non
sarebbe mai bastata a placarle... L'appetito.
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Malgrado
l'avesse
cercato in camera sua ad intervalli regolari, tutto ciò che
era
riuscita a trovare era stato il suo telo, appena umido, poggiato
ordinatamente alla spalliera del letto di Vegeta. Non
è
possibile, non posso averlo lasciato senza asciugamani!, si
era
domandata retorica ed infatti dopo un rapido controllo all'interno
della sua stanza da bagno aveva constatato che lì, di
asciugamani e
salviette, ve n'erano in abbondanza. Non importava, in fin dei conti;
quel che ora le premeva era piuttosto sapere dove si fosse cacciato
lui e pure Trunks, che invece non aveva
più visto
dal mattino presto, in procinto di recarsi a scuola.
Nessuno
di loro,
però, si trovava nelle rispettive stanze e Bulma francamente
aveva
già messo a dura prova la propria pazienza e le proprie
meningi,
quel giorno, perciò si risolse a pensare che quei due
scellerati
avessero tagliato la corda per qualche ora di caccia e di lotta
chissà dove, azionando il portellone d'ingresso
all'osservatorio
astronomico all'ultimo piano; vi si sarebbe serrata ben lieta,
specialmente per non dover piazzarsi davanti ai fornelli nel
tentativo di soddisfare quei due stomaci impudenti.
“Era ora, un altro
po' e avrei concluso fossi svenuta davanti alla tazza di
cioccolata, a giudicare dal rossore che t'era preso alle
guance...”, sibilò
sarcastico
Vegeta, stagliato come un'ombra satanica di fronte all'ampia vetrata,
accanto al telescopio principale. Il tono di voce con cui
proferì
quella frase che l'aveva fatta trasalire era smaliziato ed
estremamente confidente, a nessun altro avrebbe mai rivolto una tale
intimità verbale, questo lei lo sapeva bene, ma
ciò nonostante non
potè esimersi dallo sbottare in rimando:
“Quando
la
smetterai di cogliermi così alla sprovvista?! Ti ho
già detto che
sono molto delicata, io... Non posso rischiare un infarto tutte le
volte che tu vuoi giocare a nascondino!”.
“Piantala.
Piuttosto, mostrami quel che volevi io ti chiarissi”. Il tono
di lui si fece serio, ma non irritato, anzi, come incuriosito.
“Ma di che cosa
stai par-...A-aspetta un momento... E tu come fai a saperlo,
scusa?”.
Sarebbe
servito a
qualcosa risponderle che da quella stessa vetrata su cui lei puntava
il telescopio, lui la osservava al pari d'una stella splendente,
assiso alla penombra di una luna pallida e traslucida? Soltanto a
tirare una bella pugnalata al proprio orgoglio, perciò no,
non le
rispose affatto così.
“Li ho visti, quei
fogli, laggiù, l'altra sera. Se non avessi dovuto domandarmi
qualcosa in proposito, perchè mai ci avresti scritto sopra
tutti
quei punti interrogativi insieme al mio nome?”.
Sostò
per la durata
di un attimo, nella testa di Bulma, il pensiero che, sì, lui
avesse
ragione, ma nomi di ragazzi accanto a svariati ghirigori erano stati,
al tempo delle scuole superiori, alcuni dei suoi più
frequenti
scarabocchi. Incredibile come per quelle cosucce da nulla, l'abissale
distanza tra le loro nature si facesse sentire infingarda.
“Beh, sì, per la
verità ci sarebbe, una cosetta... Ma
prima, hai idea di dove
possa essersi cacciato Trunks?”
“Gli ho detto che questa
notte avrebbe potuto rimanere dal suo amico”.
“Intendi dire
Goten? Ah, ecco! Bene, benissimo, dovrò preparare solo a te
allora,
la cena, che sollievo!”, squittì lei emettendo un
sospiro.
“Avanti, non
perdiamo altro tempo, dimmi che c'è che non ti
torna”.
Così
Bulma scostò
la sedia girevole, che in quel divampante buio aveva perduto ogni suo
confine materiale, facendole venire il timore di non centrarla e
finire perciò col sedere a terra. Vegeta s'era avvicinato
alle sue spalle, felino, ma le
diede tutto il tempo di avvedersene e rimase lì
fermo,
ben diritto.
“Aspetta, fammi
mettere bene a fuoco... Dunque, quarantadue gradi a ovest della
Costellazione del Carro... Mmmh... Oh, eccola lì! M-ma, un
momento,
la notte scorsa non era tanto grande! Accidenti!”.
Spostandosi
per dar
modo di osservare anche al compagno, gli afferrò
delicatissima la
mano e in un naturale susseguirsi di gesti, lui non s'era affatto
ritirato, ma s'era anzi fatto accompagnare sin assiso, lasciando che
lei posasse infine le proprie mani affusolate sulle sue spalle.
“Riesci a mettere
a fuoco? Vuoi che ti aiuti?”, gli aveva alitato dolce
all'orecchio, già pronta a prodigarsi.
“Fammi il piacere,
Bulma. So manovrare questo tipo di aggeggi da prima che tu
nascessi!”
Il
che le era
suonato piuttosto antipatico, da dirsi, dato il paio d'anni scarso
che li distanziava.
Un
buon minuto era
trascorso e di Vegeta non s'era più udito nemmeno un
sospiro. Bulma,
per non disturbarne lo scrutare della volta celeste, era rimasta muta
a sua volta, ma quando il principe si fece scivolare le mani in tasca
alzandosi quasi di scatto, non le riuscì più di
trattenersi:
“Allora? Che cos'è, secondo te?”, ma
in rimando, prima di tutto, ebbe solo uno sguardo di quelli che
sapeva lui avrebbe riservato solo ad un certo tipo di questioni, non
certo a quelle relative ad una quasi romantica osservazione degli
astri insieme.
“Bulma... Non
provare a seguirmi, mi sono spiegato?”.
_
Quand'era
stata l'ultima volta che aveva dato fiato alle corde vocali? Le
pareva fossero trascorsi eoni, perchè quando aveva richiuso
le
labbra, il sapore impastato e secco tra la lingua ed il palato le era
giunto su tutte le papille gustative.
“E-E
ora dov'è andato?!” s'era domandata ad alta voce,
come risorta da
uno stato di trance mistica. Non s'era nemmeno del tutto accorta
della partenza in volo supersonico di Vegeta, verso quel manto ormai
del tutto nero, puntellato di minuscole stelle. Per la
verità, una
di esse pareva esageratamente grande, per essere definita come le
altre ed in quel momento a Bulma tornarono in mente il discorso
lasciato in sospeso solo qualche istante prima, ma soprattutto gli
occhi scuri di lui congelati nei suoi. Quello sguardo, gliene aveva
scorto uno assai simile al tempo della caccia al cyborg C20, alterego
del malefico Dottor Gelo, tra le rocce; quell'analogia le aveva
provocato i brividi, si mosse in fretta verso la vetrata aperta da
cui era schizzato letteralmente via Vegeta e in apprensione si mise a
scrutare l'orizzonte più lontano.
“Oh,
Vegeta... Amore mio”.
_
Il
pungente vento
notturno sferzava sul suo volto come un'infinito susseguirsi di
schiaffi improvvisi, gli occhi ancora preoccupati guardavano ora
avanti a sé, ora verso la propria destra, in alto, ben
attenti a
monitorare che la situazione non peggiorasse troppo in fretta. Come
aveva fatto a non accorgersene, dannazione, lo
sapeva bene che
un Saiyan che si trovi influenzato dal precipitare di meteoriti,
ovunque egli si trovi, è al contempo facile preda di istinti
improvvisi, quali quello di farsi attrarre il più possibile
dai
raggi solari. Altro che primavera, ecco
perchè quella
superficie tanto lucente ed accogliente gli era sembrata il perfetto
giaciglio, per tutto quel tempo. A furia di non aver più
alcun modo
di sfogare la propria natura aliena, aveva finito per, praticamente,
dimenticare ciò che questa portava con sé. Non ne
era dispiaciuto,
per la verità, però adesso la questione andava
risolta, almeno
arginata, o per una buona porzione del pianeta Terra, un po' troppo
attigua all'area della sua dimora, sarebbe stata la fine.
Abbassandosi
di
quota sino a raggiungere la fumiga fuoriuscente dal comignolo della
casetta, Vegeta riuscì quasi subito a scorgere le zazzere
scompigliate di Son Goku e Son Goten e pure il chiaro violetto della
chioma del proprio figlio. Gli parevano intenti a cercare di
impaurire l'un l'altro con smorfie e qualche chiacchiera, attorno ad
un flebile falò in via di spegnimento.
“Tsk,
non
cambieranno mai...”.
“P-papà? Sei tu?”,
balbettò il giovane Trunks, concitato.
“Kaharot, smetti
di fare l'idiota con i ragazzi e seguimi, adesso”,
tuonò invece il principe dei saiyan, perentorio.
“Ehi, ma, aspetta
un momento, Vegeta! Io ho un sonno terribile, voglio andare a dormire
e qui dobbiamo ancora terminare la... Sfida dell'orrore!”,
gli
aveva risposto
candidamente lui, arricchendo le ultime parole di una
espressività
che avrebbe dovuto essere lugubre e spaventosa. Uno sforzo squallido
ed inutile, insomma, era ovvio.
“Penserai dopo, a
dormire e a... a fare quel che accidenti stavate combinando, ora
Trunks e Goten filano diritti in casa e ci restano, mentre tu vieni
con me, avanti!”.
Le
lamentele
lagnanti dei due ragazzini si interruppero all'unisono nonappena lo
sguardo scocciato e intransigente di Vegeta si posò su di
loro e, ad
occhi bassi e coda tra le gambe, si dileguarono in fretta chiudendosi
il portoncino alle spalle.
“Si può sapere
che ti prende, Vegeta? Ti pare questo il momento di ingaggiare uno
scontro? Se mi scopre Chichi... Mi uccide lei!”,
proferì Son Goku, prefigurandosi la sceneggiata di portata
apocalittica di cui si sarebbe reso vittima se avesse sgarrato.
“Ah, Kaharot, come
puoi essere così stupido da pensare io non abbia di meglio
da fare
che scontrarmi con te a quest'ora! Guarda lassù, alla tua
sinistra.
Non ti sei accorto che una pioggia di meteoriti giganteschi si sta
abbattendo proprio verso questa parte del pianeta?!”
“Urca! Hai
ragione, caspita! Dobbiamo assolutamente provare a distruggerli o
almeno a deviarli fuori dall'orbita terrestre! Ma tu come hai fatto
ad accorgertene in tempo?”, s'interrogò lui,
seriamente incuriosito.
“È
stata Bulma, non io”, bofonchiò vagamente rosso in
viso;
condividere certe informazioni non strettamente necessarie con gli
altri, specialmente poi con lui, lo infastidiva da sempre, ma pur di
non rischiare fosse poi Bulma, a raccontargli come nel mentre di un
incontro notturno assai sospetto all'interno dell'osservatorio,
entrambi avessero condiviso quel telescopio, aveva trovato molto
più
comodo rispondergli così.
“Quella donna è
veramente una bomba, eh?”, si propose squillante
Son Goku e se
Vegeta non avesse saputo fin troppo bene dell'innata innocenza di
quell'affermazione, non si sarebbe certo trattenuto dal mettergli le
mani al collo.
“Bene, si parte,
allora!” squittì nuovamente, pronto a decollare
insieme al saiyan
verso la parte più esterna, ma ancora respirabile,
dell'atmosfera
terrestre.
“Trunks, dici che
i nostri papà sono andati ad allenarsi?”,
domandò innocentemente il giovane Son Goten.
“Yaaaawn,
io credo di no, non credo che Goku sarebbe tanto contento di farsi
prendere a calci a quest'ora della notte!” lo
rimbeccò il più
grandicello, sbadigliando rumorosamente ed affettandogli un gran
ghigno di sfida.
“Ehi, non è
affatto vero!”
“Mh, come vuoi, ma
sarà meglio fare come ha detto mio padre, altrimenti sicuro
i calci
ce li beccheremo noi!”.
Son
Goten deglutì
spaurito, ricordando il prezzo pagato per l'ardire di aver preso
Vegeta a deboli pugni sulle gambe, disperato, quand'egli aveva
assestato a Trunks un colpo netto al collo per farlo svenire.
“Ha-hai ragione
tu, mi sa, eh eh! Forza, andiamocene a letto”,si risolse
quindi a sibilare.
_
Non
era ancora il
momento, di tenere le finestre aperte durante la notte, eppure quel
cielo così luminoso e buio al tempo stesso non permetteva a
Bulma di
chiudere occhio, facendola rimanere lì, in piedi, di fronte
alle
imposte scostate anch'esse, struccata, accaldata d'apprensione e
vestita solo del proprio intimo. Per la precisione di un completo
serbato proprio per la prima occasione in cui il figlioletto fosse
rimasto a dormire dall'amichetto Goten, benchè lei stessa
sapesse
bene che l'effetto seducente di quegli indumenti avrebbe avuto la
durata di uno schiocco di dita e di uno strappo ben assestato.
Senz'altro
non era
quella, la nottata più adatta per farne sfoggio, ma lei
aveva
sperato nel ritorno del proprio principe nel più breve tempo
possibile, ora che le possibilità di riportarlo in vita con
le Sfere
del Drago, nel peggiore dei casi, s'erano azzerate. L'espressione
seria, impaziente e assolutamente assorta nella più totale
preoccupazione nei confronti dell'amato compagno stonava davvero, con
quel grazioso taglio corto rinnovato da poco e con quel corpo
affusolato e morbido, indifeso nella propria seminudità.
Sarebbe
rimasta lì,
immobile, ad aspettare che almeno qualcosa in quel cielo tanto
pauroso le desse motivo di placarsi.
_
“M-ma è... È
spaventoso! Guarda quante sono, avremmo fatto meglio a far venire con
noi anche i ragazzi!”, gemette impressionato il saiyan
più giovane, alzando il proprio tono di voce nel tentativo
di rendersi udibile nel mezzo di tanto frastuono.
“Non dire
fesserie, Kaharot. Tu forse non hai mai avuto a che fare con niente
del genere, ma dallo spazio aperto in cui sono cresciuto io, fenomeni
del genere erano praticamente all'ordine del giorno e la chiave
è lo
schema d'attacco. Se riusciamo a far sì che alcuni di questi
massi
vengano deviati anche solo parzialmente, potremo occuparci dei
più
grossi, distruggendoli in un solo colpo ciascuno. Poi penseremo a
quelli che abbiamo deviato, spazzando via anche quelli. Hai
capito?”
“C-certo, sì,
almeno credo...”, bonfonchiò l'altro, in apparenza
non troppo sicuro della sua stessa affermazione.
“Forza allora, non
c'è un minuto da perdere!”.
Così,
come due aghi
sottili rilucenti in un lago di petrolio infuocato, i due saiyan
ammantati d'oro s'erano stagliati di fronte a quella pioggia di
meteoriti ardenti e pantagrueliche, scaraventandovi addosso le
proprie forze fisiche e le proprie armi d'energia migliori.
Ciò non
faceva che aggiungere altri lampi di luce a quelli ormai ben visibili
dalla superficie terrestre, dove Bulma, al riparo nella propria
stanza, osservava sbigottita lo scenario, quasi non avesse mai
vissuto situazioni del tutto fuori dal comune. Se lì per
lì proprio
non s'era ancora riuscita a spiegare un bel niente, di quel che stava
accadendo, un lampo di genio attraversò la sua mente in
simbiosi con
quello che ne aveva illuminato il profilo, proveniente dal cielo. In
fretta e furia si fiondò oltre il comodino, laddove teneva
una sorta
di baule, in legno chiaro, contenente perlopiù cimeli e
ricordi di
gran parte di quella sua vita ormai definibile straordinaria. Ne
estrasse dopo tanto rovistare un aggeggio impolverato, sì,
ma
conservato come fosse nuovo; non era sicura funzionasse ancora, ma
sarebbe stato l'unico modo per verificare d'aver afferrato quel che
si stava consumando tra quelle nubi, o almeno, comprenderne il
significato in parte.
Posò
la sezione più
pesante, biancastra, sull'orecchio destro, avendo cura di centrare
con la visuale corrispondente l'esatto centro della lente verdognola
collegata.
“Perfetto, ora
vediamo se sai ancora fare il tuo lavoro...”.
Con
l'indice ben
teso, premette il bottone incastonato nello scomparto bianco, mirando
per bene il proprio sguardo verso l'orizzonte lampeggiante.
Un
veloce
susseguirsi di acuti impulsi sonori ne uscì fuori e davanti
all'occhio velato di verde comparve una sorta di mirino digitale, con
accanto il nome del compagno e quello originario dell'amico, Kaharot.
Si
affacciò sulle
labbra quasi tremule un ombra di sorriso, complice e finalmente pago
della risoluzione di quell'enigma: ancora una volta, Vegeta e Son
Goku stavano salvando lei e l'intera popolazione.
_
L'ennesimo
lampo
distruttore fu scagliato in simbiosi dai due
guerrieri.
Scemato il boato
assordante cui aveva fatto seguito la polverizzazione dell'ultimo
gigantesco asteroide, il cielo ritrovò la più
serena delle oscurità
notturne, lasciando soltanto che qualche infinitesimale scheggia di
quella minaccia sventata finisse ad incenerirsi contro l'atmosfera
terrestre.
Fece
appena in
tempo, esausto, Vegeta, ad afferrarne una non più grande
d'un palmo
di mano, osservandola severo e contrito, quasi incredulo d'aver in
poco più che qualche ora preso a cuore gran parte
dell'esistenza
umana. Non intendeva quella di Bulma e di suo figlio, quella dei suoi
cari. Quelle, di vite, le avrebbe sempre e per sempre anteposte alla
propria. Intendeva quelle di qualunque altro essere umano, che in
qualsiasi altra situazione avrebbero avuto ai suoi occhi l'importanza
che si da' ad una mosca morta riversa a terra.
“Ce l'abbiamo
fatta, a quanto pare”.
“...Già”.
“Ehi, ti
ringrazio, Vegeta, se non fosse stato per te e per Bulma, a quest'ora
saremmo stati davvero nei guai fino al collo, sai?”, gli si
rivolse Son Goku, ritrovato tutto il proprio candore.
“Risparmia il
fiato Kaharot, non avevi detto di avere un sonno terribile?”,
fu pronto a rispondere il principe dei Saiyan, assolutamente contrario
a perdersi nei convenevoli.
“Sì, beh, in
effetti è così... M-ma che ci fai con quella
pietra in mano?”, lo interrogò l'altro, sperando
di ottenere soddisfacente risposta.
Sorprendentemente
senza riserve, nella maniera più composta e naturale potesse
pensare
d'esprimersi, Vegeta gli rispose:
“Dici questa? È
per Bulma”.
_
“Allora... A
presto, amico”,
gli
si rivolse Son
Goku una volta giunti dinanzi alla casetta di montagna di lui.
“Io non sono tuo
amico, cerca di non dimenticarlo”-ma subito il tono si
rabbonì,
congedandosi “...E vedi di non mettere in testa troppe
idiozie a
mio figlio, non voglio rischiare di ritrovarmi una
femminuccia
in giro per casa!”.
“Eh eh, ci
proverò...”, aveva risposto ormai solo al vento,
il
saiyan più
giovane, inspirando l'aria freschissima ed aprendo il portoncino
d'ingresso.
_
Uscì
dalla stanza
da bagno già vestito dei pantaloni del pigiama, ampi e
scuri.
Finalmente l'aroma pungente e muschiato del suo, di sapone, gli si
palesava alle narici ad ogni movimento verso l'ampio letto sul quale
giaceva, prona, la sua Bulma, terribilmente
invitante avvolta
in quel mezzo metro di stoffa sottile appena. Tutto ciò che
però
lui fece, disteso nello sguardo e ai lati della bocca, fu sistemare
il proprio cuscino dietro il capo e provare ad afferrarle delicato la
mano morbida accanto al suo fianco destro. Riuscendo però ad
avvertire per prima una durezza ben tangibile, come metallica, tra
quelle dita affusolate, aprì meglio gli occhi per verificare
con
cosa fosse venuto in contatto. Il respiro gli si mozzò in
gola,
facendolo scattare ben seduto sul materasso, in preda ad uno
sbalordito osservare ora il familiare attrezzo, ora la figura di lei,
tanto innocentemente assopita.
Non
poteva
essere che un rilevatore di potenza, dannazione,
era proprio
quello di Radish! Come aveva fatto a finire lì, tra le mani
di
lei, poi?! Ma fu questione di un attimo, perchè
alla mente gli
tornasse il ricordo della sfrontatezza intraprendente con cui Bulma
aveva palesato il proprio desiderio di quantomeno osservare da
lontano, ma di persona il temibilissimo Freezer e dunque non gli ci
volle molto altro per indovinare come ella si fosse procurata lo
scouter. Con tutta probabilità se l'era fatto portare dai
superstiti
di quella prima battaglia, se addirittura non fosse che vi si era
recata proprio lei, preda della sua incessante ed incosciente
curiosità. Quella donna era davvero, una bomba.
Così,
lasciando che
il principe Vegeta e l'adorata consorte godessero
delle rimanenti ore di
sonno profondo, la notte s'era insinuata in ogni angolo ed in ogni
pensiero, abbandonando dietro di sé un unico ricordo, solo
quella piccola
pietra,
ancora tiepida, ora al centro della gran scrivania dell'osservatorio,
sopra alle tante carte astronomiche.
Fine
*:
Rif.
all'episodio XIII contenuto in “Convivendo
in... Capsule”
ad opera di Lilly81 (qui presente
in EFP).
N.B.:
Ovviamente,
il fatto che i Saiyan siano in qualche modo influenzabili dalle
correnti meteoritiche è una licenza poetica personale. Con
una buona dose di orgoglio voglio ricordare al lettore che abbia
gradito il mio lavoro di sbirciare tra le recensioni da questo
ricevute: E' grazie alle annotazioni di Lilly81 che
sono riuscita ad affinare alcune imprecisioni, migliorando la
qualità dello scritto. Le imprecisioni di cui parlo sono
confrontabili col lavoro finito nella stessa recensione della
Magistrale autrice, a cui va sempre la mia più profonda
devozione.
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