LA
CITTÁ DEGLI DÉI 2: LA
LUCE DEI CELESTI
DOVE
ERAVAMO RIMASTI?
PICCOLO
RIASSUNTO PER CHI
NON RICORDA GLI ACCADIMENTI DEL NUMERO UNO
Ci troviamo in un’epoca di
conflitti interni fra divinità.
In particolare, il Dio del Kaos e la Dea del Destino si scontrano per
il
controllo degli Universi da loro stessi creati.
Il neonato Equilibrio, figlio della
Dea della Guerra e del
Dio del Kaos, viene allontanato dalla Città degli
Dèi dal padre. Rinasce nel
Regno degli Angeli con il nome di Kasday, Serafino dagli occhi azzurri.
Otterrà
il titolo di Dio, fuggendo ed affrontando più volte il Kaos,
dopo aver
attraversato diverse vite: prima angelo, poi demone ed infine creatura
senza
magia. Grazie agli insegnamenti del morente ed anziano Dio
dell’Equilibrio,
riuscirà a prendere il suo posto e ridiventare una
divinità, per metà uomo e
per metà donna.
Lungo il suo cammino,
incontrerà numerosi e fondamentali
personaggi. I più importanti sicuramente saranno, lungo
tutte le sue vite,
Vereheveil e Luciherus. Vereheveil, futuro Arcangelo, suo amico e
amante, lo
conoscerà nel Regno degli Angeli e saranno bambini assieme.
Il giovane non
diverrà mai un vero e proprio Arcangelo.
Abbandonerà il Mondo delle creature
angeliche per ritrovare Kasday, caduto nel Regno dei Demoni e
diverrà Dio delle
Letterature. Si rincontreranno e si perderanno più volte,
fino alla battaglia
finale fra Kaos e Destino. Battaglia in cui sarà decisiva la
presenza
dell’Equilibrio per non portare alla distruzione i Mondi
esistenti.
Altro personaggio che Kasday
incontrerà più volte è
Luciherus, suo cugino e più bello degli Arcangeli nel Regno
angelico. I due
cadranno assieme nel Regno dei Demoni. Luciherus verrà
raccolto dal Kaos che,
approfittando del fatto che il passato Arcangelo non aveva
più ricordi, lo renderà
immortale e Principe dei Demoni. Lui e Kasday si rincontreranno, in un
complesso rapporto di odio/amore/amicizia e invidia. In particolare il
Principe
avrà modo di vederlo in forma femminile, una volta divenuto
l’Equilibrio, e
assieme avranno una figlia, futura Dea della Morte. Nello scontro
finale,
essendo al servizio del Kaos, Luciherus andrà vicino alla
morte non potendo e
non volendo obbedire al suo padrone. Kasday lo salverà e gli
permetterà di
mostrare una parte della sua natura d’Arcangelo, donandogli
un paio d’ali
dorate e piumate, oltre a quelle da Demone.
La guerra finisce con
l’assimilazione da parte
dell’Equilibrio delle essenze del Kaos e del Destino.
Kasday e Vereheveil, oltre a Kavahel,
avranno due gemelli.
Il numero uno termina con la nascita
di questi due gemelli:
il Kaos e il Destino.
Ricordate?
I
IL
TEMPO E LE ORE
“Ti vedo pensieroso, mio
caro. C’è qualcosa che ti
tormenta?”.
La Dea della Memoria si
avvicinò al marito, il Dio del
Tempo, che guardava fuori dalla finestra a braccia incrociate. Gli
occhi di
lui, color della sabbia, non si girarono verso la consorte ma
continuarono ad
osservare il panorama esterno. Pioveva forte e tirava vento.
“Marito mio…mi
degneresti di una risposta?” incalzò la Dea,
appoggiandosi alla schiena del Dio.
“Non ho nessun
problema…è solo che…ricordi il piccolo
Kasday?”.
“Certo. Che domanda
stupida! Sono la Dea della Memoria, non
dimentico niente! Perché me lo chiedi?”.
Il Tempo sospirò, chinando
il capo e sciogliendo le braccia:
“Niente…sono passati tanti di quei secoli
che…”.
Si sentì bussare alla
porta ed il Dio ne fu rincuorato: era
stanco di sentire solo il ticchettio dei suoi molti orologi e le
domande della
moglie!
La Dea, che parlava sempre e
solamente con dei sussurri, si
avviò verso l’ingresso.
“Chi mai può
essere a quest’ora e con questa pioggia?” si
chiese, mentre lasciava la stanza dove stava il consorte e attraversava
il
corridoio che conduceva all’entrata principale.
Passò oltre i numerosi
orologi a pendolo che si misero a
suonare, ricordando a tutti l’ora tarda, ed aprì
il pesante portone in legno
massiccio e decorato. Sull’uscio stava una piccola figuretta
avvolta in un
mantello scuro con cappuccio.
“Desidera?”
chiese la padrona di casa, sorridendo.
“Sono un Angelo
Messaggero” rispose l’incappucciato “Gli
Dèi
Alti mi hanno incaricato di consegnare questa lettera a tutte le
divinità,
maggiori e minori, di tutti i regni e gli Universi. Questa
comunicazione è
perciò rivolta a Lei, Signora della Memoria, a Vostro marito
il Dio del Tempo
ed ai vostri figli”.
La Dea allungò il braccio
e prese la busta, che le porgeva
l’angelo, con la sua mano affusolata e sottile.
“Grazie. Vuole entrare,
Messaggero? Sarà sicuramente
infreddolito e bagnato con questo brutto temporale”.
“Non importa Signora. La
ringrazio per il disturbo, ma ho
ancora alcune case da visitare. Inoltre, ho una certa fretta di
rientrare dal
mio padrone”.
L’angelo, senza aspettare
risposta, fece un rapido inchino
con il capo e si
allontanò, lanciando
solo un ultimo sguardo alla Dea. Lei non poté fare a meno di
notare gli occhi
color dello smeraldo della creatura angelica che se ne stava andando.
“Chi era, amore?”
volle sapere il Tempo, non lasciando il
salone in cui stava.
“Un Angelo degli Alti. Ha
portato una lettera per noi e per
i piccoli”rispose la consorte.
Il Dio si affacciò sul
corridoio ed andò verso la moglie,
protendendo la mano verso la busta che lei teneva in mano.
“Una lettera anche per i
nostri figli?” domandò dubbioso.
Lei le porse il plico:
“Così ha detto
l’angelo…”.
Il Tempo rigirò fra le
mani la piccola busta bianca con vari
decori luminosi e lo stemma degli Alti come sigillo: “Aprila.
Scopri che c’è
scritto…” disse infine, porgendola di nuovo alla
moglie.
Lei scosse il capo:
“É indirizzata anche ai
bambini…perciò
devono essere presenti anche loro”.
Il Dio si mostrò molto
perplesso: “Gli Alti sono degli
psicopatici e dei folli. Chissà che cose e che richieste
assurde stanno scritte
lì dentro! È meglio che i nostri figli ne restino
fuori, per ora”.
Il padrone di casa sedette sulla
poltrona imbottita che
stava davanti al camino acceso e buttò la busta sul tavolo
di fronte. Questa
scivolò sulla sua superficie liscia e quasi cadde in terra:
si fermò sul numero
Sette. Il mobile era, infatti, circolare ed al suo interno era
rappresentato il
quadrante di un gigantesco orologio con tutti i numeri e le lancette.
I capelli del Dio, arricciati come il
simbolo dell’infinito,
seguirono il movimento del braccio del proprietario e poi tornarono al
loro
posto. Il tavolino era così liscio e lucido da permettere al
suo padrone di
potersi specchiare e questi si soffermò sulla sua figura, in
quella
circostanza. Si ritrovò perso nei suoi pensieri e, ad un
tratto, si immerse in
varie riflessioni riguardanti svariate faccende del suo passato. Prima
di tutto
cercò di ricordare tutte le persone e divinità
che aveva conosciuto e che ora
non erano più risiedenti in quegli Universi.
Guardò il suo viso riflesso e
sorrise. Nulla era cambiato in lui: nulla cambiava in lui da Ere.
Portava
sempre lo stesso abito grigio e lungo, sfumato ed a righe come una
colonna e
portava i capelli sempre nello stesso modo. Non avevano nemmeno
cambiato
colore, nonostante la sua notevole età, ed erano rimasti di
quello strano
grigio-nero dalla nascita. Era uno degli Dèi più
antichi, eppure non mostrava
nemmeno una ruga o un capello bianco.
E non era neppure stanco del suo
lavoro, come invece era
accaduto ad altri che conosceva e che aveva conosciuto. Era felice.
Tranquillo
e felice.
Dopo la grande battaglia, fra il Dio
del Kaos e la Dea del
Destino, aveva quasi deciso di ritirarsi e lasciare il suo posto ad
altri ma,
poi, aveva conosciuto la Dea della Memoria e aveva capito che non era
poi così
male il lavoro che svolgeva. Però
ora,
quella lettera..che potesse compromettere la felicità e la
stabilità sua e
dell’intera famiglia? Non era mai un buon segno quando le
divinità Alte si
facevano sentire. Significava, quasi sempre, che qualcosa di grave non
funzionava.
Notò, tornando alla
realtà, il riflesso della moglie accanto
al suo. Aveva gli occhi come la superficie che guardava: di vetro, o
cristallo,
a specchio. Il suo viso, piccolo e arrotondato, era abbellito da una
bocca
sorridente e vermiglia. Quella notte era in uno di quei giorni in cui
la si poteva
vedere chiaramente. Essendo lei poco più che
un’ombra, capitava a volte che
fosse semitrasparente oppure del tutto invisibile. Come i ricordi,
anche lei a
volte era chiara e nitida ed a volte, invece, presentava contorni
confusi e
sfumati. Portava un abito a righe orizzontali bianche e verdi, cosa per
lei
insolita perché normalmente portava lo stesso grigio del
marito.
“Aprila”
ordinò la Memoria “Apri subito quella busta. Poi
leggi e decidi se è il caso di condividerla con i piccoli o
no”.
Il Tempo sospirò,
rassegnato. Non voleva avere niente a che
fare con gli Alti…ma, evidentemente, era destino! Tolse il
sigillo con la
massima cura, attento a non rovinare il foglio all’interno.
Fece per estrarre
il contenuto del plico quando si aprì la porta che portava
alle camere. Entrò
un bambino, con sulla pelle le stesse mille tonalità
dell’alba, oscillando un
pendolo color del rubino una volta al secondo. I capelli del piccolo
prendevano
la forma di un Sei e sfumavano anch’essi come il cielo al
sorgere del Sole.
“Buongiorno, figlio mio.
Come mai sei in piedi così presto?”
lo salutò la Memoria.
“Presto? Sono le 6 e 45 del
mattino, mamma! Sono anche
tardi!” guardò verso il padre.
“Cos’è quella lettera?”
domandò, curioso.
“Chi è sveglio
dei tuoi fratelli?” gli rispose il Tempo.
Il bambino sbadigliò
assonnato: “Non molti. Le piccole hanno
fatto casino fino a poco fa. Ma ora dormono”.
Il Dio fece un segno con il capo ad
indicazione che aveva
capito.
Il ragazzino guardò fuori
dalla finestra, afflitto: “Piove
anche oggi…”.
Un violento tuono fece tremare i
vetri e le pareti. Tutti
trasalirono e si udì un pianto sommesso provenire dalla
stanza accanto.
“Queste sono le
piccole…” esclamò la Memoria.
“Sta pure seduta”
la rassicurò il Tempo “Vado io a
tranquillizzarle”.
Il Dio si alzò e si
avviò verso una delle camere. Le sue
bambine più piccine piangevano, spaventate dal temporale. Il
loro padre entrò
nella stanza e le abbracciò per farle smettere e, subito,
appena udirono la sua
voce, nella cameretta entrarono altri bambini. Alcuni di loro erano
realmente
spaventati, altri invece erano solo in cerca di attenzioni e di
coccole. Il
Tempo aprì loro le braccia con orgoglio, mentre questi si
erano messi in fila,
attorno al letto.
Erano tutti coppie di gemelli. I loro
capelli prendevano la
forma di numeri e la loro pelle andava dal chiaro allo scuro:
metà di loro
presentava cromie tendenti al nero, l’altra metà
al bianco. Una di loro, la più
grande, era bianca del tutto, mentre il suo gemello era completamente
nero.
C’era chi sfoggiava i colori del tramonto e chi delle prime
ore della sera. In
totale, erano ventiquattro. Mai avrebbe pensato
il Tempo di divenire padre di una tale schiera.
L’orologio del corridoio
iniziò a suonare e, a ruota, lo
seguirono tutti gli altri, sparsi per casa.
Suonò per Sette volte. Il
bambino con i colori dell’alba ed
il Sei in testa passò il pendolo ad una bambina, leggermente
più grande di lui,
con la pettinatura che sfoggiava il numero Sette ed una carnagione lievemente più
chiara rispetto al fratello. Il
movimento dell’oggetto passato non si fermò
nemmeno per un secondo.
“Bravi” sorrise
il Tempo “E state tranquilli. Sono sicuro
che questo brutto tempaccio passerà presto,
vedrete!”.
Le piccole, con i numeri Uno, Due e
Tre, si calmarono un po’.
I loro gemelli invece, con i numeri Tredici, Quattordici e Quindici,
avevano
fame ed iniziarono a protestare. Alla loro rivolta si unirono anche
altri con numeri
più alti fra i capelli e così i due gemelli
più grandi si avviarono verso la
cucina con passo sicuro, sfidando i fratelli e le sorelle minori a fare
lo
stesso. Il Dio del Tempo prese in braccio i più piccoli e
seguì la mandria,
fischiettando.
Fecero colazione tutti assieme,
mentre la Memoria faceva
segno al marito di ricordarsi della lettera, ma il Tempo non la
menzionò e continuò
tranquillamente a spalmare la marmellata sul pane per i suoi bambini.
Alcuni di
loro si alzarono, sazi, ed andarono a preparare lo zaino per andare a
scuola.
“I maestri si arrabbiano se facciamo tardi. Dicono: con un
padre come il vostro
dovreste essere puntualissimi! Peccato che, di solito, è
papà che ci sveglia un
quarto d’ora dopo!” affermò la numero
Dieci.
“Noto una vena polemica nel
tuo discorso…” la canzonò il
padre “…vedrò di essere più
puntuale!” concluse, con un sorriso.
La madre porse loro un pacchettino
con la merenda e li
baciò, mentre questi si
avviavano verso l’uscita. Quelli rimasti, perché
ancora troppo piccoli per la
scuola, si misero a giocare in casa fino a quando un raggio di Sole fra
le
nuvole annunciò loro che il brutto temporale era passato e
che potevano andare
all’aperto. Subito uscirono in cortile e le loro risate si
udirono per tutta la
Città degli Dèi. Iniziarono a fare girotondi e
filastrocche, unendosi ad altri
bambini.
Il Tempo e la Memoria, rimasti soli,
ripresero fra le mani
la lettera.
“Io non vado alla
guerra!” affermò il Dio, con aria convinta
e decisa.
“Chi ti dice che si tratta
di guerra?” domandò la Dea, con
aria perplessa.
“Che altro può
essere?” rispose lui.
“Magari hanno delle
semplici richieste formali da farci…”
azzardò lei.
“No. Richiamano tutti gli
Dèi. Non può essere altro che una
guerra!”.
“Quanto sei
pessimista…”.
“Ti sbagli. Ma è
da troppo che vago per gli Universi, e
certe cose le capisco al volo”.
“Cosa pensi di fare, amor
mio? Io non gli lascerò i miei
figli! Se è vero ciò che dici, io non ho proprio
alcuna intenzione di portare
le mie creature al cospetto di coloro che vogliono farli
combattere!” dicendo
questo, la Dea era divenuta rossa in viso e sembrava molto preoccupata.
“Dev’essere
successo qualcosa alla Dea della Pace. È da
tantissimo che non la si vede in giro. Parlerò con la Dea
della Guerra, io e
lei andiamo abbastanza d’accordo, e poi
vedremo…”.
La voce del Tempo rimaneva comunque
tranquilla e calma. Si
sistemò l’orologio da polso, esageratamente
grande, e si alzò da tavola.
“Credi di poter trovare la
Dea della Pace? Dicono che si sia
nascosta…”.
“É esatto,
moglie mia, ma forse io so dove si nasconde!”.
Il Dio vagava per la stanza,
guardandosi in giro, come in
cerca di qualcosa.
“E credi che si
farà trovare tanto in fretta, se si
nasconde?” azzardò la Dea, incrociando le braccia
e seguendo il marito con gli
occhi.
“É su
un’isola, dicono. In cui tutti gli Dèi vanno
quando
hanno bisogno di una vacanza. La troverò e la
costringerò a tornare a lavorare.
Una guerra fra Alti è un vero casino!”.
Il Tempo continuava a cercare,
spostando perfino i cuscini
del divano e girando il viso con aria interrogativa.
“Cosa cerchi?”
gli domandò la moglie, divertita.
“Ricordi dove ho messo lo
specchio delle comunicazioni?”.
“Quello che usi per parlare
con gli altri Dèi? Ovvio! È in
camera nostra, appoggiato al letto”. “Davvero?! E
cosa ci fa lì?” si chiese il
Dio, perplesso.
“Semplice! Ti chiamano
sempre quando dormiamo o mangiamo.
L’ultima volta stavi poltrendo alla
grande…”.
Il Dio sbuffò, ricordando
la scocciatura. Con un’andatura
decisa si avviò verso la camera, circolare, con motivi
riprendenti quadranti,
clessidre e numeri. Sul soffitto campeggiava un enorme orologio
funzionante che
ticchettava sommessamente.
Il Tempo girò quasi tutte
le clessidre, più per dispetto che
per necessità, e sedette sul letto.
Afferrò il piccolo
specchio ovale fra le mani ed iniziò a
parlargli. Ridacchiò, tentato di chiedere chi fosse il
più bello del reame, ma
poi tornò subito serio e sulla superficie riflettente
apparvero nomi e simboli.
Schiacciò, con un dito, il simbolo del Sole ed il Dio che
aveva chiamato
apparve dall’altro lato dell’oggetto.
“Buongiorno, amico
mio!” salutò allegramente il Tempo.
“Buongiorno?”
rispose, stupito, il Dio del Sole “Mio caro,
io sto lavorando già da ore! Buon pranzo fra
poco…”.
“Non essere
fiscale…” scherzò il Dio in grigio.
“Tu dovresti esserlo su
certe cose!” lo derise il Dio
solare.
I capelli fiammeggianti e pieni di
colori caldi riempivano
tutta la superficie dello specchio.
“Hai ricevuto anche tu la
lettera degli Alti?” domandò il
Tempo.
“Stavo per chiederti la
stessa cosa…” fu la risposta.
Il Sole scomparve, per qualche
istante, dall’inquadratura, e
poi riapparve con la busta bianca e dorata con il sigillo degli Alti.
“Cos’hai
intenzione di fare, Dio solare e delle fiamme?”.
“Non
so a te, ma a me
la cosa puzza. Non mi piace per niente la faccenda. L’hai
letta tutta?”.
“No, solo un
accenno” mentì il Tempo.
“Parla di una
riunione…” iniziò a spiegargli il Sole
“…organizzata dagli Alti. Richiedono la
partecipazione di tutti però a me, come
già detto, la cosa puzza perché quelli non fanno
mai niente per niente. Chissà
che c’è sotto…”.
“Dicono che ci sia aria di
guerra”.
“E in questo caso che
faresti? Io, Sole, ho già combattuto
altre volte…ma se chiedessero a una divinità come
te di andar in battaglia…”.
“Io voglio andare a cercare
la Dea della Pace” lo interruppe
il Dio con il simbolo dell’infinito. “Carina come
idea. Ma ti ricordo che, al
momento, è introvabile. E poi…chi ti dice che
sotto ci sia proprio una
guerra?”.
“Ricordi convocazioni da
parte degli Alti per un motivo
diverso? E poi so dove trovare la Pace. È
sull’Isola”.
Il Dio del Sole sospirò:
“Quell’Isola? Ora capisco! Quel
posto è una meraviglia! Secondo me, anche se la troviamo,
non la convinciamo
a smuoversi!”.
“É un caso
d’emergenza. Capirà”.
“Se lo dici
tu…io mi fido. Comunque…vengo anch’io
con te! Non vedo
l’ora di andare là a prendere un
po’…”.
“Un po’ di
cosa?” chiese il Tempo, poiché l’altro
Dio non
continuava.
“Di Sole!
Ovvio!!”.
Il Dio solare scoppiò a
ridere e l’altro scosse il capo.
“Peggio dei
bambini…”.
Quando smise di ridere, il Tempo
riprese a parlare: “Ci
metteremo d’accordo in seguito. Mi fa piacere che venga anche
tu. Ora, però,
devo andare a lavorare”.
“Ma quale lavoro?! Salutami
moglie e figli, mi raccomando, e
a presto!”.
“Fai lo stesso anche tu.
Buon proseguimento…”.
I due Dèi si salutarono ed
il Tempo tornò a distendersi sul
letto. Osservò per un po’ la lancetta
dell’orologio gigante e poi afferrò la
busta. Ne osservò il foglio all’interno ed i suoi
caratteri. Come era solito
nello stile degli Alti, la lettera era scritta in modo contorto, con
disegni e
segni grafici complessi ed arricciati.
Soliti
pomposi…guarda qua quanti riccioli superflui!!! Si
disse, scocciato di dover far fatica per capirne il senso.
Si girò sulla pancia e si
appoggiò a uno dei cuscini,
iniziando a leggere:
Con la presente, si vuole
porre invito ad ogni divinità
ad un incontro conviviale e ad una
riunione straordinaria, a cui tutti sono portati a partecipare, alla
prossima
notte di Luna. L’evento si svolgerà nel palazzo
del Dio Triplice, dove tutte le
nostre schiere, divinità Minori, Maggiori, Messaggeri ed
Alti, possono
incontrarsi senza troppo disturbo. Raccomando la presenza e la
collaborazione
di tutti.
Momoia.
Momoia…la madre
degli Alti…rifletté il Tempo, turbato
nell’aver letto quella firma.
La Madre non entrava mai in contatto
con loro, se non in
caso di estrema emergenza. Doveva trattarsi sicuramente di qualcosa di
importate, altro che incontro conviviale! Se non una
guerra…qualcosa di peggio!
Poi pensò al luogo in cui si sarebbe svolta: il palazzo del
Dio Triplice.
Era il palazzo
dell’Equilibrio…di Kasday…prima di
quella
sera…
I suoi pensieri furono interrotti
dalla voce della moglie.
“Va tutto bene?”
domandò lei.
“Sì, tranquilla.
Preparati. E prepara i bambini. Vi porto
tutti quanti al mare” rispose lui, apparentemente calmo e
rilassato.
“Portiamo i
costumi?”.
“Assolutamente
sì!” esclamò il Dio, con entusiasmo,
trascinando la compagna nel letto.
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