Stringimi
madre, ho molto peccato,
Ma la vita è un suicidio
L'amore un rogo
E voglio un pensiero superficiale
Che renda la pelle splendida
(Voglio una pelle splendida, Afterhours)
Mamma, voglio un pensiero superficiale
Penelope aveva cominciato a mangiare con gli occhi la biblioteca di
suo padre sin dalla tenera età.
Non credeva che sfogliare quelle pagine fosse una cosa inconsueta per
una bambina. Lei aveva tutti i fattori che potevano inclinarla alla lettura:
essere figlia unica, ad esempio, la noia casalinga, il mal tempo – secoli in
arretrato, a dire il vero – che la costringevano ad una clausura forzata. Per cui,
sì, ammetteva senza problemi di essere un’accanita degustatrice di storia, di
ogni tipo.
La biblioteca di suo padre profumava d’antico e di chiuso; ma lei non
poteva saperlo, abituata com’era a quell’odore di vecchio che ristagnava da
anni – dalla sua nascita, per la precisione – dentro la villa.
A Penelope piacevano i libri perché poteva seguire tutti i rituali che
lei, e lei solamente, aveva scelto:
un giorno leggeva sulla poltrona, un’altra volta prendeva il libro e l’odorava
soltanto, oppure si sdraiava a pancia insù sul tappeto persiano.
Una volta aveva persino mangiato una preziosa pagine dell’Odissea,
quella dedicata proprio all’omonima regina che aspettava tessendo con pazienza.
Pianse amaramente per tutta la notte, sentendo le parole di Omero colpirle lo
stomaco e una tremenda invidia per la determinazione dell’altra Penelope.
Era un regno che sua madre non poteva intaccare con nessuna delle sue attenzioni
o con le sue soffici bugie che la tenevano lontana dalla realtà. Nei libri i
protagonisti fuggivano, si innamoravano, erano feriti; sua madre, al contrario,
le raccontava solo liste infinite di nomi e storie su ranocchie che diventano
principesse. Peccato che si trattasse di un maiale, lei, e i maiali non fanno
parte delle favole. Sua madre non era mai stata una grande cultrice di fiabe.
Sin da piccola, Penelope sapeva di essere speciale per i suoi
genitori, soprattutto per sua madre, ma questo non l’aveva mai rincuorata.
Proprio per questa sua particolarità – che aveva un nome specifico: naso – non aveva mai smesso di sfogliare
quei libri; non c’era nessuno che la chiamasse per giocare insieme e
distogliere la sua attenzione dagli unici mondi che assomigliassero vagamente a
qualcosa di normale. Qualcosa che
stava cercando inconsciamente da sempre.
-
«Mamma, tu di cosa hai paura?»
Osservò come sua madre si fosse irrigidita sulla sedia, fermando il
cucchiaio di minestra appena sopra la ceramica. Sembrava presa alla sprovvista
dalla sua uscita e Penelope, appena dodicenne, pensò che fosse perché la sua
personalità non rientrava nei piani di sua madre: lei odiava le sorprese, le era
bastata la sua nascita per scioccarla a vita.
«Non ho capito bene, cosa hai detto mia cara?»
Lo sguardo di suo padre danzava fra loro due, e Penelope sapeva che non
avrebbe preso nessuna delle parti, astenendosi per l’ennesima volta.
«Stavo leggendo un libro oggi,» sua madre fece uno strano rumore col
naso, e Penelope rabbrividì pensando ai suoi poveri libri e ripetendosi che
apparteneva a suo padre e non a sua madre.
«Un romanzo epico inglese, Beowulf. Hai presente
mamma?»
«Certo.»
Certo che no, mamma. Tu non
leggi mai, mamma. Interpreti la realtà come vuoi tu.
«Allora, stavo pensando che Beowulf è
davvero coraggioso. E, sai, mentre lo pensavo ho anche pensato che spesso non
la gente non considera gli eroi come persone coraggiose, lo si dà per scontato.
E mi sono chiesta di cosa aveva paura Beowulf, e poi… beh, me lo sono chiesta per tutti noi.»
«Oh,» sua madre aprì leggermente la bocca, succhiando aria. «Capisco.»
«E tu di cosa hai paura, Penelope?»
La voce gentile di suo padre l’accarezzò con un guanto di velluto e
Penelope gli fu grata. Era più calorosa di un abbraccio.
«Di non trovare un piccolo spazio per me nel mondo.»
«Ma tu hai il tuo spazio, tesoro.»
«Fuori da qui.»
Sua madre masticò un ‘ah’ pieno di rimorso, e portò il cucchiaio alle
labbra, soffiando leggermente sul brodo caldo.
«Tesoro, lasciamo stare questi discorsi a tavola che rovinano l’appetito.»
Penelope si pulì la bocca con il tovagliolo. Prese un grande respiro, chiuse
gli occhi, strinse i pugni. Pregò che Omero le facesse recitare i suoi versi,
che riposavano da qualche parte nel suo cuore, pompati insieme al sangue.
«Io ho paura che il tuo timore mi soffochi, madre.»
Voglio concedermi un pensiero
superficiale, una vita banale, sentirmi speciale per come sono, non per una
maledizione.
«Mangia, Penelope cara.»
«M’è passato l’appetito.»
Si alzò dalla sedia con calma e uscì dalla stanza, il cuore che le
batteva impazzito nel petto e il rumore delle onde di Itaca nella testa, ancora
tumefatte dalla tempesta, senza nessuna traccia di una barca diroccata con a
bordo un marito lontanissimo.
Varcata la soglia, sentì la voce di sua madre e il tintinnio di
posate. «È tutta colpa tua!»
Si rese conto che non era lei la vigliacca, ma sua madre. E pianse
ancora tutta una notte, tessendo i suoi sogni in attesa di Qualcuno.
-
Quando lo vide per la prima volta al di là del vetro, era arrabbiata e
tanto, tanto stanca.
Da tempo la sua zona preferita della casa era profanata da uomini
invitati da sua madre, cultori dell’esteriorità e pedine di un gioco a cui
Penelope non era mai stata troppo felice di collaborare.
Eppure, lui era diverso. Era… Qualcuno.
L’aveva sorpresa, l’aveva spaventata per qualche attimo, e aveva gli
occhi più ubriachi (di vita? di morte? di
se stesso?) che Penelope avesse mai visto. Per non dire che era squallido e
disarticolato, nonostante la giacca nuova gli desse una parvenza di classe.
Doveva essere pieno di difetti, magari di debiti con l’umanità, come
un bandito. Penelope amava i cattivi nei romanzi.
Con titubanza entrò nella biblioteca appena Lui fu uscito. Respirò e l’odore
di fumo e alcol – lei non sapeva nemmeno che erano fumo e alcol lo strano
sentore amarognolo che stava percependo – la colpì a fondo.
Sentì nel sangue il canto di Omero e la pallida figura d’una barca. Ma
Penelope era stata ingannata più d’una volta, prima di poter riabbracciare il
marito, per cui tacque l’onda del proprio sentimento con una calma diffidenza.
Però, lui sapeva di un pensiero ardito, superficiale, e, fino ad ora,
astratto.
Dio, se ne era già innamorata.
07/02/2008.
Non voleva proprio venire fuori, ma alla fine c’è.
Dedicata al film che mi hai consigliato e che, poco dopo, ho potuto
vedere in tv, quasi fosse destino, o qualcosa del genere.
Una piccola riflessione, una di quelle che vengono così, stranamente,
mettendosi in altri panni; e ho voluto dedicartela, perché sai sempre ispirarmi
qualcosa di nuovo.
Grazie di tutto, o di niente, ma grazie.
<3
Ti voglio bene.
Annegando nel pensiero più superficiale possibile,
Letizia