Exsilium - Il Dono della Dea

di Acer5520
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Prologo
 
Splendeva il sole sul regno dei bracciali dorati.
Il Dio-senza-nome aveva donato ai suoi fedeli una terra in cui il freddo gelido era cosa sconosciuta, le piogge non erano mai tanto forti da devastare un raccolto ma neanche troppo scarse da far sopraggiungere la siccità e la neve e la grandine non avevano mai turbato la pace del popolo.
 Nessuno lì moriva di freddo, nessuno lì soffriva la fame.
La collina che aveva scelto come appostamento per la sua opera offriva una perfetta visuale della capitale e del palazzo reale in tutto il suo splendore.
Aveva sentito dire che il palazzo era enorme e che i templi che dedicavano al loro Dio avevano intarsi d’oro alle pareti.
Era un regno piccolo, ma florido.
Non c’erano controlli approfonditi sui visitatori. Quella gente non temeva gli stranieri.
Aveva avuto occasione, nei giorni precedenti, di aggirarsi per le strade del mercato e della piazza principale al riparo del cappuccio del suo mantello. Non era importato a nessuno che, in un posto così caldo, qualcuno si aggirasse per il paese con un mantello addosso e un cappuccio calato in testa. Nessuno aveva fatto domande ma molti avevano risposto alle sue.

Il loro Dio, evidentemente, li proteggeva da ogni pericolo e da ogni sofferenza.
Eppure quelle persone che aveva visto aggirarsi felicemente per le vie del mercato e chiacchierare senza pensieri nelle taverne del centro della città avevano preso ciò che era sempre stato suo.
Non avevano niente di cui lamentarsi, nessun bisogno di rubare, nessuna sofferenza con cui giustificare quello che avevano fatto, eppure era così.
La profezia era stata chiara: il re con il bracciale d’oro avrebbe preso quello a cui più teneva al mondo.
La sacerdotessa che aveva letto l’avvertimento della Dea nel bacile delle veggenti non aveva capito il motivo e aveva farneticato qualcosa che le sue orecchie si erano rifiutate di ascoltare. Nella sua testa ormai si era impresso a fuoco solo il furto che aveva subito ad opera di uno dei ministri di quel Dio sconosciuto.
Non era cosa che potesse restare impunita.
Lasciò che i raggi del primo sole illuminassero la città per un’ultima volta, poi scoprì il suo viso facendo scivolare il cappuccio del mantello sulle spalle. Non aveva paura che qualcuno vedesse il suo viso, né aveva intenzione di negarsi il piacere dei primi raggi del sole sulla pelle ormai nascosta da troppo tempo.
Sapeva che il re in quel momento stava dando il buongiorno ai suoi sudditi, alzando le mani con i palmi rivolti verso il basso, verso il popolo che accorreva sotto la sua finestra per ricevere quel gesto benedicente nel nome del loro Dio.
Il re di quel posto non sarebbe stato l’unico ad alzare le mani in quel modo.

I palmi rivolti verso la brulla terra prudevano piacevolmente di un potere bruciante che era rimasto nascosto per anni, le braccia si caricavano di forza sovrannaturale e un ruggente boato si fece strada nelle sue orecchie.
Era come il ruggito di una bestia possente che si svegliava dopo un lungo sonno. Dapprima soffocato e lento, poi sempre più forte e deciso, con un rimbombo in grado di assordare chiunque si trovasse nelle vicinanze.
Poteva sentire la terra tremare sotto i suoi piedi e vedere i palazzi della dannata città che si accasciavano su loro stessi.
Le case si scioglievano al suolo, le grandi mura si agitavano come i fili d’erba in una tempesta di vento e, in pochi secondi, anche il palazzo reale sarebbe crollato.

Avrebbe vendicato il furto e distrutto i ladri.
Era assolutamente felice dei poteri che la sua Dea aveva fatto scorrere nel suo sangue e felice di dare ai maledetti quello che meritavano.

Non potè fare a meno di mescolare le sue risate soddisfatte al rombo della terra.
Nessuno avrebbe toccato ciò che era suo!

Il potere ormai scorreva libero dalle sue mani alla terra sotto i suoi piedi, la soddisfazione più completa scorreva nelle sue vene e puntò il almo di una mano nella direzipone del palazzo reale

<< Non avrete ciò che è sempre stato mio! >>

Ma proprio quando credeva di udire il boato del palazzo che cadeva, udì soltanto un tonfo sordo misto a un dolore accecante alla nuca e gli occhi, che avrebbero dovuto osservare la caduta dei suoi nemici, furono oscurati da un buio senza fine.
Fu solo tra la sofferenza e la confusione indotta dal potere spezzato che riuscì a promettere alla sua Dea che i maledetti del regno dorato avrebbero pagato anche quell’affronto.
A qualunque costo, avrebbe distrutto quel palazzo e tutti i suoi abitanti.




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