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[Il contatore di questa storia supera,
proprio in questi giorni, i due anni dalla data di inizio. E' così: sono due
anni -mai detto di essere completamente normale...- che ci sto lavorando, non ininterrottamente, ovvio, ma con costanza,
ritornandoci sopra mille e mille volte, e, beh, ho deciso che era davvero il
momento di metterci la parola fine. E di mettere una pietra sopra, in realtà,
anche a tutto un progetto: questa doveva essere l'ultima di una serie di storie
dedicate a Raito -il personaggio che, nonostante io in DN abbia amato tutti,
persino le comparse, è sempre stato quello che più mi ha affascinato- per la writing community "TrueColors". Ma tra quelle scritte,
tra quelle abbozzate, quelle mai abbastanza soddisfacenti e quelle che non sono
riuscita a tirare fuori... direi che basta. Salvo solo questa, per il tanto
lavoro e la passione che ci sono stati dietro, al di là del discutibile risultato finale; la
V Minisfida del sito "Criticoni" mi è parsa
una buona occasione per terminarla, e così ora questo pezzo vi partecipa. Che
dire... dopo aver aperto insieme ad
Harriet questa sezione, nel lontano 2006, e non aver più pubblicato nulla da allora,
saluto la curva. ^^ Saluto il fandom di quello che è rimasto il mio manga
preferito in assoluto, che da tre anni mi fa ancora pensare, e
che mi ha dato tanto (un po' di
spudorata pubblicità non fa mai male...); ma anche il fandom che ritengo più
difficile per quanto riguarda lo scrivere, quello in cui rischi di sbagliare, di
rovinare tutto, ad
ogni parola. Forse non avrei dovuto nemmeno tentare di accostarmici, fin
dall'inizio; ma, come già dissi, l'ho sempre fatto, spero, con reverenza e
umiltà, augurandomi di rendere solo un omaggio a questa storia straordinaria. Puntiamo
in alto ringraziando i maestri Ohba e Obata; e poi infine, tornando fra noi,
ringrazio Harriet che ha betato il mio lavoro, e chi avrà voglia di leggere. Ultime note: il prompt della serie "20
places" di TrueColors a cui la storia avrebbe dovuto rifarsi era "#8. Da qualche parte,
sotto le stelle". Ispirazioni, "Kyrie II", dal vol.2 dell'OST
dell'anime, e naturalmente, le ultime scene di DN (la notte, la luna, e dio... i
kanji del nome di Raito).]
Da qualche
parte, sotto le stelle, gente si sta radunando per un silenzioso rito.
Da lontano,
qualcuno li vedrebbe solo come una fila ondeggiante di luci che si arrampica sul
crinale dell’altura; ma non c’è nessuno a guardare. Quel luogo è deserto, le
costellazioni sono mute e neanche il vento ha nulla da dire.
Sono passi
che sollevano polvere, respiri pesanti nel buio, a tratti il pianto di un
bambino avvolto in un mantello, o un sospiro, ma niente di tutto questo spezza
lo spessore della notte, così come le fiamme delle candele che ciascuno di loro
porta in mano non possono fendere l’oscurità. E camminano, discreti, tra le
cortine della sera, che si separano al loro passaggio per poi richiudersi, un
istante dopo, dietro alle loro impronte. Come a custodire un segreto, gli ultimi
fedeli di una divinità ormai quasi dimenticata.
Da qualche
parte, sotto le stelle, la gente cammina. Chissà cosa pensano, nel loro
silenzio. La luce oscillante delle candele rischiara volti dagli occhi persi
verso l’alto, scava più profondamente le rughe, proietta sulle guance di chi sta
a capo chino le lunghe ombre delle ciglia. Guardandoli, di tutti si potrebbe
dire qualcosa, ma non abbastanza da spiegare perché siano lì, quale
immaginazione li guidi.
Sembrano
sicuri del loro cammino, la fila è ordinata, nessuno resta indietro, nessuno va
troppo avanti. E nessuno parla.
Lì, da
qualche parte, le stelle ci sono, sì, ma poi da dietro una cima si affaccia la
luna, un’immensa falce di luna, e tutti gli astri sembrano sbiadire, ritirarsi
nel buio. E lei sale, piano. Ha tutta la notte per raggiungere il sommo del
cielo, non ha fretta.
La sua luce
colora di pallore i sassi, e lì, su quella montagna, sembra stranamente vicina,
più di quanto ciascuno degli uomini e delle donne l’abbia mai vista in città. E’
più splendente, anche, come se solo nel buio perfetto la si potesse comprendere
pienamente, come se quella falce fosse il sorriso del cielo che si rivela
soltanto a chi è là, in quel momento, al modo dei segreti di una religione
misterica.
La divinità
della notte osserva dall’alto i suoi seguaci.
Ecco, il
corteo si è arrestato davanti ad un baratro. La fila si apre e si disfa, perché
tutti possano vedere. E tra gli ultimi viene avanti una figura. Come tutte le
altre è ammantata di bianco, ma la sua veste sembra in qualche modo ancor più
chiara, la fiamma che scherma con la mano ancora più radiosa.
Cammina, si
china sull’orlo dello strapiombo, posa la sua candela. Chissà se è un gesto
spontaneo, o se fa parte del rito, e ognuno lo stava aspettando. Poi lei si
rialza, getta la testa all’indietro per guardare in alto, e allora il cappuccio
le scivola giù dai capelli, ed è una giovane, splendida ragazza, dagli occhi
grandi, trasparenti, come rischiarati anche dall’interno da un’altra fiamma.
Mille dita
s’intrecciano, le mani si giungono, le ginocchia si piegano nella polvere, occhi
levati al cielo e palpebre abbassate a trattenere le lacrime.
Da qualche
parte, sotto le stelle, centinaia di persone che non ti conoscono ti pregano.
Nei loro
pensieri ti chiamano con un nome che non ti sei scelto, perché il tuo, nessuno
lo sa.
Nelle loro
menti, non ti vedono, neppure si sforzano d’immaginarti, perché la divinità
sfugge ad ogni ritratto e non deve essere cercata. Forse per loro sei solo
cielo, nuvole perse nella luce, o notte di luna come questa; e già hanno
dimenticato che tu eri, con ogni probabilità, un essere umano e che tanti anni
fa qualcuno ti ha dato la caccia. Oppure credono che quelle fossero solo bugie,
gli sforzi degli increduli per ricondurre tutto alla ragione.
Nessuno tra
di loro sa niente di te. Nessuno di loro può ricordare quello sguardo obliquo e
il tono basso e affascinante della tua voce, nessuno ti ha visto quando ridevi e
quando portavi avanti i tuoi piani perfetti. Non c’erano nei giorni del trionfo
e in quelli in salita, non erano lì a vedere la tua espressione concentrata
mentre scrivevi nomi su nomi senza sbagliare un colpo, mentre mentivi e dietro
la cascata dei capelli nascondevi il tuo beffardo sorriso.
Non c’erano
quando ti contorcevi nel sangue e nella polvere, a urlare che non volevi morire.
Ma nonostante
questo, o forse proprio per questo, per il tuo essere meravigliosamente
sconosciuto, onnipotente nella tua lontananza, si rivolgono a te. Tanti di
quelli che ti erano intorno non capivano, combattevano con tutta la loro ferocia
l’idea del tuo mondo nuovo; e invece queste centinaia di cuori estranei battono
lo stesso ritmo che batteva il tuo. Condividono il tuo progetto.
Saresti stato
contento di vederli, di sentire le loro parole di adorazione, tu che hai
incontrato così poche persone che credessero nel tuo disegno?
No…
probabilmente no.
Desideravi
essere venerato, sì, ma non t’importava da chi. Quello che t’interessava era la
devozione, ma non il devoto. Certamente non avresti dedicato un minuto della tua
vita a questa massa.
E così, come
loro non ti conoscono, tu non hai mai conosciuto loro. E come per te non ha mai
avuto importanza incontrarli, così neanche loro in fondo desiderano vederti. A
loro basta il nome di Dio, ciò che c’è dietro è solo un abisso di inconoscibile;
e va bene così. E’ il fondamento di ogni religione. Loro confidano semplicemente nella
tua esistenza, e magari viene da pensare che è follia; ma allo stesso modo tu
avevi confidato in loro, che loro ci fossero, la base di cui avevi bisogno per
cambiare il mondo.
E’ un dialogo
tra sordi, un dialogo tra ciechi, senza il suono di una parola.
Si parlano
persone che non si sono mai incontrate, o che forse si sono sfiorate una volta
nella folla di una piazza, di un supermercato, e se si sono viste, non si sono
guardate, non hanno riconosciuto tra di loro il dio e il fedele.
Eppure,
qualcosa in loro di te è rimasto.
A chi ha
vissuto accanto a te sono restate in mano solo bugie, e la sensazione vuota e
sgomenta di aver vissuto dentro ad un’immensa menzogna. A loro, è crollato il
mondo addosso, e adesso forse cercano solo in tutti i modi di scacciare il
pensiero di quegli anni buttati.
E invece,
agli uomini e le donne che compongono questa processione, a loro che non ti
hanno mai conosciuto, qualcosa di te è rimasto.
E’ rimasto il
tuo desiderio, il tuo disegno, identico, parola per parola, a quello che avevi
espresso quel pomeriggio al tramonto in camera tua, a diciassette anni, con
addosso la tua divisa da studente e con gli occhi e il sorriso ancora limpidi.
E hai
lasciato in eredità a loro anche quel senso di superiorità, di sapersi nel
giusto, unici depositari di un’unica verità, che tu nascondevi sotto la tua
calma di ghiaccio e i modi educati, e che ora questi uomini si mostrano invece
l’un l’altro con orgoglio, con una gioia così pura ed esaltata da risultare
tagliente come una lama.
La fiducia di
chi non è sfiorato da alcun dubbio, la sicurezza di non guardarsi alle spalle,
di tenere lo sguardo diritto e proteso verso il domani, verso il prossimo passo
per il compimento del progetto, senza abbassarlo su ciò che ostacola il cammino.
Tutte queste cose non sono scomparse con te, ma si ritrovano, con la stessa
esattezza del tuo carattere, nella mente dei tuoi fedeli.
E’ un bene?
E’ un male?
Ad assistere
a questa scena non c’è nessuno, nessuno che possa rispondere a questo
interrogativo. In alto, le stelle, la luna e il vento non si curano delle
domande, stanno semplicemente a guardare.
Ma se
qualcuno potesse vedere, forse verrebbe spontaneo dire che quella devozione,
quella totale, sconfinata fiducia, quelle lacrime sui volti dei vecchi sono
un’inestimabile tesoro. E’ qualcosa di così potente da essere riuscito davvero a
smuovere il mondo. Di così potente da non poter essere ignorato.
Un tesoro…
qualcosa che nient’altro era mai riuscito a suscitare… o forse un abominio,
l’agghiacciante realtà di gente che invoca una divinità il cui unico potere è
dare la morte?
Ma dare la
morte a chi…? A chi lo merita? Perché esiste qualcuno che la morte la merita,
esiste qualcuno che abbia il diritto di dispensarla?
Ah, ma non è
più il momento delle discussioni. Le mille parole, gli infiniti pensieri,
giustificazioni, ragioni che si rincorrevano senza posa nella tua mente, quelli
sì, si sono spenti con te. E ora, mentre tu riposi, nessuno turba la processione
dei tuoi fedeli e la luna e la notte vegliano sopra il silenzio, ora è il
momento della preghiera.
Kyrie,
eleison.
Tu che non
hai mai avuto pietà di nessuno, abbi pietà di noi.
Tu che non
hai mai amato, che non hai mai considerato le donne a cui facevi promesse, che
in ogni momento eri pronto a disfarti di tutti quelli che avevi intorno, ad
uccidere senza battere ciglio la tua famiglia, proteggi i nostri cari, i nostri
amici, i nostri figli.
Kyrie,
eleison.
Signore
assassino e inflessibile, dio di chi vuole cancellare e non correggere, di
quelli per cui la giustizia si ottiene col terrore, dio che calpesti la vita
dell’uomo, veglia su di noi.
Dio ragazzo
che sorridevi solo per te stesso davanti a uno specchio, che ridevi dei tuoi
nemici, che ti sentivi immortale perché non avevi mai pensato di potere, di
dover morire… tu sei il loro dio.
E senza il
tuo piedistallo, eri solo un uomo nella polvere, ferito a morte, gli occhi
iniettati di sangue e parole grondanti follia.
Ma ora non
sei più tutto questo. Non sei più né il sorriso né il delirio, né la bellezza
dei tuoi tratti né il nero del tuo animo, né i milioni di strade della tua
intelligenza né l’unica strada, quella verso la caduta, che imboccasti quel
mattino nel cortile della scuola.
Questa notte,
sotto la luna, per questa folla di persone, sei nel giusto. Ma non per la
perfetta oratoria delle tue spiegazioni nell’ultimo giorno, per le ragioni che
davi ai tuoi uomini quando fingevi di metterti nei panni di Kira, davanti al tuo
riflesso in un vetro. Ma solo per quel fondo gorgogliante dell’istinto
dell’uomo, la sete della vendetta, il grido elementare dell’alba dei tempi:
occhio per occhio, una vita per una vita, sofferenza in cambio della sofferenza.
Per tutto ciò
che c’è di più selvaggio dentro al cuore dell’uomo, loro ti pregano. Per tutto
ciò che c’è di più nobile, affinché tu protegga coloro per cui provano amore,
fortissimo, assoluto amore, loro ti scongiurano.
Per tutto ciò
che di più lontano c’è da quello che tu eri, ti venerano.
Forse, anche
nella processione dei tuoi fedeli, tu non esisti più.
“Tu sei il
diavolo. […] Il diavolo non è il principe della materia, il diavolo è
l’arroganza dello spirito, la fede senza sorriso, la verità che non viene mai
presa dal dubbio. Il diavolo è cupo perché sa dove va, e andando va sempre da
dove è venuto. Tu sei il diavolo e come il diavolo vivi nelle tenebre. Se volevi
convincermi, non ci sei
riuscito.”
U. Eco, “Il
nome della rosa”
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