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Time travel
I
nemici arrivavano da tutte le direzioni impedendogli la vista dei
suoi compagni.
Non
importava quanti ne cadevano sotto la potenza delle sue lame, molti
altri ne prendevano il posto, incuranti di fare la stessa sorte.
Non
riusciva a vedere gli altri. Stavano tutti bene? Erano insieme? Erano
feriti?
Sapeva
che erano forti, ma l'urgenza di sapere le sorti dei suoi Nakama lo
stava spingendo a dare tutto se stesso per sbarazzarsi il più in
fretta possibile di tutti i suoi avversari. Portandolo al limite.
Il
sudore e un'altra sostanza appiccicosa gli colava dalla fronte.
Sangue. Era sangue.
Ne
era circondato, ma sapeva che poco di esso gli apparteneva.
Era
dei suoi avversari. Marines.
Un
grido lo distolse dai suoi pensieri, riportandolo alla lotta che
infuriava tutt'attorno a lui.
Si
girò di scatto, notando per la prima volta che non era solo. I suoi
compagni erano dietro di lui. Anche loro alle prese con un numero
spropositato di nemici.
Fu
un attimo.
Lo
sentì arrivare alla sua destra, ma era troppo tardi per schivarlo.
Una
lama sporca di sangue, del suo sangue, gli usciva dal petto,
bloccandogli il respiro.
Sentì
altre urla. Nemici, amici, tutti urlavano per qualcosa, ma lui non
riusciva a capirli. Era come se parlassero una lingua a lui
sconosciuta.
Ci
fu un tonfo e un verso soffocato. Capì di essere stato lui a farlo.
Le sue gambe avevano ceduto al suo peso. Non le sentiva nemmeno più,
le gambe.
Era
come se tutto il suo corpo si fosse staccato dalla sua coscienza.
La
vista gli si stava annebbiando, male.
Sapeva
di dover restare sveglio, non poteva lasciarsi andare, anche se il
buio si stava intensificando ai bordi della sua visuale. Doveva stare
sveglio, doveva aspettare i suoi Nakama, si, loro sarebbero arrivati
presto.
Lo
sapeva, avevano un medico tra di loro. Sapeva che il bambino era il
migliore, li aveva ricuciti un sacco di volte a lui, il cuoco e al
capitano.
Come
si chiamava?
Aggrottò
le sopracciglia.
Non
riusciva a ricordarlo.
Com'era
possibile? Erano i suoi Nakama. La sua famiglia.
Perché
non riusciva a ricordare le loro facce? Le loro voci?
Qualcosa
lo stava scuotendo.
Era
buio attorno a lui. Quando aveva chiuso gli occhi?
-
ZORO! ZORO? -
Una
voce lo chiamava. Era lontana. Chi era?
Perché
non riusciva a ricordare quella voce?
-
EHI ZORO! Stupido Marimo apri gli occhi! Non ti azzardare a morire!
Mi hai sentito? ZORO? -
Socchiusi
gli occhi, la luce mi accecò, ma tra la foschia riuscì ad
intravedere dei capelli biondi.
Cos'era
quello? Un sopracciglio? Che strano. Era -
Aprì
gli occhi di scatto. La fronte imperlata di sudore, la gola secca.
Sospirò
stancamente, scompigliandosi i capelli con una mano.
Di
nuovo quel sogno.
Quante
volte lo aveva fatto? Migliaia immaginava.
Era
da quando era piccolo che quel sogno lo tormentava, impedendogli di
dormire per più di poche notti consecutive.
Da
piccolo aveva pensato che fosse frutto del suo subconscio, e dei
troppi film che guardava, ma ora era diverso.
Era
come se volesse ricordargli qualcosa. Qualcosa di importante che si
era dimenticato.
Sentiva,
ogni volta che si svegliava, una sensazione dolorosa al petto.
Ed
un senso di perdita enorme, che gli faceva venire voglia di piangere
come una di quelle ragazzine nei film romantici.
Era
frustrante.
Odiava
sentirsi in quella maniera. Ma non aveva la minima voglia di andare
da uno strizzacervelli.
Sicuramente
gli avrebbe riso dietro. Un uomo adulto, incapace di affrontare uno
stupido sogno.
Girò
la testa verso la sveglia, e sbuffò sconsolato. Le sette e trenta.
Non
avrebbe dovuto alzarsi per un'altra ora, ma non aveva voglia di
tornare a dormire. Non dopo quel sogno.
Si
stiracchiò sotto la calda trapunta, riattivando la circolazione
delle gambe. Rabbrividendo al ricordo del sogno. Ricordava di non
sentirsele più, le gambe. Probabilmente era a causa della
circolazione. Aveva l'abitudine di addormentarsi nelle posizioni e
nei luoghi più strani.
Beh,
ormai era sveglio. Tanto valeva fare qualcosa prima di andare al
lavoro.
Uscì
dal letto, prese un paio di pantaloni della tuta e una felpa e dopo
una breve sosta al bagno si allacciò le scarpe, per poi uscire di
casa con solo il suo MP3 al seguito.
Correre
lo aveva sempre aiutato a schiarirsi le idee, ed era un buon
riscaldamento prima del lavoro.
Lavorare
in una palestra non era proprio il suo lavoro dei sogni, ma la paga
era buona, e gli permetteva di poter andare ad allenarsi quando
voleva senza il minimo costo.
Percorse
il vialetto dietro casa, per poi attraversare la strada semi deserta.
Era un quartiere tranquillo il suo. Distante dalla grande città, ma
non troppo da dover prendere i mezzi pubblici se non si era di
fretta.
Aveva
un bel parco nelle vicinanze con un piccolo laghetto al suo interno,
dove le papere sguazzavano tranquille aspettando l'arrivo dei bambini
che ogni giorno gli portavano il pane avanzato della sera prima.
Non
era difficile arrivarci, solo poche strade separavano casa sua dal
parco. Riusciva a vederlo dalla finestra della sua piccola stanza
infondo, ma come ogni volta che voleva andarci, le strade cambiavano
davanti ai suoi occhi, e lui si trovava inspiegabilmente a percorrere
più di quanto avesse dovuto.
Questo
giorno non sembrava diverso dagli altri, svoltò a destra al prossimo
vicolo, sapendo di essere quasi arrivato alla sua meta, ma al posto
di avanzare per la sua strada andò a sbattere contro un'altra
persona, finendo per far cadere entrambi sul duro cemento.
-
AHI. Che diavolo ti dice il cervello Marimo? - Urlò una voce
arrabbiata da sotto di lui.
-
Scusa non ti avevo vist- Ehi! A chi hai dato del Marimo, ero-cook?? -
Urlò senza riflettere, alzando poi lo sguardo verso chi aveva
accidentalmente investito.
Sgranò
gli occhi a quello che vide. Capelli biondi, occhi azzurri, uno
strano sopracciglio arricciato.
Lo
conosceva? Sapeva di conoscerlo. Ma non lo aveva mai visto in vita
sua.
Eppure.
Quella sensazione di perdita che lo aveva attanagliato quella mattina
era tornata. Più forte di prima.
Lo
conosceva però. Lo aveva visto di sfuggita per tutta la sua vita,
ogni volta poco prima di svegliarsi.
Uno
sbuffo gli fece riprestare attenzione al presente.
-
Ti sei sempre perso ovunque stupido Marimo. Non mi stupisce di averci
messo tanto per trovarti. - Sospirò il biondo con un sorriso
malinconico ad abbellirgli i lineamenti.
-
San- ji? -
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