Quando
il
sudicio buco in cui si trovava saltò in aria, Sasuke si
trovò a pensare con una
distaccata precisione chirurgica che molto probabilmente sarebbe morto.
Nel
momento in cui l’improvvisa pressione dell’aria
l’aveva spinto in alto
facendogli mancare il terreno sotto i piedi si era anche accorto che la
cosa
non lo sfiorava minimamente, nessun urlo gli uscì dalla
bocca e nemmeno tentò
qualcosa per evitare l’impatto con il terreno, semplicemente
si lasciò
trascinare in una posa scomposta, come una bambolo di ceramica priva di
volontà.
L’impatto
fu, comunque, doloroso e finalmente il suo viso impassibile
mostrò una smorfia umana.
Aveva sbattuto la testa, probabilmente si era rotto qualche costola e
non
riusciva a muovere le gambe, o si erano incastrate o
l’impatto aveva
danneggiato la sua colonna vertebrale, diagnosticò con una
fredda
consapevolezza, come se non stesse controllando il proprio corpo ma
quello di
un estraneo.
Assicuratosi
di non star per perdere conoscenza o di non essere prossimo alla morte
si
concentrò sul resto della trincea: la bomba non
l’aveva colpita direttamente ma
era arrivata abbastanza vicino da distruggere il rifugio a far crollare
la
grotta che avevano scavato. Da lì riusciva a vedere i corpi
scomposti e
sanguinanti dei compagni. Sopra di sé sentì un
gran trambusto e poi le voci americane
arrivarono sgradita alle suo orecchie, rimase immobile chiedendosi se
fosse il
caso di sperare che lo ignorassero o che lo uccidessero sul posto senza
tante
cerimonie. Forse la seconda opzione era la migliore, in quello stato
non poteva
fare molto, meglio mor...
“AHHHHH!”
Il dolore
improvviso interruppe i suoi pensieri e gli sembrò di
sprofondare in una bianca
nebbia in cui non ricordava neppure come si respirava, fu il suo stesso
urlo a
trascinarlo via da quella incoscienza facendogli recuperare la ragione.
Qualcosa, o qualcuno visto come si muoveva, era inciampato sulle sue
gambe e,
mentre si mordeva le labbra fino al sangue, capì che se
sentiva il dolore
partire dalle gambe significava che la sua colonna vertebrale stava
bene. La
cosa lo confortò per solo cinque secondi perché
poi sentì qualcosa afferrargli
la spalla e si ritrovò una forte luce puntata sugli occhi.
Trattenne bruscamente
il respiro per il fastidio.
“He’s alive!”
gridò una squillante e fastidiosa voce, quella
dell’americano che era
inciampato sulle sue gambe, il viso del nemico appariva una macchia
indistinta
agli occhi di Sasuke feriti dalla forte luce.
“Ehi, ehi!”
lo scrollò quello per la spalla e finalmente
riuscì a mettere a fuoco qualche
tratto del suo viso, in particolare notò gli occhi celesti
risaltare sullo
sfondo nero “How
are you?” continuò in
quella lingua masticata.
Non rispose,
lasciò che l’altro armeggiasse sul suo corpo e
improvvisamente sentì le gambe
libere dal peso che le aveva tenute bloccate ma il movimento brusco lo
fece
urlare ancora di dolore prima che si mordesse la lingua.
“It’s okay,
it’s okay!” cercò di confortarlo
l’americano, Sasuke avrebbe tanto voluto
dirgli dove poteva metterselo quel suo
‘okay’.¹
“Okay”
ripeté quello, poi si girò verso i compagni
gridando qualcosa in americano in
una velocità incomprensibile. Aveva una voce irritante.
Notò che i suoi capelli
erano di un biondo abbagliante e che, come il
resto del viso, erano sporchi di pittura
verde, marrone e nera.
“Are you
German?” gli chiese più lentamente girandosi verso
di lui puntando di nuovo quella
dannata luce sulla sua faccia, accecato dimenticò di
rispondere allora l’altro
continuò scandendo ogni sillaba più lentamente,
come se stesse parlando a un
bambino “Are you Italian?”
“Yes!”
sbuffò, pur di farlo smettere di sillabare aprendo la bocca
all’inverosimile,
per chi lo aveva preso? Uno stupida? Conosceva benissimo
l’inglese, prima di
quella dannata guerra era andato a scuola!
“Grazie al
Cielo!” sospirò l’americano “
L’Italiano lo so parlare. Bene, allora. Io sono
Naruto Uzumaki, soldato americano, e non devi preoccuparti: stanno
arrivando i
soccorsi e fra un po’ andrà tutto bene. Ti chiedo
solo di non opporre
resistenza” fece concitato e Sasuke avrebbe tanto voluto
chiedergli come
avrebbe potuto opporre resistenza in quello stato.
Prigioniero
di guerra, fantastico! Non che la cosa fosse realmente un problema, se
gli
avessero chiesto di rivelare qualcosa sulle base fasciste lungo la
penisola lo
avrebbe fatto, di quella guerra di merda a lui non fregava
assolutamente nulla.
Naruto si
rivolse ancora verso i suoi compagni gridando probabilmente di
muoversi, poi
tornò a guardarlo con un sorriso allegro:
“arriveranno fra poco, tu non devi
assolutamente addormentarti. Parliamo, ti va? Chiedimi quello che
vuoi”.
Respirò
pesantemente osservando il viso allegro di quell’americano,
sebbene fosse sporco
brillava di luce, il suo sorriso era così caldo e i suoi
buffi capelli
ricordavano un sole.
“Perché hai
quella roba sulla faccia?” chiese non sapendo nemmeno lui
perché stesse
assecondando quel biondino.
Quello aggrottò
le sopracciglia: “Per mimetizzarmi, no?”
“Sei vestito
di scuro” gli fece notare “con il sole che
sorgerà fra qualche minuto. Hai la
faccia dipinta ma per quell’ammasso di capelli biondi non hai
fatto nulla. Stai
praticamente sventolando un cartello con scritto colpitemi”.
“E’ una
fortuna allora che voi siate stati colpiti per prima,
allora!” tentò di
scherzare ma dovette rendersi conto anche lui
dell’inadeguatezza pronunciata.
Si guardò intorno borbottando da solo.
“Sei
fascista?” gli chiese a bruciapelo.
“No” rispose
atono.
“E allora
perché continui la guerra?” lo fissò
confuso.
Fece un
smorfia amara “L’alternativa sarebbe essere
impiccato per tradimento a
Mussolini”.
Rise
brevemente “Quel tiranno ha finito di fare i propri comodi.
Non lo sai? L’Italia
ha abbandonato la Germania”.
“Cosa?”
rischiò di strozzarsi con la sua stessa saliva.
“Certo, a
Settembre. Hanno firmato un armistizio. Davvero non lo
sapevi?”
“No...”
sussurrò capendo improvvisamente il significato delle parole
arrivate via radio
di una loro base poco distante.
“Capitano!” aveva gridato la
voce di
Suigetsu dalla trasmittente “Accade una cosa strana! I
Tedeschi si sono alleati
con gli Americani!”²
“Va
bene” la
voce dell’americano lo riportò alla
realtà “Sono arrivati. Rilassati, va tutto
bene. Andrà bene, sul serio” ripeté
convinto alzandosi e Sasuke sentì un
improvviso vuoto, si accorse che per tutto il tempo in cui il soldato
Alleato
gli era stato accanto gli aveva anche tenuto la mano. Era stato un
calore
spontaneo, familiare e il freddo che lo aggredì lo
sentì scomodo, privo di
conforto.
Quel
ragazzo, quel soldato... era come una piccola luce di amore scesa sulla
sua
buca di odio.
**
Risvegliandosi
Sasuke in un primo momento si stupì del materasso e del
cuscino comodo su cui
era appoggiato, era quasi un anno che la terra bagnata era diventato il
suo
giaciglio, ma poi con prepotenza gli tornò alla menta un
viso rotondo sporco di
fango e dei brillanti occhi blu. Quando però aprì
gli occhi con una fitta di
delusione si ritrovò a fissare delle iridi verde contornate
da ciglia
femminili. Sbatté un paio di volte le palpebre mettendo a
fuoco il viso della
giovane ragazza che gli stava sistemando le fasciature sulla testa.
Aveva un
bel viso delicato e grandi occhi tristi, segnati da occhiaie e i
capelli di un
insolito rosa le stavano scompigliati dietro una fascia.
“Buongiorno”
disse quella notando di essere fissata e con un gesto nervoso si
tirò dritta
arrotolando il resto delle bende sul palmo della mano.
Sasuke cercò
di tirarsi su ma si accorse solo in quel momento di quanto ogni respiro
gli
costasse un immensa fatica.
La ragazza
posò una mano sul copriletto esercitando un lieve pressione
che lo costrinse
definitivamente ad abbandonare quegli sforzi.
“Ti trovi in
un ospedale allestito dagli americani, a qualche chilometro da Napoli.
Hai tre
costole fratturate, un trauma cranico nonché un taglio molto
profondo e la
rotula del ginocchio spostata. Non puoi muoverti più di
tanto” lo informò.
“Dove..Dov’è...”
“Naruto?” lo
aiutò porgendogli un bicchiere d’acqua fresca
notando quanto la gola secca gli
impedisse di parlare.
Sasuke annuì
e la ragazza sospirò: “A fare l’idiota
che si mette in mezzo alle guerriglie
per salvare i disperati, come sempre”.
Gettò giù un
altro sorso mentre la ragazza dai capelli rosa sistemava le bene
avanzate dentro
una busta trasparente e adocchiava l’orologio facendo un
piccolo calcolo
mentale: “Dovrebbe tornare fra due ore, tre se ha avuto
qualche problema di
percorso. Io sono l’infermiera Sakura Haruno, se hai bisogno
di qualsiasi cosa
chiedi di me”
“Grazie”
disse, nonostante il bicchiere d’acqua sentiva ancora la gola
in fiamme. L’infermiera
fece un timido sorriso prima di allontanarsi verso un altro lettino a
curare le
ferite di un ragazzo dalle folte sopracciglia nere.
Rimase immobile
sul suo letto con quell’odore chimico di medicina misto a
quello ferroso del
sangue nelle narici e tutto quel bianco sporco di terra, fango, muffa e
sangue.
Soprattutto di sangue, quello c’era ovunque, schizzato sul
muro, a terra in
pozze lucide e scure, sui lettini, sui camici delle infermiere e sui
corpi di
donne, uomini e bambini. I feriti parlavano, chiacchieravano, alcuni
con un
affabilità totalmente estranea a Sasuke. In trincea non
aveva mai scambiato
qualche parola con i suoi compagni, non aveva mai visto il senso di
affezionarsi
a qualcuno di loro, tanto sarebbero tutti morti.
Ogni tanto
qualcuno scoppiava a piangere a un’infermiera si avvicinava
prontamente nel
tentativo di consolare il disgraziato con parole gentili e ottimiste.
“Va tutto
bene, è fuori pericolo”.
Sasuke lo sapeva
che nessuno era fuori pericolo.
Le ore passavano
e Sakura venne spesso per cambiare le bende sulla sua fronte, il taglio
non si
decideva a guarire imbrattando di rosso la stoffa bianca. Gliele
sistemò con
pazienza, a volte borbottando qualche parola in un dialetto italiano
che Sasuke
non conosceva e guardando sempre l’orologio preoccupata.
“Quando
Naruto arriverà sarà felice di vederti
sveglio” gli disse pulendosi le mani sul
camici bianco già sporco di sangue, non sembrò
farci tanto caso, era troppo
presa a guardare l’entrata dell’ospedale
improvvisato.
Sasuke lo
sapeva che l’ambulanza era già arrivata da qualche
ora, aveva visto i lettini
con i corpi feriti di civili e soldati spostarsi per il corridoio.
L’ambulanza
era tornata, ma del biondo americano non si sapeva nulla.
E non si
seppe nulla per altri lunghissimi giorni.
Quando
se lo
ritrovò davanti la prima cosa che Sasuke pensò fu
che quel sorriso con cui
accolse il suo risveglio era troppo luminoso per quella guerra. Lo
aveva
trovato seduto su una sedia di ferro tutta arrugginita con una tuta
arancione e
una caramella tra le mani. Gliela tese e lui
l’accettò di buon grado notando
come il suo viso pulito dalla vernice mimetizzante fosse abbronzato e
comunque
ricoperto di lividi viola. Su entrambe le guance aveva tre graffi
simmetrici
che gli davano un’aria felina.
“Finalmente
ti sei svegliato” disse.
“Finalmente
ti sei deciso ad arrivare. La tua ragazza era in pensiero” lo
rimbeccò
“La mia
ragazza?” sbatté le palpebre.
“l’infermiera
con in capelli rosa” gli spiegò succhiando la
caramella. Non gli piacevano le
cose dolci ma il suo corpo accettò di buon grado gli
zuccheri.
“Oh” sembrò
capire, poi fece un sorriso che più che imbarazzato a Sasuke
sembrò pieno di
rammarico “Sakura... lei non è il mio
genere” spiegò brevemente. Si sentì un
mostro per aver con quell’insinuazione scacciato il sorriso
dalle labbra di Naruto
ma la sua risposta la confortò.
“Allora, lo
sai vero che non ci aspettiamo qualcosa in cambio delle nostre
amorevoli cure?”
disse Naruto colpendolo sul naso delicatamente con un dito.
“Del Regno d’Italia
non me ne frega nulla, quindi non dovete preoccuparvi. Dirò
tutto quello che
volete”.
“Non sei un
tipo molto patriota, vero?” si strofinò una
guancia “Il Capitano Kakashi sarà
molto contento”.
L’allarme
suonò e la gente nell’ospedale iniziò
ad agitarsi, qualche bambino pianse
spaventato da quel rumore. Lo sguardo di Naruto si fece improvvisamente
serio e
si alzò, Sasuke notò che le gambe tremavano come
se facesse fatica a reggersi
in piedi. Anche le mani erano mosse da leggeri spasmi.
“Sei sicuro
di stare bene?” gli chiese guardandolo male.
Naruto
recuperò il suo sorriso spostando le braccia dietro la
schiena in una posizione
rilassata nonostante il temore: “Da che pulpito! Ti sei
visto? Sembri una
mummia egizia” lo prese in giro facendo cenno alle bende che
gli avvolgevano il
capo.
“Questo
perché qualcuno ha fatto saltare in aria la mia
trincea” borbottò.
L’americano
accolse la frecciatina con l’ennesimo sorriso prima di
girarsi per andare verso
altri soldati che lo aspettavano. Si chiese se fosse seriamente
intenzionato a partecipare
a una missione di guerriglia con quella sgargiante giacca. Anche le
altre
persone che passavano dovettero pensarlo da come lo scansavano e lo
guardavano
con uno sguardo di compassione, lo stesso che si rivolge a un malato.
“Comunque è
Sasuke” gridò senza capire perché, il
biondo di girò a guardarlo con aria
confusa, le mani sempre dietro alla testa. “Non ti ho detto
il mio nome. Mi
chiamo Sasuke”.
Il sorriso
di Naruto si allargò e annuì felice:
“Ci vediamo, allora, Sas’ke!”
E se ne andò
a salvare vite.
Quando
tornò
Sasuke era sveglio e lo vide arrivare insieme agli altri, non indossava
la sua
tuta arancione ma una nera e camminava traballante sotto il peso di un
barella.
Rimase seduto sul letto, stava guarendo in fretta, le costole ora gli
permettevano di stare seduto senza stare troppo male, e
continuò a guardare le
infermiere affaccendarsi intorno ai soldati aiutandoli con i feriti.
C’erano
anche tanti bambini.
Attese con
pazienza chiedendosi se Naruto venisse anche quella volta a vedere come
stesse
e ascoltò distrattamente il vecchietto accanto a lui parlare
di come andassero
bene le cose prima della Prima Guerra Mondiale.
Attese e
alla fine arrivò, si era cambiato e sembrava si fosse anche
dato una rinfrescata
ma sembrava comunque molto stanco. Per questo quando fece per sedersi
vicino a
lui lo bloccò gelandolo con un’occhiataccia.
“Vai a
riposarti”.
Lo fissò
sorpreso e divertito mentre ignorava il suo ordine e si sedeva sulla
sedia arrugginita.
“E’ un piacere anche per me rivederti,
Sas’ke”.
Era strano
il suo nome pronunciato con quello strano accento americano, ma non gli
dispiaceva nemmeno un po’. Comunque, rimase a fissarlo torvo
e quello sbuffò.
“Non devi
preoccuparti per me”.
“Ma ha
ragione” la voce petulante dell’infermiera Sakura
li fece sobbalzare e il moro
alzò lo sguardo infastidito verso di lei. Si mordeva le
labbra con un
espressione di rimprovero in viso e teneva riluttante nelle mani un
bicchiere d’acqua
e una strana pastiglia. A Vederla lo sguardo di Naruto si
oscurò.
Lo sguardo
della ragazza si fece ancora più triste mentre martoriava il
povero labbro: “Mi
dispiace, ma mi hanno detto di...”
“Don’t worry
little girl” la interruppe il biondo nella sua lingua madre
mentre nascondendo
con abilità una certa riluttanza tese le mani verso il
bicchiere e la pastiglia
per prenderli.
A Sasuke la
cosa gli venne spiegata qualche giorno dopo dalla ragazza dai capelli
rosa e
Sasuke capì il perché dei suoi spasmi e
perché quando camminasse la gente lo
evitasse come se malato.
Naruto era
omosessuale.
Sasuke lo
sapeva cosa succedeva agli omosessuali, venivano gettati in prigione o
isolati
dal resto del mondo, perché era un reato. Naruto era stato
incastrato e
incolpato di atti osceni e il tribunale lo aveva messo davanti a una
scelta: o
la prigione o la castrazione.
Il biondo
non poteva finire in prigione, lui voleva continuare a cercare di
salvare vite
in quella sciocca guerra e aveva scelto di affidarsi a delle medicine
che avrebbero guarito il suo problema.
Sakura, che voleva
un bene dell’anima a quel
biondino, non era d’accordo e odiava ricordargli di dover
prendere quelle
stupide pastiglie. Non capiva come tutti lo potessero ritenere uno
sbaglio
quando non aveva fatto altro che andare per i campi di battaglia a
salvare le
persone. Solo perché si innamorava di altro.
“Però io lo
so, un giorno Naruto potrà amare chi vuole perché
finalmente la gente capirà.”
Lo sperò
anche Sasuke.
Intanto
Naruto andava a salvare le persone rischiando ogni giorno di essere
beccato da
un cecchino nemico o di saltare in aria con le bombe. Andava e tornava,
e ogni
volta stava peggio con tutte quelle ferine e i brutti effetti che le
pastiglie
avevano sul suo corpo. Però andava sempre da Susuke e gli
sorrideva, gli diceva
che andava tutto perché la guerra la stavano vincendo loro.
Invidiava
tutta quella forza che aveva, quel perenne ottimismo che lo faceva
tornare
sempre vivo e integro da quella guerra.
“Non mi
fermeranno mai!” disse un giorno con orgoglio e lo ammirava.
Sasuke gli
chiese perché lo facesse, perché rischiasse la
vita così.
Naruto
scrollò le spalle. “I miei genitori sono morti e
nessuno li ha salvati, lo
stesso vale per il mio padrino. Ci deve pur essere qualcuno disposto a
farlo”.
Sasuke pensò
che quando Itachi, suo fratello morì, tutto ciò
che desiderò fu la vendetta e
che lui uccise molte persone per vendicarlo. Lui e
quell’americano erano totalmente
diversi, ma non per questo avrebbe smesso di volergli bene. Ormai si
sentiva
legato da un filo al destino di quel ragazzo allegro.
Quando
Naruto
e la sua squadra ripartirono erano passate molte settimane e il ragazzo
sembrava essersi ripreso, scalpitava verso i ritardatari impaziente di
tornare
a salvare vite, era stato troppo tempo inattivo.
Sasuke lo
guardò andare via dal suo lettino e sente una stretta al
cuore, un sapore amaro
alle labbra.
“Tornerà”
disse Sakura accanto lui “Deve tornare”.
Il biondo si
girò e urlò agitando una mano verso i suoi unici
amici “Noi andiamo a
conquistare Roma, ci vediamo presto!”
Tutti si
girarono imbarazzati, altri lo fissarono con uno sguardo
compassionevole. Tutti
quegli sguardi gli fecero salire una rabbia sorda e sentì un
forte impulso di
prenderli a pugni, si limitò a stringere le coperte con
forza ripetendosi che
Naruto sarebbe tornato e una volta tornato avrebbe ricevuto il giusto
amore che
un ragazzo come lui meritava.
Quando
tornarono Sasuke non vide Naruto e seppe, ancor prima di vedere la
barella con
il suo corpo coperto di sangue, che la luce che aveva visto dal suo
buco di
odio si era spenta.
Sakura lo
vide e iniziò a piangere, lui si limitò s
cacciare le lacrime.
Sasuke
ora è
guarito, anche se Sakura protesta sulla sua gamba, ma lui non
l’ascolta e va
nei campi di battaglia fare
quello che
prima faceva Naruto.
Perché ora
che è morto non c’è più
nessuno che salva vite e lui vuole continuare il sogno
dell’americano, non vuole che qualcuno provi quello hanno
provato loro.
La guerra la
stanno vincendo sul serio ma a Sasuke non importa, lui spera solo di
trovare
ancora una volta quella luce. E spera di diventarlo lui stesso.
NDA.
Oddio,
non
posso crederci di averlo fatto sul serio. Ieri notte non riuscivo a
dormire e
avevo appena visto The Imitations game. La cosa è nata da
sola. Qualche
precisione storica giusto per sfoggiare la mia grande cultura (ridete).
Allora
siamo
dopo il 1943, Seconda Guerra Mondiale, quando l’Italia
‘tradisce’ la Germania
schierandosi dalla parte degli Americani. Ovviamente Mussolini e i
Fascisti non
d’accordo occupano mezza penisola, l’altra parte
è occupata dagli Alleati che
cercando di risalirla per conquistarla tutta.
Più
precisamente la storia è ambientata dalla presa di Napoli
nell’Ottobre del 43
al 4 luglio con la liberazione di Roma (lo so, è un bel
po’ di tempo e la storia
non rende ehm).
Non
saprei
cos’altro dirvi se non viva la SASUNARU.
E
se vi va,
lasciate qualche recezione. Mi fareste molto felice.
1.
Questa
potrebbe essere un’incongruenza storica:
la parola “okay” deriva da OK=0K= Zero Killed,
venne usata per la prima volta
durante una delle due guerre mondiali (non ricordo quale lol) dagli
alleati per
segnalare quando tra le loro file non c’erano stati morti
(Zero morti). Quindi,
non so quanto possa essere giusto usarla in questo contesto ma la mia
scarsa
competenza linguistica non mi ha fatto trovare un immediato sinonimo e
la mia
pigrizia non mi permette di raggiungere il dizionario ^^
2.
Citazione
di un film abbastanza famoso di cui
non ricordo il titolo e nemmeno il nome del registra (sono
impressionante!) che
parla dell’armistizio del ’43 e del conseguente
abbandonare le trincee da parte
degli Italiani. Comunque la frase viene detta quando i Tedeschi
iniziano a
bombardare sulla base di alcuni ignari italiani convinti di essere
ancora
alleati con Hitler (e che quindi sia stata la Germania a tradirli, non
loro.
Ah, robe complicate!)
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