CAPITOLO I
MARCUS
“Meno male che gli Assassini del Re
sono un gruppo d'élite!” pensai,
mentre correvo, inseguito da un gruppo di persone molto grosse, molto
armate e
soprattutto molto, molto arrabbiate.
Mi ero
fatto sorprendere come un pivello nel bel mezzo della mia missione, che
ovviamente non sono nemmeno riuscito a completare, e adesso rischiavo
pure il
capestro. Non un pensiero che mi riempisse di gioia, devo ammetterlo,
ma chi
cavolo avrebbe mai potuto pensare che un banale signorotto di un banale
paese
sul limitare della foresta avesse delle guardie del corpo
così attente e ligie
al dovere? Ero andato lì a Hale tranquillo, senza
preoccuparmi troppo di come
avrei ucciso Sir William, rilassato come per una scampagnata. Ero
entrato di
soppiatto nel piccolo castello, avevo trovato le stanze del padrone
della
baracca e avevo sguainato la spada. E lui a quel punto che ha fatto? Ha
tirato
un cordone appeso al muro. Sul momento devo aver persino riso. Insomma,
chi
cavolo tira un cordone quando sta per morire? E invece quel cordone era
un
sistema semplice ed efficace per richiamare le guardie, che si sono
precipitate
nella stanza per fare il loro dovere, ovvero uccidere me.
Quel Sir
William dei miei stivali doveva aver avuto il sentore che il suo
trattenere parte
delle tasse destinate al Re non fosse passato inosservato e quindi
doveva aver
assunto una cinquantina di mercenari per fare la festa a chiunque
avesse
cercato di farla a lui, la festa. Accidenti a me e alla mia arroganza!
Già mi
immaginavo le prese in giro dei miei amici, quando gli avrei raccontato
tutto,
sempre SE fossi sopravvissuto abbastanza per raccontargli tutto.
Ero
scappato dal primo piano di quel castello dalla finestra, saltando per
terra in
mezzo a pezzi di vetro e legno, senza pensare nemmeno a quante
probabilità
avrei avuto di rompermi qualcosa. Una volta toccata terra avevo
zigzagato per
le vie del mastio prima e della cittadina poi, saltando carri,
spingendo
persone e scavalcando muretti, il tutto ovviamente inseguito da un
mucchio di
tipi che volevano la mia testa. Ero uscito da Hale come un uragano,
correndo
come un forsennato verso il bosco. Ogni tanto il sibilo di qualche
freccia mi
arrivava all'orecchio e devo ringraziare la mia fortuna (o forse la
loro
scarsezza, non so) se non sono finito come un simpatico puntaspilli. Se
fossi
stato catturato niente mi avrebbe tirato fuori dai guai, e non avevo
nessuna
voglia di morire in una sudicia prigione in una città ancora
più sudicia.
Proprio non esisteva. E poi non sembra, ma sono affezionato al mio
collo, visto
che è l'unico che ho.
Smisi di
pensare alle mie disgrazie quando finalmente iniziai a intravedere i
tronchi
degli alberi, mentre i miei inseguitori erano a poco più di
quaranta metri da
me. Di ingaggiare battaglia non se ne parlava, visto che io ero uno e
loro
venti, e per quanto io sia bravo -e sono bravo- non avrei mai potuto
resistere
per più di quattro minuti. Quindi mi fiondai senza
esitazione nel bosco, nella
speranza di seminare i miei inseguitori, incurante di tutte le brutte
storie
che lo riguardavano e che comprendevano briganti, ribelli, fantasmi e
chi più
ne ha più ne metta. L'autunno è una stagione
bellissima, e notai distrattamente
i colori della foresta nella mia corsa. Le foglie erano scivolose sotto
le
suole dei miei stivali, e sperai con tutto me stesso di non fare una
caduta che
mi sarebbe stata fatale.
“Mai più missioni organizzate
così a caso”
mi ripetevo mentre continuavo a fare lo slalom tra i tronchi.
“Mai più nella vita.
D’ora in avanti almeno
due giorni buoni di programmazione, lo giuro!”.
Inutile dire che sapevo già
che il mio proposito non sarebbe mai stato mantenuto. Quando le
missioni sono,
o almeno sembrano, facili, trovo completamente inutile stare a perdere
tempo
quando farsi guidare dall'istinto è una soluzione molto
più comoda. È un mio
difetto, lo so, ma non trovo niente di stimolante nello studiare e
pensare e
riflettere su cose che anche uno scemo potrebbe progettare al volo.
Però a
volte va a finire così, o come quella volta a Imarilla
che... va beh, lasciamo
perdere. Basti sapere che non è stata una vicenda di cui
vado particolarmente
orgoglioso.
Finalmente
i rumori dei miei inseguitori si fecero distanti ed attenuati, e dopo
pochi
minuti ancora erano stati completamente coperti dai rumori della
foresta.
Rallentai il passo, sollevato, mantenendo comunque la corsa,
più per sicurezza
che per altro. Quando alla fine mi fermai avevo il fiatone ed ero
arrivato alla
riva di un fiumiciattolo. Riuscii a guardarmi intorno con attenzione:
la
foresta, mi ricordavo dallo studio delle mappe -ebbene sì,
quelle almeno le
avevo studiate- era la Foresta della Luce. Era grande parecchie
migliaia di
ettari, praticamente inesplorata, cosa che aveva dato origine alle
leggende che
venivano narrate su di essa. La luce del pomeriggio filtrava
leggermente dalle
chiome degli alberi, decine di metri sopra di me. Era una foresta molto
antica
e tra i vari racconti al riguardo uno narra di alberi che negli anni
avrebbero
preso vita. Sono sempre stato molto scettico su queste storie di magia
però,
una volta dentro al bosco, non sembravano poi così
insensate. Sarà stata l'aura
di maestosità, la luce, non lo so... fatto sta che per
coronare la giornata mi
mancava solo finire spiaccicato da una gigantesca quercia dotata di
vita propria.
Scacciai il
pensiero con un gesto della mano e preferii concentrarmi su altro. I
colori
dell'autunno, che non avevo potuto fare a meno di notare anche durante
la mia
rocambolesca fuga, erano splendidi. Giallo, arancione, rosso e marrone
erano
dappertutto, circondandomi e dando all'aria un colore dorato. Era senza
dubbio
un bellissimo posto. Il rumore cristallino dell'acqua non era
disturbato da
niente e non c'era la solita puzza delle città attorno a me,
ma l'odore di
terra smossa e di erba bagnata. Un paradiso insomma, se non fosse che
non
sapevo dove accidenti mi trovavo.
Avevo corso
a caso, cercando di inoltrarmi il più possibile nel folto
del bosco, e devo
dire che ci ero riuscito pienamente. Non sapevo dove fosse il nord e
fidatevi,
quella storia di guardare il muschio sui tronchi è una
cavolata. Il muschio
cresce dove gli pare, senza preferenze per uno dei punti cardinali, e
conosco
decine di persone che si sono perse a causa di questo trucchetto.
L'unica cosa
che potevo fare era sedermi, riposarmi un attimo, e poi pensare a come
tirarmi
fuori dalla foresta. Avrei anche dovuto cercare di capire come portare
a
termine la mia missione, perché altrimenti sarei stato
severamente punito una
volta tornato alla sede della Confraternita, e non è mai una
cosa piacevole. Ma
ogni cosa a suo tempo. In fondo ero stanco, avevo passato buona parte
della
notte precedente a cavallo per arrivare a Hale, e la giornata era stata
quasi
tutta occupata a scalare muri, ad abbattere porte e a scappare. Non
propriamente riposante. Quindi mi sedetti contro un albero, sguainai la
spada e
me la misi di traverso sulle ginocchia, poi chiusi finalmente gli
occhi. In
meno di tre secondi già dormivo.
Dopo quelli
che a me parvero pochi minuti, un rumore mi svegliò. Per
fortuna ho un orecchio
fino e mi risveglio di solito molto in fretta, capacità che
mi ha salvato la
vita in più di un'occasione. Girai la testa verso la fonte
del rumore e vidi un
gruppo di quattro guardie attorno a me. Quella alla mia destra aveva,
fortunatamente, pestato un rametto, che spezzandosi mi aveva svegliato.
Mi
tirai in piedi tranquillamente, con la spada nella mano.
– Volete
davvero farlo? – chiesi, cercando di sembrare il
più rilassato possibile. Cosa
che non mi venne neanche troppo difficile visto che io sono un
Assassino e mi
addestro da anni in vista di queste occasioni.
– Niente di
personale amico, ma Sir William vuole la tua testa. –
Feci un
sospiro. Non che non mi piaccia menare le mani, ma quel giorno
sinceramente
avrei voluto evitare. I quattro intanto continuavano a muoversi
lentamente
attorno a me e quello che aveva parlato mi stava davanti, la spada
risplendeva
debolmente nelle sue mani. Notai distrattamente che dovevo aver dormito
un paio
d'ore, visto come era calata la luce e come attorno a noi iniziasse a
farsi
scuro.
Mi misi in
guardia, con la spada davanti a me, perfettamente a mio agio. Gli altri
tre
inseguitori mi si avvicinarono ai lati, accerchiandomi. L'uomo di
fronte a me
si fece avanti e aveva appena iniziato a tirare su l'arma che sentii il
rumore
di una corda d'arco che veniva rilasciata.
Le frecce
volarono nell'aria e due si andarono a infilare nel petto della guardia
più
vicino a me, che cadde con un lamento e un'espressione esterrefatta sul
viso.
Gli arcieri dovevano essere tutto attorno a noi, perché gli
altri uomini
morirono colpiti da frecce che arrivavano da ogni direzione. Non
abbassai la
mia spada, nemmeno per un momento, e mi feci ancora più
guardingo quando una
quindicina di persone saltarono giù dagli alberi. Ognuno di
loro portava un
arco ed erano vestiti tutti di marrone e arancione, per mimetizzarsi
tra il
fogliame. Avevano un cappuccio in testa che non mi permetteva di vedere
chi
fossero. Ero sicuro che non fossero lì quando ero arrivato,
nel pomeriggio,
perché nonostante tutto mi ero guardato intorno con
attenzione. Dovevano avermi
raggiunto mentre dormivo.
– Grazie,
ma avevo tutto sotto controllo – dissi, rivolto a nessuno in
particolare. Gli
arcieri si avvicinarono a me, circondandomi.
– Così come
avevi tutto sotto controllo a Hale? – mi schernì
una voce.
Mi girai
dalla parte di chi aveva parlato, con aria offesa. Va bene che non era
stata
una missione molto discreta ma cavoli, di solito sono uno bravo.
– Direi che
questi non sono affari tuoi, – replicai stizzito. –
Ora, se per voi non è un
problema, io avrei delle cose da fare. Quindi, grazie del favore e
buona
giornata. –
Abbassai la
spada e feci per allontanarmi, ma all'improvviso mi ritrovai a fissare
quindici
frecce che puntavano esattamente verso di me.
– Si può
sapere cosa volete? – chiesi, improvvisamente guardingo. Il
tipo che mi aveva
parlato si tirò giù il cappuccio. Aveva una
faccia normale: occhi castani,
capelli lunghi raccolti in un codino, bocca sottile, quarant'anni
circa. Niente
di memorabile insomma, ma ero sicurissimo di non averlo mai visto prima
in vita
mia e di solito ho una buona memoria per le facce.
– Devi
venire con noi – ordinò freddamente.
So
riconoscere una causa persa quando la vedo e vi assicuro, quella lo
era.
Rinfoderai la spada e alzai le mani.
– Ricevuto
amico. Dove andiamo? – commentai, conciliante.
L’uomo mi si avvicinò con una
corda e mi legò le mani. Non opposi resistenza, non con
della gente attorno a
me armata.
– Dove
andiamo non deve interessarti. Non mi fido di te, Assassino. Fai un
solo
movimento che non mi convince e finirai i tuoi giorni in questa
foresta. E non
sono tuo amico. –
Insomma, un
omino simpatico e accattivante, ma decisi che lo odiavo veramente
quando mi
calò sulla testa un sacco di iuta. Mi presero la spada, poi
mi perquisirono e
trovarono tutti i miei pugnali, portandomeli via. Fantastico. Quella
schizzava
immediatamente tra le prime cinque giornate più schifose di
sempre, anche senza
essere stato calpestato da una quercia. Ma visto come stava andando,
per quello
c'era ancora tempo. Mai dire mai.
Come da
programma dopo poco iniziammo a muoverci. Il sacco che avevo in testa
puzzava
in modo terrificante e ipotizzai che in tempi migliori lo avessero
usato per
tenere il pesce, visto l'odore. Qualcuno poi doveva tenere in mano un
capo
della corda che mi legava le mani, perché ogni volta che mi
fermavo ero
obbligato a riprendere il cammino con uno strattone. Inciampavo
continuamente.
Quella foresta, come tutte le foreste d'altronde, era piena di radici
per terra
e sembrava che i miei rapitori facessero apposta a passare dove ce
n'erano di
più. Un paio di volte presi anche dei rami in faccia. Non
era decisamente uno
di quei viaggi che in genere si definisce piacevole.
Attorno a
me sentivo il bisbiglio degli uomini che mi avevano rapito, ma non
riuscii a
captare nulla di interessante. Decisi di sfruttare il tempo che mi era
stato
dato per ragionare. Non avevo mai visto quegli uomini prima d'ora, e
non capivo
cosa potessero volere da me. Se speravano in un riscatto, cascavano
decisamente
male. La Confraternita non ha soldi da sprecare per riavere uomini
talmente
incapaci da farsi catturare, cosa che per fortuna capita abbastanza
raramente.
Se volevano che compissi una missione per loro diciamo che non mi
stavano
mettendo nella migliore predisposizione d'animo possibile, e comunque
mi
sembravano tutti più che capaci di risolvere i propri
problemi da soli.
Decisamente
non capivo. È inusuale rapire un Assassino e il mio
probabilmente era un caso
più unico che raro. Cercai anche di orientarmi per un primo
periodo, ma poi
rinunciai. Potevo sentire da com'era il terreno sotto i miei stivali
che non stavamo
percorrendo un sentiero e di sicuro i miei rapitori stavano facendo
attenzione
a non fare una strada troppo lineare per rendermi ancora più
difficile capire
dov'ero. Non so quanto tempo camminammo, probabilmente un paio d'ore
abbondanti, quando finalmente ci fermammo e un urlo ruppe il silenzio
di quella
che ormai presumevo essere notte.
– Chi va
là? – urlò qualcuno.
– Sono
Thomas. Aprite – rispose il capo della nostra combriccola.
Dopo pochi secondi,
sentii il rumore di una porta che girava sui cardini. I miei rapitori
probabilmente decisero che ormai non ero più un pericolo per
loro, perché mi
tolsero il sacco dalla testa. Strizzai gli occhi un paio di volte e
rimasi
stupefatto. Eravamo in una radura, larghissima, che conteneva un
villaggio.
Case di legno, separate da sentieri puliti e ordinati, erano disposte a
formare
una griglia precisa. Dietro di noi un'alta palizzata sorvegliata teneva
lontani
i pericoli della foresta, fiaccole erano accese ad ogni incrocio per
permettere
di vedere bene anche nel buio più totale. Nonostante fosse
già calata la notte
persone camminavano ancora nel villaggio. Dei bambini giocavano a
rincorrersi e
dei ragazzi parlottavano e ridacchiavano vicino a una casa in un
angolo. Degli
uomini, e anche delle donne, armati facevano la ronda camminando vicino
alla
palizzata, osservando tutto quello che capitava con attenzione. Il mio
gruppo
avanzò all'interno del villaggio e Thomas ogni tanto faceva
un segno della mano
o del capo per salutare qualcuno. Sembrava decisamente benvoluto.
Arrivammo
dall'altra parte del villaggio, vicino a quelle che identificai come
stalle,
dove si trovava una casa solitaria con le sbarre alle finestre. Ahia.
Non mi
piacciono le prigioni, proprio per nulla. Per un folle istante sperai
che non
fosse quella la nostra meta finale, ma a quanto pare mi sbagliavo.
Thomas entrò
per primo, mentre altri due mi presero per le braccia e mi portarono
nella
casupola, che all'interno era divisa in due da una parete fatta di
sbarre. Da
un lato c'era una scrivania con un uomo seduto dietro, dall'altro un
materasso
mezzo rotto buttato per terra. Thomas iniziò a parlottare
con il mio
carceriere, che dopo poco alzò lo sguardo verso di me e mi
venne incontro.
– Benvenuto,
Assassino. Spero che ti godrai il soggiorno. –
Sogghignava,
il bastardo. Avrei tanto voluto rompergli tutti i denti e fargli
sparire quel
ghigno dalla faccia, ma purtroppo non mi avevano ancora slegato le
mani. Poi mi
prese, aprì con una chiave la porta della cella e mi ci
spinse dentro. Mi girai
a guardarli.
– Quando
uscirò di qui, verrò a cercarvi. Tutti quanti,
dal primo all'ultimo. È una
promessa. –
– Non fare
promesse che non puoi mantenere, ragazzo – mi disse Thomas,
voltandosi.
Dopodiché salutò il carceriere, che a quanto
pareva si chiamava Barry, prese i
suoi due compari con sé e uscì.
Dire che
ero arrabbiato probabilmente è riduttivo. Me ne rimasi in
piedi, muto, a
guardare fuori dalla finestra della mia cella per circa mezz'ora,
cercando di
sbollire. Non mi sarebbe servito a nulla urlare e fare confusione,
già lo
sapevo. Quando mi fui un po' calmato decisi di provare ad attaccare
bottone.
– Mi
potresti slegare le mani? – chiesi, porgendo a Barry i polsi
dalle sbarre. Non
avevo molte speranze in proposito ma, come si dice, tentar non nuoce.
Invece
l'uomo si avvicinò con un coltello in mano e
tagliò la corda. Si guadagnò un
bel po' di punti con il suo gesto. Forse non era poi così
male. Mi strofinai le
mani, che erano notevolmente indolenzite e formicolavano, e notai
distrattamente che mi sarebbero rimasti i lividi sui polsi per un po'.
Decisi
di continuare a sfruttare la momentanea disponibilità del
mio carceriere,
cercando di capirci qualcosa. Tornai alla finestra e mi rimisi a
guardare
fuori.
– Sembra un
bel posto qui. Dov'è che siamo precisamente? –
– Non
allargarti troppo, Assassino. Quelli come te mi fanno schifo. Mettiti
lì in un
angolo e fai quello che ti pare. Dormi, guarda il muro, impiccati se
vuoi, a me
non interessa. Basta che stai zitto, non voglio sentire una parola.
–
Mi
rimangiai tutto quello che avevo pensato prima: quell'uomo era
terribile. Però
aveva detto, incredibilmente, una cosa giusta: potevo dormire. Ero
stanco morto,
e forse un po' di sonno mi avrebbe permesso di capirci qualcosa in
più, la
mattina seguente. Quindi mi sdraiai sul materasso, cercai di non
pensare troppo
alle pulci e ai pidocchi che con ogni probabilità stavano
lì sopra, e chiusi
gli occhi.
Quando li riaprii
era giorno, ed ero finalmente riposato. Mi tirai a sedere e mi guardai
attorno,
notando che la cella era ancora più sudicia di quello che
sembrava la sera prima.
Macchie di muffa chiazzavano i muri e il terreno che fungeva da
pavimento
puzzava. Una parte del tetto avrebbe dovuto essere riparata,
perché l'acqua
gocciolava da lì sulla parete, lasciando strisce umide. Un
paio di scarafaggi
correvano per terra e in un angolo c'era una struttura che a quando
pareva era
il gabinetto. Sono un Assassino, va bene, e non è che di
solito noi dormiamo in
ville di marmo, però quella cella era davvero schifosa.
Unica nota positiva la
finestra, che faceva passare la luce del giorno e da cui potevo vedere
un pezzo
di strada e la palizzata.
Barry non
c'era più, se ne doveva essere andato durante la notte, e la
stanza adiacente
alla mia era vuota. Sul pavimento davanti alle sbarre c'era un piatto
con
dentro del cibo grigiastro non meglio identificato e, visto che avevo
fame,
mangiai. Presi il cucchiaio che mi avevano dato con il pasto e decisi
che
potevo provare ad usarlo per forzare la serratura. Mentre trafficavo,
pensai al
da farsi. Dovevo uscire da lì, assolutamente. Non potevo
passare la mia vita in
una schifosa prigione di un villaggio sperduto nella foresta e in
più dovevo
capire cosa volevano da me. Se magari fossi riuscito ad aiutarli mi
avrebbero
lasciato andare. Non potevo nemmeno sperare nel soccorso da parte dei
miei
amici, perché non mi avrebbero mai trovato. Non avevo mai
sentito parlare di
paesini in mezzo al bosco, ed ero sicuro che quello non fosse un
villaggio
segnato sulle mappe che avevo studiato prima della missione.
Dall'occhiata
rapida che avevo potuto dare la sera prima mi sembrava troppo ben
organizzato
per essere un paese comune. Le palizzate, la ronda, le guardie al
cancello...
decisamente non un villaggio normale, dove di solito è
già tanto se ti notano
quando entri. Anche le precauzioni che avevano preso con me Thomas e la
sua
banda. Sembrava avessero paura che potessi in qualche modo rivelare la
posizione di questa radura. Va bene che sono un Assassino, ma in linea
di
massima non uccido persone a caso e tanto meno denuncio villaggi che
non dovrebbero
esistere alle autorità, sebbene questo più per
una mia predisposizione
personale che per altro.
Intanto,
quella dannata serratura non voleva saperne di cedere. Dovevano
decisamente
avere dei bravi fabbri lì. Se mai fossi riuscito ad uscire,
avrei rubato
qualche spada: se erano di altrettanta buona fattura, sarebbero state
delle
ottime armi. “Quando torno alla
Confraternita mi faccio insegnare da Jared a fare lo scassinatore”
pensai.
Ecco un altro buon proposito da aggiungere alla mia lista. Lui era un
mago con
le serrature, forse per il suo passato da ladro. Ci fosse stato lui con
me
saremmo usciti da lì in quattro secondi netti. E dire che da
quando ci
conosciamo si è offerto di insegnarmi più di una
volta, ma io gli ho sempre
detto “non ne ho bisogno”. Certo. Fosse qui si
starebbe tenendo la pancia dalle
risate.
Mentre
imprecavo, sentii che la porta di ingresso veniva aperta. Tolsi in
fretta
l'inutile cucchiaino dalla serratura e me lo misi in tasca mentre mi
alzavo in
piedi. Quando la porta si aprì, mi bloccai riconoscendo la
persona che era
entrata.
Era
cresciuta dall'ultima volta che l'avevo vista e devo dire che all'epoca
non
avrei mai pensato che sarebbe potuta sopravvivere per così
tanto tempo da sola.
I capelli rossi che ricordavo erano stati tinti di un più
discreto castano, ma
gli occhi verdi erano rimasti gli stessi, grandi e luminosi. I
lineamenti si
erano fatti più precisi e decisi, il fisico si era modellato
e rafforzato. Da
ragazza che era, era diventata una donna. Una donna molto bella,
aggiungerei.
Era vestita da uomo, con pantaloni, stivali, camicia e un corpetto di
cuoio a
proteggerle il torace. Mi stupii di vedere che portava una spada al
fianco.
Sorrisi mio malgrado e mi
scoprii felice di rivederla viva.
– Ciao,
Camille. –
Lei mi
sorrise di rimando.
– Ciao,
Marcus. –
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