RICOMINCIAMO DA QUI
Capitolo 1
La sveglia suona imperterrita sul
comodino, mentre io sprofondo ancora di più con la testa nel
cuscino, ancorandomi a esso.
Non sono pronta ad affrontare una giornata
lavorativa, non dopo la serata di ieri. E pensare che l'avevo pure detto di
non poter fare tardi, ma hanno insistito così tanto
affinché rimanessi e il tempo è volato tra chiacchiere,
balli che ci hanno indolenzito le gambe, e risate a perdifiato.
Nonostante non voglia, sono costretta a trascinarmi giù dal
letto.
La sveglia segna a carattere cubitali le 7:00 e ciò non
fa che mettermi ansia: ho solo un'ora per prepararmi e arrivare al
lavoro, ma devo prima sistemare camera, scegliere cosa indossare, fare
una doccia e magari mangiare pure qualcosa.
Ce la posso fare, ce la
posso fare...
Un'ora e 10 minuti sono pronta. Ho racchettato una camicia e un jeans
dall'armadio, indossato delle ballerine e spruzzato del profumo
sul collo. Sono però bloccata nel traffico cittadino. Vorrà dire
che arriverò tardi al lavoro in ritardo, per la prima se
non unica volta!
Pigio il clacson indispettita dagli automobilisti dietro e, rassegnata,
mi appoggio al volante, coprendomi la faccia con i capelli castani.
Chiudo gli occhi, mentre nella mia mente si fanno spazio vividi i ricordi di ieri sera.
Un venerdì sera qualunque passato
in un bar della zona con degli amici: è un po' il nostro
ritrovo da quando avevamo 17 anni e condividevamo i banchi di
scuola. Ora di anni ne sono passati, di impegni ne abbiamo tutti, a
detta di Nicola, il mio migliore amico, io fin troppi, ma troviamo ancora
il tempo per rincontrarci, facendo finta che niente sia cambiato.
Proprio mentre sto per sonnecchiare, i clacson mi risvegliano, facendomi
intendere che è ora di ripartire. Arrivo trafelatata in
ospedale, la ventiquattrore in bilico tra il braccio e lo stomaco,
mentre cerco di scovare il badge dalla borsa. Riesco a trovarlo non
prima che essa mi sia cascata più volte dalle braccia e lo passo
sul monitor, respirando agitata.
Mi becco le occhiatacce della signora alla reception che picchietta
il dito smaltato di rosso sul suo orologio da polso, e io con la coda
tra le gambe mi dirigo all'ascensore. Le porte di esso si aprono
velocemente, permettendomi di salire e dirigermi al reparto.
Mi appoggio
con la testa alla parete e sospiro frustrata. Adoro il mio lavoro, per
carità, fare la pediatra è quello che progetto da anni,
ma ci sono mattine in cui preferirei rimanere sotto le coperte a
poltrire. Batto ritmicamente il piede e mi dirigo poi a passo svelto in
corridoio, una volta che le porte si aprono sul mio piano. Mi tengo
lontana da occhi intimidatori mentre penso che non ho niente di cui
rimproverarmi, capita a tutti di arrivare in ritardo, eh!
Mi dirigo nello studio che mi è stato assegnato, quando la voce
del primario mi richiama, facendomi bloccare sulla soglia. Stringo i
pugni lungo i fianchi mentre conto fino a dieci, sperando che non mi
faccia una ramanzina.
Alfredo Visconti, primario del mio reparto, uomo
di mezz'età e un metro e sessanta di cinismo e avidità.
Illude con le sue guance paffute e l'aria da finto bonario, ma è
davvero difficile entrare nelle sue grazie, ottenendo la sua stima.
Mi
volto quasi meccanicamente e un sorriso affiora sulle mie labbra, cercando di essere il più naturale possibile.
Mi avvicino a lui con
flemma, accorgendomi delle due persone al suo fianco che stanno
parlando.
La prima è Maria Luciani: un'infermiera sulla
cinquantina che dimostra meno della sua età, fisico snello e
slanciato, capelli biondi lunghi e fluenti, occhi azzurri piccoli e
vispi.
E' la prima persona che ho conosciuto quando sono venuta a lavorare
qui. Ero un medico alle prime armi, spaventata dal futuro, e lei mi
accolse con un sorriso dolce, mostrandomi il reparto e facendomi sentire
a mio agio. Ancora oggi è un punto di riferimento.
L'altra
persona, invece, mi dà le spalle, è un uomo, postura
diritta e abbigliamento elegante.
Il dottor Visconti, a quel punto, mi rivolge un sorriso di circostanza e,
prima che possa dire qualcosa, lo precedo: "Buongiorno dottore, volevo
scusarmi per il m..."
Lui, però, non mi lascia finire il discorso
che mi interrompe. "Dottoressa, non sono qui per rimproverarla per il suo ritardo, ma
che non succeda più".
La sua voce, al contrario di quanto mi aspettassi, risuona gentile alle mie
orecchie ed è capace di farmi tirare un sospiro di sollievo.
"Volevo semplicemente presentarle il nuovo medico, il dottor Luca
Franzese" mi spiega, calmo, e già sentire quel nome lo stomaco
mi si contorce. Ma non voglio farci caso, può davvero essere un
omonimo.
Ho la conferma, però, di trovarmi davanti a la persona che non
avrei mai voluto rincontrare, quando il dottorino, richiamata la sua
attenzione, si volta a guardarmi e il sorriso scompare dalle sue labbra
carnose.
" E tu!?" esclamiamo all'unisono.
Mi chiamo Anita Castaldo e no, questa giornata non è iniziata affatto bene.
Angolo autrice:
Buonasera a tutti miei cari lettori, per chi mi conosce già
bentornati, per i nuovi, benvenuti. E' una storia senza pretese questa,
nata per caso, ma mi farebbe davvero piacere che qualcuno magari la
leggesse o che l'aggiungesse da qualche parte, non so.
E niente questo capitolo è corto, e non si capisce molto, ma si
spiegherà tutto meglio nei successivi. Ringrazio chiunque
leggerà e alla prossima! <3