What did I forgot?
What did I
forget?
Consiglio
vivamente l'ascolto di "My love"
di Sia durante la lettura. Vi basta cliccare sul nome per
aprire l'indirizzo youtube.
Buona lettura.
Quegli esseri
mostruosamente grandi stavano proseguendo a gran velocità
verso di loro.
Ancora una volta, spronò il suo cavallo ad andare
più
veloce, lanciando poi un'occhiata al ragazzo che gli cavalcava affianco.
Un tonfo scosse l'aria.
Si voltò giusto in tempo per vedere uno dei soldati che
veniva
disarcionato con un calcio del gigante, per poi essere raccolto e
portato lentamente alla bocca.
Il giovane dagli occhi verdi era sconvolto: il defunto era stato uno
dei suoi compagni d'addestramento.
Si disse che mancava poco, che ce l'avrebbero fatta.
Forse, tra i due, adesso era l'unico a illudersi di sopravvivere.
Aprì gli occhi di soprassalto, stringendo
convulsivamente tra le mani le lenzuola del suo letto a due piazze.
Si mise a sedere, notando con sconforto quanto la leggera maglietta blu
fosse zuppa di sudore, così come i suoi capelli neri.
Posò lo sguardo sul panorama alla sua destra, offerto
dall'ampia
vetrata. Era notte fonda, ma luci diverse provenienti da palazzi
differenti illuminavano ancora la città.
Aveva la gola tremendamente secca. Decise quindi di alzarsi, mentre
portava una mano alla tempia per asciugare le lievi goccioline che
avevano preso a percorrere la sua guancia sinistra.
Per qualche minuto, passò inutilmente la mano sulle
piastrelle
fredde della parete del bagno adiacente alla camera da letto, alla
ricerca dell'interruttore, per poi trovarlo finalmente al quarto
tentativo.
La prima cosa che fece fu guardarsi allo specchio che si trovava al di
sopra del lavandino: era veramente ridotto a uno straccio.
Gli occhi rossi a causa della mancanza di sonno, le guance scavate, il
colorito della pelle pallido.
Da quant'era che non riusciva più a dormire? Un mese? Due?
Levi non lo ricordava più.
Era da troppo tempo che quel ragazzo faceva capolino nei suoi sogni.
«Levi!»
Il ragazzo lo stava chiamando.
«Va'! Lo fermerò io, e se non ci
riuscirò allora
avrete guadagnato abbastanza tempo per fuggire.»
urlò,
risoluto.
«Sei impazzito? Non me ne vado senza te!»
«Questo è un ordine, Eren. Non una
richiesta.»
Ormai aveva fermato il suo cavallo, più che intento a dare
tempo
ai giovani per fuggire, imprecando mentalmente perché il
minore
si era fermato con lui.
Era sul punto di piangere.
«Non ti lascio da solo, Levi.»
«Eren...»
Solo un paio di chilometri li distanziavano ormai da quell'orda di
titani.
Approfittò del poco tempo rimasto loro per stringere a
sè
il giovane, asciugando col pollice la prima lacrima che aveva preso a
solcare le sue guance.
«Non ti ho forse promesso che ti avrei protetto,
Eren?»
«Sì, ma-»
«No. Niente ma.»
«Posso aiutarti! Se mi trasformo, magari-»
«Allora moriremmo entrambi, e io non avrei mantenuto la mia
promessa.»
Avvicinò il volto al suo, premendo le labbra in un bacio che
sapeva di lacrime, di abbandono.
«Va', Eren.»
Con una mano girò appena il pomello del
rubinetto,
facendo scorrere l'acqua gelida e bevendone a grandi sorsi,
raccogliendone poi un po' per sciacquarsi il volto.
Ormai gli era passato anche il sonno. Si asciugò
velocemente, spegnendo poi la luce.
Sempre scalzo, camminò fino al suo piccolo studio di
pittura, stavolta impiegando molto meno per trovare l'interruttore.
La tela era ancora lì, intatta. Tra quelle che ultimamente
aveva
distrutto, forse questa era quella che era resistita più
tempo.
Si sedette sullo sgabello che aveva posizionato davanti, ammirando
quegli occhi che aveva dipinto giusto il giorno prima.
Le ciglia dell'occhio destro erano leggermente più lunghe
rispetto a quelle del sinistro, la tonalità di verde non era
abbastanza vivida, le iridi non erano splendenti come avrebbe
desiderato.
Gettò indietro lo sgabello, improvvisamente furioso con se
stesso, tirando un pugno contro la tela e aprendo un buco all'interno.
Poi, con entrambe le mani allargò il foro, strappando il
dipinto con un ringhio.
Non era abbastanza.
Lanciò malamente a terra la tela ormai ridotta
a
brandelli, per poi avvicinarsi alla scrivania alla sua destra, cercando
i colori giusti e i pennelli.
Cominciò a dipingere, tratteggiando con rabbia,
un'inspiegabile furia in ogni suo impercettibile movimento delle dita.
Prima gli occhi, verdi.
No, non verdi.
Smeraldo. No, non è neanche quello.
Ci sono delle punte di azzurro... ma più tendenti al verde.
Non va bene.
Eren, seppur dolente,
era risalito sul cavallo e si era allontanato.
Osservò quei giganti, ormai così vicini.
Non aveva neanche avuto il tempo di dirgli "Ti amo". O forse,
semplicemente, non ne aveva avuto il coraggio.
Almeno aveva avuto l'occasione di stringerlo tra le sue braccia
un'ultima volta, di sfiorare le sue labbra.
Di perdersi in quegli occhi dal colore impossibile.
Corse incontro ai titani, stavolta certo di trovare la morte.
«Non
è abbastanza...» disse in un sussurro.
***
Non voleva sembrare debole.
Eppure lo era.
Era dannatamente fragile, mentre osservava il corpo di Levi che veniva
bruciato.
Quando tornò nella sua stanza, non potè far a
meno di piangere. Urlò, prese a pugni la parete.
Si graffiò il volto, si strappò la camicia di
dosso, si tirò i capelli dalla testa.
Levi gli aveva dato tutto.
Allora perché si sentiva così vuoto, ora?
Hanji si accomodò
sullo sgabello che la notte prima aveva malamente calciato.
«Hai una cera pessima...»
«Oggi ho appena toccato cibo. Non riesco a dormire la
notte.» disse in un soffio, guardando da lontano l'ultimo
dipinto
che aveva finito, appena qualche ora prima.
L'amica annuì in silenzio, la bocca stretta in una linea
sottile, seriamente preoccupata per la salute di Levi.
Poi posò anche lei lo sguardo sulla tela.
Raffigurava due occhi verdi, splendidi. Rimase senza fiato
nell'osservare i dettagli delle iridi, realistici.
«L'hai fatto tu?»
«Chi altri?» fece scocciato l'altro mentre
intrecciava le braccia.
«È splendido, Levi. Uno dei tuoi lavori
migliori.» disse con sincera ammirazione.
La risposta che ricevette la lasciò senza parole.
«Ti sbagli. È il peggiore.»
«Sei cieco, per caso? Quand'è che sei stato
dall'oculista l'ultima volta?»
«Ci vedo benissimo, se è questo che vuoi sapere.
Ma è vero, è il mio lavoro peggiore.»
Un silenzio cupo aleggiò sulla stanza, mentre il corvino si
spostava davanti alla tela, prendendo ad accarezzare con le dita la
pelle rosa che aveva dipinto attorno agli occhi.
«Credevo che la mia carriera come pittore fosse brillante,
Hanji.» iniziò, la voce bassa.
«Lo è, Levi.»
La donna ascoltava in silenzio, triste a causa dell'atteggiamento
dell'amico.
L'uomo scosse la testa, passando ora il palmo aperto sulle iridi.
«Ho iniziato a fare questi sogni. La notte mi ritrovo a
sognare
questi giganti, questa specie di mondo in rovina... e c'è
questo
ragazzo. Credo... Credo che io e lui avessimo una relazione. Ti
potrò sembrare pazzo, lo so, ma credo che sia vero, in
qualche
modo.»
Strinse il palmo in un pugno, battendolo con delicatezza contro la
tela, attento a non rovinarla.
«Non ricordo il suo nome. Però ho nella mia mente
i suoi occhi. I suoi dannatissimi occhi.»
Sospirò, mentre sentiva gli occhi iniziare a pungere.
«Ho scoperto di non avere i colori giusti, di non conoscere
abbastanza sfumature per riuscire a rendere questo colore impossibile,
questo verde così particolare, queste punte
d'azzurro.»
La sua schiena tremò appena, in preda ai singhiozzi. Calde
lacrime stavano solcando il suo volto.
«Cosa ho dimenticato, Hanji?»
Si voltò verso di lei, impotente come mai lo era stato.
Cadde in ginocchio, passandosi le mani sul volto.
«Cosa ho dimenticato...»
***
Quel pomeriggio stesso, Hanji
l'aveva costretto a prendere un caffè con lei.
La sensazione dei raggi del sole che battevano contro la sua pelle fu
strana: da quant'era che non usciva? Non ricordava neanche quello.
La donna lo trascinò verso la caffetteria più
vicina.
«La cheesecake che fanno qui è davvero
fenomenale... per
non parlare dei cappuccini!» gli aveva detto per strada,
leggermente esaltata.
Aveva acconsentito senza neanche pensarci due volte, magari un po' di
distrazione gli avrebbe fatto bene.
La piccola caffetteria era piacevolmente affollata, ma nonostante
ciò trovarono senza problemi un tavolino libero. Trascorsero qualche minuto a leggere il menù, e quando furono
pronti a ordinare, un giovane cameriere si avvicinò al loro
tavolo.
«Cosa vi porto?» chiese con una nota di gentilezza.
Il cuore di Levi cominciò a battere all'impazzata.
Il ragazzo aprì leggermente le sue labbra con sorpresa,
quando i loro sguardi s'incrociarono.
Levi, dopo tanto tempo, sorrise.
I suoi occhi glaciali avevano incontrato quelli che ormai da troppo
tempo invadevano i suoi sogni.
Note d'autrice:
Sì, lo so che ho pubblicato ieri l'ultimo capitolo della mia
minilong, ma ormai questa OS chiedeva da troppo tempo di essere scritta.
Non ho resistito ed ecco il risultato.
Spero sinceramente che vi sia piaciuta (e magari avrete capito qualcosa
LOL), fatemi sapere i vostri pareri con un commento, se vi va!
With love,
Your Joker.
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