Note:
scusate per il lungo silenzio! Giuro che volevo aggiornare prima D:
Come
sarà evidente, questo capitolo è stato
revisionato soprattutto durante i giorni del caldo africano... jeez che
sofferenza quest'estate. Mi piace il bel tempo, ma rosolare lentamente
no, lol. Beh, eccovi un po' di fluff appiccicoso. In tutti i sensi ;)
Béra ->
presso gli Jotnar, equivalente di "madre", per la precisione chi
partorisce un figlio (opposto a geta che
equivale al padre).
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Nessun
riposo per i malvagi...
E' stata un giornata lunga, torrida e
stressante, seguita da una sera altrettanto torrida e stressante.
Sembrava non dovesse finire mai. Almeno adesso dalle finestre entra
un alito d'aria, e Loki ha raggiunto lo stato di calma tra
rilassatezza e sfinimento. Steso sul letto, fluttua finalmente verso
il sonno profondo.
Sente già che dormirà in modo
superlativo quando, com'è ovvio, succede qualcosa. La porta
della
camera si apre.
Lui e Thor non usano più un
baldacchino da anni, per cui sente chiaramente i passetti che si
avvicinano. Il moto di preoccupazione è istintivo: i suoi
figli non
fanno mai puntate solitarie quando vogliono una storia o qualche
minuto (ora) nel letto grande; soprattutto non all'alba. Forse stanno
male. Sono caduti dal letto. Raffreddati. Hanno fatto brutti sogni,
indigestione–
A giudicare da quel che percepisce,
però, ce n'è solo uno e Torleik sta bene.
Loki si rilassa. Suo figlio ha solo il
respiro un po' affannoso, come suo padre, disteso mezzo nudo sulla
schiena a russare con un velo di sudore sul corpo.
Loki non si muove, occhi chiusi, spalle
all'ingresso. I passetti cessano appena dietro di lui. Poi una manina
gli picchietta contro una scapola. Torleik lo chiama in un sussurro.
Senza aspettare una risposta, tenta
l'arrampicata, ma è ancora troppo basso. Loki lo sente
saltellare,
impaziente, e tornare indietro per armeggiare con qualcosa di
metallico e pesante – oh, l'elmo di suo padre. Lo sta
trascinando
vicino. Thor quasi smette di russare.
Poi la manina torna, stavolta sul suo
braccio, accompagnata dall'altra. Loki deve trattenere un sorriso.
Solleva la palpebra sinistra, quasi bloccata dal cuscino, e vede che
Thor sta sbirciando la scena con un mezzo sorriso.
«Béra.»
Loki finge di muoversi nel sonno e
sposta il braccio.
«Béra!» fa Torleik
nel suo
orecchio, saltellando sul bordo del materasso.
Poi sbuffa e gli si arrampica addosso,
sedendosi a cavalcioni sul suo fianco, dove rimbalza impaziente. Alla
fine si sdraia dov'è e appoggia il mento sulla sua spalla,
braccine
e gambette metà da una parte e metà dall'altra
come un cucciolo.
«Béraa...» mugugna.
Loki non riesce più a trattenere il
sorriso. Torleik lo vede e lancia un risolino, agitandosi.
I suoi occhi verdi sono vispi ma
stanchi, il visetto arrossato. Con destrezza, Loki lo fa scivolare in
avanti e, mentre lui lancia uno strillo, lo raccoglie fra le braccia
per coprirlo di baci. Quando finge di mordergli la pancia, il
solletico lo fa ridere in modo adorabile. A volte Loki non si
capacita di come un bambino così allegro possa esser nato da
lui
(poi considera Thor e).
Accanto a loro, Thor si mette su un
fianco e li guarda, testa poggiata a un braccio, luminoso come un
raggio di sole.
«Buongiorno» dice, carezzando il loro
bambino sulla guancia.
«Buongiorno... e anche a te.» Loki
guarda Torleik, che sbadiglia. «A cosa dobbiamo la vostra
presenza,
altezza reale?»
«Ho caaldoo.»
«Ah, capisco. Bene, possiamo
rimediare, no?»
«Ma non la magia!» protesta lui,
espressione che è una copia in piccolo di quella
più tipica di
Thor.
Sulla sua faccina, che ha i tratti di
Loki, è abbastanza inquietante.
«E allora cosa?»
«Lo sai cosa, béra»
bofonchia.
«No, non lo so» risponde Loki, mentre
Thor se la ride sotto i baffi.
«Béraa! Per
favore...»
Un sospiro. «E va bene.»
Loki si sfila la tunica, si distende
sulla schiena e lascia emergere la sua vera pelle; la stanza, prima
sopportabile, diventa subito soffocante. Torleik gli si drappeggia
addosso con un gridolino di sollievo. La sua guancia è
bollente. Lo
vede scrutare un capezzolo, memore dei seni che lui e il suo gemello
succhiavano fino a pochi mesi prima – ma non c'è
più latte e il
petto di Loki è tornato quello di un guerriero. Un po'
deluso, il
bambino si gira dall'altra parte per vedere suo padre unirsi
all'ammucchiata.
«Ohh» fa Thor. «Finalmente.»
«No» fa Loki, lamentoso. Morirà per
liquefazione. «Thor. Potrei ancora
lanciarti quella
maledizione.»
Impenitente, lui gli bacia una tempia e
gli affonda il viso rovente nel collo.
«E Raði?»
aggiunge.
«Dormiva» bofonchia Torleik,
sbavandogli sullo sterno.
Già in un bagno di rugiada, Loki
allunga un braccio e prende dal cassone a fianco del letto uno degli
specchi magici. A una parola, la superficie ondeggia e gli mostra un
soffitto, quello della stanza dei principi reali. Dopo qualche
secondo l'immagine sussulta e cambia angolazione. Davanti a lui
compare le testa bionda di Raði.
«Che c'è?» chiede, palpebre a
mezz'asta. «Fatto un brutto sogno, béra?»
Loki sorride, sofferente. «No, tesoro.
Volevo chiamarti qui. Non hai caldo?»
Dalla lucidità nel suo sguardo capisce
che s'è reso conto di cosa intende. Loki è blu,
dopotutto.
«No, ma vengo!»
E non molto dopo, Loki è sommerso di
pellicce viventi. È uno stato scomodo e appiccicoso: le sue
corna
picchiano contro la testata del letto (sono cresciute ancora) e ha un
ginocchio di Thor incuneato sotto la coscia sinistra. Fra poco
dovranno alzarsi per aprire le udienze. Ma non se ne andrebbe da quel
nido affollato per niente ai mondi.
«Domani vi trascino tutti a Jötunheim»
brontola.
Thor gli sfiata nel collo, troppo
affaticato per ridere.
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