Share your horizon with mine

di L S Blackrose
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cap

 Extra

- Walking on sunshine -





Here I stand, staring at the sun
You're not there, but we share the same one

One thing's true just like you
There's only one

(Mika)





Eric



Sono le sedici in punto e lei è in ritardo.

Inarco le sopracciglia, scrutando corrucciato la facciata dell'ospedale come se la ritenessi direttamente responsabile della mancanza di puntualità della mia ragazza – e del mio consequente nervosismo.

Sbuffo e incrocio le braccia, spostando lo sguardo verso l'alto. Il chiarore del sole mi abbaglia per un istante, finché non mi affretto ad indietreggiare per nascondermi nell'ombra dell'albero più vicino. Una volta al riparo tra le fronde, mi lascio andare ad un breve sospiro sconsolato. L'unica debolezza che sono disposto a concedermi, nonostante l'ansia che mi paralizza i muscoli e il sudore che mi imperla il viso. E, curiosamente, non per via del caldo che, sebbene sia soltanto metà giugno, è calato come una cappa sulla città, trasformando ogni singolo edificio privo di impianto di condizionamento in una serra.

No, il mio non è altro che patetico, inutile e fastidioso sudore freddo. Se non mi fossi esercitato in tutti questi anni a mantenere un gelido autocontrollo anche nelle situazioni più rischiose e insidiose, probabilmente in questo momento starei sfogando la mia agitazione tirando pugni alla cieca contro il tronco di quest'indifesa betulla, sola testimone del mio conflitto interiore, nonché unico bersaglio disponibile ed innocente destinatario delle mie occhiate truci.

Perché sono le sedici e ventidue e lei non è ancora uscita da quel dannato ospedale.

Digrigno i denti e mi sforzo di scrollare i muscoli irrigiditi di gambe e spalle. Muovo qualche passo attorno ai cespugli, calpestando con ferocia le erbacce e strappando con maligna soddisfazione alcuni tralci di edera dai rametti sporgenti di un giovane acero. Il tutto pare smorzare, anche se di poco, la mia irritazione. Ma l'ennesima occhiata al quadrante dell'orologio che tengo perennemente al polso mi fa imprecare a mezza voce.

Giuro che se tra un minuto non la vedo varcare quella porta, io …

Mi blocco a metà del pensiero, perché all'entrata dell'edificio è effettivamente comparso un piccolo gruppo di Eruditi.

Scendono composti la scalinata di pietra, i camici bianchi in spalla. Alcuni tengono dei libri sottobraccio, altri un blocco per appunti sopra la testa per riparare il viso dai micidiali raggi solari. Passo in rassegna ogni persona fino a trovare la ragione della mia scampagnata nel quartiere dei cervelloni.

Una sensazione di dejà-vu mi provoca una fitta alla nuca. Un paio di anni fa, in questo identico luogo, ho persuaso la mia recalcitrante ragazza a non opporsi al mio desiderio di conoscere il mio futuro suocero. E i miei quattro simpatici e amorevoli cognati, non dimentichiamoli. Ripenso alla fatidica cena e mi sfugge una smorfia tra l'ironico e l'esasperato.

C'è qualcosa che non farei per assicurarmi la felicità di Zelda?

La guardo avanzare con sicurezza lungo il viale, voltarsi appena per rivolgere un ultimo saluto ai colleghi e riportare quasi all'istante l'attenzione su di me. Il suo sorriso mi abbaglia più del sole; sento nitidamente una goccia di sudore scorrere lungo la spina dorsale e reprimo un brivido quando un refolo di vento fresco mi frustra la schiena.

Mi passo nervosamente una mano tra i capelli, leggermente più lunghi rispetto al solito. Il fatto che sia diventato riluttante a farli accorciare in questi ultimi anni testimonia quanto profonda sia diventata l'influenza di Zelda nella mia vita. Che ci posso fare? Sentire le sue dita intrecciarsi alle ciocche appena sopra la nuca mi piace da impazzire.

La mia ragazza percorre gli ultimi metri quasi correndo e infine mi getta le braccia al collo, baciandomi con impeto tale da provocarmi un livido. Dopo essermi ripreso dalla sorpresa, la stringo a me, rispondendo con ardore al suo assalto, incurante degli sguardi curiosi dei medici che ci passano accanto diretti al chiosco poco distante.

Quando mi decido ad allentare l'abbraccio, per permettere ad entrambi di riprendere fiato, noto che lei non ha la minima intenzione di lasciarmi andare. Strofina la guancia contro la mia come un gattino alla ricerca di coccole.

Sposto le mani alla base della sua schiena, facendo scorrere i pollici sul pezzetto di pelle tra il bordo della gonna e l'orlo inferiore della camicetta azzurra. «Tutto questo entusiasmo mi fa dedurre che tu abbia avuto una bella giornata» mormoro soavemente contro il suo orecchio.

Zelda si tira indietro e mi sorride, raggiante. «Oh, sì. Una delle più belle dell'ultimo periodo. Specialmente perché sapevo che ti avrei trovato qui ad aspettarmi». Mi dà un altro bacio a fior di labbra, che accetto più che volentieri.

«Adulatrice» borbotto a mezza voce.

Lei risponde battendo le ciglia con fare civettuolo. «Ma è la verità. Non vedevo l'ora di vederti. Da quando hai deciso di lasciarti crescere barba e capelli, sei diventato semplicemente irresistibile».

Un ghigno compiaciuto mi solca le labbra nell'udire quest'affermazione. «Questa valanga di complimenti mi sta facendo insospettire. Non stai per comunicarmi qualche brutta notizia, vero piccola?».

Invece di ridere come mi aspettavo facesse, Zelda arrossisce. «Ma no. Che vai a pensare!» esclama, liberandosi gentilmente dal mio abbraccio e sistemandosi i vestiti spiegazzati. Dopo aver fatto un respiro profondo, torna a guardarmi. «Allora, dove si va? Sbaglio, o avevi detto che avevi una sorpresa per me?».

La sua reazione alla mia domanda e la leggera nota di nervosismo nel suo tono mi fanno inarcare un sopracciglio. Inizio a nutrire dei sospetti, ma li accantono quasi subito: ho altro a cui pensare al momento. In cima alla lista il contenuto della tasca destra dei miei pantaloni, che sembra scottare a contatto con la pelle della coscia.

Mi schiarisco la voce, tentando senza successo di apparire disinvolto. «Lo vedrai. Andiamo».

Prendo Zelda per mano e inizio a fare strada lungo il sentiero che costeggia il parco. Sono troppo nervoso per portare avanti una conversazione: mi limito ad annuire, mentre lei si lancia nel racconto di come il team di chirurghi del suo reparto sia riuscito a ridare la vista ad un bambino rimasto gravemente ferito durante un incendio.

Anche se questa notizia non è nuova per me, la ascolto con attenzione. Durante una delle nostre ultime chiacchierate, il dottor Blackburn non la smetteva di tessere le lodi di sua figlia, di come la diagnosi di Zelda si fosse dimostrata azzeccata e avesse contribuito in modo rilevante alla buona riuscita dell'intervento. Il caso non era di sua competenza, ma lei ha talmente insistito per visitare il bambino che nessuno ha avuto il coraggio di opporsi. La cosa divertente è che lei non fa accenno alla propria partecipazione mentre mi descrive i vari passaggi dell'operazione. Troppo modesta, come sempre.

Le si illuminano gli occhi quando parla del bambino. «Dovevi vederlo, Eric. Era così carino. In parte è colpa sua se ho ritardato tanto. Non voleva lasciarmi andare, continuava a chiedere di me. Ho dovuto aspettare che il sedativo facesse effetto, prima di sgattaiolare fuori dalla sua stanza».

Inclino il capo e le rivolgo un sorrisetto. «Se stai cercando di farmi ingelosire … beh, sappi che sta funzionando alla grande».

«Eric, non essere ridicolo» mi rimprovera lei, mordendosi le labbra per non ridere.

Scuoto la testa, fingendomi indispettito. «Come se non dovessi già preoccuparmi dei tuoi colleghi uomini. Ora ci si mette pure un bambino». Mollo la sua mano e le passo un braccio attorno la vita. «Basta che mi distragga un attimo e subito qualcuno cerca di provarci con te. E' parecchio seccante».

Zelda mi passa una mano sulla schiena, come per tranquillizzarmi. «Non ricominciare. Quante volte abbiamo discusso di questa cosa?».

Ci penso su per un paio di secondi. «Nell'ultimo mese, almeno una quindicina».

«Hai tenuto il conto?».

Alzo le spalle con noncuranza. «Non proprio. Diciamo che ho la mia personale lista nera su cui appunto i nomi dei tuoi ammiratori …».

«Eric ...» mi ammonisce lei, in tono contrariato.

«Tranquilla. Sto scherzando» mi affretto a ribattere, prima che prenda sul serio le mie parole.

Sarebbe tragico se scoprisse che sto dicendo la verità e che ho minacciato almeno cinque dei suoi colleghi di morte violenta. A mia discolpa va aggiunto che i medici in questione stavano parlando di lei - e, più precisamente di quello che avrebbero voluto fare con lei - in modo non propriamente rispettoso. Pensare alle loro battute volgari mi fa ancora fremere dalla rabbia.

Zelda apre bocca, sicuramente per ribattere a tono, ma io prevengo qualsiasi rimprovero abbia in mente indicando il cartello davanti a noi. «Eccoci arrivati. Questa è la prima tappa».

Lei osserva per alcuni istanti il segnale di pericolo e la recinzione arrugginita che costeggia i binari. La sua espressione inquieta mi fa ghignare. «Pronta per un piccolo tour nella tua futura fazione?».


* * *



Zelda



«Oh no. No, no, no», ripeto come un disco rotto, muovendo qualche passo indietro nell'erba secca. «Sei pazzo? Io lì sopra non ci salgo!».

Eric mi osserva con cipiglio condiscendente, tipico dell'insegnate che ha a che fare con un alunno particolarmente indisciplinato.

Incrocia le braccia muscolose, piazzandosi tra me e la ferrovia decadente. «Andiamo, Zelda, non fare la bambina. Prima o poi dovrai superare la tua fobia dei treni. Vuoi diventare un'Intrepida, me l'hai detto tu stessa. Mi sbaglio?». I suoi occhi diventano scuri come nubi che preannunciano tempesta, la sua mascella si irrigidisce. «Hai forse cambiato idea?».

Mi stringo le braccia attorno al busto e abbasso lo sguardo a terra. Dentro di me è in atto una disputa tra la metà che mi incita a scappare e quella che mi spinge tra le braccia di Eric. Come d'abitudine, vince il lato che tifa per il Capofazione.

Mi sfugge un sospiro rassegnato. «Non è così, lo sai. Sai cosa provo per te. I miei sentimenti non sono cambiati, ma …». Mi interrompo e riporto gli occhi nei suoi. «Devi anche capire che non è facile per me. Abbandonare la mia famiglia, la mia casa, lasciare tutto per ricominciare una nuova vita in una fazione che conosco a malapena». Inspiro brevemente e do un calcio ad una lattina scheggiata, mandandola a cozzare contro il cartello che invita a non attraversare i binari. «Per te è facile. Tu hai scelto di diventare un Intrepido perché era la tua natura, la tua ambizione. Io, invece, diventerò un'Intrepida solamente per non perderti, per rimanerti accanto».

Sulle labbra mi compare un sorriso di scherno. «Sembra che in tutta questa situazione l'unica a perdere qualcosa sia io, mentre tu non ti smuovi di un millimetro. Come reagiresti se ti chiedessi di rinunciare alla tua posizione di Capofazione per me? Di ritornare nella tua vecchia fazione, di toglierti tutti i tuoi adorati piercing e di coprire i tatuaggi?». Il mio tono si abbassa verso la fine della domanda, diventando cupo.

Ed io, cosa ci guadagno? Questa richiesta non pronunciata ad alta voce pare galleggiare sopra di noi come un cattivo presagio.

Eric non ha mosso un muscolo dall'inizio del mio monologo. Se ne sta immobile come uno dei pali che sostengono i tralicci dell'alta tensione, scuro in volto e con gli occhi socchiusi puntati verso il cielo. Quando li riporta su di me, scorgo una fiammata di determinazione divampare nelle sue iridi color mercurio liquido.

Copre la breve distanza che ci separa con un solo passo e prende le mie mani tra le sue. «Guardami» scandisce lentamente, come se non lo stessi già fissando imbambolata. Porta le mie mani ai lati del suo viso e intreccia le dita alle mie. «Permettimi di ricordarti i lati positivi della scelta che ti accingi a compiere. E a cosa rinunceresti se decidessi di lasciarmi».

Senza perdere il contatto visivo, struscia la guancia contro il palmo della mia mano. L'accenno di barba mi pizzica la pelle, trasmettendomi una piacevole scossa che si propaga fino alla piega del gomito. Eric inclina il capo e posa un bacio prima sulle mie dita, per poi far scorrere le labbra sul mio polso, dove mi lascia un leggero morso.

Non vale. Non è leale, vorrei protestare, ma riesco solo a boccheggiare. Lui conosce ogni mio punto debole, sa quali mezzi usare per persuadermi. Dopo tutti questi anni, ha un metodo più che collaudato. Il suo fascino da bello e dannato è un'arma che non esita a usare per farmi cedere e, detto tra noi, gli riesce anche troppo facile.

Eppure il modo in cui mi sta baciando adesso mi lascia lievemente interdetta. È come se stesse davvero cercando di convincermi a non abbandonarlo, come se temesse che potrei veramente tirarmi indietro. Come se avesse preso davvero sul serio la mia provocazione e fosse disposto a farmi cambiare idea a qualsiasi costo.

In realtà, l'idea di lasciarlo non mi è mai neanche passata per la mente: gli ho detto quelle cose spinta dall'incertezza e dalla paura dell'ignoto. Come una bambina in vena di capricci.

Eric mi tiene stretta a sé in modo convulso. Rispondo con altrettanta passione ai suoi baci, muovendo il corpo al ritmo del suo e rabbrividendo di piacere al tocco delle sue mani.

Non finirò mai di stupirmi del potere che questo ragazzo esercita su di me, di come la mia intera persona finisca per gravitare attorno a lui come un satellite. Come un suo semplice abbraccio mi faccia sentire a casa, al sicuro.

Oh, Eric.

Le sue mani si contraggono sui miei fianchi e un sussurro spezzato accompagna la discesa delle sue labbra sul mio collo. «Non lasciarmi, Zelda. Per favore, resta con me».

L'incertezza che avverto nella sua voce fa sciogliere quel minimo di reticenza che ancora albergava dentro di me. Se qualcuno ci vedesse in questo momento, probabilmente penserebbe di avere le allucinazioni: l'impavido Capofazione intento a supplicare, forse per la prima volta nella propria vita, e la fredda ed inflessibile dottoressa Blackburn commossa fino alle lacrime, quando nessuno è mai riuscito a farla piangere.

Beh, con l'ovvia eccezione dell'Intrepido sopracitato. E dire che aspettavo con trepidazione questo pomeriggio per rivelargli che ...

Tirando su col naso in maniera davvero poco femminile, sciolgo la stretta di Eric e mi passo freneticamente le mani sul viso, per cancellare le prove della mia momentanea debolezza. Lui sgrana gli occhi alla vista delle lacrime che mi scorrono sulle guance. «Io … cosa …».

Lo blocco con un gesto. «Non è niente, non è niente. Accidenti, adesso mi sarà colato tutto il trucco. Così imparo ad impiastricciami con l'eyeliner solo perché tu dici sempre che mette in risalto i miei occhi …».

Eric mi guarda tra lo stupito e il divertito. Passa un pollice sul mio zigomo per togliere uno sbuffo di nero e fa per dire qualcosa, ma viene fermato dall'indice che gli premo sulle labbra.

Gli sorrido con tutta la dolcezza di cui sono capace e lui si irrigidisce. «Credo che tu mi abbia fraintesa. Non ho intenzione di mollarti, nemmeno per sogno. Sono solo … terrorizzata da ciò che mi aspetta. Tutto qui». Mi stringo nelle spalle con aria contrita. «Forse volevo solo essere rassicurata. E magari coccolata un po'».

Dopo un lungo sospiro di sollievo, Eric mi sfiora la fronte con le labbra. «Per un attimo ho creduto che ci avessi ripensato. Che fosse troppo per te. E non avrei potuto biasimarti». Rimane un attimo in silenzio, come se stesse riflettendo tra sé. «Sono contento che non sia così, anche se tutto questo parlare ci ha fatto perdere uno dei pochi treni che percorrono questa tratta». Si passa una mano tra i capelli e poi la infila in tasca. «Volevo che fosse tutto perfetto, avevo pianificato tutto nei minimi dettagli, ma … al diavolo, ora o mai più».

Detto ciò, estrae un piccolo sacchetto di raso dalla suddetta tasca e, sotto il mio sguardo sconvolto, appoggia un ginocchio a terra.

«Oh, accidenti» esclamo, portandomi una mano alla bocca. «Ti prego, dimmi che non lo stai facendo veramente!».

Il mio ragazzo alza gli occhi al cielo con aria afflitta. «Per una volta, una sola, puoi far finta di comportarti come una fidanzata normale? Ti prometto che dopo oggi non tenterò più un approccio romantico con te, ma voglio che questo momento sia speciale. Perciò, per quanto mi senta un perfetto cretino in questa posizione, farò le cose come da tradizione e tu mi reggerai il gioco. Vedilo come un risarcimento per aver buttato nella spazzatura tutti i miei mazzi di fiori per un mese intero».

Senza volerlo, scoppio a ridere. «Ancora con quella storia? Sono passati più di quattro anni, Eric!». Lo sguardo di fuoco che mi lancia vale più di mille risposte, quindi mi affretto ad alzare le mani per stabilire una tregua. «Oh, va bene. D'accordo. Fa quello che devi».

Lui mi scocca un'altra occhiataccia, prima di schiarirsi la voce. Apre con delicatezza il cordoncino del sacchetto ed estrae un anello. Lo tiene tra pollice e indice, alzandolo davanti agli occhi e osservandolo come se si trattasse di una preziosa reliquia. «Sai da quanto tempo lo porto con me?». La sua è una domanda retorica, ma mi lascia ugualmente di stucco. «Quasi tre anni. Me l'ha donato mia madre la prima volta che le ho parlato di te». Un velo di rosa si espande sui suoi zigomi mentre me lo confessa. Per tutta risposta, il mio cuore comincia a martellare contro la gabbia toracica come se stesse cercando di sfondarla. «Credo avesse capito cosa tu rappresentassi per me, già allora. E poi l'ho portato con me quando i tuoi fratelli mi hanno invitato a cena. E quando ho chiesto la tua mano a tuo padre. A quanto pare mi ha portato fortuna, perciò non l'ho più tolto dalla tasca».

Lo interrompo, sforzandomi di mascherare lo shock. «Tu … hai chiesto la mia mano? E quando l'avresti fatto?».

Eric fa spallucce. Anche lui si finge più calmo di quanto in realtà non sia. «Il giorno dopo aver conosciuto la tua famiglia» afferma con sicurezza, senza battere ciglio.

Sbarro gli occhi. Vorrei chiedergli perché ha atteso tutti questi anni a farmi la proposta, ma il groppo che ho in gola mi permette a malapena di respirare.

Lui però intuisce i miei pensieri. «Ho aspettato che terminassi l'università, che realizzassi il tuo sogno di diventare pediatra. E volevo che mi conoscessi bene, ogni lato del mio carattere. Ti ho dato il tempo di mandarmi al diavolo, ma non l'hai fatto. Certo, abbiamo discusso, litigato furiosamente …».

«Adesso non tirare fuori la storia del vaso. Se avessi davvero voluto colpirti, l'avrei fatto. E te lo saresti meritato. Mi hai ...».

Eric mi fa segno di tacere. «Abbiamo avuto i nostri alti e bassi, come ogni coppia che si rispetti. E nonostante tutto, siamo ancora insieme. Perciò …». Si schiarisce la voce con un colpo di tosse e mi porge l'anello. Osservo affascinata il luccichio della pietra al centro della fascetta d'oro, un piccolo zaffiro circondato da minuscoli brillanti. «Zelda Blackburn. Sei l'unica persona al mondo che può permettersi di insultarmi rimanendo impunita, l'unica davanti alla quale sia disposto ad inchinarmi. L'unica per me».

Eric ha un'espressione talmente vulnerabile da farmi salire di nuovo le lacrime agli occhi. Maledetti ormoni.

Lui mi prende la mano e con uno strattone non proprio gentile mi trascina accanto a sé. Il mio sguardo saetta dall'anello alle iridi grigie del Capofazione. «Sposami, Zelda».

Anche se quelle due parole suonano più come un ordine che come una normale domanda, mi provocano comunque un tuffo al cuore. Stringo con forza la sua mano, esortandolo ad alzarsi in piedi. Sebbene abbia le guance rigate di lacrime, il sorriso che mi spunta sulle labbra è talmente ampio da causarmi una fitta agli zigomi. «E' stato il discorso più romantico che tu mi abbia mai fatto. Eppure hai dimenticato un piccolo particolare».

Mi godo per un breve istante l'espressione raggelata del mio fidanzato, prima di continuare. «Hai chiesto la mia mano a mio padre, ma ti sei dimenticato di chiederla alla persona più importante di tutte». Dopo un profondo respiro, intreccio le dita alle sue e appoggio entrambe le nostre mani sul mio ventre.

Nelle iridi di Eric la confusione viene sostituita da un lampo di comprensione. Socchiude le labbra in una muta domanda e io annuisco, arrossendo leggermente.

«Da … da quanto lo sai?». La sua voce è roca per l'emozione mentre le sue dita si muovono sulla mia pancia con delicatezza, quasi reverenza.

Mi asciugo una lacrima con il dorso della mano libera. «Qualche settimana. Ne ho avuto la conferma stamattina». Il sorriso incredulo di Eric riflette il mio. Abbasso gli occhi sulle nostre mani unite, poi li riporto sull'anello adagiato nel palmo del Capofazione. «Beh, non credo che lui, o lei, si offenderà se risponderò io per tutti e due». Mi alzo in punta di piedi per avvicinare le nostre labbra. «Ti amo, Eric. E ti sposerò».

«Il prima possibile» aggiunge prontamente lui, circondandomi con le braccia e alzandomi da terra in una mezza piroetta. Il suo sorriso è anche più aperto del mio, gli illumina l'intero viso. Se non fosse altamente improbabile, sarei pronta ad affermare di aver intravisto un luccichio sospetto nei suoi occhi. Eppure quando mi infila l'anello all'anulare, la sua presa è sicura e forte come sempre. Neanche una vaga traccia di tremore.

Il bacio che segue è infinitamente dolce, lento, traboccante di sentimenti che non si possono esprimere a parole. Mi sembra di avere i muscoli molli come burro, mi sciolgo letteralmente tra le braccia del mio futuro marito.

Marito. Oddio.

Forse un giorno riuscirò ad associare questo epiteto ad Eric. Forse, ma ne dubito.

Un fischio mi giunge alle orecchie. Un rumore che non ha nulla a che fare col rimbombo del mio cuore e col sibilo dei nostri respiri accelerati.

Interrompo il bacio e mi volto giusto in tempo per vedere un capannello di persone farsi largo tra i cespugli alle nostre spalle.

Mio padre e Alicia sono i primi della fila: hanno entrambi gli occhi rossi e un fazzoletto appallottolato in mano. I miei fratelli, a qualche passo di distanza, sembrano un gruppo di tifosi intenti ad assistere alla vittoria della squadra del cuore: Damien e Clark applaudono animatamente, fischiando e lanciandosi in acclamazioni che mi fanno avvampare come un bel peperone maturo. Alfred e Jarod mantengono una posa più composta, ma hanno stampato in faccia lo stesso identico sorriso allusivo.

Eric ed io ci scambiamo un'occhiata terrificata. «Dici che hanno sentito tutto?» sbotto, a mezza voce. «Come hanno fatto a sapere dove trovarci? E' opera tua?».

Lui digrigna i denti, assomigliando in modo impressionante ad una tigre pronta ad azzannare chiunque sia stato tanto idiota da stuzzicarla. «Certo che no. Devono averci seguiti. Anche perché l'unico a conoscenza dei miei piani per oggi era James ...». Socchiude gli occhi e sibila un'imprecazione. «Brutto bastardo. Gli avevo intimato di non lasciarsi sfuggire una sillaba, invece deve averlo detto a William, che a sua volta …».

«… l'ha riferito ad Alicia» completo io, con un sospiro sconfitto. «In questa città nessuno è capace di pensare agli affari propri».

Incurante della presenza dei miei famigliari, Eric fa scorrere le mani lungo la curva dei miei fianchi e poi più giù, verso le cosce. «Sono sicuro che non hanno sentito quel che ci siamo detti. Altrimenti tuo padre avrebbe già cercato di farmi fuori».

Il suo ragionamento non fa una piega. «Meglio così. Voglio tenere la notizia per noi almeno fino al matrimonio». Inclino la testa, gettandogli un'occhiata maliziosa. «Se non ti dispiace, vorrei continuare quello che stavamo facendo quando quegli inopportuni impiccioni ci hanno interrotti. Tu che dici?».

Eric mi prende alla lettera. Un attimo prima di incollare le labbra alle mie, per darmi un bacio che di sicuro scandalizzerà irrimediabilmente i miei consanguinei, le incurva in un ghigno perfido. «Dico che hai assolutamente ragione, piccola».









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Ciao a tutti! No, non sono defunta. Ho solo avuto un brutto periodo e zero voglia di scrivere. 

Aggiornerò anche l'altra storia quanto prima, non preoccupatevi. Grazie a chi continua a recensire/seguire le mie storie, ho davvero bisogno del vostro sostegno.

Per quanto riguarda questa, è ufficialmente terminata. Inizialmente avevo pensato di scrivere anche del matrimonio, ma poi mi sembrava troppo e ho lasciato perdere. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, attendo speranzosa i vostri commenti!


Un bacio, a presto

Lizz


p.s. risponderò alle recensioni non appena potrò. Un grazie enorme a chi ha trovato il tempo per lasciarmi anche poche righe. Apprezzo ugualmente, vi adoro!



















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