Partecipante
al contest ‘Epic Love’ di
Lady_Crazy
Edita/Inedita: Inedita
Genere: Storico
Coppia: Het
N° capitoli: 9
Avvertimenti: /
Note autore: è l’anno 1950. Le
ferite della Seconda Guerra Mondiale sono ancora aperte quando il boom
economico degli Stati Uniti esplode e il consumismo entra a far parte
delle
famiglie. La mentalità comincia a cambiare, si fa più aperta e si
spacca. Da
una parte il perbenismo, retaggio del passato, e dall’altra le pin up,
conseguenze
del presente. Nel frattempo l’ostilità con la Russia diventa minaccia
nucleare.
Nessuno si sente più al sicuro, e questa incertezza cambia il modo di
vivere e
di pensare delle persone. Il maccartismo, termine con cui oggi vengono
chiamati
i controlli di sicurezza interni applicati sugli impiegati del governo
federale, terrorizza invece che rassicurare. La logorante tensione
della Guerra
Fredda trova sfogo in Corea, unica terra che ha visto occidente e
comunismo
scontrarsi fisicamente sotto falsi nomi.
38°Parallelo
Capitolo Uno
Lettie finì di sciogliere l’ultimo boccolo mentre il rumore distante di
passi nervosi le ricordò di essere in ritardo. Sua madre aveva lavorato
come una matta per quel ricevimento. Il forno non aveva smesso di
funzionare dall’alba e i vetri erano così splendenti che ci si poteva
specchiare. Anche lei avrebbe dovuto essere di sotto a sistemare i
vassoi con gli aperitivi, ad assicurarsi che i posacenere fossero stati
svuotati o a ravvivare i fiori del centrotavola. Ma poi si ricordava
che tutta quella fatica era per dei vicini e tornava a sistemare i
bigodini che aveva in testa.
Quando finalmente si
decise a scendere, sua madre, la signora Daly, aveva la messa in piega
perfetta e le labbra rosso scarlatto. Indossava un abito a pois bianchi
su sfondo blu, stretto in vita con una cintura gialla dello stesso
colore delle scarpe. Dove avesse trovato anche il tempo per se stessa
era un mistero che Lettie non riuscì a spiegarsi. Suo padre, invece,
era esattamente dove era tutti i weekend: seduto sulla poltrona a
leggere il giornale, ma aveva fatto anche lui la sua parte. Aveva
inaugurato la bottiglia di scotch.
Il campanello suonò. La
signora Daly trattenne a stento un’esclamazione nervosa e si precipitò
alla porta trascinando con sé l’aroma dei biscotti. Prima di aprire si
lisciò la gonna del vestito, si diede una rapida occhiata allo specchio
e chiamò il marito. Poi si voltò a guardarla e il suo sguardo si indurì.
-Cos’è quella?- le
chiese, fissando il fiocco che spuntava dalla sua testa.
-Una bandana, mamma. Va
molto di moda a Los Angeles.-
-Qui non siamo a Los
Angeles- intervenne suo padre, guardando disgustato la fascia rossa
chiusa con un nodo al centro della sua folta chioma.
Le labbra di sua madre si
strinsero. –Ormai non c’è più tempo. Tienila, ma mi aiuterai a servire
i drink.-
Spalancò la porta
accogliendo gli ospiti con un caloroso sorriso. Il devoto marito le
mise una mano sulla spalla e li invitò ad accomodarsi in salotto, dove
avrebbero trovato i migliori cupcake degli Stati Uniti. Tutti però si
fermavano almeno mezzo secondo ad ammirare la loro bellissima figlia.
Lettie aveva i capelli biondi e un viso angelico. Il suo sorriso era
così dolce che era impossibile non pizzicarle le guance e rimanere
inteneriti dal suo imbarazzo. Per di più era piccola e minuta, e
sembrava una bambolina vestita di tutto punto, con gonna a trapezio e
camicia candidamente bianca. Solo la bandana rossa stonava un po’, ma
era giovane e doveva ancora raffinare il suo stile.
La famiglia Daly era
arrivata dai otto mesi nel nuovissimo sobborgo di Elsinore, a trecento
chilometri da Los Angels. La moglie si era dimostrata fin da subito una
donna premurosa e una casalinga impeccabile. Organizzava ricevimenti
almeno una volta al mese e tutti ne andavano matti. Il marito era un
uomo d’affari che lavorava in città. Non si vedeva spesso, ma aveva un
ottimo pollice verde a giudicare dallo stato delle sue ortensie. La
figlia, Lettie, si era diplomata quello stesso anno nel liceo del
quartiere. Era una ragazza adorabile e una promettente futura moglie.
-Le stai cercando un
lavoro?- chiese la signora Morris alla signora Daly. La signora Morris
era una vedova di guerra che amava chiacchierare e farsi gli affari
degli altri. La signora Daly l’adorava e passava ore al telefono con
lei. Diceva che la stava sempre a sentire.
-Non credo che ce ne sarà
bisogno- rispose, voltandosi a guardare Lettie. Stava servendo i drink
ed era circondata dai pochi ragazzi non ancora partiti per la città o
per l’esercito. Quasi tutti indossavano camicie in stile hawaiano a
maniche corte e jeans stretti, e la guardavano ammirati. Lettie offriva
il bicchiere tenendolo delicatamente con due dita e mentre si piegava a
porgerlo la sua gamba destra si fletteva verso l’interno, come uno
stelo spinto dal vento.
-Tesoro!- esclamò la
signora Daly non appena sua figlia imboccò la strada per la cucina.
–Non essere sgarbata, sono arrivati nuovi ospiti.-
Lettie sorrise mostrando
i denti bianchissimi e si diresse verso i signori Cooper. A differenza
degli altri vicini, i Cooper non si facevano vedere spesso. Avevano
quattro figli, tutti maschi, di cui due non avevano più fatto ritorno
in patria e uno si era trasferito a Los Angeles. Il quarto, il figlio
più piccolo, non l’aveva mai visto e non sapeva cosa facesse.
-Grazie, Lettie- le disse
la signora Cooper. Era più anziana di sua madre e la cosa strana era
che quando sorrideva i suoi occhi sembravano esprimere solo tristezza.
Le piaceva, era diversa da tutti quelli che aveva conosciuto fino a
quel momento. Non sapeva fingere.
-Che cara ragazza!-
esclamò il signor Cooper, un omone di circa sessant’anni alto il doppio
di lei. -Roger, conosci Letitia Daly?-
Roger Cooper stupì tutti
per l’assenza della camicia hawaiana e per il suo portamento alto e
slanciato. Non toccò i famosi cupcake della signora Daly né assaggiò il
frappè alla fragola servito con panna montata e gocce di cioccolato.
Accettò solo il bicchiere di martini che Lettie gli offrì.
Finalmente conosceva il
famoso figlio minore dei Cooper, minore per età ma non per altezza.
Superava suo padre di parecchio e la semplice camicia bianca metteva in
risalto le spalle larghe. Le avrebbe rapito il cuore se il suo saluto
non fosse stato il più asciutto e il più forzato che avesse mai
ricevuto. L’incapacità di fingere l’aveva presa tutta dalla madre.
Quando fece il suo ingresso in salotto, gli uomini lo salutarono con
una pacca sulla spalla, mantenendo però una certa distanza, e le
signore gli riservarono sorrisi dolci e malinconici. Il clima da
festoso divenne teso, ma durò il tempo di un lampo: sua madre uscì
dalla cucina con una nuova teglia di biscotti e suo padre cominciò ad
offrire lo scotch.
Naturalmente al
ricevimento non c’erano solo i migliori partiti del circondario, ma
anche le ragazze. Frequentavano tutte il liceo del quartiere e si
conoscevano fin dall’infanzia. Lettie aveva legato in particolar modo
con Marta Green, una ragazza bruna dal fisico prosperoso. Marta
dimostrava più dei suoi diciotto anni e aveva un grande successo con i
ragazzi. Aveva avuto un paio di fidanzatini al liceo, ma ora era
single. I suoi genitori tentarono di impedirle di frequentarla, ma non
le dissero mai il perché.
-Guarda chi è tornato!-
esclamò, accennando a Roger.
-Lo conosci?-
-Certo, di tutti i buoni
partiti lui è il re. Faresti bene ad andare ad offrirgli un altro
martini prima che Ashley Simpson gli si inchiodi al braccio.-
-Preferirei un partito
più scarso ma in grado di sorridere- fu la risposta secca di Lettie.
Marta le diede ragione e rise di gran gusto. Poi iniziò la musica. La
festa si spostò in veranda, dove c’era abbastanza spazio per ballare.
Lettie fu sommersa di richieste. L’unico con cui non aveva ancora
ballato era Roger, ma non le dispiacque, era troppo inquietante. Le
capitò di trovarsi seduta vicino a lui mentre faceva riposare i piedi e
riprendeva fiato. Non le disse una parola. Pensò che fosse timido, così
provò ad intavolare il discorso.
-Ti va un panino? Ho
notato che non ami i dolci, posso preparartelo!- esclamò. Sua madre
sarebbe stata così fiera di lei.
-No, grazie- rispose
asciutto.
-Vuoi qualcosa da bere?-
ci riprovò.
-Sto bene così.-
Non riusciva a capire
perché fosse venuto alla festa se aveva intenzione di passare tutto il
tempo in un angolo con il muso lungo. A salvarla da quell’imbarazzante
situazione ci pensò la signora Cooper.
-Roger starà con noi per
un po’ di tempo- le spiegò dopo che si fu seduta di fronte a loro. Il
figlio non sembrò apprezzare la sua sincerità a giudicare dallo sguardo
che le riservò. –Sai, è un soldato e ora è in licenza. Lo hanno
praticamente obbligato, non è mai tornato a casa per più di due giorni
di fila da quando si è arruolato!-
-Marina, immagino- disse
Lettie.
-Lo sapevi già?- chiese
stupita la signora Cooper.
-Un pilota non è così
abbronzato- rispose, guadagnandosi l’attenzione di Roger. Aveva dei
begli occhi, grigio-azzurri, e anche il resto del viso non le
dispiaceva. Gli sorrise, ma lui subito tornò a fissarsi i piedi con
gravità. Non riusciva proprio a capirlo, ma capiva perché il suo arrivo
avesse scombussolato l’atmosfera. Dire che l’aveva raffreddata era una
battuta di pessimo gusto.
-Roger, perché non inviti
Letitia a ballare?-
Lettie aspettò che le
venisse posta la domanda di persona, ma il soldato alzò il capo senza
dire una parola. Si limitò a guardare storto sua madre. Era chiaro che
non aveva intenzione di chiederle di ballare.
-Oh, mi dispiace, ma
queste scarpe nuove mi hanno fatto venire delle vesciche terribili-
rispose. Non avrebbe permesso di essere rifiutata sgarbatamente
dall’uomo più arrogante del pianeta. –Sarà per un'altra volta.-
Lettie sorrise e si
allontanò zoppicando. Le scarpe le facevano davvero male e decise di
prenderne un altro paio. Il sottoscala era vicino alla porta
d’ingresso, nascosto dalla rampa che portava alle camere da letto. Per
evitare che gli ospiti vedessero l’unico angolo della casa in cui
regnava il disordine tirò la cordicella della lampadina e si chiuse la
porta alle spalle. La piccola stanza era abbastanza isolata per
attutire la musica proveniente dal salotto e quell’attimo di solitudine
le sembrò più piacevole che stare a piedi scalzi. Tuttavia, il legno
della porta non era abbastanza spesso per evitare di sentire i rumori
che avvenivano proprio lì fuori. Dei passi pesanti, cadenzati e
ritmati, le passarono accanto. Poi ne seguirono altri, molto più
leggeri.
-Roger, ti prego, rimani
ancora un po’.-
La voce era chiaramente
quella della signora Cooper ed era piena di dispiacere. Sentì la porta
dell’ingresso aprirsi. Roger stava lasciando la festa con almeno tre
ore di anticipo. Sua madre si sarebbe offesa a morte.
-No- esclamò categorico.
–Ti dico che non ho voglia di inutili chiacchiere e tu mi porti a una
stupida festa di quartiere?-
-Potresti farti degli
amici- insistette la signora Cooper.
-Non ho bisogno del tuo
aiuto per farmi degli amici, né tanto meno per trovarmi una moglie.-
-Cos’ha Letitia che non
va? Non ti piace? E’ bella, educata, ed è la più ambita di Elsinore.-
-Sarà anche bella, ma ne
ho fin sopra i capelli delle perfette donnine di casa tutte sorrisi e
smancerie. Non c’è niente di più falso e Letitia Daly è la più falsa
che abbia mai incontrato fino ad ora. Non mi tenterebbe mai, quindi
smettila di fare qualunque cosa tu stia facendo.-
Se ne andò sbattendo la
porta. Lettie uscì solo dopo che la signora Cooper fu tornata in
salotto e rimase per un attimo a fissare la porta da cui Roger era
appena uscito. E’ certo che da quel momento l’antipatia fu reciproca,
ma non si lasciò abbattere dall’unico commento negativo che ricevette.
Andò da Marta e le raccontò l’accaduto. L’amica lo trovò divertente:
non era mai successo nella storia del dopoguerra che un uomo rifiutasse
di perdere la testa per un vitino a vespa.
Nonostante quel piccolo
incidente la festa andò per il meglio. Marta tornò a casa con un paio
di appuntamenti, mentre lei li rifiutò tutti. L’eyeliner attorno agli
occhi di sua madre non bastò per nascondere il suo disappunto, ma era
stata riempita di così tanti complimenti che non ci fece troppo caso.
Non avanzò una briciola di quello che aveva cucinato e i colori delle
sue tende erano stati apprezzati da tutti. Sapeva che il giallo
canarino avrebbe fatto risaltare il verde acqua delle pareti, l’aveva
letto su una rivista.
Suo padre, invece, disse
che non si poteva stare senza martini e uscì a comperarlo. Non le
sembrò strano non rivederlo più fino al mattino successivo. Succedeva,
di tanto in tanto, che si assentasse per la notte o per il weekend.
All’inizio, quando aveva capito che aveva un’amante, l’aveva odiato. In
quelle notti la porta della camera matrimoniale rimaneva chiusa, anche
se bussava per ore. Sua madre piangeva e non andava ad aprirle. Forse
perché non voleva che la vedesse in quelle condizioni, triste e
mortificata. Poi però i genitori della sua amica Nancy avevano
divorziato e aveva capito che infondo non era poi tanto male. C’erano
famiglie in cui il padre non si faceva più vedere, mentre il suo era
sempre tornato e, a parte per qualche notte al mese, aveva sempre fatto
il suo dovere con l’autorità richiesta. Anche sua madre aveva smesso di
piangere; ora quando se ne andava lasciava i piatti sporchi nel
lavandino e si sdraiava sul divano a guardare la televisione con una
sigaretta in mano. Lettie aveva smesso di odiarlo perché non le aveva
abbandonate, ma non riprese a stimarlo, perché teneva il piede in due
scarpe. Quindi, quando un paio di giorni dopo le si parò davanti
tenendo un foglio in mano, lo guardò a malapena.
-Cos’è questa?- le
chiese. Lettie non aveva idea di cosa stesse parlando, così alzò il
busto dalla poltrona e diede un’occhiata. Un ricciolo d’oro le spuntò
da dietro l’orecchio facendole solletico, ma fu una sensazione lontana.
I suoi occhi avevano appena notato la busta strappata che c’era insieme
al foglio. –Los Angeles?- le chiese.
Si alzò con uno scatto e
cercò di afferrare la lettera. Suo padre fu più agile: tirò il braccio
indietro, mettendola fuori dalla sua portata, e la inchiodò sul posto
con uno sguardo furioso.
-Non avevi il diritto di
leggerla!- esclamò Lettie.
-E tu non avevi il
permesso di cercare lavoro!- ribatté con la stessa foga. –Los Angeles?
Sognatelo, ragazzina!-
Sua madre corse in
salotto con i guanti da forno ancora infilati sulle mani. Era così
sconvolta dal vederli litigare che per qualche istante rimase immobile
con le braccia alzate. Dischiuse le labbra rosse in un oh di stupore
che non pronunciò mai, le sopracciglia curate si alzarono verso l’alto
e l’espressione divenne quella di una bambina confusa. Tutte quelle
grida e quelle parole taglienti non facevano parte della sua
quotidianità. La sua casa era un’oasi di serenità e armonia color
confetto, cosa osava disturbarla?
-Martin! Per l’amor del
cielo, Martin! Cosa succede?-
Si avvicinò al marito e
gli mise una mano sulla spalla con fare affettuoso. Di sicuro stavano
litigando per il posto in poltrona, ma lei avrebbe risolto il problema.
Giusto quella mattina aveva visto una meravigliosa poltroncina sul
catalogo del negozio d’arredamenti. Aveva dei fini piedi in legno e lo
schienale alto, proprio come piaceva a Martin, e la fantasia era così
fresca e giovanile che Lettie l’avrebbe sicuramente adorata. Anche il
prezzo non era male, potevano permettersene addirittura due.
-Tua figlia vuole andare
a vivere da sola a Los Angeles!-
La notizia lasciò la
signora Daly senza parole. Guardò prima il marito e poi la figlia.
Lettie abbassò lo sguardo e non appena lo fece sentì la guancia
sinistra infiammarsi. Non capì subito cosa fosse successo. Si portò una
mano al viso mentre il dolore cominciava a inumidirle gli occhi
celesti. Suo padre aveva la stessa espressione marmorea dipinta in
volto, sua madre invece era irriconoscibile. Si era sfilata un guanto e
teneva le dita ancora chiuse. Era stata lei a schiaffeggiarla, e
sembrava pronta a rifarlo.
Lettie si alzò in piedi e
fuggì via lasciando spalancata la porta di casa.
Mi
presento, sono Dryas, e nonostante bazzichi su EFP da
parecchio tempo non mi ero mai cimentata con le originali. Questa è la
mia
primissima volta! Sono emozionata e terrorizzata al tempo stesso. Spero
che
questo primo capitolo vi abbia un po’ incuriositi e che darete
un’occhiata
anche ai successivi. In ogni caso, ogni parere è ben accetto!
Premetto
che degli anni cinquanta, dal punto di vista
storico, sapevo ben poco. Spero quindi di aver rispettato gli usi e
costumi del
tempo prendendo spunto dalle informazioni che sono riuscita a
raccogliere. Chiedo
comunque scusa per questo atto di presunzione e per gli eventuali
errori
presenti.
Ringrazio
Lady_Crazy per aver indetto il concorso “Epic
Love”, stimolante e ricco di spunti!
Al prossimo capitolo,
Dryas
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