Disclaimer:
i personaggi e le situazioni relative al mondo Marvel (fumettistica e
MCU) non mi appartengono, ma sono frutto della fervida fantasia di
Stan Lee e degli altri autori.
1.
1461 giorni
-Nella
storia
dell’uomo il tempo ha assunto connotazioni e caratteristiche-
gracchiava la voce del professor Miller,
dell’università di
Harvard, resa metallica dagli altoparlanti della vecchia televisione
–Differenti
e varie sulla base della civiltà
in cui tale concetto veniva preso in analisi. Nella cultura classica,
come anche quella indiana, esso era rappresentato da un ciclo,
assimilabile al trascorrere delle stagioni, per cui vi è la
nascita,
lo sviluppo, l’invecchiamento e, infine, la morte, a cui
segue un
nuovo ciclo di nascita, sviluppo, eccetera. Nel contesto biblico e
coranico, invece, possiamo rappresentare il succedersi degli eventi
come una linea retta,
in
cui le azioni umane sono irreversibili e destinare a rimanere tali
per l’eternità. Sebbene la teoria di Lavoisier,
con il concetto di
eternità di massa e materia, tenda ancora ad avvicinarsi
all’idea
di tempo ciclico, gli studi newtoniani escludono questa visione,
considerando, ad esempio, l’irreversibilità di
alcuni processi
chimico-fisici. La fisica moderna, invece, sembra ritornare al
tempo-ciclo, anche se con alcune variazioni, come, ad esempio, la
concezione a spirale formulata da Einstein nella Teoria della
Relatività.
Mentre
serviva l'ultimo caffè della giornata a una guardia notturna
che
stava per iniziare il suo turno di sorveglianza nel centro
commerciale lì vicino, Chiara non avrebbe saputo spiegare la
teoria
di Einstein riguardo allo scorrere del tempo, ma di una cosa era
certa: i suoi ultimi 1461 giorni1
se li sentiva tutti sulle spalle, con tutto il peso delle 35.064 ore
passate da quando il Bifrost l'aveva fatta atterrare nel campo di
grano da poco mietuto della famiglia Rossi, suoi vicini di casa.
Quando
la tazza di ceramica giallo limone fu piena, la guardia la
ringraziò
con un sorriso, mostrando il vuoto creato dalla mancanza del quarto
incisivo inferiore, e cominciò a zuccherare abbondantemente
la
bevanda scura.
-Arianne-
chiamò una voce roca da dietro la porta della cucina -Puoi
venire un
momento?
Chiara
appoggiò in fretta la brocca del caffè, ormai
vuota, sul bancone
del bar e, saltando il pavimento bagnato che la sua collega Talia,
armata di mocho, stava pulendo prima della chiusura della tavola
calda, arrivò alla porta della cucina, il cui
oblò di vetro faceva
intravedere l'interno del locale.
La
ragazza spinse la vecchia porta di legno, che cigolando
ruotò sui
cardini arrugginiti, e un forte puzzo di bruciato le
impregnò
violentemente le narici, mentre un leggero borbottio di disappunto le
giungeva alle orecchie da un vano del bancone alle sue spalle, in cui
un cane meticcio, accoccolato sopra un cuscino di tela verde pisello,
osservava la scena e sembrava molto contrariato da quel puzzo.
-Cosa
succede, mr Bailey?- domandò Chiara, correndo ad aprire la
finestra
per arieggiare la cucina e far uscire la nuvola nera che si era
formata sul soffitto.
-Dev'essere
ancora quel maledetto fusibile!- imprecò il corpulento uomo,
togliendo dal forno una teglia su cui una torta carbonizzata
troneggiava tristemente, emanando fumi grigi.
Il
signor Charles Bailey, proprietario del bar-tavola calda il Daily
Coffee
presso cui Chiara lavorava, era un uomo di colore di sessant'anni,
dalla splendida voce baritonale, purtroppo resa
roca e aspra
dalle innumerevoli sigarette che fumava quotidianamente, e dai grandi
occhi color ebano che rispecchiavano la sua natura gioviale e
cortese.
Il
signor Bailey, posata la teglia sul lavandino, si sfilò
dalle mani
callose i guanti da forno e rimase per un attimo ad osservare con
disappunto il cadavere della torta di carote che giaceva davanti a
lui: amava il suo lavoro più di qualunque altra cosa,
eccezion fatta
per la signora Bailey, e in quello che faceva metteva tutto il suo
impegno e tutti i suoi cinquant'anni di esperienza, perciò,
ogni
qualvolta che un dolce si bruciava o un piatto gli scivolava dalle
mani, la prendeva come una forma di sconfitta personale.
-Doveva
essere molto buona!- disse la ragazza, cercando di risollevargli un
po' il morale.
-È
tutta colpa di quello stupido forno!- disse il signor Bailey,
indicando l'elettrodomestico incriminato con l'indice teso, quasi
fosse stato davanti a un giudice in un tribunale.
-Quel
povero forno sarà più vecchio di te!-
esordì Talia, entrando in
cucina con le ultime stoviglie da lavare su un vassoio di latta
-Sarà
prossimo alla discarica.
-È
un oggetto vintage!- ribatté quasi offeso l'uomo, mentre
buttava il
blocco carbonizzato nel cestino e si avvicinava al forno per
esaminarlo meglio.
-Sarà
anche vintage- riprese Talia, ridacchiando -Ma se un giorno la cucina
prende fuoco io sarò quella che scapperà per
prima!
Nel
frattempo il proprietario del locale, facendo attenzione a non
scottarsi, aveva staccato la presa e aveva rigirato il forno, per poi
estrarre un piccolo fusibile annerito e fumante: -Eccolo qua, il
piccolo criminale!- esclamò Charles, poi, rivolgendosi a
Chiara,
chiese: -Lo so che è la seconda volta questo mese, ma
potresti
chiede al tuo amico se può fare di nuovo il suo miracolo?
Chiara
riusciva a leggere il senso di disagio che permeava quella domanda:
il signor Bailey era un uomo di profondo orgoglio, che nella vita
aveva sempre lavorato sodo per non dover mai chiedere niente a
nessuno, ma quelli erano tempi difficili per il Daily
Coffee,
che lottava contro la spietata concorrenza delle grandi catene in
franchising di caffetterie, ed era necessario stringere un po' la
cinghia per tirare avanti.
Tempo
addietro il signor Bailey aveva ricevuto dalla banca un avviso di
pignoramento per via del debito che aveva contratto per mettere in
regola l'impianto elettrico e quello idraulico secondo la nuova
normativa: da mesi il signor Bailey, impegnato a pagare, oltre allo
stipendio delle sue dipendenti, la clinica che si occupava della
moglie affetta dal morbo di Ahlzeimer, non era riuscito a pagare le
rate del mutuo.
E
ora sulla sua testa pendeva la minaccia dello sfratto,
perciò spese
come la sostituzione di un vecchio elettrodomestico dovevano
attendere momenti più rosei.
-Lo
pagherò non appena avrò sistemato le cose con la
banca- aggiunse
l'uomo -Deve solo dirmi la cifra.
Chiara
sospirò e, prendendogli dalle mani il piccolo oggetto di
metallo,
disse: -Non ti preoccupare, non è tipo che ha bisogno di
essere
pagato per questi lavoretti. Lo fa praticamente per hobby.
-In
ogni caso, troverò il modo di ringraziarlo per i suoi
miracoli!-
sorrise Bailey, la cui indole allegra non gli permetteva di restare
arrabbiato per più di dieci minuti.
"La
vita è troppo breve per sprecarla in tristezza" era solito
dire.
-Il
pavimento della sala è uno specchio- disse Talia, mettendosi
i
guanti di gomma rosa per i piatti -La macchina del caffè
è stata
pulita e ora rimangono solo gli ultimi piatti per concludere la
cerimonia della chiusura.
-Ottimo
lavoro, ragazze- sorrise Bailey, puntellando le grosse mani sui
fianchi -Ora però si è fatto tardi,
perciò voi andate pure. Ci
penserò io ai piatti sporchi.
-Ma
mr Bailey...- tentò di protestare Chiara, interrotta,
però,
dall'uomo che con un gesto della mano chiuse il discorso: -Siete
giovani, non potete certo rimanere a fare la muffa qui dentro! Andare
a riposarvi. Ci vediamo domani, ragazze!
Le
due cameriere si lanciarono un'occhiata complice: tentare di
discutere con Charles era come cercare di abbattere un muro a
testate, impossibile e controproducente. Rassegnate, salutarono
educatamente il proprietario del caffè,
si tolsero i grembiuli e, seguite a ruota dal cane, uscirono dal
locale, facendosi investire dalla fresca e umida aria di fine
Settembre. Per le strade di quel popoloso quartiere di Brooklyn
c'erano già festoni, zucche, fantasmi fosforescenti e
streghe di
plastica in attesa della notte di Halloween; -Dovremmo cominciare
anche noi ad addobbare il Daily-
considerò con tono vago Talia, intenta ad accendersi una
sigaretta,
osservando una testa del mostro di Frankenstein di carta pesta che
ondeggiava da un balcone del palazzo a fianco.
-Credo
che Bailey voglia preparare qualche dolcetto a tema- rispose Chiara,
agganciando il guinzaglio
al
collare dell'animale -Spero solo che non ci chieda di vestirci da
zombie come l'anno scorso!
-Con
le occhiaie che ci ritroviamo? Non avremo bisogno di travestirci!-
ridacchiò la ragazza, espirando una nuvoletta di denso fumo
grigio.
-E
Annibale lo travestiamo da lupo mannaro- rise Chiara rivolgendosi poi
al meticcio che al suo fianco annusava interessato
l'asfalto del marciapiede -Che ne dici, giovanotto?
Quello
alzò il muso e iniziò a scodinzolare, avvicinando
il naso alla
gamba della padrona per ottenere delle carezze: -Con questo musino
dolce?- chiese Talia, facendo un buffetto sul naso dell'animale -Non
spaventerebbe nessuno.
-Forse
hai ragione- rispose Chiara, osservando distrattamente il quadrante
del suo orologio da polso: erano le 22.11.
-Che
farai stasera?- le chiese la squillante e armoniosa voce dell'amica.
-Andrò
subito a trovare il mio amico elettricista o domani mattina non ci
saranno brioches da servire- rispose vaga la ragazza iniziando a
cercare nella borsa l'abbonamento dell'autobus ed estraendolo dopo
qualche secondo dalla tasca laterale -Tanto dovevo già
passare da
lui.
-Passi
molto tempo da questo elettricista- esordì maliziosa Talia,
spegnendo il mozzicone della sigaretta sul cestino più
vicino e
buttandolo -Non è che per caso è
un po' più di un amico?
Chiara
alzò un sopracciglio: -Credimi, no. No, davvero-
rimarcò il
concetto notando l'espressione incredula dell'amica -Non ho
né tempo
né voglia di impegnarmi con qualcuno e, te lo assicuro, lui
sarebbe
l'ultima persona con cui vorrei fare coppia. E poi è
già fidanzato e anche da qualche anno, oramai.
-Peccato-
sospirò la cameriera mentre si incamminavano verso la
fermata
dell'autobus -Sarebbe carino sentirti parlare di ragazzi. O di
ragazze. O di qualunque persona che possa attirare il tuo interesse.
-Forse
un giorno- ridacchiò Chiara, avvolgendole le spalle con un
braccio
-Ma non ci spererei troppo! Tu, piuttosto, come è andata con
Thomas?
Non te ne ho più sentito parlare dall'ultima volta che siete
usciti
insieme. Quando è stato? Una settimana fa?
-Due
settimane e mezzo, a dire il vero- precisò l'altra,
stringendosi
nella giacca a vento -Sembrava andasse piuttosto bene: era carino,
simpatico e tutto, ma poi ha detto che Spiderman è un
criminale al
pari di quelli che pretende di catturare. Ti lascio immaginare in che
modo l'abbia piantato.
-Avevi
qualcosa di liquido in mano?
-Sì,
una cioccolata calda- ridacchiò Talia.
-Povero
ragazzo, l'avrai ustionato! Ma nessuno può osare toccare il
tuo
Spidey!
-No,
nessuno, nemmeno J. Jonah Jameson!- la risolutezza dell'amica non
fece altro che incrementare il riso di Chiara -Lo difenderò
fino
alla fine dei miei giorni.
-O
dei suoi- ribatté asciutta la ragazza -Non vorrei davvero
trovarmi
nei suoi panni con tutti i criminali che lo vogliono morto.
-Ma
lui sarà sempre una ragnatela avanti a loro!
Un
paio di grossi fanali gialli, sormontati dalla scritta luminosa
"Midtown, Manhattan" si avvicinarono alla pensilina e le
due ragazze di salutarono in fretta, permettendo così a
Chiara di
salire sul mezzo e, mostrato l'abbonamento al conducente, di prendere
posto in uno degli ultimi sedili in fondo. A quell'ora non c'erano
molti viaggiatori e praticamente tutti i sedili erano vuoti, ma
quella era un'abitudine che aveva acquisito ai tempi del liceo, in
cui i posti in fondo sono quelli dei "fighi", e che non si
era riuscita a togliere. Più per scaramanzia che altro. E
inoltre le
piaceva sentire il ronzio del motore sulla schiena e sotto al sedere:
era quasi come essere cullati e su di lei aveva un effetto distensivo
e rilassante.
Sentì
il muso di Annibale appoggiarsi delicatamente sulle sue ginocchia e,
accarezzandogli la testa affusolata, si mise ad osservare il
caleidoscopio di luci della New York notturna. Era stata in una notte
come quella, si ritrovò a pensare la ragazza, che la vecchia
Ford di
Clint aveva attraversato il ponte di Brooklyn, lasciandosi alle
spalle la luccicante Manhattan e addentrandosi nelle strade ben
più
sobrie del distretto di Brooklyn, nel Long Island.
Non
era la prima volta che lei e Clint arrivavano in una nuova
città, ma
quella era stata diversa: non sarebbero stati lì solo il
tempo delle
visite e delle analisi di consuetudine tra le quattro mura di una
clinica, ma si sarebbero trasferiti a tempo indeterminato.
Così
aveva deciso Fury dopo essere tornato dalla tomba in cui si credeva
giacesse freddo e riempito di piombo: gli esperimenti dovevano essere
mandati avanti, ma con discrezione. Dovevano nascondersi, celarsi
agli occhi dell'HYDRA e apparire come comuni cittadini; quale posto
migliore per nascondersi se non la frazione più popolosa
della città
più caotica di tutti gli States?
Se
Chiara ripensava al viaggio che aveva programmato di fare in America
per festeggiare la laurea, le veniva quasi da ridere: non poteva
certo immaginare che sarebbe stata l'America stessa a venirla a
prendere.
Era
appena tornata da casa di Marco e gli occhi le bruciavano dopo il
pianto fatto in macchina lungo tutta la strada del ritorno, l'unica
cosa che desiderava era infilarsi nella doccia e continuare a
piangere e non fece caso alla macchina nera che era parcheggiata
dietro casa.
Lasciò
l'automobile al suo posto abituale e corse alla porta, aprendola di
scatto e trovando nel proprio salotto quella che sembrava essere una
piccola riunione tra la sua famiglia e due sconosciuti: un uomo di
colore in long coat nero di pelle e una benda sull'occhio e una donna
dai capelli rossi in jeans e camicia lillà.
Il
gruppo si voltò a guardarla non appena ebbe aperto la porta
e suo
padre le fece cenno di avvicinarsi. Sul volto dei suoi familiari
Chiara lesse sgomento e la presenza dei due estranei non le suggeriva
nulla di buono.
-Chiara,
tesoro- esordì suo padre con un sorriso forzato -Ti presento
il
signor Fury e la signorina Romanoff, dall'ambasciata statunitense.
Sono venuti qui per farti delle domande riguardo quello che ti
è
capitato.
L'uomo
chiamato Fury si alzò dalla poltrona su cui sedeva e le
strinse
solennemente la mano; la sua stretta era ferma e salda. Chiara
sentì
la forza di quell'arto nascosto dal cuoio nero: avrebbe potuto
romperle il metacarpo come se fosse stato fatto di cartapesta, ma le
dita che si strinsero attorno al suo palmo erano perfettamente
controllate.
La
donna, invece, non si avvicinò per svolgere i consueti riti
di
presentazione, ma si limitò a studiarla con i suoi freddi
occhi blu
e a sorridere cordiale. Per la ragazza fu come trovarsi di fronte a
una pantera: affascinante ma al contempo pericolosa.
-Cosa
c'entrano gli USA con quello che mi è capitato?- chiese
diretta
Chiara ai due sconosciuti.
-Forse
avrai letto sui giornali o sentito alla televisione dei fatti
accaduti a New York- la pronuncia della donna era piuttosto incerta,
con cadenze e suoni tipiche della lingua inglese, ma la grammatica
era impeccabile -Abbiano saputo che in queste zone si è
verificato
di un fenomeno simile, con l'arrivo improvviso di creature non
terrestri attraverso un passaggio interdimensionale. Abbiamo fatto le
nostre ricerche ed esse ci hanno condotto a te.
-Specifico
la domanda, allora- riprese la ragazza cercando di mantenere il
sangue freddo -Cosa volete da me?
-Solo
parlarti- rispose la signorina Romanoff -Per il momento-
rettificò
un secondo dopo -Dipende da quello che apprenderemo dal nostro
colloquio.
I
suoi familiari capirono l'antifona e uscirono in fretta dal salotto,
lasciando i tre a discorrere in tranquillità; tra i due era
Romanoff
l'unica che parlava l'italiano perciò era anche quella che
poneva le
domande, ascoltava le risposte e le riferiva, tradotte in inglese,
all'uomo. Fury ascoltava attento e osservava: per tutta la
conversazione e gli anni a seguire in cui fu in stretto contatto con
Nick Fury, Chiara si sentì quell'occhio scuro puntato su di
sé
senza un attimo di sosta, mettendola piuttosto a disagio.
Le
chiese di raccontare quello che le era capitato, di descrivere fatti,
luoghi e persone e, quando si arrivò a parlare di Phoneus e
dei
mezzi di trasporto degli Elfi chiari Chiara vide la Romanoff
sporgersi in avanti e strizzare leggermente gli occhi, come un gatto
in agguato. Per tutto il tempo Chiara fece attenzione a non nominare
la figura di Loki.
Quando
la Romanoff ebbe concluso le domande e riferito le ultime cose al suo
superiore, i due si misero a confabulare fittamente in inglese;
Chiara non era mai stata molto brava nelle lingue straniere ma
riuscì
a distinguere una frase che la fece rabbrividire: We must bring her
to Washington.
A
quel punto fu, finalmente, Fury a parlare: -È necessario per
la tua
sicurezza che vengano fatti degli accertamenti. Domani mattina
verremo a prenderti alle 4, fatti trovare pronta.
La
pronuncia era pessima e l'accento era caduto più volte sulla
sillaba
sbagliata, ma aveva proferito quelle parole con sicurezza: doveva
essersi preparato quella battuta prima di incontrarla. Il che
significava che per tutto quel tempo era già stato deciso
cosa ne
sarebbe stato di lei.
-Non
voglio.
I
due sconosciuti si bloccarono a metà della stanza, da cui
stavano
uscendo per avvisare i suoi genitori della decisione presa, e
rimasero a fissarla per qualche secondo.
-Non
vado da nessuna parte- ripeté la ragazza -Chi mi dice che
posso
fidarmi di voi?
I
due si scambiarono un'occhiata eloquente e la Romanoff, emettendo un
sospiro, le si avvicinò; il suo primo istinto fu quello di
retrocedere ma si impose di rimanere ferma dove si trovava: non
doveva mostrare timore.
-Chiara-
iniziò la rossa -Ti ricordi di quello che è
capitato a New York un
paio di anni fa? Il signor Fury ed io facciamo parte di
un'organizzazione antiterroristica che si occupa di affrontare
emergenze di questo tipo e quello che ti è successo fa parte
della
nostra amministrazione: se quello che ci hai raccontato è
vero, le
conoscenze che hai acquisito potrebbero esserci di grande aiuto per
prevenire eventuali altri attacchi. Potresti impedire che altri
civili vengano coinvolti in guerre e attentati da parte di forze
aliene. Terresti la tua famiglia al sicuro.
Un
sobbalzo dell'autobus e il suono del clacson la svegliarono
bruscamente, le ci volle una frazione di secondo per capire dove si
trovasse e perché l'uomo al volante le stesse dicendo di
scendere,
ma quando comprese di essere giunta al capolinea, prese il proprio
zaino dal sedile accanto e condusse Annibale fuori dal mezzo.
Attorno
a loro la scintillante e rumorosa Manhattan li avvolgeva con la sua
luce e il suo smog, che anche a quell'ora della sera non mancava mai
di appestare l'atmosfera; il cielo a mala pena si vedeva tra le teste
degli alti grattacieli pieni di uffici solitamente brulicanti di
persone e appartamenti lussuosi. In alto all'edificio che
maggiormente svettava nello skyline della Grande Mela la scritta
luminosa STARK era come un faro tra le correnti di un mare di
macchine, negozi, rumori di ogni sorta e odori di ogni tipo, la cui
luce la ragazza si apprestò a seguire non appena fu scattato
il
verde dell'attraversamento pedonale.
Come
sempre quando andava da Stark, la hall di ingresso alla Tower era
buia e inanimata, ma dall'altoparlante del citofono una familiare
voce la accolse pochi secondi dopo che ebbe premuto una combinazione
di tasti: -Buonasera Miss Watson- la voce artificiale le
arrivò
gracchiante ai timpani, appena percettibile in quella bolgia di suoni
di motori di automobili -Il signor Stark la sta aspettando all'ultimo
piano.
-Grazie,
Jarvis- rispose Chiara attraversando le porte di vetro antiproiettile
che si erano aperte per farla entrare.
-Posso
chiederle di lasciare il canide fuori dall'edificio?- riprese
l'intelligenza artificiale sfruttando gli altoparlanti della hall,
mentre i due nuovi arrivati la percorrevano in direzione
dell'ascensore.
-No,
Jarvis- ribatté Chiara -Per l'ennesima volta.
Ding!
squilò allegro il campanello dell'ascensore raggiungendo il
piano
terra e aprendo le sue porte. Chiara entrò e premette il
bottone con
il numero 31, i meccanismi si attivarono di nuovo e la scatola
metallica iniziò a salire lenta.
-Devo
forse rammentarle che il canide ha quasi urinato sui miei circuiti
l'ultima volta che è venuta a farci visita, Miss Watson?-
chiese
l'I.A.
-"Quasi",
Jarvis- sottolineò Chiara con la voce -Se ben ricordi l'ho
portato
fuori prima che potesse fare alcunché. Questa volta,
inoltre, mi
sono assicurata che abbia fatto tutto prima di portarlo qui. Puoi
stare tranquillo per i tuoi circuiti.
L'assistente
computerizzato di Stark non disse più nulla e nell'ascensore
gli
altoparlanti diffusero la melodia della Primavera di Vivaldi come
sottofondo della lunghissima ascensione verso il loft del
miliardario. Annibale sbadigliò annoiato e si distese sul
pavimento
di metallo dell'ascensore.
Sulla
porta un piccolo schermo si illuminava mostrando dei numeri in
progressione e Chiara seguì con lo sguardo sul quadrante i
piani
raggiunti: 9...10...11...12...13...14...
Sospirò,
cercando di ricordare quante volte aveva aspettato quegli
interminabili 30
piani prima di raggiungere il genio/milionario/playboy/filantropo che
aveva realizzato la H.A.D.: Health and Analysis Device, la macchina
che, in pratica, teneva sotto controllo la sua vita da quasi due
anni.
"Clint,
tesoro" aveva chiamato Laura dalla finestra della cucina che si
affacciava al granaio, dove Occhio di Falco stava piallando un'asse
di legno che avrebbe fatto parte della nuova porta del piano di sopra
"Al telefono!".
Chiara,
seduta sul divano a guardare la televisione assieme alla figlia
minore della coppia, aveva teso istintivamente le orecchie: le uniche
telefonate che i Barton ricevevano erano da parte dei genitori di
Laura e, solitamente, avvenivano tra le 18 e le 20. Erano soltanto le
16.37 e chiunque avesse chiamato di certo non era la nonna di Kate,
che giocava con le bambole al suo fianco, mentre la televisione
trasmetteva le immagini dell'abbattimento del Quartier Generale dello
S.H.I.E.L.D. a Washington DC. "Attacco terroristico agli uffici
del Triskelion" diceva la scritta che scorreva veloce sul fondo
dello schermo "Steve Rogers aka Capitan America risulta
disperso".
Alle
sue spalle la porta si aprì e i familiari passi dell'agente
Barton
attraversarono il corridoio di ingresso e raggiunsero la cucina; con
uno scatto felino, Chiara si alzò dal divano e, fingendo di
scegliere un dvd dalla videoteca, drizzò le orecchie,
concentrando
tutta la sua attenzione sull'ascolto.
-Ma
come diavolo...?- udì Barton imprecare alla cornetta poi il
silenzio. Dopo circa un minuto Clint parlò di nuovo, la sua
voce di
nuovo fredda e controllata: -Sì, signore. Saremo
lì.
Il
click del tasto del telefono wireless decretò la fine della
conversazione e Chiara poté facilmente immaginare quale
espressione
si fosse disegnata sul viso dell'agente dall'altra parte del muro.
Un'espressione molto probabilmente simile alla sua: che Chiara
sapesse c'era solo una persona a cui Clint Barton si rivolgeva con
quell'appellativo. Ed era morta circa una settimana fa.
-Va
tutto bene?- chiese istintivamente all'uomo sconvolto che le si era
avvicinato.
-Prepara
la valigia- rispose l'agente puntandole contro le sue iridi color del
ghiaccio -Stasera abbiamo un appuntamento e ritengo che sia meglio
essere preparati ad ogni evenienza.
-Chiara
va via?- Kate aveva messo da parte i suoi giochi e li osservava dal
divano con un'espressione preoccupata.
-Può
darsi- le rispose Clint, prendendola in braccio e stampandole un
grosso bacio sulla guancia, facendola ridere per il solletico che la
sua barba di tre giorni le aveva procurato -Ma poi ritorna- aggiunse
poi, rivolgendo a Chiara un sorriso, che però lei non
ricambiò: le
piacevano i Barton e in loro aveva trovato quel calore familiare che
da due anni le mancava, dormire in una vera casa, abitata da persone
vere e non da agenti federali con una pistola sempre attaccata alla
cintola, era un'oasi verde nel bel mezzo di un deserto di cemento
armato, asfalto e vetro
antiproiettile.
Rifugiarsi presso di loro era stata la cosa migliore che le fosse
capitato in quegli ultimi mesi e, se solo avesse potuto, sarebbe
rimasta lì a oltranza, ma l'incanto dell'idillio era
svanito, come
spesso accade, troppo presto e quella notte, messi a dormire i
bambini e stretto un'ultima volta in un abbraccio la cara Laura,
Chiara e Annibale salirono sulla vecchia Ford di Clint, viaggiando
nell'oscurità.
In
pochi minuti raggiunsero un locale notturno sull'autostrada, sporco,
rumoroso e pieno di gente dall'aria poco raccomandabile, ma oramai,
pensò Chiara quando ebbe oltrepassato la soglia
dell'edificio, posti
del genere non la spaventavano più. Non sapeva dire,
però, se fosse
dovuto al numero spropositato di motel che aveva frequentato negli
ultimi mesi o per la presenza rassicurante di Clint.
"Forse
entrambe le cose" si disse, quando vide l'agente lanciare
un'occhiata intimidatoria a un uomo ubriaco che la stava osservando e
che, spaventato dallo sguardo del Falco, aveva immediatamente
focalizzato la sua attenzione sul bicchiere vuoto che aveva davanti.
-Hai
detto che avevamo un appuntamento- bisbigliò la ragazza al
suo
protettore -Con chi?-; la risposta di Barton fu un veloce cenno del
capo in direzione del tavolo in fondo alla sala, a fianco delle slot
machines, e Chiara capì, paralizzandosi sul posto.
-Oh
mio Dio...- sussurrò, riconoscendo nell'uomo in maglione
scuro e
berretto da baseball che sedeva al tavolo proprio il presunto defunto
capo dello S.H.I.E.L.D.,
Nick Fury.
-Buonasera-
le sorrise Fury, emettendo un sospiro di sollievo -Pensavi
già di
esserti liberata di me?
-Lo
credevamo tutti- intervenne il Falco prendendo posto al tavolo e
lanciando una veloce occhiata alla stanza -Natasha in persona mi ha
chiamato per dirmi che un pazzo con una protesi di metallo ti aveva
freddato, che l'Hydra si era infiltrata nell'agenzia e che tutti i
files sul progetto Panacea erano spariti dai server e dalla banca
dati. Poi ho visto al telegiornale il Quartier Generale venire
ridotto a un cumulo di macerie e nessuna notizia né da Nat
né da
Steve né dalla Hill mi è pervenuta! Per l'amor
del Cielo, hai idea
della condizione in cui mi sono trovato?
-Lo
capisco, Barton- disse con tono conciliante il capo dello
S.H.I.E.L.D. -E credimi quando ti dico che mi dispiace, ma le
condizioni e i tempi hanno richiesto l'inscenamento della mia morte.
Nemmeno Romanoff aveva idea di quello che stava accadendo.
-Questo
non mi rassicura- sbuffò Clint, ancora molto nervoso -Che ne
è
stato dei files?
-Se
l'Hydra fosse riuscita a mettere mano sul progetto Panacea, a
quest'ora avreste avuto ogni singolo agente corrotto e traditore alle
spalle e, anche se sono sicuro che gli avresti dato diverso filo da
torcere, non ci sarebbe stato un solo posto sicuro in cui rifugiarvi.
Nemmeno il tuo Nido, Falco.
-Quindi
dove sono?- sbottò impazientemente la ragazza.
-New
York.
New
York le si aprì luminosa davanti agli occhi
allorché le porte
dell'ascensore sparirono nelle pareti perfettamente bianche del loft
elegante del miliardario dall'abito di ferro; era uno spettacolo
mozzafiato ammirare l'Empire State Building, la Statua della
Libertà
e Central Park dall'alto, dorati delle migliaia di luci che mai si
spegnevano nella città insonne.
-Anne,
tesoro!- l'accolse una voce flautata, accompagnata dal ritmo secco e
cadenzato dei tacchi -Come stai?
-Ciao
Pepper!- le sottili braccia della donna la avvolsero in un abbraccio
amichevole e caldo, nonostante il freddo colore delle sue occhiaie,
che facevano apparire il suo viso stanco e provato -Sembri
affaticata, da dove sei tornata questa volta? Bombay?
-New
Delhi- precisò l'imprenditrice con un sorriso stanco, ma
felice;
Chiara adorava Pepper, era praticamente il suo idolo: intelligente,
determinata, sveglia, paziente e bellissima, persino con quelle
brutte occhiaie che le rigavano il viso. La ragazza avrebbe fatto
carte false per essere come lei, soprattutto quando la mattina si
svegliava con lo strascico degli incubi avuti durante la notte.
-Ah!-
esclamò, facendo scivolare una spallina della borsa e
iniziando a
frugarci dentro -Ti ho portato la commissione.
Sotto
lo sguardo impaziente della donna, Chiara estrasse un parallelepipedo
rigido avvolto nel pluriball e con un nastrino dorato malamente
annodato in un angolo e glielo porse: -Spero ti piaccia, non sono del
tutto sicura di essere riuscita a cogliere lo sguardo che avevi nella
foto che mi hai dato e poi...
-Anne,
è bellissimo!- esclamò Pepper, dopo aver scartato
l'oggetto con
l'entusiasmo di una bambina alla mattina del 25 dicembre e aver
rivelato un dipinto su tela della dimensione di un foglio A4.
-Le
hai fatto il naso storto.
Un
Tony Stark in jeans, camicia bianca e due flute di champagne in mano
apparve da dietro il bar con il suo solito sorriso beffardo di chi
crede di avere il mondo ai propri piedi. E quello che lo rendeva
ancora più insopportabile alla ragazza era il fatto che in
effetti
il mondo era veramente
ai
suoi piedi.
-Il
fatto che tu abbia il naso di Cirano di Bergerac non significa che
sia il resto della popolazione mondiale ad avere il naso storto-
sputò velenosa la ragazza. Come faceva una donna
meravigliosa come
Pepper a sopportare un uomo infantile e fastidioso dello stampo di
Tony?
-Uuuh,
sbaglio o si è abbassata la temperatura qui dentro?-
ridacchiò Tony
con fare superiore, ma la voce metallica di Jarvis si intromise:
-Negativo, signore, la temperatura è sempre di 25°C.
-Jarvis,
dobbiamo lavorare sul sarcasmo- sospirò l'uomo appoggiando i
flute
sul tavolino di vetro accanto alle donne -Coraggio, Arianne, andiamo.
Sospirando
impercettibilmente, Chiara lasciò cadere all'ingresso la
propria
borsa e, seguita a ruota dal suo fedele Annibale, percorse il
lussuoso loft dai pavimenti in marmo variegato e il ricercato
mobilio, fino al vecchio laboratorio privato di Stark, convertito a
infermeria
dopo il suo trasferimento a Brooklyn. Ora Tony aveva dedicato due
interi piani dell'edificio ai suoi giocattoli (per non parlare di
quello che si trovava nella sua casa in California), mentre quella
grande stanza era stata arredata con un lettino, una sobria scrivania
con un largo schermo piatto, uno schedario e un armadio pieno di kit
per il prelievo del sangue e delle urine. Sarebbe apparso un comune
ambulatorio medico se metà dell'ambiente non fosse stato
occupato
dall'imponente H.A.D., costituente il 50% del progetto Panacea.
La
restante metà era Chiara.
Appena
entrato, il signor Stark prese posto alla scrivania, sulla cui
superficie comparì una tastiera luminescente; l'uomo
digitò la
password e sullo schermo apparve la foto di Chiara, affiancata da una
serie di numeri e sigle: -L'ultima volta che ci siamo visti avevi la
pressione un po' bassa e il colesterolo nel sangue era ai minimi
accettabili. Hai mangiato un po' meglio in questo ultimi giorni?-
chiese Tony, leggendo pensieroso i dati sul computer.
-Sì,
sì, non ti preoccupare- quella finta apprensione che il
milionario
ostentava ogni volta che si incontravano le dava ai nervi. Come se
fosse stato veramente preoccupato per la sua salute.
-Dunque,
procediamo!- esclamò l'uomo, accendendo una piccola
videocamera e
puntandola verso di lei: -Lei è Arianna Watson?- chiese poi,
simulando la voce di Nick Fury; con una mano si copriva l'occhio
sinistro, imitando la benda, mentre con l'altra faceva scorrere sullo
schermo il file con le domande che aveva l'obbligo di porre alla sua
cavia ogni volta prima di procedere al trattamento.
-Affermativo-
rispose Chiara in uno sbuffo -Seriamente, dobbiamo fare tutte le
volte questa sceneggiata?
-Nata
a Washington DC il 12 Aprile del 1992?-
continuò l'uomo, ignorando la domanda.
-Affermativo.
-Dichiara
libertà allo S.H.I.E.L.D. di eseguire le dovute analisi sul
suo
metabolismo e di sottoporle i farmaci necessari per perpetrare le
suddette analisi?
L'obiettivo
della piccola telecamera appoggiata sul tavolo brillò di un
bagliore
freddo alle luci delle lampade, mentre su di essa una piccola spia
rossa lampeggiava a intermittenza.
-Affermativo-
rispose per l'ennesima volta la ragazza, abituata oramai a rispondere
a quella serie di domande come una macchinetta.
-Ha
assunto farmaci non prescritti, sostanze alcoliche e/o stupefacenti
negli ultimi tre giorni?- continuò Stark, dondolandosi sulla
sedia.
-Negativo-
rispose asciutta Chiara.
-È
in stato di gravidanza o ritiene di esserlo?
-Negativo.
-Ha
accusato sintomatologie quali affaticamento, asma, nausea, vomito,
vertigini e/o mal di testa persistenti?
-No,
ma mi sta arrivando un gran mal di testa proprio adesso, se
continuiamo con queste assurde domande- sbottò la ragazza,
infastidita e a disagio -Si sta facendo tardi e gradirei tornarmene a
casa il prima possibile.
-Molto
bene, allora procediamo- l'uomo spense la videocamera e la ripose in
un cassetto della scrivania, poi si alzò e si mise ad
armeggiare con
l'H.A.D per metterla in moto, mentre Chiara iniziava a sfilarsi il
maglione.
Un
brivido freddo le percorse
tutta la lunghezza della schiena quando, sfilati anche i pantaloni e
le calze, toccò il pavimento di marmo con i piedi nudi.
-Dovresti
seriamente prendere in considerazione di fare installare un sistema
di riscaldamento a induzione sul pavimento- suggerì fredda
Chiara,
rimasta oramai solo in intimo, mentre si sdraiava sul lettino.
-Ho
appena preso un appunto mentale- le sorrise il milionario, digitando
dei comandi sullo schermo della macchina -Dammi il via quando sei
pronta.
"Inspira"
fece entrare aria dal naso, con calma, concentrandosi sul rilassare
le spalle e il collo "Espira".
-Potrebbe
bruciare all'inizio- disse l'uomo dai folti ricci bruni al suo
fianco, mentre disinfettava con cura l'incavo del suo braccio
sinistro. Le sue mani erano ferme, ma il suo tocco era delicato, come
se avesse avuto paura di poterle spezzare le ossa applicando anche
solo una leggera pressione: -Se ti fa troppo male, non hai che da
dirlo e fermiamo tutto, d'accordo?
Ecco
quello che le faceva piacere così tanto il dottor Banner: la
sua
premura. Di medici, luminari, specialisti e infermieri ne aveva
incontrati a mazzi negli ultimi mesi e tutti, dal primo all'ultimo,
guardandola vi avevano visto un affascinante mistero della medicina
da risolvere ad ogni costo. Chiara era la loro sfida e loro
rispondevano ai trattamenti andati a vuoto con proposte e prodotti
ancora più aggressivi e radicali.
Poi
la sua strada si era incrociata con quella di un uomo dai grandi
occhi timidi, che quando aveva letto la sua cartella clinica era
inorridito e aveva passato un buon dieci minuti di esercizi di
respirazione per mantenere la calma.
-Arianne-
le aveva detto -Ora ti prendo i parametri vitali e un campione di
sangue in maniera da assicurarmi che tu stia bene, poi desidero che
tu esca di qui e ti prenda un paio di settimane di assoluto riposo.
Non voglio che metti piede in una clinica finché non te lo
dico io,
è chiaro?
Dopo
circa un mese dal loro ultimo incontro, il dottor Banner era venuto
di persona al Triskelion in compagnia del signor Stark e di diverse
casse di legno imbottito di Etaphoam, che avevano fatto portare nella
sua stanza e disposte sul pavimento.
Quando
aveva ricevuto quella visita inaspettata, Chiara aveva percepito
subito una discreta tensione tra gli agenti che di norma
pattugliavano quel piano, le cui mani scattavano continuamente al
fodero della pistola al minimo rumore. Non riuscì a
giustificare
quell'insolito comportamento.
I
due uomini, accompagnati da Fury, le avevano chiesto di spogliarsi e
di distendersi sul letto, mentre loro iniziavano ad estrarre i
macchinari dalle casse e a montarli, disseminando bulloni, viti e
varie componenti metalliche sul pavimento.
-Questo
è un siero- spiegò Banner, inginocchiandosi a
fianco del letto e
mostrandole la siringa che teneva in mano -Te lo inietterò
in vena e
poi verrà attivato con le radiazioni emesse da quella specie
di
grossa lampada di Wood che vedi lì- indicò il
macchinario che Stark
stava finendo di montare -Terremo monitorati i tuoi parametri vitali
e la tua attività cellulare e, se tutto andrà
bene, non dovrai più
girare come una trottola per tutta la nazione.
Chiara
annuì in silenzio, porgendogli l'arto e preparandosi a
ricevere
l'ennesimo medicinale in corpo, ma Banner la guardò per un
momento e
disse calmo: -Nessuno ti impone di ricevere questa cura, se hai paura
o non te la senti, sei libera di rifiutarti.
-Sono
pronta.
Non
c'era esitazione nella sua voce: riportare alla memoria le parole del
dottor Banner l'aiutava ogni volta a ricordare per cosa e,
sopratutto, per chi aveva accettato di seguire gli agenti fino
all'altro capo dell'Atlantico.
Stark
passò il cotone imbevuto di disinfettante sulla pelle del
braccio e,
trovata la vena, vi affondò la punta dell'ago con un gesto
pulito e
preciso, nonostante il leggero tremore della mano, tipico di chi ha
assunto per molto tempo grandi quantità di alcolici. Lo
stantuffo
iniziò a scendere e il liquido rosa cominciò a
pizzicarle sotto la
pelle.
Aveva
imparato a convivere con quel bruciore e, con il susseguirsi delle
sedute, aveva quasi smesso di sentirlo. Attese che il serbatoio della
siringa da insulina venisse completamente svuotato, poi
ordinò ad
Annibale, che per tutto quel tempo l'aveva osservata a fianco del
lettino con i suoi grandi occhi nocciola, di andare dietro la
scrivania; quello obbedì e Tony, riposta la siringa in un
sacchetto
che sarebbe finito nell'inceneritore, lo seguì, per poi
azionare a
distanza H.A.D., che iniziò a vibrare mentre i suoi
meccanismi si
mettevano all'opera.
Una
piccola spia rossa si accese sul macchinario e Chiara chiuse gli
occhi, mentre il suo corpo veniva irraggiato delle radiazioni emesse
da H.A.D.; poteva sentire il siero correrle veloce nel suo sistema
circolatorio, infiltrandosi nel ventricolo destro, venire spinto
nell'atrio destro e poi pompato fino ai polmoni, per poi tornare ad
attraversare il suo corpo fino a raggiungere il ventricolo sinistro,
l'atrio sinistro e l'aorta.
Ovunque
esso andasse, qualunque cosa toccasse, era come una scintilla
sull'erba secca, mandando le sue cellule a fuoco; nel frattempo le
sue orecchie potevano udire il computer sulla scrivania riprodurre il
battito del suo cuore sempre più accelerato.
-Coraggio,
Anne- la rassicurò l'uomo dall'altra parte della stanza -È
quasi finito e tu ti stai comportando alla grande.
-Facile
per te!- ridacchiò la ragazza, ma la sua voce
uscì più gutturale e
cupa del previsto e fu costretta a schiarirsi la gola, facendo
abbaiare Annibale.
Non
potendo aprire gli occhi per evitare che le radiazioni le rovinassero
i cristallini, Chiara gli diede il comando di silenzio con la mano e
quello si acquietò, pur continuando a brontolare tra i denti.
Dopo
dieci minuti di quel trattamento, finalmente H.A.D. si fermò
e il
suono di un campanello decretò la conclusione della seduta:
-Potresti pensare di aggiungere una lampada abbronzante a questo
trabiccolo, almeno avrei una tintarella invidiabile tutto l'anno!-
disse la ragazza sollevandosi dal lettino e dando una carezza al suo
fedele animale domestico che era andato ad accertarsi che la sua
padrona stesse bene.
-Meglio
di no- rispose Stark, osservando sullo schermo la scansione che la
macchina aveva fatto della paziente durante il trattamento -A meno
che tu non voglia avere il colore di un pollo arrosto e un bel po' di
melanomi qua e là.
-No
grazie- Chiara infilò le gambe nei jeans e li abbottonò
-Hannibal, jumper!- ordinò e il cane trotterellò
fino all'angolo
dove giaceva il maglione, lo prese delicatamente in bocca e glielo
portò, scodinzolando tutto contento.
-Good
boy!- lo premiò la fanciulla estraendo dalle tasche un
sacchetto di
biscotti per cani, sotto gli occhi affascinati di Tony, il quale,
salvati i dati acquisiti quella sera, chiese con ammirazione: -Ora sa
anche distinguere gli indumenti?
-Solo
qualcuno- rispose Chiara, mentre si allacciava le scarpe -Conosce
jumper, socks e scarf. Confonde ancora gloves e shirt, ma sta
imparando. Ah!- esclamò poi, portando la mano alla tasca
-Stavo per
dimenticare.
Estrasse
il fusibile dal pantalone e lo lanciò all'uomo, che lo
afferrò al
volo e iniziò a studiarlo, mentre si lasciavano l'infermeria
alle
spalle e rientravano in salotto: -Fammi indovinare- disse Tony -Di
nuovo il forno?
-Già-
rispose asciutta -Puoi aggiustarlo?
-Sai
che al centro commerciale vendono degli ottimi elettrodomestici?-
domandò il milionario, ma l'eloquente occhiataccia della
ragazza gli
intimò di concentrarsi sul fusibile e, così,
proseguì -C'è da
sostituire il filo conduttore con uno della stessa portata
amperometrica, dovrei avere qualcosa del genere in qualche cassetto.
Ci metto un attimo.
Le
porte dell'ascensore si aprirono al suo passaggio e in un attimo
l'uomo sparì, diretto al suo laboratorio, mentre Pepper
stava già
scegliendo dove collocare il ritratto appena ricevuto.
-Mettiti
pure comoda- le disse la donna, mentre sollevava il quadro contro una
parete -Fa' pure come se fossi a casa tua.
"Una
casa sei
volte più grande e molto, molto più costosa"
pensò la
ragazza, confrontando il lussuoso loft con il suo bilocale preso in
affitto a Brooklyn, ma, con un sorriso di cortesia cristallizzato
in volto, rispose con un educato: -Grazie.
-Anne-
riprese qualche minuto dopo la donna, avendo finalmente trovato il
porto adatto per il dipinto -Stavamo per metterci a tavola. Vuoi
unirti a noi?
-No,
Pepper, ti ringrazio. Preferirei tornare a casa il prima possibile:
domani dovrò essere a lavoro molto presto per avviare il
forno.
In
realtà sarebbe rimasta anche piuttosto volentieri: Pepper
era una
cuoca spettacolare e, di sicuro, avrebbe sfoderato qualche
bell'aneddoto sul suo viaggio in India, ma non voleva fare da terzo
incomodo alla coppia. Per via del lavoro di entrambi, i due fidanzati
avevano ben poco tempo da trascorrere insieme e Chiara non aveva
intenzione di rovinare quel loro momento assieme con la sua scomoda
presenza.
Il
suo stomaco sarebbe stato soddisfatto una volta tornata a Brooklyn.
Trascorse
una mezzoretta di piacevoli chiacchierate e pettegolezzi prima che
Tony riemergesse dal laboratorio con la sua scintilla di
soddisfazione quando portava a termine con successo un lavoro: -A
voi, madame!- disse, porgendole con un gesto plateale il fusibile
tornato come nuovo e accuratamente riposto in una scatola imbottita
di polistirolo.
-Grazie,
Tony- Chiara prese la scatola e la infilò in borsa, poi fece
scivolare il cappotto sulle spalle -Sarà meglio che torni a
casa,
ora.
-È
piuttosto tardi- considerò l'uomo accompagnandola
all'ascensore -È
pericoloso uscire a quest'ora. Vuoi un passaggio?
-Con
una delle tue macchine da corsa o con la limousine?- rise la ragazza
-Meglio di no, attireremmo troppo l'attenzione. È
già un miracolo
che nessuno mi abbia ancora vista entrare qui. Prenderò
l'autobus,
come al solito. In fondo non è così
tanto
tardi.
Tony
la squadrò dall'alto in basso con i suoi grandi occhi scuri,
per
niente convinto di quella soluzione, ma alla fine dovette cedere e
chiese: -Hai il teaser che ti ho dato?
-Sì,
tranquillo- sbuffò Chiara.
-Vedere-
ordinò il milionario, porgendo la mano.
-Non
ti fidi?
-Voglio
solo verificare che funzioni bene.
La
ragazza sospirò e, frugato nel caos della borsa per un
momento,
estrasse da una tasca laterale la scatoletta di plastica con due
piccole sporgenze, da cui partirono delle scosse blu quando l'uomo
premette il pulsante di accensione.
Tony
studiò l'oggetto per qualche secondo, poi, soddisfatto, lo
restituì
alla proprietaria: -Mettilo dove puoi estrarlo rapidamente o non
servirà a niente.
-Va
bene, va bene!- esclamò esasperata quella, mettendosi il
teaser in
tasca -Posso andare ora?
-Ok,
va'
pure, ma stai attenta e se succede qualcosa, usa il comunicatore. Ce
l'hai quello, vero?- chiese inquisitorio.
"Merda,
l'ho lasciato a casa!" pensò Chiara, ma, esibendo un largo
sorriso, rispose: -Ovvio
che
ce l'ho! Per chi mi hai presa? Davvero, Tony, la tua mancanza di
fiducia mi offende.
-Va
bene, non ti agitare!- ridacchiò l'uomo sotto ai baffi, poi,
dopo
aver lasciato un abbraccio a Pepper, la ragazza e il suo cane
poterono finalmente ridiscendere l'edificio e tornare in strada.
1
corrispondono
a quattro anni
Angolo
dell'autrice:
salve a tutte e benvenute alla fine del primo capitolo di Panacea
Project!
:D Spero che queste pagine vi abbiano incuriosito e che vogliate
continuare a scoprire cosa accadrà alla nostra Chiara nella
lontana
New York.
Sono
veramente contenta di essere riuscita finalmente a pubblicare il
sequel de La
sua paura,
anche se, mi rincresce dovervelo dire, non sarò in grado
questa
volta di mantenere il ritmo di una pubblicazione a settimana: sono
appena uscita da un brutto blocco dello scrittore e la stesura della
storia non è avanzata quanto mi piacerebbe, inoltre
quest'anno
universitario si preannuncia particolarmente tosto e impegnativo.
Farò il possibile per mantenere una cadenza mensile, ma, se
non sarò
sempre puntualissima, spero mi perdonerete.
Dunque,
come avrete notato, questa storia, a differenza della prima, non
è
ambientata principalmente ad Asgard, ma per buona parte
vedrà New
York come teatro degli eventi che accadranno e coinvolgerà
nuovi
personaggi (della Marvel e non), creando un ampio crossover.
Personalmente mi emoziona molto l'idea di far interagire Chiara con
personaggi non appartenenti al mondo di Thor, voi che ne pensate?
Comunque non temete: Thor e la sua crew si rifaranno vivi ad un certo
punto.
Nel
frattempo, che impressioni avete avuto di quello che avete letto
finora? Cosa pensate della situazione in cui Chiara si è
trovata e
delle relazioni che ha intrecciato?
Vi
mando un grossissimo abbraccio e un bacione, spero di ritrovarvi
presto!
Lady
Realgar
Ps.
Riferendomi alla figlia di Clint (mi riaggangio a The
Avengers: Age of Ultron)
mi riferisco a lei con il nome di Kate per due ragioni: la prima
è
che non ricordo se nel film le viene dato un nome o se resta
“etichettata” semplicemente come la figlia
di Barton;
la seconda per fare un piccolo omaggio al personaggio di Kate Bishop
(Occhio di Falco negli Young Avengers), che è stata
completamente
dimenticata nel MCU. Ad ogni modo, se vorrete segnalare il vero nome
della bambina, provvederò a sostituirlo per amor di
precisione.
Grazie
mille e un abbraccio!
|