Ultimo capitolo
Ok, mi prostro in tutti i
modi possibili e immaginabili per averci messo così tanto a
postare! Sono imperdonabile, lo so, scusate.
Questo è l'ultimo capitolo della prima parte, quella
ambientata in piena era Guns. E' un po' lunghino, ma essendo quello di
chiusura, ci stava, o almeno lo spero!
In questo preciso istante non so ancora se chiudere questa storia e poi
riaprirne un'altra con la seconda parte, oppure continuare a postare
qui, con un salto temporale. Lo scoprirete solo vivendo ^_^
Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va!
Buona lettura!
CIAO
23 giugno '87 LA
Lene si rigirò nel letto per l'ennesima volta e alla fine si
arrese all'evidenza di non riuscire a prendere sonno in nessun modo.
Nervosa e frustrata, sbuffò come una bambina e si
alzò cercando di non fare rumore.
Si infilò una maglietta, scese al piano di sotto e si
lasciò cadere sul divano, accendendo subito dopo la TV nella
speranza di trovare almeno qualcosa di decente da vedere.
Ovviamente non doveva essere la sua giornata fortunata,
perché
nulla sembrava andarle a genio e distrarla da quello che le frullava
nella testa e non le permetteva di prendere sonno.
Spense l'apparecchio, ancora più frustrata di prima, e
aprì la grande finestra che dava sul giardino, facendo
qualche
profondo respiro.
Il silenzio della notte era spezzato da qualche auto che passava e Lene
si chiese se anche nel suo quartiere quella notte le strade fossero
così deserte e silenziose.
Il rumore, sebbene impercettibile, di alcuni passi la distolse dai suoi
pensieri e poco dopo sentì una mano sfiorarle la spalla in
una
carezza.
"Non riesci a dormire?"
Lene fece cenno di no con la testa, rimanendo in silenzio.
Jason le scostò i capelli da un lato e le lasciò
un
morbido bacio sul collo, proprio alla base della nuca, per poi
avvolgerla con le sue braccia da dietro e stringerla forte a
sé.
Erano passati più o meno tre mesi da quando Lene era apparsa
sulla soglia di casa sua completamente fradicia, in un mare di lacrime,
e da allora non se n'era più andata.
Non che convivere fosse stata una scelta sentimentale, per
carità. Lene aveva il cuore a brandelli per com'era finita
la
storia con Duff e Jason non era tipo da legami impegnativi, neanche con
una donna speciale ai suoi occhi come Lene.
Semplicemente la ragazza
non si era sentita di tornare a casa sua, terrorizzata di trovarci
Duff,
e a Jason era sembrata la soluzione più naturale ospitarla
lì da lui, da bravo amico.
Certo, il fatto che ora il loro rapporto si fosse arricchito di una
componente erotica aveva reso quella scelta molto allettante, ma Jason
l'avrebbe ospitata a prescindere, di questo Lene era più che
sicura.
"Sei sicura che vuoi farla domani sta cosa? Lo sai che per me non
c'è problema, puoi stare qui quanto vuoi, mi fa solo che
piacere
la tua compagnia."
Lene lasciò scivolare le mani su quelle di Jason, che la
tenevano stretta sotto il seno e sorrise.
"Lo so e ti ringrazio. Ma è inutile che continui a
rimandare. E'
una cosa che devo fare e se non mi do una scadenza finirò
per
tirarla avanti all'infinito e non voglio. E poi martedì devo
andare a New York per la mostra, lo sai. Tanto vale farlo
subito."
Jason appoggiò la bocca sul collo di Lene e fece un mugolio
di
assenso, provocandole dei piccoli brividi lungo la spina dorsale che
non passarono inosservati al pittore.
Un sorrisetto malizioso, infatti, gli si dipinse sul volto e il ragazzo
mollò immediatamente la stretta che esercitava sul corpo di
Lene
con le mani, spostandole lentamente e delicatamente verso il basso,
alla ricerca del bordo della maglietta che la ragazza aveva addosso.
"Capisco... chissà se c'è qualcosa che posso
fare, allora, per aiutarti a rilassarti e favorirti il sonno..."
Anche sul volto di Lene si dipinse un sorriso carico di aspettative.
Non era innamorata di Jason, questo era chiaro ad entrambi per fortuna,
ma non
poteva negare che la loro alchimia a letto era a dir poco esplosiva e
lei non era certo una che disdegnava certe sensazioni, che tra l'altro
l'avevano aiutata non poco ad andare avanti in quei mesi.
Le mani di Jason scivolarono sotto la maglietta e risalirono
lentamente, carezzando la pelle sensibile di Lene, fino ad arrivare a
quei meravigliosi seni che tanto lo avevano intrigato prima di potervi
avere finalmente accesso.
Le dita del ragazzo iniziarono a muoversi sapientemente, accendendo
immediatamente il desiderio di Lene, facendola sospirare di piacere.
"Mmm... ho come l'impressione di avere un certo margine di successo..."
Sentendo fremere la ragazza, Jason le diede un lieve morso sul collo,
consapevole dell'effetto che aveva su di lei e quando Lene fece
per girarsi e liberarsi da quella meravigliosa tortura, lui
la
costrinse a rimanere dov'era.
"Dove scappi? Non osare muoverti di qui..."
Il tono volutamente basso dell'uomo e la fermezza con cui la stava
tenendo ferma eccitarono Lene da morire, acuendo all'istante tutti i
suoi sensi.
"Ho voglia di toccarti... lasciami girare per favore..."
Jason sorrise compiaciuto sentendola già così
arrendevole
e poggiata una mano sulla sua schiena, la spinse leggermente in avanti
col busto, portandola istintivamente ad allargare leggermente le gambe
e appoggiarsi con le mani al davanzale.
"Mi spiace, ma stanotte comando io."
L'uomo le sollevò leggermente la maglietta, scoprendo
così il suo delizioso fondoschiena e poi le sfilò
lentamente le mutandine, lasciandole cadere a terra.
Poi si chinò su di lei, arrivando a sussurrarle
nell'orecchio.
"Che ne dici se ti scopo davanti a questo bel cielo stellato? Guai a te
se fai rumore, però... i vicini stanno dormendo."
Lene non ebbe nemmeno il tempo di rispondere. Sentì il
fruscio
dei pantaloni del pigiama di Jason che cadevano a terra e un istante
dopo la punta del suo membro duro che la sfiorava nel suo punto
più sensibile.
"Vediamo se riesci a non gridare."
E con una spinta decisa, Jason entrò dentro di lei,
costringendola a mordersi il labbro per trattenere la voce.
"Brava bambina, mi piace quando sei così obbediente."
Lene strinse con forza la presa sul davanzale della finestra e si
lasciò scappare solo un gemito sommesso quando Jason
riportò le sue mani sui suoi seni, riprendendo a stuzzicarla
con
esperienza.
"Sssh... ricordati dei vicini..."
Il ragazzo aumentò pian pianino il ritmo, beandosi del
rumore
che i loro corpi producevano ad ogni spinta e dei sospiri di Lene che
fremeva sotto di lui.
La frequenza e la forza dei suoi movimenti aumentarono sempre di
più e quando Lene sentì un dito di Jason
sfiorarle il
clitoride, un'ondata di piacere partì dalla punta
dei piedi
per arrivarle fino alla testa, portando via con sé tutte le
paure
e le tensioni che l'avevano tenuta sveglia fino a quel momento.
L'ultima cosa che percepì, prima di cadere finalmente
addormentata, furono le braccia di Jason che la sollevavano con
delicatezza e la trasportavano fino in camera, posandola piano su quel
letto che l'aveva accolta e protetta quando pensava di non poter
più andare avanti e che pian pianino si era trasformato in
un'isola di pace che però prima o poi avrebbe dovuto
lasciare.
Le luci del giorno si infiltrarono prepotentemente tra le pesanti tende
che adornavano la finestra della camera svegliando Lene, la
quale
reagì girandosi immediatamente dalla parte opposta, per
proteggersi da quella intrusione così fastidiosa.
Così facendo si trovò davanti il viso di Jason
che
dormiva tranquillo e si concesse qualche minuto per osservarlo bene.
Era davvero bello, non c'era altro da dire. I lineamenti delicati,
quasi femminili, il naso perfetto, le labbra piene, ogni elemento
perfettamente proporzionato con l'altro in un'armonia che era davvero
rara da trovare, specialmente in un uomo.
Lene allungò istintivamente un dito per seguire il contorno
di
quell'ovale così perfetto, ma si fermò a pochi
millimetri
dalla pelle, onde evitare di svegliarlo.
Non voleva disturbarlo, considerato tutto quello che il ragazzo aveva
fatto per lei in quei tre mesi.
Quand'era tornata da New York, sotto shock, l'unica persona che le era
venuta in mente per rifugiarsi era stata proprio lui, che
già da
molti mesi le stava accanto come un buon amico.
Non aveva però osato sperare che lui arrivasse a ospitarla
per
così tanto tempo, aiutandola a rimettersi in piedi
nonostante le
sembrasse che tutto il mondo le stesse crollando addosso.
E ci era riuscito, contro ogni suo pronostico negativo.
All'inizio, certo, era stata dura anche solo alzarsi la mattina. Ma
pian pianino, grazie proprio alle cure di Jason, alle sue coccole e
premure, era riuscita a farsi forza e da qualche settimana poteva dire
di stare davvero meglio, sebbene un piccolo pezzo del suo cuore fosse
andato irrimediabilmente perduto per sempre.
Duff era stato l'uomo più importante della sua vita e lo
sarebbe
sempre stato, di questo era più che sicura.
Sapeva che non
avrebbe mai più potuto amare qualcun altro come aveva amato
lui,
ma sapeva anche che non aveva altra scelta che allontanarsi da lui per
sempre, perché mai sarebbe stata in grado di far tornare le
cose
come prima.
Ovviamente non era stato il solo tradimento di per sé a
farle
prendere quella decisione così drastica. Era un pensiero
che, si
era resa conto nei giorni successivi a quel terribile viaggio a New
York, le strisciava dentro da un bel po', sebbene lei non avesse mai
voluto dargli ascolto.
Tanti elementi avevano pian pianino logorato quel sentimento
così bello e così intenso che Lene provava per
Duff,
tante piccole delusioni, tante piccole sofferenze mandate
giù
per il bene di quell'amore che fino all'ultimo si era illusa di poter
tenere in vita, nonostante tutto.
Ma quell'orribile sera di marzo le aveva aperto decisamente gli occhi
sul fatto che purtroppo il suo Duff ormai non c'era più e
che
non aveva senso tentare di tenere uniti i brandelli della loro storia
d'amore se era l'unica a farlo dei due.
Era stata dura prendere quella decisione, accettare quella
consapevolezza, così come dura sarebbe stata affrontare
quello
che voleva, e doveva
fare quel pomeriggio.
Scossa da quel pensiero, Lene si rigirò nuovamente nel letto
il
più delicatamente possibile e si alzò, incapace
ormai di
continuare a dormire.
Qualche ora dopo, Jason accostò la macchina e spense il
motore
in quella stradina che non bazzicava più ormai da tre mesi.
Si girò leggermente verso Lene e l'osservò
attentamente, cercando di capire cosa le passasse per la testa.
"Lo sai che puoi cambiare idea quando vuoi, vero? Basta che me lo dici
e torniamo a casa."
Lene scosse il capo in segno di diniego, silenziosa e pallida.
Se la stava facendo addosso, non poteva negarlo nemmeno a se stessa, ma
sapeva anche che doveva assolutamente fare quel passo o non sarebbe
riuscita a mettere la parola fine a quella storia.
"No, posso farcela, davvero. Solo ti prego, puoi entrare prima te,
giusto per controllare che lui non ci sia? Non ce la farei ad
affrontarlo."
Jason le sorrise comprensivo.
"Certo piccola, ci mancherebbe. Basta che però non
ti
incazzi se, nell'eventualità che ci sia, finisce che gli
metto
le mani addosso. Almeno questo concedimelo, per favore."
Lene gli sorrise quasi commossa da quel senso di protezione che Jason
aveva sviluppato già da molto tempo ormai nei suoi
confronti.
E si sorprese nel rendersi conto di quanto era cambiata dall'anno
prima, quando una frase del genere l'avrebbe infastidita, insofferente
com'era, allora, ad ogni forma di possesso di qualunque uomo nei suoi
confronti.
La storia con Duff aveva avuto un impatto enorme sulla sua vita e per
fortuna, per molti versi, in senso positivo.
Jason si alzò dalla macchina e si diresse verso il portone,
entrando nel palazzo poco dopo.
Lene si rese conto che stava trattenendo il fiato dall'ansia. Sperava
con tutta se stessa che Duff non fosse in casa, non avrebbe avuto la
forza di affrontarlo faccia a faccia, di questo era sicura.
Grazie a Dio, pochi minuti dopo, Jason uscì nuovamente dal
portone facendole cenno di raggiungerlo.
Lene scese dalla macchina e con le gambe poco salde, raggiunse casa sua
dopo tutto quel tempo.
Davanti alla porta di casa, Jason la trattenne per un secondo
afferrandole il polso delicatamente.
"C'è un gran macello dentro, preparati."
Lene annuì silenziosamente e, preso un bel respiro,
aprì la porta ed entrò.
Lo spettacolo che le si parò davanti la lasciò di
sale.
Sembrava che fosse passato un tifone o fosse esplosa una bomba in
salotto, visto che per terra c'erano cocci dappertutto, mobili
rovesciati e quadri capovolti.
Era più che evidente che Duff era passato di lì e
altrettanto evidente era che non aveva preso bene la sua assenza.
Ancor più tremante di prima, Lene si avventurò
dentro casa, salendo al piano di sopra.
Lo spettacolo non era molto differente, anche se forse vi erano meno
cose rotte in giro, semplicemente perché meno c'era da
rompere
in camera da letto o in bagno.
Un pensiero fulmineo le percorse la mente e in preda al panico, Lene
salì di corsa nella sua mansarda, il cuore in gola.
La sola idea che, in preda a quella furia cieca, Duff avesse profanato
i suoi quadri, le fece venire i brividi, ma quando Lene mise piede in
mansarda, notò immediatamente che non vi era nulla di
danneggiato.
In realtà il passaggio di Duff si notava comunque,
perché
tutti gli ultimi quadri che Lene aveva dipinto si trovavano accatastati
uno sopra l'altro accanto al cavalletto, su cui capeggiava un quadro
che non aveva bisogno di parole.
Evidentemente anche per Duff era stato sufficiente vedere quelle
immagini per capire.
Ed altrettanto evidentemente, i dipinti di Lene avevano spiegato a Duff
tutto quello che c'era da sapere e l'impatto era stato tale da calmare
la sua rabbia all'istante e portarlo ad andarsene senza causare
ulteriori danni.
Lene carezzò lievemente il volto del vecchio Duff che si
rifletteva in uno specchio, sulla tela, mentre il nuovo Duff, ormai
grottesco, si guardava con orrore.
Sospirò, posò l'ultimo quadro assieme agli altri
e preso
un telo lì vicino, ve lo posò sopra e scese di
sotto.
Dopo qualche ora, Jason rientrò in casa dopo l'ennesimo
viaggio fino alla macchina, per caricare gli ultimi scatoloni.
Lene aveva ormai riordinato e ripulito quasi tutto e in sala rimanevano
solo un paio di scatoloni ancora aperti, in cui Lene stava mettendo le
ultime cose.
La osservò mentre studiava con attenzione una cornice con
dentro
una foto e non fece molta fatica a immaginare chi vi fosse ritratto.
Le si avvicinò lentamente e notò con dispiacere
le lacrime che le rigavano copiosamente il viso.
Le scostò alcune ciocche di capelli dalla guancia e le
portò un braccio intorno alle spalle, stringendo leggermente.
"Tutto bene?"
Lene fece cenno di sì con la testa e si asciugò
prontamente le guance, cercando di riguadagnare il controllo di se
stessa.
"Ho finito, manca solo questa."
Posò la foto in uno scatolone e lo chiuse con il nastro
adesivo, per poi chiudere anche quello accanto.
"Ti spiace portarli in macchina? Ho bisogno di un paio di minuti da
sola. Arrivo subito."
Jason le fece un cenno d'assenso e, impilati i due scatoloni, li
sollevò e uscì di casa, lasciandola ai suoi
pensieri.
Lene diede una lunga occhiata in giro, come se in ogni angolo rivedesse
scene della vita che aveva vissuto tra quelle mura con Duff.
Era stata felice da morire in quella casa, ma anche triste come non le
era mai capitato in vita sua.
Vi era entrata con il cuore indurito e pian pianino proprio Duff
gliel'aveva ammorbidito, riscaldandolo con il suo amore,
finché
non era arrivato quel maledetto contratto discografico e tutta la loro
vita ne era stata sconvolta.
Lene spense la luce per l'ultima volta e con il cuore colmo di
tristezza, si tirò dietro la porta con la consapevolezza che
non
avrebbe mai più messo piede tra quelle mura che aveva
chiamato casa e
dove, anche se solo per un breve periodo, aveva provato una
felicità vera, talmente intensa che il solo pensiero le
scaldava
ancora il cuore.
Jason guardò con aria preoccupata il palazzo davanti a loro.
"Te l'ho già detto che sta cosa non mi piace per niente,
vero?"
Lene gli carezzò lievemente braccio e gli sorrise, cercando
di rassicurarlo, per quanto potesse.
"Credo un centinaio di volte, ma credo anche di averti spiegato
altrettante volte che è una cosa che devo fare assolutamente
se
voglio davvero voltare pagina."
"Almeno permettimi di venire con te! Non mi va che tu entri
là
dentro da sola. E se lo becchi lì e non c'è
nessuno con
te? Ti accompagno e stiamo tutti più tranquilli."
Lene fece di no con la testa e gli diede un lieve bacio sulle labbra.
"Lo so che vuoi proteggermi, ma preferisco non coinvolgerti in questa
cosa. Per il tuo bene, ovvio. Non c'è rischio che lo
incontri,
tranquillo. A quest'ora è sicuramente in sala prove e se le
cose
non sono cambiate improvvisamente, è già bello
che
andato, quindi non corro nessun pericolo. Fidati di me."
Jason la guardò negli occhi e la baciò dolcemente.
"Sei un'incredibile testona, lo sai?"
"Lo so e mi vuoi bene anche per questo, credo."
"Mmm... non ne sono mica tanto sicuro..."
Lene prese i due scatoloni, per fortuna non troppo pesanti, e si
avviò dentro allo studio di registrazione, il cuore a mille.
Con Jason aveva fatto la dura perché non voleva davvero
coinvolgerlo e aveva bisogno di suonare convincente, ma dentro di
sé era terrorizzata all'idea di beccare Duff, anche se la
sua
parte razionale cercava di ripeterle che davvero a quell'ora era
probabile che il ragazzo fosse in stato incosciente.
Arrivata davanti all'usciere, chiese di poter parlare con Izzy
Stradlin, l'unico che le sembrava adatto a gestire quella situazione
nel migliore dei modi.
L'uomo sollevò la cornetta del telefono e disse che la
Signorina
Garcia Johnson desiderava parlare con il Signor Stradlin. Pochi istanti
dopo abbassò la cornetta e le chiese di attendere un attimo.
Lene si spostò lì a fianco, l'ansia che saliva
man mano
che passavano i minuti. E se Izzy avesse detto a Duff che lei era
lì e lui fosse sceso per affrontarla?
Sarebbe riuscita a dargli le sue cose e uscire di lì come si
era prefissata di fare?
Il rumore delle porte dell'ascensore che si aprivano la
riportò
alla realtà e come fosse al rallentatore, Lene
girò la
testa per controllare chi le stesse venendo incontro.
Lo stupore che la colse si dipinse nitidamente sul suo volto, tanto che
il ragazzo che si stava avvicinando scoppiò a ridere.
"E' una sorpresa bella o brutta?"
Lene si ritrovò a pensare che non lo sapeva bene neanche
lei, ma si guardò bene dal dar voce ai suoi pensieri.
"Dov'è Izzy?"
"In bagno occupato a scaldare quella merda. Il solito, insomma."
Axl la guardò improvvisamente serio, il suo solito
sorrisetto sarcastico momentaneamente assente dal suo volto.
"Cosa ci fai qui? Eravamo ormai certi che fossi sparita dalla
città."
"Non vedo perché avrei dovuto. Non sono io quella che
dovrebbe vergognarsi di farsi vedere in giro."
Axl le sorrise con un'espressione tale da far venire voglia a Lene di
prenderlo a schiaffi lì, davanti a tutti, ma per fortuna si
trattenne e continuò a parlare.
"Sono passata solo per ridare a Duff le sue cose, visto che le ha
lasciate in quella che fino a poco fa era casa mia."
Lene fece un cenno con il capo verso i due scatoloni, che aveva
precedentemente lasciato a terra, visto che poi tanto leggeri non erano.
"Ti dispiace portargliele?"
Axl inclinò leggermente la testa di lato, guardandola a
lungo
come se cercasse di decifrare quella donna che a lui risultava
così ostica da capire.
"E se non ne avessi voglia?"
Lene sentì a quel punto prudere le mani e strinse
leggermente i
pugni, cercando di trattenersi dal togliergli quell'espressione
strafottente dalla faccia con un bel pugno.
"Troverei il modo di fargliele avere comunque, mi faresti solo sprecare
del tempo."
Axl le sorrise di nuovo e poi si accucciò ad afferrare i due
scatoloni.
"E va bene. Oggi mi sento in buona e ti accontenterò. In
fondo
ti sono grato di averlo lasciato, adesso Duff può
concentrarsi
al cento per cento sui Guns e questa è l'unica cosa che
conta
davvero per me. Quindi grazie
Lene. Chissà che non ci si
incontri di nuovo prima o poi e non si possa approfondire la nostra
conoscenza... mi piacerebbe farti provare cosa vuol dire davvero
soddisfare una donna."
Lene cercò con tutte le sue forze di non dargli la
soddisfazione
di vedere la miriade di emozioni negative che la stavano scombussolando
in quel preciso istante.
Fottiti Rose fu
l'unica cosa
che non riuscì a trattenere. Girò sui suoi tacchi
e
uscì come una furia, determinata a non vedere mai
più la
faccia da schiaffi di quel grandissimo pezzo di merda.
Axl scoppiò a ridere compiaciuto di se stesso e come Lene fu
fuori dal palazzo, si infilò nell'ascensore e
salì dai
ragazzi, pronto a ricominciare le prove.
Poco prima di entrare, però, posò i due scatoloni
per terra, proprio accanto alla porta.
Non aveva la minima intenzione di portarli a Duff, per lo meno non in
quel momento. C'era voluto un secolo a trascinarlo lì dentro
completamente ubriaco e ancor di più per rimetterlo in sesto
e
permettergli di suonare in modo decente, non ci pensava nemmeno a
buttare tutta quella fatica nel cesso per un paio di stronzate che
aveva lasciato a casa di quella lì.
Entrò dentro e si sincerò che Izzy fosse in grado
di
suonare, senza dire una parola a Duff che era seduto in un angolo a
strimpellare un motivetto, perso nei suoi pensieri.
A fine giornata, Duff decretò che non ne poteva
più di
suonare e dopo aver bevuto l'ultima goccia dell'ennesima bottiglia di
vodka, si alzò e salutò tutti i presenti,
dandogli
appuntamento al pomeriggio del giorno successivo.
Barcollando vistosamente, il ragazzo uscì dalla porta e
quasi
non finì per terra a causa di qualcosa che gli aveva
intralciato
il cammino, o almeno così gli era sembrato.
Abbassò lo sguardo, imprecando, e vide un paio di scatoloni
per terra con sopra scritto qualcosa.
Si accucciò per leggere, ma il suo senso dell'equilibrio,
annacquato dall'alcool, non funzionò a dovere e Duff cadde
seduto a terra con un bel tonfo.
Grazie alla vodka, la sua reazione fu per fortuna solo quella di
scoppiare a ridere come un ebete.
Quando si fu ripreso, approfittò della posizione per
afferrare il primo scatolone e saziare la sua curiosità.
Quello che vide, però, non gli piacque per niente.
C'era il suo nome su quello scatolone e lui conosceva benissimo quella
calligrafia.
Con un tuffo al cuore, Duff strappò in malo modo la scatola,
troppo impaziente per trovare il modo di togliere delicatamente lo
scotch e quando vide quegli oggetti per poco non scoppiò a
piangere come un bambino.
Erano le sue cose, quelle che aveva lasciato appositamente a casa di
Lene nella speranza di usarle come scusa per rivederla.
Erano brandelli di quella che era stata la storia d'amore
più importante della sua vita e vederli tutti racchiusi in
quei due scatoloni gli diede il colpo finale.
Era finita, per sempre,
adesso non c'erano più dubbi.
Sollevò il disco che lei gli aveva regalato ormai parecchio
tempo prima, all'inizio della loro storia, quando ancora lui faceva
fatica a farle entrare nella zucca quanto l'amasse.
Tirò fuori con mani tremanti la maglietta dei Black Sabbath
che Lene tanto adorava, rivedendo nella sua mente tutte le volte che
gliel'aveva sfilata di dosso per godere di quel corpo così
perfetto e risentendo nella sua testa i gemiti di entrambi in quegli
amplessi così incredibilmente intensi in cui si fondevano
l'uno nell'altro.
Le sue dita quasi per caso sfiorarono la scatoletta che a
lungo aveva contenuto l'anello che aveva sancito l'inizio ufficiale
della loro storia e come se scottasse, Duff
allontanò immediatamente la mano da lì, sentendo
delle lacrime inumidirgli gli occhi.
Si alzò di scatto, un profondo senso di angoscia a
tormentargli l'anima e un prepotente bisogno di stordirsi e
cancellare ogni possibile pensiero e ricordo di lei.
Lasciò lì gli scatoloni, consapevole che non
sarebbe comunque riuscito a toccare mai più quelle cose e
uscì da quel palazzo come una furia, in preda ad una
profonda disperazione.
Nella sua testa vi era una confusione totale, dettata dalle sostanze
che aveva in corpo e da quel dolore che sembrava non volergli lasciare
un attimo di pace.
Saltò su un taxi e quando il tassista gli chiese dove
volesse andare, l'unica destinazione che gli venne in mente fu una e
una sola: Seattle, casa.
"All'aeroporto, per favore."
L'autista annuì e in totale silenzio, come se avesse
compreso all'istante lo stato d'animo del suo cliente, partì
a tutto gas in direzione del LAX, lasciando Duff al suo dolore e a quel
senso di vuoto che, ne era certo, lo avrebbe accompagnato per tutta la
vita.
Lene non era più sua,
non c'era più, e mai un'altra donna avrebbe potuto
prendere il suo posto nel suo cuore, neanche tra un milione di anni.
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