Titolo:
Legame
Rating: PG
Pairing: Arthur/Merlino
Spoilers: Excalibur
1x09, Il momento della verità 1x10 e La
morte di Artù 1x13.
AN: come sempre Merlin appartiene
alla BBC. Fosse dipeso da me, avremmo
avuto molti più momenti intimi Arthur/Merlin e personaggi
come Uther o Gwen sarebbero stati rilegati nell’antro del
grande Sparky mentre il nostro beneamato dragone dava a tutta Camelot
lezioni sullo yaoi. L’idea originale era quella di fare una
fic seria, drammatica, una sorta di valvola di sfogo per la mia
depressione da San Valentino. Ma
oramai mi conoscete. Quando mai riesco a scrivere una storia come mi
ero prefissata, senza situazioni imbarazzanti ed equivoche?
Così vi tocca leggere questo obbrobrio, smielato pure in
certi punti. Avrei voluto scrivere una lemon più accurata ma
mia madre non faceva altro che ronzarmi attorno. Sorry!
Che altro dire. Dedico questa
storia alla mia amica di sclero Suicidal_love. Tesoro, scusa se non ho
aggiornato ieri come promesso e ti ringrazio per avermi ascoltato ed
aver risposto alle mie innumerevoli domande. Spero che questa storia
sia di tuo gradimento. Ed allora… buona lettura!
Legame
Quando due cavalieri di Camelot
sono uniti da un legame più forte del semplice vincolo fra
due compagni d’armi, quando la morte di uno si traduce nella
fine dell’altro, allora essi decidono di affrontare i loro
fratelli cavalieri.
La lunga scalinata era avvolta
dall’ombra, rischiarata qua e là da sparse torce
consumate.
Gradini infiniti,
interminabili. Pronti a portarlo fin dentro il cuore della terra
stessa.
Si strinse nel mantello
sanguigno in un gesto rapido, nervoso ma piuttosto inutile. Faceva
dannatamente freddo.
Un freddo che percepivi fin
dentro le ossa e che niente avrebbe mai potuto riscaldare. Persino la
folta pelle di un orso sarebbe stata inefficace.
Scese ancora, più
giù, verso le viscere del castello.
Non un solo rumore, non un solo
sibilo. Unica sua compagnia, il battito del proprio cuore che gli
rimbombava nelle orecchie.
Più giù,
più giù, sempre più giù.
Regnava il silenzio in quel
luogo. Un silenzio totale, spettrale.
Il respiro della morte.
Avanzò lento e
deciso mentre il rumore dei suoi passi veniva inghiottito dal buio di
quelle secolari pareti di pietra.
Dava quasi
l’impressione di essere una cosa viva, il buio. Sembrava
nutrirsi della debole luce della sua torcia, ghermendola con artigli
affilati che scivolavano felini sulle mura circostanti. Artigli pronti
ad afferrarlo nella loro presa e strapparlo alla vita se avesse osato
dar loro le spalle.
Una strana inquietudine lo
turbava, lo opprimeva. Una malessere vago che era per lui un infausto
presagio.
Scosse la testa tentando di
scacciare quel pensiero. Non poteva di certo lasciarsi suggestionare
come un bimbo in fasce. Non alla vigilia di uno scontro tanto
importante. Doveva trovare Sir Pellinor.
Cercarlo nelle camere dei
cavalieri sarebbe stato vano, ne aveva la certezza. C’era un
unico luogo in cui Sir Pellinor poteva trovarsi in un momento come
quello.
Il principe si diresse, quindi,
nella piccola cripta che Uther aveva fatto costruire per i seguaci
della Nuova Religione, dove il corpo di Sir Owain era stato deposto
dopo il suo scontro fatale con il Cavaliere Nero.
Spalancò le pesanti
porte di legno.
Per un istante, da molte ore
ormai, il silenzio che ivi regnava fu infranto. Le fiamme delle misere
candele tremarono appena al suo arrivo, in un ultimo disperato
tentativo di riprender vita. Tuttavia, non fu abbastanza.
Morte e buio e sofferenza
regnavano in quel luogo. Niente avrebbe mai potuto spodestarli.
Un forte odore
d’incenso lo raggiunse mentre il suo sguardo cadeva sulla
figura ammantata, inginocchiata accanto alla salma di quello che fino a
poche ore prima era stato uno dei suoi uomini.
Sir Pellinor sedeva su un
vecchio banco di legno. La fronte poggiata sulle mani incrociate,
raccolto in una muta preghiera. Le sue spalle erano tese, i muscoli
contratti. Tutto il suo corpo pareva confondersi con
l’immobilità stessa di quel luogo.
“Sir
Pellinor”.
Il cavaliere
s’alzò in piedi con fare lento e stanco, voltandosi
ad accogliere il suo capitano. “Principe
Arthur”.
Bastò un solo
sguardo in quegli occhi disperati per dire ad Arthur che nulla, nulla
che avesse detto avrebbe mai potuto avere alcun valore per Sir
Pellinor. Un “mi dispiace per la tua perdita” non
sarebbe stato abbastanza. A quelle sterili frasi di circostanza, era di
gran lungo preferibile il rispetto che il silenzio portava con
sé.
“Mi aspetto di
vederti vincere”. Gli disse allora.
Per un istante una furia
inumana riuscì a sopprimere il dolore di Pellinor.
“Lo vendicherò”. La sua voce era gelida
nonostante il fuoco che gli divampava nello sguardo.
“Bene”.
Arthur gli strinse una spalla in un muto gesto di coraggio, prima di
voltarsi per lasciare solo il cavaliere col proprio dolore.
“Sire?”
L’angoscia che permeava quella parola lo trattenne.
“Vorreste per favore…?”
Il cavaliere teneva tra le mani
un sottile laccio di cuoio, adornato da un piccolo disco di rame. Lo
offrì al principe ed Arthur capì. Prese il
braccialetto che sapeva essere appartenuto a Sir Owain e lo
legò al polso di Pellinor, proprio al di sopra di un altro
bracciale identico.
“Grazie”.
Arthur si limitò ad
annuire, lasciando quel luogo spoglio e Pellinor ai propri pensieri.
Quando due cavalieri di Camelot
sono uniti da un legame più forte del semplice vincolo fra
compagni d’armi, i loro fratelli cavalieri li interrogano per
saggiare la veridicità dei loro cuori. Perché
solo un sentimento puro può forgiare il patto che si
apprestano a sancire.
“Non abbiamo
speranza”. Mormorò Gwen, voltandosi verso la sua
padrona.
“Arthur non riesce a
capirlo”. Le rispose Morgana. “È troppo
cocciuto”.
Erano distese su un semplice
giaciglio di paglia e pelli. Tutto ciò che la povera dimora
di Hunith poteva offrire loro.
“Perché
credete che sia venuto?”. Chiese ancora la serva, tentando di
scacciare il terrore che stava lentamente prendendo il controllo della
sua mente. Era una situazione critica la loro, non v’era
dubbio, ma la paura della morte non sarebbe stata di alcun giovamento
sul campo di battaglia.
“Per la nostra stessa
ragione”. Fu la quieta replica di Morgana.
“Merlino. Arthur può anche fingere che non gli
importi, ma non sarebbe qui se fosse vero”.
Le due donne non si erano
accorte che Arthur era ancora sveglio, gli occhi serrati ed il respiro
lento nel vano tentativo di controllare la tempesta che gli si agitava
dentro. Si sbagliavano pensando che lui
ignorasse la gravità della situazione. I loro bisbigli lo
irritavano, lo infuriavano. Come facevano a non capire che lui non
poteva mostrare i suoi dubbi di fronte a quei poveri contadini? Che,
spesso, la sicurezza mostrata dal comandante di un’armata
valeva di gran lunga più dell’acciaio delle spade?
Però, non era solo
questo a fomentare quel turbinio di sensazioni che gli sconquassava
l’animo.
Perché era
lì? Per Merlino, ovviamente.
Gwen e Morgana non potevano
essere più nel giusto. Per Merlino era lì, ma non
per il suo servo, non per l’uomo con cui condivideva
segretamente il letto dal giorno in cui avevano salvato insieme il
giovane druido.
Era lì per
l’idiota che aveva bevuto da un calice avvelenato per lui,
per quel sorriso che riusciva a sciogliergli il cuore, per
quell’approvazione che aveva finito per contare per lui
più di quella di suo padre.
Quando due cavalieri di Camelot
sono uniti da un legame più forte del semplice vincolo fra
compagni d’armi, dopo aver provato ai loro fratelli cavalieri
la purezza del loro sentimento, essi si promettono l’uno
all’altro.
Circa un mese dopo il quasi
fatale incontro di Arthur con la Bestia Errante, Merlino
s’intrufolò silenzioso nelle sue stanze come non
faceva da molto tempo. Senza proferir parola, si rifugiò nel
caldo abbraccio del biondo principe ancora desto, in attesa di quella
sua venuta che per le lunghe notti precedenti gli era stata negata.
Da quando aveva fatto ritorno
con Gaius dall’Isola dei Beati, Merlino aveva cercato di
rimandare quell’incontro il più possibile, sebbene
una parte del suo animo gli urlasse di correre da Arthur. Si sentiva
dolorosamente spezzato in due.
Da un lato la sua magia,
più potente e selvaggia che mai dalla morte di Nimueh,
pronta a scatenarsi non appena avesse allentato il controllo anche solo
per un istante; dall’altro il bisogno quasi viscerale di
essere al fianco del giovane Pendragon. Un bisogno che dominava ogni
ora, minuto, secondo della sua giornata. Un bisogno che gli stringeva
lo stomaco e gli toglieva il respiro.
Stare lontano da Arthur era
stata una tortura, una tortura che aveva scelto con la disperazione nel
cuore. Era terrorizzato. Terrorizzato di perdere il controllo e ferire
con il suo dono quel babbeo reale che era divenuto la luce della sua
esistenza.
Aveva resistito fino a quel
momento. Si era rifugiato nelle frasi di circostanza, nel lavoro.
Sempre scappando: lontano da Arthur, dal suo cuore, dai suoi
sentimenti. Purtroppo non era servito.
Arthur, Arthur, Arthur.
Un pensiero,
un’ossessione.
Arthur.
Non riusciva a mangiare, a
dormire. Gaius aveva perso la speranza di ottenere la sua attenzione. I
disastri di cui era causa si susseguivano a non finire e, oramai,
avevano perso tutto il loro divertimento.
Che Merlino non fosse in
sé, se ne erano accorti tutti, Arthur per primo. Tuttavia il
principe non lo aveva cercato, non lo aveva costretto a confessare cosa
lo turbasse. Con la calma di un vero stratega, aveva preferito
attendere che fosse Merlino a fare la prima mossa… mentre
lui, intanto, sfogava la propria frustrazione sui suoi poveri
cavalieri. Ogni giorno più ammaccati, confusi e spaventati
dal comportamento del loro capitano.
Peccato che, alla fine, la
prima mossa l’avesse fatta Morgana. Stanca di quel loro
danzarsi intorno, lo aveva affrontato dandogli un ultimatum. Che la
smettessero di fare gli idioti. Quel loro comportamento assurdo stava
davvero stancando, ma quel che peggio, insospettendo Uther.
La principessa gli aveva
praticamente ordinato di marciare nella stanza dell’asino
reale, legarlo al letto, e seguire quello che gli suggeriva Madre
Natura. Gli aveva anche detto di non farsi più rivedere a
corte finché lui ed Arthur non avessero risolto le loro
beghe. Preferibilmente a letto.
Era arrossito, aveva
balbettato, se l’era data a gambe. Ma, alla fine, aveva dovuto
darle ragione.
Al diavolo tutto. Doveva
vederlo. Doveva sentirsi chiamare idiota da quella voce seccata e
divertita. Doveva sentire quelle grandi mani callose sulla sua pelle,
l’odore di sudore e forza, gli occhi di tempesta.
Si sarebbe strappato il cuore
con le proprie mani prima di poter mettere in pericolo Arthur.
Doveva rivederlo ancora una
volta. E se questo avesse causato la sua morte, le sarebbe andato
incontro con il sorriso in volto e l’immagine del suo Arthur
nel cuore.
Eppure tutto questo non accadde.
Nel momento stesso in cui i
loro due sguardi disperati s’incrociarono, tutte le ragioni
che li avevano tenuti separati persero d’importanza.
C’erano solo loro.
Loro.
Labbra che si cercavano senza
sosta.
Mani che si stringevano con
forza e cieca passione.
I loro baci affamati ben presto
furono pervasi da una tenerezza nuova, una dolcezza che non avevano mai
provato prima.
Come evocata da quelle stesse
carezze, la magia di Merlino prese a danzare su mute note. Era uno
strumento. Tutto il suo corpo era solo un ligneo strumento ed Arthur il
virtuoso musicista che ne conosceva tutti i segreti. Quali corde
toccare, sfiorare, portare all’estasi.
Poteva sentire la magia
sussurrare nelle sue vene, Merlino. Bisbigliare dolci parole
d’amore per quell’uomo le cui labbra lo stavano
lentamente conducendo verso la vetta del piacere.
Ed infine, quando Arthur penetrò il suo amante, con spinte lente e profonde, calde lacrime
presero a bagnare il suo viso. Era bellissimo.
In quell’abbraccio,
poteva vedere tutta la bellezza dell’universo. Carpirne i
segreti ed afferrarne ogni più piccolo significato.
In quell’unione oltre
il tempo, Merlino aveva finalmente trovato la risposta alle mille
domande che lo avevano fino a quel momento assillato. Mille quesiti
sulla sua origine, sul suo dono, sul suo destino. Ogni cosa perdeva
d’importanza di fronte a quell’abbraccio.
Arthur era tutto ciò
di cui aveva bisogno. Nient’altro.
Ed il pensiero di aver
rischiato di perderlo gli straziava l’animo, facendolo
sanguinare.
Alla vista di quelle stille
salate, Arthur le sfiorò appena, con la punta delle dita. Si
chinò a tastarle, congiungendo le loro labbra in una muta
promessa.
“Shh, sono qui,
Merlino… sono qui”.
Più tardi quella
notte, convinto che il suo principe non potesse udire ciò
che stava per rivelargli, Merlino riuscì finalmente a
mormorare le parole che da tempo si portava dentro. “Io ti
amo, Arthur Pendragon, mio reale babbeo. Ti prego, non lasciarmi
mai”.
‘Ti amo
anch’io’. Fu la risposta silenziosa.
Perché Arthur era desto e per quanto bramasse di rivelare
ciò che il suo cuore serbava, quel momento apparteneva a
Merlino e lui non aveva il diritto di portarglielo via.
Lasciò che Merlino
gli scostasse i capelli umidi dalla fronte, baciando quasi con
riverenza la sua pelle di miele. Percepì dita sottili
sfiorargli gli occhi chiusi, le guance arrossate, le labbra gonfie di
baci. Avvertì un lieve peso posarsi sul suo petto segnato da
una nuova cicatrice mentre un braccio ossuto gli cingeva la vita ed un
corpo caldo si distendeva nuovamente al suo fianco.
Fu in quel momento che nacque
in lui quella decisione. Ora sapeva cosa fare.
E come pegno di questo legame,
si scambiano un bracciale di cuoio, simbolo più saldo di un
qualsiasi voto nuziale.
Ad Arthur occorse una settimana
intera per scegliere il modo migliore per rivelare a Merlino i suoi
sentimenti ed ancora
un’altra per raccogliere il coraggio necessario a seguire il
suo proposito.
Quel pomeriggio, Merlino se ne
stava seduto su uno scomodo sgabello, innanzi al fuoco. Era impegnato a
lucidare la pesante armatura da guerra quando Arthur rientrò
nelle sue stanze, chiudendo dietro di sé la porta a chiave.
Il giovane sollevò lo sguardo dal freddo acciaio,
sorridendogli solare.
“Arthur, non
è ancora sera…”. Ma la voce gli
morì in gola, notando l’espressione seria sul
volto del biondo cavaliere. “È successo
qualcosa?”. Chiese subito mentre il suo cuore aveva preso a
martellare furioso.
“No, nulla. Ho solo
bisogno di parlarti”. Cercò di rassicurarlo il
principe, ma la preoccupazione negli occhi di Merlino non scomparve,
anzi. Il giovane mago serrò con forza la sua presa
sull’armatura, in un movimento inconscio. Le nocche delle sue
mani divennero bianche per lo sforzo.
“Merlino,
io… c’è qualcosa che avrei dovuto dirti
già da molto tempo”. Il blu del mare si perse
nell’azzurro terso del cielo. “Cielo, Merlino!
Smettila di guardarmi così. Non ho intenzione di
licenziarti!”. Cristo! Non aveva nemmeno cominciato e
già quello stupido di un servo si lasciava prendere da mille
paranoie. Non era di certo rassicurante!
Stupido Merlino! Stupido,
testardo, meraviglioso ed infuriante Merlino.
Il mago si lasciò
sfuggire un profondo sospiro di sollievo. “Buono a sapersi.
Questo impiego iniziava quasi a piacermi: biancheria da rammendare,
armature da pulire, topi da catturare”. Se stava cercando di
sdrammatizzare non stava facendo un gran bel lavoro.
“Merlino, per favore,
lasciami finire”. Arthur lo stava pregando, non riusciva a
crederci. Mr_ Arroganza_in_persona Arthur Pendragon lo stava implorando
davvero. Doveva aver battuto la testa e stare allucinando. Non poteva
essere vero.
Tutti i commenti sarcastici, le
mille frecciatine che la sua mente aveva partorito in quel breve lasso
di tempo, scomparvero quando si accorse quanto Arthur fosse nervoso. In
quel momento annuì e lo lasciò fare. Non era da
quell’asino reale lasciarsi prendere dal panico. Doveva
essere accaduto qualcosa di serio, anche se il principe affermava il
contrario.
Arthur prese un profondo
respiro, inginocchiandosi davanti al suo servo e sfiorandogli una
guancia arrossata…
“Ti amo,
Merlino.”
SDENG
Si sarebbe aspettato
tutto… tutto meno quello.
Merlino lasciò
cadere l’armatura al suolo con un pesante clangore, troppo
sorpreso per reagire. Avrebbe voluto controbattere qualcosa, anche solo
ricordarsi di respirare, ma la sua mente si era totalmente spenta.
Doveva avere
un’espressione ridicola: gli occhi sbarrati, la bocca
spalancata. Forse sarebbe riuscito anche ad importargli, se non fosse
stato vittima dello shock più grande della sua giovane vita.
Non aveva mai dubitato dei sentimenti di Arthur. Aveva imparato ad
interpretare i suoi piccoli gesti come segni dell’affetto che
il principe nutriva per lui, però mai… mai aveva
anche solo sperato di poter udire un “ti amo”
sfiorare quelle labbra che lo facevano impazzire con una sola carezza.
Arthur era l’erede al
trono, lui un semplice servo. Un mago per giunta. La loro era una
storia proibita.
Per la prima volta nella sua
vita, Arthur si accorse di provare paura. Una paura diversa da quella
che di solito lo coglieva poco prima di uno scontro, quella paura
infiammata dall’adrenalina che ti entrava in circolo. No,
questa era diversa. Più potente, più devastante.
Era la paura di donare il
proprio cuore ad un’altra persona e vederlo poi calpestato.
Ritrasse la mano, chinando il
capo per un istante.
Dannazione, dannazione,
dannazione!
Scattò in piedi,
iniziando a fare su e giù per la stanza come una fiera in
gabbia.
Era stato un idiota, uno
stupido, un babbeo! Doveva averlo confuso, intimorito.
Che cosa diavolo si aspettava!
Sapeva di doverci andare cauto e pensava di averlo fatto. Ma ora
Merlino non gli rispondeva, se ne stava con lo sguardo fisso e perso
nel vuoto.
“Arthur”.
Lo amava, giusto? Merlino aveva
detto di amarlo quindi la sua reazione era dovuta solo alla sorpresa.
“Arthur”.
Oppure, forse lui non intendeva
quel genere di amore. Magari lo amava solo come un fratello, un amico
prezioso.
“Arthur”.
Facevano l’amore
quasi ogni notte. Era amore, non sesso, conosceva la differenza. La
conosceva bene… e se Merlino gli si fosse concesso solo per
lealtà? Perché lo considerava un obbligo?
No, no, no!!! Ma che andava a
pensare! Lui era stato il primo. Il primo ad esplorare quel corpo esile
come un giunco e Merlino non gli avrebbe mai offerto qualcosa di
così prezioso se non fosse stato certo dei suoi sentimenti.
Ma se si fosse trattato solo di
piacere?
“ARTHUR!”.
“COSA?!”.
Finalmente si riscosse da quegli oscuri pensieri, pronto a dar sfogo
alla sua lingua tagliente quando d’improvviso tutta la sua
rabbia, la sua incertezza, scemò come neve al sole.
Il sorriso di Merlino, quel
sorriso più radioso di mille soli, gli rivelò
tutto ciò che aveva bisogno di sapere. Non c’era
nulla da temere.
Senza accorgersene, sorrise a
sua volta, ripetendo quelle parole che per giorni aveva continuato a
ripetersi senza sosta nella mente. “Ti amo”.
In un battito di ciglia, un
corpo esile dai brillanti capelli corvini gli si fiondò
addosso, nascondendo il viso nella stoffa ruvida della sua giacca da
caccia. Merlino lo baciò e fu un bacio dolce e passionale e
tutto ciò che Arthur aveva sperato.
“Ti amo
anch’io, Arthur. Ti amo anch’io”. Merlino
non riusciva a smettere di sorridere. Abbracciò il suo
principe con trasporto crescente e lo tenne stretto a sé.
Non era pronto a lasciarlo andare.
“Aspetta”.
Arthur si scostò appena, estraendo dalla tasca il dono che
aveva preparato con cura giorni addietro.
“Merlino, voglio che
tu abbia questo”. Teneva tra le mani un sottile bracciale di
cuoio con un piccolo disco di rame in attesa che il suo amante lo
accettasse.
Merlino prese tremante quel
bracciale tra le dita, studiandone il pendente dove era stato inciso un
drago. Gli occhi gli si spalancarono per la sorpresa.
“Ma Arthur! Questo
bracciale è… io non sono un cavaliere! Sono
sicuro che il codice non lo permetterebbe mai…”.
Arthur annuì.
“Lo so. Per questo nessuno dovrà mai vederli,
però voglio che tu lo abbia ugualmente come pegno dei miei
sentimenti. Non posso offrirti delle nozze. Non posso offrirti nemmeno
la promessa di poter vivere la nostra relazione alla luce del sole. Ma
posso giurarti questo: la tua morte segnerà anche la mia
fine. Capisco se non vuoi accettarlo, se per te è troppo.
Ciononostante ho bisogno di sapere. Di sapere che tu comprendi
ciò che realmente significhi per me. Per questo voglio
promettermi a te, Merlino”.
“Si”. Fu
l’unica risposta che poteva mai dare. Nuove lacrime gli
segnarono il viso. “Si, Arthur. Accetto”.
Restituì il bracciale al suo principe offrendogli il polso
sinistro affinché Arthur potesse legarlo per lui.
Il pendente sul braccialetto di
Arthur mostrava un falco smeriglio, un merlino, ad ali spiegate
notò il giovane mago quando lo annodò al polso
del suo principe.
Si baciarono a lungo. Ben
presto, tuttavia, quei baci e quelle carezze non furono abbastanza.
Così le vesti caddero al suolo senza far rumore, con la luna
come unica testimone della sacralità di
quell’unione.
Due corpi nudi, stretti sotto
delle pesanti coperte, che si fusero finché divenne
impossibile distinguere dove iniziasse l’uno e finisse
l’altro.
Due corpi nudi e due pendagli
di rame che s’intrecciavano tra loro.
Fine
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