La Coltre Rossa

di KillingJoker
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-Cap.14, “La Foresta”-

 

Si svegliarono alle prime luci dell’alba, Faraes e Falandria. Inspirarono profondamente, all’unisono, come se la Foresta avesse soffiato la vita nei loro corpi mortali. Il mattino aveva assunto un sapore completamente diverso quel giorno: senza una casa, una famiglia o nessuno che li aspettasse, ormai. Eppure i loro occhi potevano ora scorgere un panorama che era spesso proibito perfino ai più antichi e saggi di loro. Un tetto di smeraldo aleggiava poco sopra di loro, danzando al ritmo del vento e cantando per tutti i figli della Foresta. Erano certamente fortunati a poter godere di questo privilegio.

Si procurarono poche bacche e frutti per rimettersi in forze e Faraes scoprì che il cibo stesso, ora, aveva assunto un sapore completamente nuovo per lui. Riusciva a sentire ogni goccia del succo di una bacca, l’energia di ogni seme che era sbocciato, la vita che aveva attraversato quei frutti. Era una sensazione dolce e amara, ma lo rendeva consapevole del suo posto in quel nuovo mondo.

Salutò Falandria e andò ad esplorare il territorio di cui sarebbe dovuto diventare il guardiano. Sarebbe stato fuori fino a sera.

Non appena fu abbastanza lontano, lei si rintanò nella capanna e aprì la sacca che aveva portato con sé dal villaggio. Estrasse dei libri, rilegati con foglie di piante antichissime, e li dispose ordinatamente davanti a sé.

La Foresta sembrò avere un sussulto. Le piante smisero di muoversi, non più spinte dal vento che si era affievolito, e gli animali si avvicinavano all’albero sul quale era costruito il rifugio. L’elfa iniziò a leggere quei sacri scritti, che provenivano direttamente dai loro antenati, e la Foresta la ascoltava. Lesse la storia degli Elfi Rossi e del loro esodo, di come avessero fatto di questi luoghi la loro casa. Lesse di come la loro magia aveva permeato queste terre. Lesse degli Accoliti, che dedicavano la loro anima alla protezione della foresta. Più leggeva e più si rendeva conto che qualcosa le sfuggiva: c’era una connessione, un significato nascosto tra le righe, che riusciva a vedere ma non a comprendere. Alcune parole, o frasi, erano state utilizzate impropriamente o sembravano forzate per riempire uno spazio. Falandria passò tutto il giorno a leggere per cercare di svelare il segreto di questi scritti così antichi.

 

Il buio incalzava, inghiottendo le piante e scalando inesorabilmente i tronchi degli alberi, quando Faraes tornò al rifugio accompagnato da un cervo senza corna. Spiegò all’amica che Anàrion, questo era il suo nome, si era offerto di essere la sua guida nella foresta e che, grazie a lui, avrebbe capito cosa doveva fare. Lei salutò rispettosamente il nuovo membro del loro piccolo nuovo mondo e si affrettò a preparare un pasto con ciò che l’elfo era riuscito a procurarsi.

 

L’indomani la giornata si ripeté allo stesso modo, e così il giorno seguente. Esplorare quei territori era molto più difficile di quanto Faraes si aspettasse.

 

“Non basterebbe tutta la magia del mondo per esplorare la Foresta, ci vorrebbe una mappa” – osservò una sera, mentre mangiavano. E fu lì che Falandria capì ciò che le era sfuggito.

 

“Una mappa!”
 

Si affrettò a prendere i vecchi libri che ormai da giorni studiava. Ora non aveva più motivo di nasconderli, poiché ne aveva compreso il significato. Li aprì davanti a sé, sotto lo sguardo attonito dell’amico.

 

“Che cosa sono quelli? Perché li hai portati qui??” – chiese Faraes terrorizzato dall’idea che il suo peggior incubo potesse divenire realtà.

“All’inizio li avevo presi perché pensavo ti avrebbero aiutato a capire, magari a trovare una soluzione.” – rispose lei senza alzare la testa dai libri – “Ma studiandoli ho compreso che sono molto più di questo. Non è solo la tua famiglia a custodire questi libri, ma anche tutte le sei famiglie nobili del nostro regno. Io li ho convinti a lasciare che li prendessi in prestito, per risolvere questa situazione, e penso di esserci riuscita!”

 

L’elfa prese il suo pugnale ed iniziò a tracciare degli incomprensibili segni, incidendoli sulle pareti di legno della loro capanna. Sfogliò pagine su pagine, una dopo l’altra, cercando di combinarne i significati. Faraes la guardava sbigottito. Provò ad obiettare:

“Ma io non voglio tornare indietro…”

“Lo so. So benissimo come ti senti e capisco la scelta che hai fatto, ma ricordi cosa ti ho detto? Ti porrò di nuovo davanti a questa scelta una volta che sarai consapevole di tutto ciò che c’è da sapere. Guarda qui, cosa vedi?”

I segni incomprensibili erano aumentati di numero e volume, ma lentamente, nella mente dell’elfo, stavano prendendo forma.

“Sembrerebbe… la Foresta!” – esclamò.

“È solo una parte, ma una volta finito di esaminare tutti i libri avrai la mappa di cui avevi bisogno, e potremo esplorare questa foresta con gli occhi di coloro che ne hanno piantato le radici. Così capiremo.”

 

Faraes la strinse a sé. Nessuno dei due disse niente, quel gesto era chiarissimo.

Rimasero così, avvolti in quell’abbraccio, per un tempo indefinito. Per quanto ne sapevano, fuori poteva essere sorto il sole, ma a loro non sarebbe importato. Quel momento era solo per loro. Lui le sfiorò una guancia, in una leggera carezza, e lei aprì gli occhi. Il suo sguardo catturò di nuovo la mente dell’elfo, mentre le labbra di lui le donarono profumo di rose e sapore di fragole.





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